29 giugno 2022

L'ipotesi del male di Donato Carrisi a cura di Miriam Ballerini


L'IPOTESI DEL MALE
– Per quanto lontano si possa fuggire, la casa è il luogo che ci segue ovunque andiamo – di Donato Carrisi

© 2021 SuperTea

ISBN 978-88-502-5094-3

€ 5,00 Pag. 426

Per chi segue lo scrittore Donato Carrisi, avrà già conosciuto la protagonista di questo romanzo, Mila Vasquez: la poliziotta che indaga sugli scomparsi, già presente nel libro “Il suggeritore”.

Mila è un'autolesionista, ed è attratta dal pericolo: “A dirle di proseguire era il mostro che dentro di lei fingeva di dormire”.

Mila si ritrova a dover indagare su persone scomparse da anni e che, improvvisamente, tornano come assassini.

Ma che cosa sta succedendo?

Improvvisamente ci si trova ad aver a che fare con una macabra caccia al tesoro, dove ogni delitto porta con sé un piccolo tassello che suggerisce quale sarà il prossimo crimine.

Spinta dal suo superiore, Mila si trova a lavorare con Simon Berish, uno sbirro reietto, che tutti evitano, ma che ha dalla sua il grande dono di saper far parlare la gente.

Ecco che comincia a delinearsi qualche cosa in più in questo caso assurdo: si parla di Kairus, il signore della buonanotte che, negli anni, ha fatto sparire un sacco di gente.

Usando la camera 317 dell'hotel Ambrus, indica a chi vuole scomparire la via: dice loro di raggiungere la stanza, di sdraiarsi e di assumere dei sonniferi. In seguito lui verrà a prenderli e a portarli via.

Mila e Simon, prede del proprio passato e dei propri drammi, lottano insieme per risolvere questo caso.

Chi è Kairus? È qualcuno che pure noi lettori abbiamo vicino? Lo abbiamo trovato in questa o quella riga?

A un certo punto anche Mila scompare e Simon è il solo che possa trovarla; ma al contempo diventa anche lui un ricercato, accusato del rapimento della sua collega.

Il tempo stringe e tutte le tessere devono trovare il loro giusto posto per mostrarci l'intero piano.

Non è un libro a lieto fine, lo scoprirete, perché all'ultima riga troviamo qualcosa che potrebbe essere l'incipit per un nuovo romanzo.

Scoprirete però che cosa sia l'ipotesi del male: “E' un po' come affermare che facendo del male si può anche fare del bene, e che per fare del bene a volte è necessario fare del male”.

Troppo complicato? Non preoccupatevi, avrete modo di comprendere appieno cosa lo scrittore intenda.

Di Carrisi ammiro sempre la costruzione dei suoi romanzi, e l'inserire le spiegazioni che lui ha appreso nel suo mestiere di criminologo.

Anche qui ne troviamo ampi esempi, così che delle spiegazioni difficili diventino fruibili ai più.

Inoltre mi piace la sua moralità, come ad esempio parlando di un colpevole: “Perché la reale difficoltà non sta nell'affrontare il giudizio degli altri, ma nel convivere ogni maledetto giorno e dannata notte con l'idea di non somigliare alla brava persona che si credeva di essere”.

O la bellissima descrizione di un barbone: “In fondo quell'uomo le somigliava. Era in continua lotta con l'asprezza del mondo. Come un asceta o un cavaliere medioevale. La puzza era la sua armatura, gli serviva per tenere lontani i nemici”.

Il romanzo è suddiviso in ampi capitoli: Mila – Berish – Kairus – Alice – La camera 317 dell'Ambrus hotel.

Nella nota dello scrittore scopriamo che l'idea per questo romanzo gli è venuta quando è stato contattato da un vero scomparso e che, Kairus, era il nome del gatto di quest'ultimo.

Inoltre, per provare sulla propria pelle l'esperienza della sparizione, anche se con preavviso ai propri cari, Carrisi l'ha fatta davvero.


© Miriam Ballerini

fonte: "L’ipotesi del male" di Donato Carrisi: la casa è il luogo che ci segue ovunque andiamo - OUBLIETTE MAGAZINE


28 giugno 2022

Open House Torino - 2022 JoGa Glass a cura di Marco Salvario

Open House Torino - 2022  JoGa Glass

Via Mazzini 50 – Torino

Come sempre mi ero lasciato distrarre da altri impegni, e la quinta edizione di Open House Torino, tenutasi dall’11 al 12 giugno 2022, mi sarebbe sfuggita se il sabato non avessi notato lunghe code di persone in attesa davanti a luoghi solitamente poco frequentati. In Italia il progetto Open House coinvolge Torino, Roma, Milano e Napoli, che si è aggiunta l’anno scorso, e deve il suo successo alla disponibilità a mettersi in gioco e a farsi conoscere, da parte di chi gestisce location e palazzi privati di particolare interesse, e all’opera gratuita di un piccolo esercito di volontari di tutte le età.

Nel mondo sono una quarantina le città del mondo coinvolte; ne ricordo alcune: Atene, Barcellona, Buenos Aires, Chicago, Dublino, Helsinki, Londra, Lisbona, Madrid, Osaka, New York, Praga, Vienna ecc.



Registrandomi tra gli ultimi al sito della manifestazione già in corso, non ho potuto che prendere atto con tristezza, che gli eventi per i quali si richiedeva la prenotazione avevano già esaurito tutte le possibilità di visita e, non avendo il coraggio di affrontare ore di coda nel caldo di questi giorni, mi è rimasta la soluzione di cercare tra le locazioni aperte la domenica mattina. Ho approfittato del fatto di vivere in una città abbandonata alla baldoria di una minoranza rumorosa e arrogante, che impedisce a interi quartieri di dormire nelle notti del venerdì e del sabato, e quindi che nei giorni successivi siamo sempre in pochi a essere in piedi prima delle nove del mattino.

Ricordo tempi lontani, quando una famiglia che abita al secondo piano nel mio condominio, svegliava tutti alzandosi alle sei del mattino di domenica, per andare con gli scarponi ai piedi a passare una giornata in montagna; adesso la generazione seguente della stessa famiglia sveglia tutti alle cinque del mattino, quando rientra ubriaca e trionfante dalla movida, gridando e sbattendo le porte.

Tornando a Open House, la mia scelta è caduta sulla visita al laboratorio del vetro soffiato, aperto in via Mazzini nel 2015 da Josean Garcia Diaz, un artigiano basco che ha continuato i suoi studi in Scozia e successivamente si è trasferito a Murano, dove ha perfezionato la sua ricerca, cercando di carpire i segreti gelosamente custoditi da secoli che sono patrimonio dei grandi vetrai dell’isola sulla laguna, un numero ristretto di creatori dall’abilita unica, che purtroppo si riducono ogni pochi anni e che tra non molto potrebbero sparire.

Ho parlato di un artigiano, forse dovrei definirlo meglio un artista, perché è davvero complesso giudicare in che momento un prodotto artigianale diventa opera d'arte.



Non voglio e non so raccontare i particolari tecnici di quella che potrebbe essere considerata una forma di filosofia, di religione pagana, di unione fisica e spirituale tra Josean Garcia e il vetro incandescente, che prende forma e vita tramite il suo soffio. Il personaggio è unico, in un contrasto tra la voglia empatica di comunicare usando le sue opere e le sue parole, e una delicata timidezza che gli fa abbassare lo sguardo dal gruppo di persone che gli sta davanti in ascolto. Le sue realizzazioni garantiscono per lui, molto meno fragili di quanto si potrebbe credere pensando al materiale vetro: gioielli, bicchieri, bottiglie, sfere; ogni lavoro è inevitabilmente unico per tecnica e creatività. Gli occhi gli brillano, quando racconta della gioia che ha provato incontrando per strada una ragazza che indossava orecchini di sua creazione.

Purtroppo il confronto con la realtà di ogni giorno è sempre crudele e Josean Garcia si lamenta del costo esorbitante del gas con cui alimenta le sue due fornaci: la prima serve per portare il vetro alla temperatura necessaria per poterlo lavorare e soffiare, la seconda permette agli oggetti creati di raffreddarsi lentamente, senza i guasti che si verificherebbero se fossero esposti subito alla temperatura ambientale.

Altro rimpianto è quello che, per realizzare opere più complesse, avrebbe bisogno dell’aiuto di un assistente; purtroppo i ricavi dell’attività non son sufficienti per pagarne il lavoro.

Sono uscito dalla visita affascinato dalle meraviglie tra magia e stregoneria che nascono da un materiale come il vetro, trasparente ma impreziosito da colori che sembrano vivi, nobile e solo apparentemente semplice, lontano dalla volgarità della plastica e parente di diamanti e smeraldi.

Per chi vuole saperne di più e, perché no, fare un regalo a se stesso o a un amico, il sito di JoGa Glass è:

www.jogaglass.com

Potete cercarlo anche su Facebook o Instagram.



(c) Marco Salvario


SI DICE CHE IN GALERA SI STA AL FRESCO, MA NON È AFFATTO VERO a cura di Carmelo Musumeci

 


SI DICE CHE IN GALERA SI STA AL FRESCO, MA NON È AFFATTO VERO.


È difficile scrollarsi il carcere di dosso. Ti senti come un soldato che è tornato a casa, la guerra è finita, ma continua implacabile nella tua testa.  Oggi al bar ho sentito alcuni clienti, seduti al fresco davanti ad una granita, lamentarsi del troppo caldo. E questo mi ha fatto pensare al caldo che soffrivo nelle celle delle carceri dove sono stato. Una volta arrivato a casa, sono andato a leggere cosa scrivevo nel mio diario in carcere:

- Dopo ore di viaggio, dentro il blindato con un caldo soffocante, senza poter bere ed andare in bagno, arrivo nel carcere di Firenze. Come al solito mi assegnano alla sezione transito ma, peggio del solito, capito in una cella dove sembra che siano passati i vandali: il tasto del volume della televisione rotto, senza cuscino, senza luce artificiale, solo uno stipetto, muri della cella sporchi ed in alcune parti macchiati di sangue. Pulisco alla bella e meglio, mangio un pezzo di pane con un po’ di formaggio che mi sono portato da Nuoro e mi addormento perché non posso fare altro.

- Sono di nuovo in punizione. Questa sezione fa schifo…come tutti i reparti d’isolamento. Non per niente la chiamano la “Porcilaia”: i pavimenti e le pareti sono tutti dello stesso colore grigio, con macchie d’intonaco scrostate. A causa dell’arredamento inesistente i suoni rimbombano, cancelli e ferri dappertutto, passeggi piccoli, scuri e cupi, con muri di contenimento alti, con il cielo coperto da una rete metallica. Si vive insieme a topi e scarafaggi. Ieri sera sentivo dei rumori, mi sono affacciato alla finestra e ho visto un gatto che miagolava disperato perché circondato da topi più grandi di lui. Alla notte, nonostante il caldo, chiudo la finestra per paura che mi assalgono i topi quando dormo…

- Le notti d’estate dormo di meno per il caldo e per me è peggio perché di notte la nostalgia e il desiderio di libertà sono più forti. L’Assassino dei Sogni di notte ti mangia l’anima con più cattiveria. Ho passato una notte calda e triste, ma ho sofferto più il caldo che la tristezza, perché per un ergastolano a volte anche la sofferenza della tristezza può aiutare a vivere.

- È arrivato il caldo e la sera quando chiudono il blindato la cella si trasforma in una trappola. Il tempo si ferma, la notte è più lunga, e la mattina non arriva mai. Fa caldo! È difficile dormire e questa notte ho pensato che era meglio una morte da uomo libero che una morte certa in una cella. Ho pochi rimorsi ma molti rimpianti, perché quando si varca la porta di una prigione si perde molto di più della libertà.

- È scoppiato un caldo infernale e questa notte ho messo un asciugamano grande per terra e mi sono messo a dormire sul pavimento, dove c’era più fresco.  In carcere, forse per colpa del cemento e del ferro, si soffre di più il caldo e questa notte non c’era un alito di vento. Non sono riuscito a chiudere occhio ed ho pensato fino all’alba a cosa è stata la mia vita e a che cosa avrebbe potuto essere.

- C’è un caldo che si soffoca.  È da vent’anni che tutte l’estati sogno la stessa cosa: un bagno in mare con l’acqua salata. Non mi rassegno, ha ragione l’Assassino dei Sogni, sono veramente irrecuperabile, perché continuo a sognare sogni che non potrò mai realizzare.

Carmelo Musumeci
Giugno 2022 

27 giugno 2022

SALARIO MINIMO E DIGNITA’ DEL LAVORO di Antonio Laurenzano

 


SALARIO MINIMO E DIGNITA’ DEL LAVORO

di Antonio Laurenzano

Prosegue il dibattito sul salario minimo dopo lo storico accordo raggiunto a Strasburgo fra Consiglio Ue, in rappresentanza dei 27 Stati membri dell’Unione, e il Parlamento europeo. Un negoziato durato oltre un anno e mezzo per scrivere le nuove regole che, negli auspici della Presidente della Commissione Ursula von der Leyen, “tuteleranno la dignità del lavoro e faranno in modo che il lavoro paghi il giusto compenso”. La direttiva, che dovrà essere approvata dalla plenaria del Parlamento europeo, non impone agli Stati di cambiare i sistemi nazionali esistenti sul salario minimo, ma stabilisce un quadro procedurale per promuovere salari minimi “adeguati ed equi”. Non ci sarà quindi un salario europeo valido per tutti i 27 Paesi ma sarà commisurato al costo della vita all’interno di una normativa finalizzata al superamento di ogni disuguaglianza. L’Europa chiede ai suoi partner di dare la giusta attenzione alla questione salariale proprio nel momento in cui l’inflazione rialza la testa mettendo a dura prova il potere d’acquisto di vaste fasce sociali. Sarà competenza degli Stati decidere se legiferare o meno sul livello salariale minimo.

Sono attualmente 21 gli Stati membri dell’Ue nei quali esiste il salario minimo, negli altri sei vige la contrattazione collettiva, tra cui l’Italia, oltre a Austria, Svezia, Danimarca, Finlandia e Cipro. La direttiva propone ai primi di verificare l’adeguatezza del salario minimo legale rapportato alle condizioni socio-economiche, al potere d’acquisto, nonché al livello di sviluppo della produttività nazionale. Ai Paesi con relazioni industriali regolamentate dalla contrattazione collettiva viene raccomandato di creare un piano d’azione per aumentare la copertura della forza lavoro, coinvolgendo le parti sociali. In Italia, in particolare, dove c’è un consolidato sistema di contrattazione collettiva che copre l’88,9% dei dipendenti di imprese del settore privato extra-agricolo, non c’è una legge che fissa un minimo legale (fermo al Senato un disegno di legge del M5S per un salario minimo a 9 euro). Allarmanti i dati dell’Inps: oltre 5 milioni di lavoratori dipendenti guadagnano meno di mille euro al mese, 4,5 milioni quelli che vengono pagati meno di 9 euro lordi all’ora, oltre 2 milioni i lavoratori che percepiscono 6 euro lordi all’ora. Assicurare diritti e dignità a chi lavora, “tenendo bene insieme salario minimo e contrattazione, l’uno in funzione dell’altro”, ha osservato il Ministro del Lavoro Orlando.

Ma sono in molti a chiedersi se l’introduzione di un salario minimo nel nostro Paese possa effettivamente avere una qualche utilità sociale in termini di aumento reale dei salari e di crescita del potere d’acquisto dei lavoratori. Tante le questioni sul tappeto. Prioritario sarebbe stabilire il “primato giuridico” fra salario minimo previsto dalla legge e i minimi tabellari inclusi nella contrattazione collettiva per evitare un deleterio contenzioso giudiziale, a scapito della certezza del diritto. Una eventuale convergenza verso l’alto dei salari minimi già previsti dalla contrattazione collettiva potrebbe generare ricadute economiche per le imprese e quindi, a cascata, per i consumatori per effetto del conseguente aumento dei prezzi. E una rincorsa fra prezzi e salari alimenterebbe pericolosamente la spirale inflazionistica. In un contesto economico, caratterizzato da sistemi produttivi in continua trasformazione tecnologica, ed è questa l’obiezione di fondo, risulta difficile incasellare in termini generali il salario minimo a tutela delle condizioni retributive dei lavoratori. Diritti che potrebbero invece essere meglio garantiti se ancorati alla professionalità e al risultato finale, e quindi alle condizioni di maggiore flessibilità proprie della contrattazione collettiva.

Per le parti sociali un intervento legislativo non è la soluzione, mortifica la contrattazione che è il cuore del sistema italiano nell’ambito della concertazione sindacale. “E opportuno non scardinare la contrattazione, secondo il Presidente di Confindustria Bonomi, ma potenziarla, affidandole il compito di determinare il valore economico di mercato dei mestieri nei diversi settori produttivi”. Il salario minimo potrebbe invece costituire un paracadute per quei lavoratori, quasi un milione, non coperti dai contratti, in particolare nel settore agricolo, turistico e domestico. Secondo una ricerca di Adapt del Centro Studi Marco Biagi dell’Università di Modena, “esiste un mondo sommerso di contratti pirata gestiti da organizzazioni sindacali non rappresentative”, per rapporti di lavoro precari sottoscritti fuori da ogni logica salariale.

Per alzare le retribuzioni il taglio del cuneo fiscale resta la strada maestra. Ridurre il gap tra salario e costo del lavoro. Su 300 miliardi di salari lordi pagati ogni anno nel settore privato, 100 vanno ai contributi previdenziali e 80 per l’Irpef. In totale il 60% a carico di imprese e lavoratori. A tanto ammonta la differenza tra il costo complessivo del lavoro e quanto arriva nelle buste paga dei lavoratori italiani. Abbattere il cuneo fiscale puntando sulla produttività per reperire le risorse e aumentare le paghe nette di chi lavora. Non si può andare avanti a colpi di bonus, serve qualcosa di strutturale. Il taglio del cuneo supportato da una riforma fiscale in grado di ridurre la pressione sui redditi di lavoro, colpendo le altre componenti del reddito, potrebbe dare una svolta alla curva dei salari in Italia. La politica dei redditi attende da anni risposte che non arrivano.

25 giugno 2022

Presentazione letteraria Come fiori sul ciglio della strada La Sicilia in siciliano Cento poesie in siciliano 29 giugno 2022, Piedimonte Etneo

                                         


                        Presentazione letteraria

Come fiori sul ciglio della strada

La Sicilia in siciliano

Cento poesie in siciliano

29 giugno 2022, Piedimonte Etneo

Mercoledì 29 giugno dalle 18:30 nell’incantevole Piedimonte Etneo in provincia di Catania, presso gli spazi esterni del Museo della Vite in via Giuseppe Mazzini 5, si volgerà la quarta tappa delle presentazioni itineranti per tutta Italia dell’antologia di poesia e racconti “Come fiori sul ciglio della strada”. La giornata sarà dedicata anche ad altre due raccolte poetiche: “La Sicilia in siciliano” di Pina Fazio e “Cento poesie in siciliano” di Giovanna Ferrara edite in aprile 2022.

L’evento è patrocinato dal Comune di Piedimonte Etneo; sarà presente l’editore Rosario Tomarchio e le due autrici Pina Fazio e Giovanna Ferrara. L’attore e regista Mario Coco sarà ospite speciale dell’evento ed offrirà al pubblico una selezione di letture.

L’antologia di racconti e poesie “Come fiori sul ciglio della strada” è stata pubblicata a maggio 2022 dalla casa editrice Tomarchio Editore con prefazione di Miriam Ballerini e presenta ben quattordici raccolte al suo interno. La copertina è opera di Aldo Colnago.

Gli autori e le autrici presenti nell’antologia: Marco Salvario con “Libertà”, Samuel Pezzolato con “Fiori di ibisco”, Roberta Sgrò con “Quattro su sei”, Marco Leonardi con “Camminando in diagonale”, Oswaldo Codiga con “Penso, rifletto, scrivo”, Beatrice Benet con “Amore senza età”, Gian Carlo Storti con “Alla scoperta del Socialismo reale”, Mary Castelli con “C’è un unico amore”, Marcello Sgarbi con “Oltre ogni limite”, Silverio Scognamiglio con “Tra sacro e profano”, Tiziana Topa con “La forza delle donne”, Enrico Pinotti con “Persone”, Danilo Perico con “Nel tempo di una vita”, Maria Marchese con “Fragilità poetiche”.

Nel corso del 2022 si organizzeranno delle presentazioni itineranti in varie città d’Italia con l’ausilio ed il supporto di Miriam Ballerini, degli autori e delle autrici presenti nell’antologia, della casa editrice e del portale web Oubliette Magazine.

La prima tappa del tour è stata il 28 maggio a Reggio Emilia, ospiti della manifestazione “Il maggio del libri 2022” con organizzazione dell’autore Silverio Scognamiglio. La seconda tappa è stata il 4 giugno ad Appiano Gentile (CO) presso Villa Rosnati con la presenza dell’Assessore alla cultura Fulvia Pagani ed organizzazione dell’autrice Miriam Ballerini. La terza tappa è stata sabato 25 giugno a Treia nelle Marche con patrocinio del Comune ed organizzazione dell’autrice Tiziana Topa. La quarta tappa a Piedimonte Etneo per l’appunto, la quinta sarà in Sardegna a Quartu Sant’Elena il 13 luglio con l’organizzazione della poetessa e scrittrice Alessandra Sorcinelli e la sesta il 16 luglio a Maslianico (CO) con l’organizzazione di Maria Marchese.

Le date sono aggiornate durante il corso del 2022.

Alcuni guardano alle antologie come a figli di un Dio minore. Ritengono che non abbiano lo stesso valore di uno scritto pubblicato da un unico autore. Personalmente le ritengo un’occasione di incontro, un modo per proporre diverse vedute e opinioni unite in un unico contenitore.” – dalla prefazione di Miriam Ballerini

“’Sta Sicilia nostra è tutta di scupriri,/ e di tanti cosi ni pò fari parrari…/ Sona sempri, unni a tocchi tocchi,/ pari ’na fimmina ca balla cù li tacchi./ È ’n triangulu di terra ammenzu ô mari,/ china di così beddi di vidiri e mangiari;// ’na terra ginirusa di artisti e musicanti,/ ca ’rricrianu ’i sensi cu sturnelli e canti;/ ’na terra ginirusa di burgati e di casteddi,/ di villi antichi e posti tantu beddi:/ di Selinunti a Bronti, c’è tantu di vaddari,/ ti veni ’u cori, di putilla tutta furriari// […]” – Pina Fazio

Ogni tantu t’arrusbigghi,/ di tristizza e malincunia ti pigghi./ Apri ’a to vucca e jietti focu,/ chistu è ’u to sfocu.// Ni voi riurdari/ ca di tia, nun n’âm’a scurdari./ Ti vesti di russu pi fariti taliari,/ comu ’na fimmina ca s’av’a maritari.// Macari tu t’incazzi, ma si ’a nostra Muntagna,/ ’u sicilianu di tia nun si spagna./ Quannu scinni ’u focu, pari ca stai ciancennu,/ pi li guai ca na ’stu sbinturatu munnu stamu/ facennu.” – Giovanna Ferrara


Sarà possibile nel corso della presentazione a Piedimonte Etneo acquistare delle copie dell’antologia. In alternativa è possibile acquistarne una copia in tutte le librerie online.

Ingresso libero secondo le norme sanitarie vigenti.

Info: https://oubliettemagazine.com/tag/come-fiori-sul-ciglio-della-strada/





24 giugno 2022

LA SIGNORA DI REYKJAVÍK di Ragnar Jonassón a cura di Miriam Ballerini

 


LA SIGNORA DI REYKJAVÍK – Qualsiasi cosa era meglio che tornare a casa... più vicina al doloroso vuoto dell'inattività forzata – di Ragnar Jonassón

© 2022 Marsilio editore

ISBN 978-88-297-1207-6

Pag. 239 € 17,00

Un giallo ambientato in Islanda, protagonista una poliziotta di sessantaquattro anni che, fra due settimane, andrà in pensione. E nemmeno per suo volere: il suo capo ha pensato bene di sostituirla subito e di “farla fuori”.                                                                                                     Vedova e con alle spalle il suicidio della figlia di soli tredici anni. Hulda ci viene presentata come una donna forte, forgiata dalle difficoltà, fra un capitolo e l'altro, suddivisi in giorni, si racconta della sua infanzia: di come sua madre sia stata costretta ad abbandonarla, per poi riprenderla quando aveva due anni.                                                                                                 Hulda viene profondamente colpita dall'imminente vuoto che le ha spalancato sotto i piedi la pensione. Pensa alla sua vita, a come sarà: vuota e solitaria. Anche se, timidamente, si sta avvicinando a un signore della sua età: forse la possibilità per ricostruirsi una nuova vita?

Il tempo era come una fisarmonica: un minuto era contratto, l'altro si dilatava senza fine”.

E in questo tempo che si dilata, giusto due settimane che il capo le consente, quasi un contentino, per sistemare qualche vecchio caso, Hulda non si lascia sfuggire l'occasione e s'impegna, corpo e anima, a riaprire un cold case: seguito da un suo collega per niente scrupoloso che lo ha archiviato come un suicidio, mentre è palese che si sia trattato di un omicidio.                                                                                                                                                         Il caso riguarda la giovane Elena, una donna russa, perseguitata nel suo paese, in attesa del permesso di soggiorno.

Elena era arrivata in cerca di protezione, e tutto quello che aveva ottenuto era stata una tomba nel mare”.

Il suo cadavere era stato trovato in una baia, in “Un angolo di paese desolato e spazzato dal vento, dove i campi di lava brulli non offrivano riparo dalle tempeste che dall'Atlantico avanzavano verso sud-ovest”.                                                                                                 Nonostante lo scrittore narri a tutti gli effetti della tomba della povera Elena, troviamo queste descrizioni che ci danno ampio respiro e ci fanno immaginare il luogo, quasi fossimo lì, a osservare il cadavere posto a faccia in giù nel mare.                                                                             Ci sono diversi eventi, portati avanti di pari passo quasi stessimo facendo una camminata: ogni passo porta con sé un pezzo della storia.                                                                             Troviamo così la storia di Hulda bambina, la vita che Hulda sta vivendo e la sua indagine. Un crimine che Hulda fa in modo di insabbiare, ma che le si ritorcerà contro. E poi, fra le pagine, eccone alcune scritte in corsivo: non ci dicono di chi stanno narrando, forse di Elena? Oppure di Katia, visto che Hulda scopre che le giovani scomparse sono addirittura due? Anche in questo caso, nonostante stia raccontando di un imminente omicidio, Jonassón tratteggia la scena in un modo esemplare: “Ripresero la marcia... accompagnati dal rumore dell'acqua sotto il manto di neve, il cui gorgoglio era una nota confortante e familiare nel silenzio disumano delle montagne”.                                                                                                                         Il finale è tragico e inaspettato, ma lascia il dubbio che non sia finito effettivamente come ci è stato mostrato, perché, tranquillamente, veniamo informati che questo libro è solo il primo di tre con protagonista Hulda. Non ci resta che aspettare e vedere quale sarà la sua prosecuzione.

© Miriam Ballerini


fonte: https://oubliettemagazine.com/2022/04/09/la-signora-di-reykjavik-di-ragnar-jonasson-il-doloroso-vuoto-dellinattivita-forzata/

22 giugno 2022

L’ARTE DI CLAUDIA CANAVESI a cura di Vincenzo Capodiferro


 L’ARTE DI CLAUDIA CANAVESI

Simboli cosmici iscritti in dense e massicce rappresentazioni figurative

L’artista Claudia Canavesi Nata a Busto Arsizio, in provincia di Varese nei mitici anni Settanta, risiede nel lieto borgo di Carnago. Diplomata nel 2000 nel corso di Scultura conseguito presso l’Accademia delle Belle Arti di Brera, Milano. Dal 2003 è docente di Discipline Plastiche ed Educazione Visiva presso Licei Artistici ed Istituti d'Arte nelle province di Milano, Como e Varese. Ha esibito diverse mostre dal 1997 al 2012, come si può evincere dai vari cataloghi d’arte. L’arte di Claudia Canavesi riprende simboli cosmici, segni ancestrali scolpiti nella Natura, sulle pietre, nei boschi, come sezioni auree ascose, latenti. La prima forma d’arte è l’imitazione della Natura che rimanda anche ad una stoica oikeiosis: vivere secondo natura, cioè nel proprio habitat. Ambiente, abito, abitudine rimandano tutti ad una radice comune: il posto in cui si vive. La Natura in sé è già un’opera d’arte: il fenomeno, l’apparire del tutto che influenzò lo stesso Kant è già estetico di per sé, suscita cioè un piacere alla sensibilità. L’opera d’arte deve suscitare necessariamente un sentimento. La Natura in sé ha in germe già i tre livelli artistici primordiali: l’architettura, la scultura e la pittura. Scrive di lei Luca Scarabelli: «La scultura come pratica sociale: Canavesi ci dice che i segni che ha inciso sulle forme sono in diverse lingue e che per la scrittura di questa parola ripetuta … hanno contribuito con la loro lingua madre molte persone, sue conoscenze e amici che si sono messi in comune, in comunicazione, intrecciando per questo lavoro lingue come lo svedese, l’arabo, il cinese, il giapponese, il greco … per predisporre una babele (da svelare) a partire dal proprio vissuto e aprire così le porte all’interpretazione». Subentra poi la fase archeo-industriale, fatta di ponti, di sospensioni, di tralicci. L’arte ha sempre una destinazione sociale e rivela l’espressività autentica dell’uomo inteso, come Cassirer, quale animal symbolicum. Il linguaggio dell’arte è universale, si avvicina a quel linguaggio non verbale che ci accomuna alle specie viventi: linguaggio naturale, necessario, universale. E l’uomo è ente interpretante nel senso più genuino e nietzschiano del termine. Claudia si fa interprete del disagio della civiltà, della nostalgia di un socialismo primordiale, quella marxiana prima fase, detta volgare, ma necessaria. Ogni forma di socialismo successiva è ritorno al socialismo originario. Dico “marxiano”, non marxista, proprio come affermava il prof. Oldrini: sono un marxiano, non marziano, non un marxista. Le sculture si dipanano da materiali semilavorati, grezzi, proprio ad indicare lo stato di continuità tra natura ed arte, quindi tra specie e storia. L’evoluzionismo si pone come sintesi: la Natura stessa ha una storia che procede come la storia dell’arte nei tre momenti universali hegeliani: architettura, scultura e pittura. Regno minerale, regno vegetale e regno animale. La scrittura dell’arte è universale, come sottolineava Scarabelli, è come quel linguaggio darwiniano che ci accomuna a tutte le specie viventi. L’homo animal symbolicum quindi va inteso nel senso più esteso del termine. Le prime forme di scrittura infatti sono sculture, basti pensare al cuneiforme o sono pittografiche. L'arte è fatta per disturbare, la scienza per rassicurare – affermava Dalì. In questo senso l’arte di Claudia Canavesi non passa indisturbata, non lascia indifferenti. Ci invita alla riflessione, alla critica, con le sue “geometrie introspettive” o “prospettive interrelate”, coi suoi slanci simmetrici verticali (dalla Terra alla Terra, dal Cielo al Cielo). E qui c’è tutto. Heidegger scriveva che la Terra è l’auto-chiudentesi per eccellenza, il mondo è orizzonte auto-aprentesi. Terra e cielo da sempre costituiscono l’innato dialettico contrasto tra finito ed infinito, divino ed umano. La nietzschiana “Fedeltà alla Terra” rimanda sempre a questo atto di “cielificazione”. C’è una Terra solo perché c’è il Cielo. Non possiamo uccidere la luce che preme, come le tenebre, i due istinti cosmici primordiali: Apollo e Dioniso. Siamo impastati di polvere e stelle.

Vincenzo Capodiferro

Antonio Tabucchi – Piazza d’Italia – a cura di Marcello Sgarbi


 
Antonio TabucchiPiazza d’Italia(Feltrinelli Editore)

Collana: Universale economica

Pagine: 150

Formato: Brossura

EAN: 9788807880506


Antonio Tabucchi - scrittore che ci ha purtroppo lasciati ormai da diversi anni- è noto soprattutto per “Sostiene Pereira”, da cui è stato tratto l’omonimo filmcon l’interpretazione magistrale di Marcello Mastroianni e le musiche di Ennio Morricone. “Piazza d’Italia”, invece, è il suo romanzo d’esordio ("favola popolare" o “micro-epica italiana”, come la definiva lo stesso autore).

Lungo un arco di tempo che va dall’Unità d’Italia fino all'avvento della Repubblica si snodano le vicende generazionali di una famiglia di proletari, anarchici prima e comunisti poi. Con una narrazione dallo stile unico, caratterizzato da un uso sapiente della metafora e da un linguaggio dove la prosa si fa spesso poesia, “Piazza d’Italia” riecheggia un grande classico come “Cent’anni di solitudine” e Borgo l’immaginario paesino toscano teatro della storia – sembra un po' Macondo di Gabriel Garcia Marquez.

© Marcello Sgarbi


18 giugno 2022

“NOVE STELLE PIU’ UNA” Racconti di Anna De Pietri a cura di Vincenzo Capodiferro


 
NOVE STELLE PIU’ UNA”

Racconti di Anna De Pietri che racchiudono in uno scrigno l’umano anelito all’infinito pro-gettantesi nella coltre di stelle


Anna De Pietri vive a Varese. Laureata in lettere Moderne si dimena tra giornalismo ed insegnamento. Ha pubblicato raccolte di poesie e di racconti: Nuvole di una parte di cielo (2010); Sussurro (2017). Ha ottenuto vari riconoscimenti. Cura anche sito-poesie, come poe-zonia e tuseilume. Da pochissimo, nel maggio 2022, ha pubblicato la raccolta di racconti Nove stelle più una con Macchione, editore di Varese. Come scrive nella nota introduttiva: «Il rapporto dell’individuo con le stelle è dunque inevitabile da sempre, e molto personale, infatti gli astri non solo esistono, ma rappresentano». La tradizione aneddotica riporta che Talete per guardare le stelle cadde in un pozzo e fu redarguito da Diotima: - Guarda dove metti i piedi! Questo è l’uomo. Un incantato. Già qui si potrebbe aprire un trattato. Mi viene in mente solo Kant: - Il cielo stellato sopra di me, la legge morale in me. Il mondo esteriore che si proietta nel cielo è parallelo a quello interiore. Il cielo interno ed il cielo esterno si riflettono come in uno specchio. È Iris, una delle protagoniste, che si fa allucinare dai corpi celesti. Il cielo è anche Dio, il Dyaus sanscrito, Dies latino, la luce, come in “La visita”, dove l’incontro tra due vecchie amiche, che si cantano le glorie, si conclude in un serio sbigottimento: «Io non mi capacitavo di come si potesse rinunciare a tutto per seguire Dio, ma soprattutto non riuscivo a comprendere quando fosse nato in lei questo desiderio del quale mi aveva tenuto all’oscuro». Pitagora diceva: - Segui Dio! E poi c’è questa figura molto bella del giaguaro stellato, contenuta nel racconto “Sulle tracce”. È uno delle tante figure astrali, che come una costellazione ci scruta dai cieli, impaurisce nell’oscurità, da cui l’uomo è necessariamente avvolto: «Qualcosa si muove nel buio, senza far rumore. Scivola sotto il velo dell’oscurità. Mi sento osservata. Studiata. Sono in trappola …». Sono quelle junghiane figure ancestrali che emergono dall’inconscio collettivo, di cui il cielo, colle sue “nove stelle più una” è cosparso, con ele sue innumerevoli “costellazioni familiari”. I racconti di Anna De Pietri hanno un risvolto psico-narrativo. Dietro i personaggi si muove l’anima al buio, nello smarrimento esistenziale. Quest’anima cerca di dare un senso alle cose: il non-senso, rappresentato dall’oscurità, dalla paura, dallo smarrimento, questo non-senso tipicamente esistenziale, trova una proiezione nella ricerca: il cielo è la mappa dell’anima, riflette in alto ciò che succede in basso: «Guardarsi dall’alto fa un po’ impressione. Non siamo abituati a vederci da quelle angolazioni che sfuggono ad ogni specchio». Lo specchio ci dà sicurezza, mentre ci muoviamo su di un terreno instabile, come la “società liquida” baumaniana. Le stelle da sempre sono state punto di riferimento, soprattutto per l’orientamento, per la navigazione. Hanno rappresentato un appiglio, un punto fermo, d’altronde anche questo inesistente, surreale. Archimede diceva: - Datemi un punto fermo e solleverò il mondo! Ma un punto fermo non c’è. L’anima è alla ricerca. Questi racconti ci ispirano appunto questo stimolo alla ricerca: - Una vita senza ricerca non è degna di essere vissuta. Socraticamente. 9+1… ci fa pensare ad una somma infinita, continuativa. Le stelle sono innumerevoli. La ricerca è infinita. È la santità kantiana del postulato sull’immortalità che riprende quel socratismo. È l’affacciarsi all’infinito: che il cielo e il mare rappresentano per eccellenza (il dolce naufragio leopardiano, il “viandante sul mare di nebbia”) rispetto alla terra, il finito, lo stabile. Il buio indica poi il sublime mistero di quell’Assoluto, velato nel cielo. Le stelle sono tracce. L’uomo si pone nella sua romantica estasi, fatta di sehnsucht-ironie-titanismus.


Vincenzo Capodiferro

Silloge poetica “Pensieri”: la poesia di Teresa Stringa come rifugio sicuro a cura di Carolina Colombi

 


Silloge poetica “Pensieri”: la poesia di Teresa Stringa come rifugio sicuro


Tra le gambe della folla/ tanto orrore…/ E nella corale impotenza/ diventa vago il senso/ di appartenenza…”

Pensieri, volume della poetessa Teresa Stringa, pubblicato da Tomarchio editore nel 2021, è custode di un mondo poetico di alto livello emozionale. Un mondo dove l’autrice, grazie alle sue liriche lievi, seppur intense, si mette a nudo sviscerando tematiche che sfiorano l’uomo e la sua natura, a volte contradditoria.

Il tuo amore protettivo era sempre con me. Il tuo attento silenzio ha guidato il mio cammino…”

Teresa Stringa, poetessa, è figlia d’arte. La madre, infatti, è stata un’amante dell’arte poetica; mentre il padre, Ugo Stringa, è stato un valente pittore. Entrambi hanno trasferito alla figlia l’idea del contenuto valoriale proprio dell’arte, a completezza dell’esistenza; non solo perché rifugio sicuro e motivo di sollievo di fronte alle difficoltà della vita, ma quale mezzo espressivo della propria interiorità.

Regna lo sconcerto/ per quella ressa che in un istante/ ha ceduto il buonumore/ al cieco terrore…”

Sviluppata in tre sezioni, la raccolta poetica di Teresa Stringa si sofferma su questioni esistenziali importanti, espressione del suo sentire. Che dà vita a versi dettati da un universo interiore volto a cogliere sfumature dei diversi stati d’animo.

La prima sezione titolata Pensieri, la più corposa della raccolta, in un’alternanza di riflessioni e virtuosismi, anticipa il suo modo di intendere gli eventi esistenziali: frutto di una sensibilità non comune.

Una lirica toccante di questa sezione, estremamente toccante, è Meteora. Da cui si evince il presupposto che l’umanità è spesso in affanno a causa anche della solitudine; umanità descritta dalla poetessa come uno “sciame fluente con un puntino luminoso”, che lascia un’impronta nell’immensità della Storia.

In Pensieri, ancora, sono presenti alcune considerazioni sulla sofferenza fisica, sulla morte e su eventi dolorosi che entrano inevitabilmente nella quotidianità di ciascuno. Nonostante siano per l’individuo di difficile accettazione.

Ed è proprio la malattia un argomento su cui si sofferma la Stringa, che si annida fra i “turbinosi pensieri”; da lei raccontata come un momento sì dolente, intriso di afflizione per una circostanza crudele quanto inaspettata, ma anche quale momento di riflessione. Che, seppur l’onnipresente ombra della sofferenza inviti alla resa, è un grido d’aiuto, al contempo, rivolto a una figura suprema che infonde speranza.

Inevitabilmente la sofferenza fisica si lega strettamente al dolore dell’autrice per la scomparsa della propria madre, la cui memoria è viva anche attraverso la preghiera che le ha dedicato.

A legare la Stringa alla madre è stato un amore filiale manifesto, reso vivo da un ricordo incisivo, anche se gravido di un vuoto difficile da colmare.

Veglia questo amore che la notte muore. Vivi il primo albore col cuore gonfio di stupore…”

La Provvidenza è altro elemento importante attraverso cui si ammette la presenza di un Dio che lenisce le ferite e che, affidandosi a un domani dà speranza. Speranza raccontata con toccanti parole metaforiche.

Il chiarore dell’alba che si apre con un tiepido sole…”

La poetessa riflette inoltre sull’inesorabile scorrere del tempo, un tempo legato a un passato che si apre a ricordi della giovinezza. Di cui, il tempo dell’innamoramento ritrovato, attraverso l’enfasi del ricordo, è fra questi. Come pure la memoria di antichi sapori e odori, vissuti con nostalgia grazie alla piacevolezza di un’estate difficile da dimenticare. Testimonianze, dove il profumo del passato, grazie ad una versatilità linguistica di indiscutibile valore, sembra farsi presente.

La natura è altro tema presente nella raccolta; una natura benigna pronta a dare conforto a coloro che si rifugiano negli elementi naturali.

Trasposta in versi, è l’allegoria di una quercia secolare a rappresentare il luogo dove trovare conforto, con un accenno alla recente emergenza pandemica.

La scrittura, e nello specifico la poesia, sono per la Stringa momenti essenziali dell’esistenza. Considerate un’ancora di salvataggio a cui aggrapparsi per affrontare le avversità della vita.

Da considerarsi anche come momento per alienarsi da uno stato d’animo pervaso dalla mestizia, o quale mezzo di estraniamento che porta l’individuo in un altrove.

Esplode nella mia primavera/ aria di mughetto/ in acerbe distese tinte di rosso, di blu…”

In Subbugli, seconda sezione della raccolta, più esigua della prima, la Stringa contempla riflessioni dettate da concetti di ordine morale. Durante la quale dà ampio spazio alla propria creatività soffermandosi sulla caducità dell’esistenza e l’inutilità di “una opulenta ingordigia”, come lei definisce la brama di potere e l’esagerato desiderio di possedere beni materiali.

C’è chi, in malafede/ carpisce la generosità/ dei buoni…”

In Coccole, terza e ultima sezione, con parole ordinate e calibrate la Stringa manifesta il proprio talento attraverso liriche dedicate all’universo infantile.

Anche quando la vita/ ti par bella,/ sempre folta è la strada/ d’ostacoli fermi,/ pronti a intralciare/ il tuo preciso passo…”

La raccolta poetica di Teresa Stringa ha una caratteristica preponderante su altre: tocca nel profondo dipanandosi in un insieme di speculazioni che sfiorano l’esistenza umana.

Da interpretarsi anche, con il vivace e imprescindibile desiderio da percepirsi attraverso le parole, di dare voce ad un universo emozionale di spessore. Che alloggia nel cuore di un’artista volta alla ricerca non solo del proprio sé, ma che vuole farsi strumento di espressività umana.

Volgi lo sguardo/ ai tuoi pensieri più lieti,/ al viso illuminato di allora/ con labbra fresche/ e una bocca di riso…”

Written by Carolina Colombi

Fonte

https://oubliettemagazine.com/2022/03/30/pensieri-di-teresa-stringa-poesia-come-rifugio-sicuro-e-motivo-di-sollievo/

17 giugno 2022

RIFORMA FISCALE, UN’OPERA INCOMPIUTA di Antonio Laurenzano

 


RIFORMA FISCALE, UN’OPERA INCOMPIUTA

di Antonio Laurenzano

Dopo mesi di scontri e di rinvii, la irrequieta maggioranza di governo ha trovato un faticoso accordo per far ripartire l’iter legislativo del fisco del futuro. Un compromesso al ribasso sui 10 articoli del disegno di legge delega per la riforma fiscale che, nell’intento del premier Draghi, “punta ad abbassare la pressione fiscale, razionalizzare e semplificare il sistema tributario preservando la progressività impositiva e riducendo i fenomeni di evasione ed elusione fiscale”. Il 20 giugno il disegno di legge approderà in aula, alla Camera, successivamente in Senato. Dopo l’approvazione del Parlamento, la legge delega tornerà al governo che avrà 18 mesi di tempo per emanare i decreti di attuazione. A rendere operativa la riforma potrà essere l’attuale esecutivo di Palazzo Chigi o il governo che uscirà dalle elezioni politiche in primavera, con tutte le variabili e le incertezze del caso.

I principi dettati nella delega riguardano sia la riforma dell’Irpef, per alleggerire il prelievo sui redditi medio-bassi, sia quelle delle imposte sulle imprese, Ires e Irap, con il graduale superamento di quest’ultima. L’intesa tra partiti e governo archivia le addizionali comunali, sostituite da una sovraimposta Non è stato un cammino facile. Il fisco è da sempre terreno politicamente esplosivo e divisivo, un terreno di proclami, slogan e bandierine. Un terreno per shoppimg elettorale. Particolarmente forti i contrasti registrati all’interno della maggioranza sul catasto, con il governo più volte sull’orlo della crisi. L’abbandono dell’originaria idea di attribuire a ogni immobile un “valore patrimoniale”, allineato ai valori di mercato, ha sgomberato dai nuvoloni neri l’orizzonte della riforma fiscale.

Il “nuovo” catasto che scatterà nel 2026, al di là dei discorsi di facciata di alcuni partiti, non presenta quindi grandi novità ai fini di un riequilibrio della tassazione sugli immobili, in particolare per una pressione fiscale sulle abitazioni più equa. Il contestato “valore patrimoniale” ha lasciato il posto a una “rendita catastale ulteriore, suscettibile di periodico aggiornamento” da affiancare a quella già presente nella visura catastale. Questo “valore parallelo”, salvo sorprese legislative del futuro, non influenzerà il calcolo dell’Imu e delle altre imposte immobiliari. Non si passa dunque da un regime catastale a uno patrimoniale basato su valori reali di mercato. Resta così l’incongruenza tra le rendite e i valori commerciali, e quindi l’iniquità della tassazione in presenza di immobili accatastati in passato in zone centrali delle grandi città, con rendite da case popolari, che pagano meno rispetto a immobili di recente costruzione in periferia con rendite aggiornate. Senza ignorare gli edifici residenziali degli Anni 40 trasformati attraverso migliorie in case di lusso e ville con piscina.

Ancora più deludenti i risultati sull’obiettivo di “una progressiva revisione del trattamento fiscale dei redditi personali derivanti dall’impiego del capitale”, sia mobile che immobile, verso un sistema compiutamente duale, mettendo ordine nel ginepraio delle aliquote attuali, che vanno dal 10% e dal 21% della cedolare secca sugli affitti al 26% sui capital gain, passando per il 12,5% su titoli di Stato e risparmio postale. Restano invariati quindi i regimi alternativi all’Irpef: nessuna “tassa piatta” unica, sopravvive la parcellizzazione delle imposte sostitutive che ripropone non poche disparità di trattamento di cui è davvero difficile predicare la compatibilità con i principi di uguaglianza e capacità contributiva di cui agli articoli 3 e 53 della Costituzione.

Con lo svuotamento della riforma del catasto e il depotenziamento del sistema duale, sono non pochi i dubbi sulla reale idoneità di questa legge delega, privata dai partiti di buona parte della sua carica innovativa, a riportare ordine e a raggiungere quindi risultati positivi almeno nel medio periodo. Il rischio è che il sistema fiscale, nella sostanza, resti così com’è, lasciando sul tappeto il problema di sempre: la complessità del nostro ordinamento tributario con un labirinto di regole non sempre di facile interpretazione che rende conflittuale il rapporto fra contribuenti e fisco. Nel corso di quasi cinquant’anni dalla sua introduzione, la “grande riforma” degli Anni 70 è stata oggetto di numerosi interventi modificativi che, in assenza di una riforma organica, ne hanno causato una generale frammentazione normativa. Non funziona un sistema che ha bisogno di una circolare dell’Agenzia di oltre 400 pagine per le istruzioni sulle dichiarazioni dei redditi 2022.

Particolarmente significativo a riguardo l’intervento a Trento, in occasione del Festival dell’Economia 2022, del Direttore dell’Agenzia delle Entrate Ruffini: “Una seria riforma fiscale può favorire la semplificazione del sistema, renderlo più equo ed efficiente, intervenendo sul quadro normativo: circa 800 norme, con il Tuir che dal 1986 ha visto oltre 1300 modifiche, che generano elusione e rendono difficile la riscossione nei confronti di 19 milioni di contribuenti con debiti verso l’Erario per circa 1100 miliardi di euro”. Ultimo avviso ai naviganti.


15 giugno 2022

Rita Rimoldi - Mostra di ritratti realistici a cura di Marco Salvario

 Rita Rimoldi - Mostra di ritratti realistici

a cura di Marco Salvario

Villa Rosnati

Via Baradello, 2 – Appiano Gentile (Como)

4 giugno 2022

Sabato 4 giugno, la bella villa Raimondi de' Rosnati, costruita tra fine XVIII e inizio XIX secolo, ha ospitato due interessanti eventi culturali: la presentazione dell'antologia “Come fiori sul ciglio della strada”, curata dal nostro capo redattore Miriam Ballerini, e la “Mostra di ritratti realistici” dell'artista Rita Rimoldi.

Sull'antologia, che raccoglie i contributi di quattordici bravi scrittori contemporanei, non voglio aggiungere nulla per non incorrere in un conflitto di interessi e mi soffermerò perciò solo sulle opere della mostra.



Ai visitatori, i ritratti a matita esposti hanno fatto gustare in un'elegante passerella decine e decine di volti di attori famosi, top model, cantanti e sportivi; non ci sono i politici e non li si rimpiange, anche se non mancano i convincenti omaggi ai magistrati Falcone e Borsellino e al rivoluzionario “Che” Guevara, mito di anni che si stanno dimenticando.

A volte gli stessi personaggi vengono riproposti in ritratti che li hanno immortalati in momenti diversi della loro carriera, come ad esempio è il caso di Luciano Ligabue e di Jim Morrison.



Il ritratto realistico comporta, lo dice il nome stesso, una rappresentazione fedele del soggetto; spesso lo si realizza ispirandosi a una fotografia, tuttavia non è affatto un semplice lavoro di fotocopia, una fredda trasposizione, perché ogni tratto è e resta scelta e interpretazione sensibile del disegnatore. Il risultato è unico, “vivo”.

Rita Rimoldi è molto brava nel raggiungere quella che è la sostanza più preziosa e nobile del ritratto a matita, cogliendo l'essenza delle persone, catturando la serietà o l'ironia del loro sguardo, la dolcezza, la rabbia o l'amarezza sulle labbra, la fragilità o la forza nei lineamenti. Raggiunta l'anima, la rappresentazione pittorica non è conclusa, ma si approfondisce nella cura raffinata e attenta dei dettagli, con risultati che spesso arrivano a richiamare una precisione fotografica eppure al tempo stesso sono qualcosa di più e di diverso.

Un ritratto riuscito è più vero dell'immagine che riproduce.



Per chi come me ha vissuto (molti) più anni nel millennio passato che in quello attuale, percorrere la mostra è stata uno scivolare indietro nel tempo, un rituffarsi nel passato. Quanti volti, quanti nomi e quanti brividi ha saputo regalarmi Rita Rimoldi con i suoi disegni:

John Lennon con Yoko Ono, Francesco Guccini, Claudia Cardinale, Bob Marley, Franco Battiato, John Frusciante, Mina, Sophia Loren, Bruce Lee, Brigitte Bardot, Doris Day, Ornella Muti, Lucio Battisti, Monica Vitti, Lucio Dalla, Adriano Celentano, Luciano Pavarotti e quanti altri personaggi che sono stati i compagni e i maestri, della mia vita.

La bravura dell'artista fa sì che, pur se la galleria è molto affollata, non si provi nessun senso di ripetizione, di sazietà, nessuna assuefazione. Ogni lavoro ci racconta la sua storia, palpita di tensione e ci porta un messaggio.

Nelle opere non si percepisce mai la mancanza del colore, perché il grigio nelle sue infinite sfumature ha una poesia che arriva facilmente al cuore; ed è per questo che sogniamo in bianco e nero.

14 giugno 2022

LA MADRE DEL TUTTO a cura di Vincenzo Capodiferro

 


LA MADRE DEL TUTTO

Un’opera apologetica della Natura, comune progenitrice dello humanum genus.


È uscita per Scriptores di Varese “La Madre del Tutto”, ultima opera di Vincenzo Capodiferro. Il titolo riprende l’eponimo omerico, tanto ad indicare un genitore comune sui generis, anzi un super-genere. L’opera naturalmente riprende l’antica Filosofia della Natura, Periphyseos, o Periphyseon, Perifisica, titolo comune di tutte le trattazioni della proto-filosofia. Nella prima parte si riprende la storia della Filosofia della Natura dal Seicento avanti Cristo al Seicento dopo Cristo. Nella seconda parte si riporta un saggio di anonimo scienziato spiritualista francese degli inizi del Novecento, in difesa del creazionismo. La Natura e le sue cose (de rerum) deve essere vista non come una mucca senz’anima, da mungere fino all’esaurimento totale di tutte le sue risorse, prima di essere del tutto macellata, ma come una creatura animata e privilegiata, la prima creatura Creatoris del Creatore. Ragion per cui c’è stato un abbaglio: la Natura non è stata studiata iuxta propria principia, ma iuxta impropria principia. Tanto per riprendere una tesi telesiana, ma Bacone ha sballato: non possiamo studiare il tutto ex analogia universi per sottometterlo ai nostri capricci. È un errore fatale. Tutto si ritorce contro: il cataclisma climatico è solo l’inizio della ribellione di questa santissima madre ai suoi figIi, oramai impazziti. In tal senso riprendendo il neoplatonismo d’uno Scoto Eriugena essa è la creata creans, figlia del Creatore, ma nello stesso tempo Madre del Tutto, Colei che perpetra l’opera creatrice divina, la madre di tutte le specie viventi. Dal Seicento in poi l’uomo si è allontanato dalla Natura, l’ha vista come estranea, come matrigna, esempi ne sono strascichi che si propagano da Galilei a Leopardi. Salvo la breve parentesi romantica, col positivismo ottocentesco e lo scientismo novecentesco, la Natura torna ad essere vista come una macchina senz’anima, un automa impersonale. L’uomo deve riappropriarsi del giusto rapporto con questa madre, della vera oicheiosis degli Stoici, intesa come vivere a casa, stare in comunione con la famiglia di tutti gli esseri. Primo passo è tornare a contemplare, come sosteneva Husserl: - Tornare alle cose stesse. Cioè tornare alla Natura stessa! Non usarla, coma invece sosteneva Heidegger e tanti altri appresso. Contemplare significa amare. Solo così potrà superarsi questo fatidico complesso edipico scientifico dell’umanità: in questo solo caso il complesso edipico non va mai superato. Amare sempre la Madre del tutto. Mai staccarsi da essa. L’attaccamento deve essere totale a questa Madre assoluta, nel rispetto quindi del quarto imperativo categorico (dopo i primi tre di Kant) ecologico di Jonas. Il Prometeo incatenato punito dalla Deità per aver concesso all’umanità il fuoco, dunque l’industria, il progresso, la scienza, simboleggia appunto questa tendenza distruttiva umana nei confronti della Natura, che deve essere ridimensionata. Tutte le filosofie prometeiche ottocentesche, figlie della aberrante scienza seicentista, di Galilei, di Cartesio soprattutto, che divide Spirito e Materia e di Newton e compagnia bella: cioè socialismo, positivismo ed in parte l’idealismo (quello hegeliano che riduce la Natura ad alienazione dello Spirito), hanno scatenano una guerra contro la grande Madre, obbedendo a Thanatos, lo Spirito della Morte, che ha infettato la Madre già ai principi dell’universo, con la colpa cosmica dell’allontanamento dall’Assoluto delle creature intelligenti. La Morte ha fatto il suo ingresso nel mondo, ma Dio ha provveduto con la potenza generatrice, il logos spermatico degli Stoici donato alla Madre, sua Figlia, Madre di tutte le cose e Sposa del Creatore, riprendendo appunto l’antico inno mariano: O gran Figlia, Madre e Sposa, de tuto stesso del tuo stesso Creatore, deh difendi in tutte l’ore chi confida e spera in Te!

A cura di Vincenzo Capodiferro

I sette peccali capitali sotto l'obiettivo di Sauar Articolo di Marco Salvario

I sette peccali capitali sotto l'obiettivo di Sauar Articolo di Marco Salvario Formatosi all'Accademia delle Belle Arti di Cune...