27 giugno 2017

Recensione "Come impronte nella neve" di Miriam Ballerini a cura di Marco Salvario

COME IMPRONTE NELLA NEVE di Miriam Ballerini
ISBN: 978-88-9375-233-6
Prezzo:  € 19,00
Anno: 2017
Pagine: 290



Mirian Ballerini ha la grande dote, coltivata e fatta crescere libro dopo libro, dal suo primo (2002) “Il giardino dei maggiolini” all’ultimo (2017) “Come impronte nella neve”, di riuscire ad essere una scrittrice impegnata, attenta ai problemi sociali, e al tempo stesso una narratrice che coinvolge e appassiona.
La lettura di “Come impronte nella neve” è un’emozione continua e senza pause: poche volte ho avuto la fortuna di imbattermi in un volume così abilmente pensato e costruito, dove ogni pagina e ogni episodio sono momenti importanti, arricchiti di conoscenze e sensazioni vere e profonde. Non dimentichiamo che l’autrice, prima di scrivere il romanzo “Fiori di serra”,  ambientato nel carcere di Como, ha chiesto e ottenuto di provare l’esperienza di essere rinchiusa in una cella; questo bisogno di autenticità, di provare per comunicare verità, fa sì che quando l’autrice esprime pensieri, turbamenti, comunichi qualcosa che lei ha sperimentato e conosciuto, prima di metterlo su carta. Quando parla di prendere tra le mani un serpente e accarezzarlo, siate sicuri che  esprime sensazioni che lei ha provato di persona.
Leggendo, saranno le nostre paure,  il nostro cuore più o meno generoso o indurito, la nostra capacità o incapacità di aprirci al prossimo, a farci condividere o meno la vita di Zeljka, la protagonista del libro. Inevitabilmente incontreremo personaggi che ci saranno simpatici o sgradevoli, però, nessuno di loro uscirà completamente vincitore o sconfitto. Nessuno viene condannato, quali siano le sue colpe, meschinità, i suoi limiti, perché “Come impronte nella neve”, racconta la vita di persone che sono vere a 360 gradi, non epopee di eroi, non delitti e castighi. Una storia che potrebbe in certi passi diventare tragedia, pagina di cronaca, ma che resta vita vera con i suoi momenti belli e i suoi dolori, quando invece che aiutarci o sopportarci, spesso ci facciamo del male l’un l’altro.
Se ci sono lettori che, come me, sovente si fanno prendere dalla frenesia di arrivare alla fine di un libro e saltano pagine, più per potere passare a una nuova lettura che per la curiosità di sapere come va a finire, sappiate che questo non succederà con il libro dei Miriam Ballerini, perché ogni momento ha tensione, importanza, una profonda dignità.

(c) Marco Salvario

23 giugno 2017

ADDIO EQUITALIA! IL 1° LUGLIO SI VOLTA PAGINA di Antonio Laurenzano


ADDIO EQUITALIA! IL 1° LUGLIO SI VOLTA PAGINA
di Antonio Laurenzano

Conto alla rovescia per l’addio di Equitalia: il 1° luglio si volta pagina. Dopo circa dieci anni, finisce l’era della riscossione coattiva dei tributi affidata a un soggetto privato (sottoposto a controllo pubblico) che aveva sostituito nell’ottobre 2006 il tanto chiacchierato e controverso sistema dei concessionari, in alcune regioni del Paese al servizio dei potentati locali. Nasce la ”super Agenzia” delle Entrate-Riscossione che gestirà tutta la complessa filiera del Fisco: dai servizi al contribuente all’accertamento, fino alla riscossione. Una poderosa macchina amministrativa con oltre 47 mila dipendenti in campo, compresi quelli finora in forza a Equitalia.
Tutti i rapporti giuridici pendenti, compreso il contenzioso tributario in corso, si trasferiranno in capo al nuovo ente pubblico economico che opererà in continuità d’azione con il passato sia nelle funzioni che nelle procedure, con poteri accresciuti rispetto a Equitalia. Con gli stessi strumenti di indagine patrimoniale oggi accordati all’Agenzia delle Entrate e all’INPS, il nuovo soggetto avrà la possibilità di accedere direttamente sui conti correnti bancari e postali dei contribuenti al fine della riscossione delle somme inevase. In particolare, se nonostante la notifica di un avviso di accertamento esecutivo o di una cartella di pagamento il contribuente decidesse di non versare le somme intimate, la “super Agenzia” potrà acquisire facilmente dalle banche dati, in tempi rapidi, ogni informazione necessaria per procedere in via cautelare o esecutiva nei suoi confronti. Avrà quindi il potere di procedere al pignoramento di stipendi, salari e altre indennità, nonché al pignoramento dei conti correnti in modo diretto, recuperando ogni credito erariale senza dover richiedere l’apposita autorizzazione al giudice, oggi prescritta.
Il “grande fratello” bussa alla porta. L’Agenzia delle Entrate-Riscossione si preannuncia più aggressiva di Equitalia, croce e delizia di tanti contribuenti, con clamorosi e drammatici fatti di cronaca registrati negli ultimi tempi. Non ci sarà la promessa riduzione, né tantomeno l’eliminazione della riscossione coattiva. Anzi aumenta l’incubo per ogni contribuente. L’ente comunque dovrà operare nel rispetto della trasparenza e della pubblicità ma soprattutto, come assicura la legge istitutiva n. 225/2016, dovrà non derogare dai principi di legalità e imparzialità. Basterà tutto questo per vincere le riserve già manifestate da più parti circa l’accentramento di poteri in un unico soggetto? Grazie agli accresciuti poteri del nuovo ente collegati all’utilizzo delle banche dati, l’obiettivo dichiarato del Fisco è quello di arrivare a una inversione di tendenza nei risultati finora deludenti delle procedure esecutive, con un tasso di recupero del 18% registrato nel 2015. Per l’anno in corso si vorrebbe arrivare all’85%! Autunno caldo … in arrivo! E’ pur vero che, come in ogni procedura di liquidazione che si rispetti, con la “chiusura” di Equitalia, un regalo ai contribuenti è stato fatto. Anche l’evasione fiscale è stata … scontata con la “rottamazione” delle cartelle di pagamento. “Sconti pazzi a tutti!”: cancellati sanzioni e interessi di mora. Il Ministro Padoan ringrazia. Resta comunque senza risposta una domanda: perché mantenere ancora in vita l’odioso medievale aggio della riscossione in un servizio non più gestito da una società privata? Retaggi del passato, duri a scomparire!
Ma, al di là di ogni pur legittima riserva, c’è da augurarsi che la nuova Agenzia Entrate-Riscossione rispetti il regime di “cooperative compliance” operativo fra Fisco e contribuente nel corso dell’ultimo triennio che ha dato buoni risultati, con una diminuzione significativa del contenzioso. Un Fisco collaborativo e ragionevole che comprenda le difficoltà dei contribuenti, abbandonando ogni carattere vessatorio. Un Fisco che operi all’interno di “un ordinamento tributario conoscibile nelle forme e comprensibile nei contenuti”. Da anni il contribuente italiano è chiamato a fare i conti con un proliferare della normativa fiscale che è causa non solo di uno scadimento qualitativo della legislazione tributaria ma anche della potenziale ignoranza della legge, con grave pregiudizio della certezza del diritto, divenuta una chimera! Alla nuova Agenzia delle Entrate-Riscossione il compito di rendere credibile il rapporto Fisco-contribuente. Una sfida o forse l’ultima chance per azzerare reciproche diffidenze nel segno di una (difficile) “pax fiscale”.


"Bella ciao" di Ninetta Pierangeli

Bella ciao

Roma, anni Settanta. La città è diventata il palcoscenico preferito delle lotte operaie. Gli slogan vengono strillati durante i comizi e per le vie, fino a riecheggiare dentro le case. Gli scontri tra studenti e polizia sono sempre più frequenti e fanno vittime da entrambe le parti. Può in uno scenario così violento riuscire a sopravvivere l’amore? I protagonisti di questo romanzo sono Alberto, tecnico della Selenia e secondogenito di una famiglia povera, e Monica, universitaria e figlia unica di una coppia borghese. Nonostante le origini diverse, durante l’occupazione di un appartamento da destinare ai baraccati, tra loro scatta un sentimento che pare destinato a bruciare per sempre. Ma le strade che decidono di percorrere sembrano non riuscire più a incrociarsi quando uno dei due si unisce alle Brigate Rosse. Sulle note di Bella ciao, la loro storia viene raccontata attraverso un alternarsi tra le voci di Alberto e Monica, generando due punti di vista differenti sugli avvenimenti che sconvolsero quegli anni.
L’autrice:
Ninetta Pierangeli è un’insegnante di Lettere e una scrittrice. Ha pubblicato diverse opere per bambini e ragazzi: Il tempo degli animali felici (Nicola Calabria Editore, 2006), Le avventure di Agostino il millepiedi (Edigiò, 2007), Il bar del porcospino (Edigiò, 2009), I colori del Natale (Nicodemo edizioni, 2009), Fiabe al personal computer(Edilet, 2011), Le pantere colorate (Edigiò, 2011), Lo zainetto (Bastogi, 2012), Il piccolo Gaio. Storia fantastica di Giulio Cesare (Edigiò, 2013), La laguna incantata (Edigiò, 2017). Negli ultimi anni sono usciti anche due romanzi per un pubblico “grande”: Asperger (Lepisma, 2015), L’immagine misteriosa (Augh!, 2016).
Titolo: Bella ciao
Autore: Ninetta Pierangeli
Collana: Soffi
ISBN: 978-88-3281-034-9
Pagine: 136

Prezzo di copertina: Euro 9,90

LA LAGUNA INCANTATA di Ninetta Pierangeli

LA LAGUNA INCANTATA  di Ninetta Pierangeli
  • Genere letteratura per bambini
  • Listino:€ 11,00
  • Editore:Edigiò
  • Data uscita:2017
  • Pagine:64
  • EAN:9788862055970

Questo delizioso libro per bambini racconta delle storie che avvengono in una laguna marina e il cui protagonista principale è un polipetto fifone, chiamato Tremolino. Accanto a lui ci sono altri personaggi: i cavallucci marini, l’occhiata, i paguri… e le onde che trasmettono la radio del mare. Con l’aiuto di una cannuccia magica e della magia dei colori, Tremolino affronta diversi pericoli e aiuta i suoi amici, finché diventerà un polipo coraggioso e persino il sindaco della laguna. Sotto il suo governo, perfino gli umani saranno in pace con tutti gli animali.

Il testo è gradevole e lineare e in più ci sono le illustrazioni da colorare, usando la magia dei colori che proprio Tremolino insegna ai bambini ad usare.

13 giugno 2017

"Non solo io - La mia storia " di Umberto Tozzi recensito da Miriam Ballerini

 NON SOLO IO – LA MIA STORIA                      Umberto Tozzi
© 2009 Aliberti editore  Pag. 109 € 15,50  ISBN 978-88-7424-475-1

Umberto Tozzi lo si conosce come musicista e cantante, in questo libro lo troviamo come biografo di se stesso.
Leggerlo è stato una sorpresa, perché sono venuta a conoscenza di tanti passaggi della sua vita che non conoscevo.
Di solito non m’importa molto cosa accade nella vita privata dei miei beniamini, e lui, di certo, lo è. Credo che un artista ci piace, ci accompagna con la sua arte, poi, ciò che accade nella sua quotidianità non dovrebbe riguardarci più di tanto.
Seguo Umberto da quando ero poco meno che adolescente, per me è stato un amico che c’è sempre stato e, ancora adesso, mi accompagna.
Ho voluto prendere il suo libro per capire cosa pensa delle case discografiche, di qual è stato effettivamente il suo percorso, per comprendere un poco di più come mai, alcuni suoi fan, gli rimproverano di non essere troppo caloroso nei loro confronti.
Io l’ho sempre visto come una persona riservata e timida e, adesso, posso dire di conoscerlo un poco di più.
Nel libro parla della sua infanzia, della gioventù; delle tante lacrime versate. Dei successi e degli insuccessi, non nascondendo nulla, nemmeno un carattere piuttosto permaloso.
Ci mostra il quadro dentro il quale s’è mosso in tutti questi anni, dipingendo a grandi linee il suo vissuto.
Parla poco della sua vita privata, a mio modesto parere facendo bene, perché la famiglia, gli affetti, sono esclusivamente nostri e vanno protetti.
Mentre ci espone un lungo sfogo che, probabilmente, è servito a lui per primo, proprio per scaricarlo, per lasciarlo andare. Per guardarlo da un punto di vista che sia un poco più distante del solo suo sentire.
Tante le persone incontrate: i musicisti, i grandi della musica, i grandi della discografia.
Qualche curiosità e qualche aneddoto.
Per chi ama questo artista, un modo per saperne un poco di più.
Bellissima questa frase: “La mia creatività è nata non solo per disturbare i miei pensieri, ma soprattutto i vostri, perché una canzone può far sognare, ma spesso prima ti sorprende, poi ti disturba, quindi ti fa pensare”.

© Miriam Ballerini

ECONOMIA ITALIANA AL BIVIO di Antonio Laurenzano


ECONOMIA ITALIANA AL BIVIO
di Antonio Laurenzano

Dal Convegno dei giovani imprenditori di Confindustria svoltosi lo scorso fine settimana a Rapallo giungono notizie positive per la nostra economia in vista della Legge di stabilità che, precarietà politica permettendo, dovrà essere presentata dal Governo al Parlamento entro il 15 ottobre.
“Non sarà una manovra di lacrime e sangue e potrebbe arrivare anche un taglio del cuneo fiscale per i giovani.”Lo ha assicurato il vice ministro dell’economia, Enrico Morando, garantendo che si riuscirà a scongiurare anche l’aumento dell’IVA previsto dalle clausole di salvaguardia. Quale la ragione di tanto ottimismo? La risposta è nell’apertura di credito in arrivo dall’Unione europea: uno sconto di circa 9 miliardi sul deficit strutturale, ossia una riduzione da 0,8 a 0,3 punti di deficit della manovra di bilancio 2018, come richiesto dal Ministro Padoan. Il nulla osta è atteso per il prossimo giovedi in occasione della riunione a Lussemburgo di Eurogruppo ed Ecofin. Ad anticipare l’attenzione “benevola” della Ue nei confronti dei conti pubblici italiani, in perenne apnea, è intervenuto da Bruxelles il Commissario agli Affari economici, il francese Pierre Moscovici: ”la nostra valutazione sarà guidata dalla volontà di non fare nulla che possa costituire un ostacolo alla crescita del Paese”. Sarebbero quindi sufficienti, secondo le stime del Ministero dell’Economia, sei miliardi di intervento, e non più quindici, per sterilizzare l’aumento dell’IVA con le temute ricadute negative sui consumi e sulla produzione.
Scelta tecnica? Non soltanto, è anche politica. E’ una scelta che serve a superare il diffuso euroscetticismo nel Belpaese alla vigilia elettorale già intrisa di veleni, ma serve soprattutto a dare una mano al neo presidente francese Macron che per il 2018 ha bisogno di un allentamento temporaneo delle richieste di contenimento di deficit (superiore al 3%) e debito, rinviando ogni misura di austerità. Una partita tutta in salita. Uno sconto all’Italia potrebbe aprire nuove prospettive anche per la Francia.
A Rapallo, a spegnere qualche facile entusiasmo sulle previsioni della nostra economia è intervenuto con la sua abituale chiarezza il Presidente di Confindustria Vincenzo Boccia che ha inviato un ….“pizzino telematico” al Presidente Gentiloni e al suo Governo: “agisci come se fosse l’ultimo giorno!” Fortemente critico sull’azione riformatrice che va al rilento. “Si è parlato troppo di legge elettorale, parlare di economia significa parlare di vita del Paese e del futuro dei cittadini italiani, ma capisco che parlare di macroeconomia è una cosa difficile per cui penso che uno prima di entrare in politica dovrebbe fare un corso”! Troppi i ritardi, troppe le lungaggini nel portare a termine i provvedimenti necessari per la competitività delle imprese e per il rilancio degli investimenti pubblici e privati. Le misure urgenti per la ripresa economica non possono essere sacrificate sull’altare dell’instabilità politica, o peggio degli equilibri interni al governo.
Una severa presa di posizione quella del Presidente di Confindustria che aveva già tuonato in occasione delle “considerazioni finali” del settennato del Governatore della Banca d’Italia Ignazio Visco, a Palazzo Koch, lo scorso fine maggio. In sintonia con le parole del Governatore che aveva invocato un “salto di qualità e il consenso convinto di tutti per una stagione di corresponsabilità”, Vincenzo Boccia aveva dichiarato: “noi siamo per la stabilità e la governabilità, precondizione per un piano economico di medio-lungo termine. Non è solo la legge di stabilità che ci interessa, ma è cosa vogliamo fare nei prossimi anni della politica economica italiana e della questione industriale”.


Il nodo centrale è la produttività che è la strada da percorrere per salvare il lavoro. Tra il 1995 e il 2016 il tasso d’incremento del Pil è stato pari allo 0,5% in media d’anno, contro l’1,5% della Francia e l’1,3% della Germania. Secondo i dati di Banca Italia, in tale contesto economico è stato modesto (appena lo 0,3%) l’apporto fornito dalla produttività oraria del lavoro, sia per effetto della riduzione di investimenti e sia per la presenza nel tessuto produttivo nazionale di piccole e piccolissime aziende. Una frammentazione antieconomica. Si tratta ora di voltare pagina, far ripartire la spesa per la crescita, con uno Stato in grado di far incontrare domanda e offerta e di mobilitare investimenti pubblici e privati per garantire infrastrutture al passo con i tempi. Uno Stato capace di rendere finalmente efficiente la macchina della burocrazia e della giustizia. Se cresce la produttività cresce l’economia e con essa il Paese. E’ questa la grande sfida politico-economica con la quale misurarsi per azzerare la mancanza di posti di lavoro, l’eredità più dolorosa della grande crisi degli ultimi anni.

08 giugno 2017

NIETZSCHE PANTEISTA NEOPAGANO Religione dionisiaca ed eterno ritorno a cura di Vincenzo Capodiferro

NIETZSCHE PANTEISTA NEOPAGANO
Religione dionisiaca ed eterno ritorno

Nietzsche, il profeta dell’Anticristo e della morte di Dio è veramente un ateo? Cosa nasconde colui che fa pronunziare a Zarathustra, uno dei profeti monoteisti dell’antichità, la morte di Dio? Chi è questo folle che gira nel mercato e si mette a gridare: «Dio è morto»? In verità l’ateismo come forma religiosa, così come è stata espressa da Feuerbach, Marx, Nietzsche e Freud, discende direttamente dal panteismo hegeliano. Dal tutto al nulla il passo è facile. L’uomo senza un dio non può vivere, così vengono proposte altre divinità: l’”Homo homini deus” di Feuerbach, la dea Materia di Marx, la dea Volontà di Schopenhauer, il dio Es di Freud ed il suo diavolo Thanathos - cioè la Trinità Es, Eros e Thanathos - e il dio Dioniso di Nietzsche ed il suo oppositore Apollo. Al misticismo logico di Hegel viene sostituito il misticismo ateo e l’ascetismo ateo, con tanto di cammino di perfezione: guardate, ad esempio, le vie di liberazione di Schopenhauer. Queste sono le nuove divinità che sono state sostituite a Dio. Non si tratta di un vero ateismo. Il vero ateo non crede in nessuna forma di divinità. Ma esiste allora il vero ateo? Nella teoria di Nietzsche, che egli escogita nella sua lucida pazzia, vi sono almeno due punti, che annullano di fatto l’ateismo di fondo: il dionisismo ed il fato, o eterno ritorno. Nella “Nascita della Tragedia” Nietzsche prospetta una teoria interpretativa della civiltà greca, la quale è dualista: Dioniso e Apollo. Dioniso è «l’affermazione religiosa della vita totale, non rinnegata, né frantumata». È la forza dell’istinto. È gettarsi su tutto ciò che l’esistenza propone senza remore morali, senza pregiudizi razionali, il noumeno. Apollo è l’equilibrio, la ragione, l’armonia delle forme, identificabile con il fenomeno kantiano. La tragedia greca fu amore dionisiaco della tragedia della vita. Socrate ebbe il grave demerito di razionalizzare l’esistenza, cioè di comicizzarla. Tutta la civiltà occidentale discende dal socratismo: Platone, Aristotele, il Cristianesimo, il medioevo, la modernità. Questo dualismo nietzschiano, già kantiano, si rispecchia in tutte le sfera della vita: vi è una doppia religione, quella dionisiaca e quella apollinea; vi è una doppia morale, quella dei forti e quella dei deboli; vi è una doppia arte, e così via. Il nichilismo di Nietzsche è un finto nichilismo, non porta al nulla, ma distrugge il tutto per proporre un altro tutto: l’antichissimo culto di Dioniso e una morale consistente nell’assoluta sottomissione al Fato. Nietzsche è un neopagano, non è un ateo, è un panteista rovesciato, perché divinizza l’universo. Dioniso è la vita cosmica, con le sue leggi ferree ed i suoi ingranaggi. Dioniso, Wotan dei Germani, è questa Volontà divina che dirige tutto il cosmo. Il giovane Nietzsche era un filologo appassionato. Si innamorò di questo dio greco, lo adorò. Come Dioniso fece impazzire Licurgo, così fece impazzire Nietzsche. Perché Nietzsche ha tentato di razionalizzare Dioniso, di ingabbiarlo nei suoi schemi del fato e dell’eterno ritorno. Così gli ha inviato le menadi del delirio, il vino dell’ebbrezza schizofrenica. Dioniso è l’impulso cosmico, la Materia divina che si dimena nell’universo e crea la vita, la Vita, la Zoè. Nietzsche accusa Feuerbach e Schopenhauer di essere mezzi preti, in realtà egli è un prete intero, è un sacerdote di Dioniso. I profeti di Dioniso sono gli oltre-uomini, o i superuomini. L’oltre-uomo è la trasposizione della baccante greca. Dioniso d'altronde è una specie di androgino, nasce da una doppia gestazione, dal grembo di Semele e dalla coscia di Zeus. Dioniso non è altro che il Romanticismo che si oppone all’Illuminismo di Apollo. Nietzsche è il filosofo di questa esasperazione romantica. Cristo è per lui un superman, ma il cristianesimo diventa, ciò che già Kierkegaard aveva identificato come una “malattia mortale”. Così la religione degli eroi ripropone antichissimi valori: amor fati, fedeltà alla terra. Non può esistere una morale senza il bene ed il male, o al di là del bene e del male: solo che il bene e il male vengono invertiti: tutto qua! Come non può esistere alcuna morale al di qua del bene e del male. Questa sarebbe l’ingenuità adamitica pre-morale, equiparabile alla condizione degli animali, quell’altra, invece prefigura una condizione ultramorale tipica solo della divinità. Dio è al di fuori del bene e del male. Così Nietzsche rifiutati tutti i valori assoluti, ritenuta la vita una fugacità, non accetta più questa condizione, non si accontenta di fare questa vita così insignificante, inutile. Di qui spunta la risoluzione a tutto il suo problema esistenziale nell’estate del 1881: l’eterno ritorno: «Tutto va, tutto ritorna, la ruota dell’esistenza gira eternamente. Tutto muore, tutto si rigenera, il ciclo dell’esistenza prosegue eternamente» (Così parlò Zarathustra). «Tutto passa ed insieme tutto ritorna. Tutto ciò che è, è già stato infinite volte e tornerà infinite volte. Tutto è ritornato: Sirio e il ragno e i tuoi pensieri in quest’ora e questo tuo stesso pensiero che tutto ritorna». In realtà non inventa questa teoria, ma la riprende dall’antica religione filosofia greca: Anassimandro, Eraclito, Pitagora, Platone, gli Stoici, Plotino ed in parte anche dal Cristianesimo: tipo la teoria di Origene. Così anche gli Stoici: «Attraverso la conflagrazione cosmica il mondo riappare e si ripete in tutto e per tutto: Anito e Meleto torneranno ad accusare Socrate, Busiride ad uccidere gli ospiti, Ercole a compiere le sue fatiche». Il problema sta tutto qua: se esiste un eterno ritorno, una legge cosmica, un charma, necessariamente esiste un legislatore. Il principio e la fine implicano necessariamente razionalità, implicano necessariamente una causa efficiente ed una causa finale, cioè implicano necessariamente Dio. Ma Nietzsche si ostina a negarlo. L’universo è un «mostro di forze senza principio e senza fine. Si afferma da sé, anche nella sua uniformità, che rimane la stessa nel corso degli anni, si benedice da sé, perché è ciò che deve eternamente ritornare, perché è divenire che non conosce sazietà, né disgusto, né fatica» (La volontà di potenza). La teoria di un universo cieco ed irrazionale, senza leggi, senza fini è inconciliabile con la teoria dell’eterno ritorno, a meno che non si ammetta il panteismo: un panteismo ateo, ma in realtà finto ateo, un panteismo mascherato. Dioniso è il principio vitale dell’universo, è un principio immanente all’universo. Apollo è la ragione cosmica. Uno è Ying, l’altro è Yang. Uno è ispirazione, l’altro è espirazione, entrambi costituiscono la respirazione. L’uomo è una piccola ruota di questo eterno divenire ciclico e come tutte le altre cose è stato infinite volte ed infinite volte tornerà ad essere sempre allo stesso modo di essere: che noia mortale! Questo eterno ritorno è eguale ad un orologio troppo preciso, peggio di un orologio svizzero! Tutto torna allo stesso modo di essere eternamente! Ma come è possibile questo miracolo, senza un ordinatore? Senza un orologiaio? Questo è un problema serio, che va risolto! Ricordate gli orologi di Leibniz: supponiamo che due orologi vanno d’accordo alla perfezione, il fatto può essere spiegato in vari modi: o perché gli orologi si influenzano a vicenda, o perché l’orologiaio ha predisposto che i due orologi si accordino ognuna seguendo meccanicamente le sue leggi (meccanicismo), o perché l’orologiaio interviene di volta in volta ad accordare gli orologi (occasionalismo), o perché l’orologiaio ha fatto così perfetti gli orologi che essi vanno sempre d’accordo e mai falliscono (armonia prestabilita). Se l’universo è un orologio infallibile che gira sempre allo stesso modo si deve presupporre un’armonia prestabilita. Ma un’armonia prestabilita senza un orologiaio è impossibile. Vediamo i caratteri del superuomo: l’irrazionalità, l’assurdità: la vita è sogno; l’assoluta libertà di spirito: se Dio non esiste tutto è possibile; l’infinita possibilità delle forme di esistenza: divieni ciò che sei. L’emblema di questa figura è la metamorfosi del fanciullo, che segue al leone ed al cammello. Ma come possiamo conciliare questa figura con l’amor fati? Vi pare che uno schiavo così cieco del destino possa essere tanto libero e fare il sognatore o possa fare tutto ciò che crede di fare? A meno che il Destino non scelga i suoi eroi e torniamo ad una forma di predestinazione dei superuomini, gli stessi eroi cosmici hegeliani. Ma anche in tal caso si presuppone un Destinatore. Il superuomo, come dicevamo, è la trasposizione del baccante, il seguace di Dioniso. I baccanti, o le menadi, sono invasati, deliranti. Nietzsche è un baccante dei tempi moderni, tornato dal ritorno eterno.


Vincenzo Capodiferro

05 giugno 2017

SOLILOQUIO DI UN FOLLE di Egidio Capodiferro a cura di Miriam Ballerini

SOLILOQUIO DI UN FOLLE                  di Egidio Capodiferro
© 2017 Cicorivolta Edizioni   ISBN: 8899021686   Pagine: 136  € 12,00

Non è per niente facile, come genere di scrittura, cimentarsi con un monologo. Bisogna essere abili e riuscire a non far cadere l’attenzione del lettore. Questa premessa per dire che, invece, Capodiferro, è riuscito nel suo intento, riuscendo a scrivere un libro che avvince, fa sorridere, interessa e non perde mai di tono.
Capace in questo tipo di scrittura è stato Dostoevskij, e, proprio come lui, Capodiferro usa un tipo di linguaggio tipico del 1800. Un poco ricercato, con l’abitudine a parlare direttamente al lettore, come ad esempio: “Ancora non ho voluto rivelare il mio lavoro, inutile. Forse ve lo dirò più tardi, con la giusta disposizione d’animo”.
E di cosa ci parla questo folle? Un folle descritto in modo brillante in questa frase messa all’inizio del libro di Charles-Louis de Montesquieu: “Si chiudono alcuni matti in una casa di salute, per dare a credere che quelli che stanno fuori sono savi”.
Ci parla di sé, della sua vita, delle sue storie d’amore che naufragano l’una dopo l’altra.
Ci racconta della sua famiglia, una famiglia del sud; delle proprie abitudini, disperazioni, sogni e speranze.
Anche le parti più tristi e dolorose, sono descritte in maniera allegra, quasi a irridere ciò che di peggio ci possa esserci e possa farci del male. In questo mi ha fatto pensare allo scrittore inglese Wodehouse, al suo modo di scrivere divertente e dissacrante. Non è da me fare paragoni fra gli scrittori del passato e i nuovi emergenti, ma devo dire che ho trovato molte similitudini nel modo di scrivere di Capodiferro con questo tipo di letteratura.
Ovviamente il folle ha un nome, si chiama: Ermenegildo Sette, un nome particolare, così come lo hanno strambo tanti altri personaggi: “… il signor Miele e consorte, della signora Volpe e consorte, del signor Ferro senza consorte, delle zitellone centenarie Costantino, e delle sobrie ragazze Grappa…”
Di tanto in tanto il soliloquio è interrotto dai dialoghi che Ermenegildo ricorda di avere scambiato con questo o con quella.
Una stranezza, che pare proprio una contaminazione è quando lo scrittore, parlando di una famiglia del sud, si lascia scappare uno: “dalla Elena”, “della Sofia”, un tipico modo di dire lombardo.
Molti gli spunti di riflessione, come quando una delle sue ragazze gli dice: “Da come mi guardi, mi stai giudicando per qualcosa che non sai”.
Belle tante frasi: “La tristezza è un sorriso mancato, e la vita è una folata di vento”.
Un occhio attento è per la natura: “I fiori della ginestra sono scaglie di ambra affisse nei suoi rami verdi, o come fiamme accese, focolai di un incendio nel verde”.
Vi domanderete perché Ermenegildo sia folle… bhè, per saperlo, dovrete arrivare in fondo al libro!

© Miriam Ballerini

“IL FIGLIO DELLA FORTUNA” DI CAPODIFERRO EGIDIO a cura di Vincenzo Capodiferro


IL FIGLIO DELLA FORTUNA” DI CAPODIFERRO EGIDIO
Una raccolta di venticinque racconti che rispecchiano il disagio dell’uomo contemporaneo con tocchi di ironia

«Il figlio della fortuna si rivolge a tutti indistintamente, ognuno di noi può immedesimarsi con almeno uno dei personaggi che si muovono all’interno dei venticinque racconti che compongono questa raccolta. Con toni che vanno dall’ironico e umoristico all’enigmatico e riflessivo, Egidio Capodiferro descrive, con lo sguardo che solo i semplici sanno usare, episodi di vita quotidiana: la difficoltà di un titolare di una gioielleria nell’assumere una nuova commessa, l’equivoco che viene a crearsi intorno al furto di un anello, la rivincita di uno scultore incompreso, il salvataggio di una bambina che avrà come epilogo i festeggiamenti di un matrimonio. Quattro amici in viaggio in macchina». Il figlio della fortuna è un’opera di Capodiferro Egidio, pubblicata da Italic Pequod, Ancona 2017. Egidio Capodiferro abita in un piccolo paese dell’entroterra lucano ed insegna nella scuola dell’infanzia. Nel tempo libero coltiva la passione per la scrittura. Trai suoi lavori segnaliamo: “Acquerelli”, Puntoacapo 2016; “Incastri lirici”, Limina mentis 2016; “Fedra-Ocna”, Ibiskos 2016; “Soliloquio di un folle”, Cicorivolta 2017. L’autore ci racconta fatti di vita quotidiani, in cui i protagonisti riflettono le contraddizioni e le peripezie della vita, in uno stile ironico – che caratterizza la narrativa del Capodiferro – e riflessivo. Così vi troviamo Lucio Legume, l’artista incompreso, il signor Cinque che riceve un mazzo di rose strano, il vecchio Alessio Gemini che si lascia morire dopo la dipartita della consorte: «Alessio Gemini era un vecchio con almeno ottantacinque anni sulle spalle. Ormai da un po’ di tempo a questa parte, e precisamente dopo la morte della moglie, gradualmente aveva cominciato a rifiutare il mangiare. Dai cibi solidi era passato a quelli liquidi, e dopo sei mesi beveva soltanto qualche succo di frutta, così si rese necessario chiamare il dottore, il quale dopo averlo accuratamente visitato ordinò che si procedesse al nutrimento del malato con flebo». Sono tanti racconti verosimili, in cui tutti possiamo riconoscerci, perché la letteratura, in questo caso si fa portatrice del vero universalmente, come afferma Aristotele nella Poetica, proprio in quanto verosimile e non vero. In ciò l’arte differisce dalla storia, che è scienza del particolare. I racconti del Capodiferro sono semplici, autentici, realistici – diremmo anche veristici -, colgono l’essenziale con note di ironia mescolate a fantasia. L’uomo in quanto ha voglia di uscire sempre dallo stato dell’aurea mediocritas, si trova invece a fare i conti con la disillusione, con la noia e l’abbandono, con la dura realtà della vita. I venticinque racconti sono piccoli quadretti, idilli, a volte drammatici. L’angoscia, questo dolore esistenziale atipico – quel male di vivere montaliano – fa da sottofondo e sfocia nell’ironia, nel riso dissacratore. Di fronte al dramma della vita non possiamo fuggire, ma possiamo piangere o ridere. Un po’ questi atteggiamenti venivano raffigurati ne “La Scuola di Atene” come Eraclito e Democrito. Però il filo conduttore che lega questi quadretti è proprio la fortuna: l’uomo, machiavellicamente, in parte è faber fortunae suae. Può decidere di se stesso fino ad un certo punto. Noi tutti siamo figli di questa fortuna, che regge la storia, il tempo e lo spazio. Solo nel contesto di questo svolgimento cosmico possiamo in qualche modo autoregolarci. Si respira in quest’opera naturalmente un’aria di checovismo inaudita. La letteratura si fa portavoce delle ansie e dei sospiri umani, diventa lo specchio dell’anima, un’anima a volte triste, a volte allegra. La visione della vita riflette quell’ironia quasi pirandelliana. Questo lavoro del Capodiferro si iscrive bene nel panorama narrativo che poi esplode nel suo capolavoro: il “Soliloquio di un folle”.


Vincenzo Capodiferro

02 giugno 2017

100 ANNI DI LIONISMO, FRA LUCI E … OMBRE di Antonio Laurenzano

100 ANNI DI LIONISMO, FRA LUCI E … OMBRE
di Antonio Laurenzano

Cento anni di lionismo. Il prossimo 7 giugno si celebra il centenario del Lions Club International, la più grande Associazione di servizio al mondo, fondata nel 1917 a Chicago da un giovane assicuratore texano, Melvin Jones. L’Associazione internazionale dei Lions (Liberty, intelligence our Nation’s safety), che ha come motto “We serve”, è riconosciuta dall’ONU che annualmente dedica al lionismo il Lions Day.
Presente in oltre 200 Paesi e in tutte le aree geografiche del mondo, con circa 1.350.000 soci, uomini e donne, LCI opera perseguendo una mission di grande spessore sociale: “servire la comunità, soddisfare i bisogni comunitari, favorire la pace e promuovere la comprensione internazionale”. Stella polare di LCI è il servizio a favore dei non vedenti e di quanti hanno gravi problemi di vista. L’impegno dei lions spazia anche in altri settori: povertà e fame nel mondo, cittadinanza umanitaria attiva, ambiente, problematiche sociali e giovanili in particolare, prevenzione e cura della sordità, malattie infantili, ecc. A livello internazionale, i lions ogni anno donano 650 milioni di euro e 50 milioni di ore lavorative. Nel 2004 il Financial Times ha giudicato il Lions Club International, per la sua azione umanitaria, la migliore organizzazione non governativa a livello mondiale con la quale cooperare.
Un centenario con luci, tante luci, ma anche …. tante ombre! Pur nella generale condivisione degli scopi del lionismo, vengono alimentate riserve sulla sua reale penetrazione in una realtà sociale così diversa rispetto alle origini. Si parla di scricchiolio del lionismo, di lionismo ingessato, di lionismo corpo estraneo della società. Un lionismo parolaio, senza anima che ha causato nel Multidistretto 108 Italy una perdita di socidi circa diecimila negli ultimi anni” (Gabriele Sabotasanti, Rivista Lion-maggio).
Nei 25 anni di “militanza lionistica” ho spesso denunciato sulla stampa nazionale e distrettuale i “mali oscuri” del movimento: la carenza di una progettualità a ogni livello, la discontinuità d’azione, la frammentazione della sua attività di servizio, senza sottacere le anacronistiche bardature e un manierismo di facciata, spesso farcito di ridondanza e di retorica! Un lionismo sclerotico nella sua dinamica, pletorico nella sua struttura. Particolarmente sarcastico il pensiero del Past Presidente Internazionale Pino Grimaldi (Rivista Lion-maggio) riguardo al “lavoro quasi titanico dei Governatori eletti: comporre organigrammi da enciclopedia Treccani con migliaia (sic!) di lions ai quali è data una carichetta, centinaia di comitati e sotto comitati, posizioni inesistenti nel resto del mondo”. Soci lions alla ricerca di un improbabile riscatto sociale e di una MJF che, per … un pugno di dollari, non si nega più a nessuno! E’ la sagra della vanità: autoreferenzialità e un miserevole protagonismo. “In alcuni Distretti, osserva con sottile ironia Pino Grimaldi, i Governatori, quando si muovono, hanno corti e scorte che manco il buon Mattarella si sogna di avere. Una sola differenza: non hanno, ancora, la macchina blindata. Le riunioni di zona sembrano assemblee di Confindustria, quelle di circoscrizione quasi congressi dei vecchi partiti, visite ufficiali dei Governatori visite del Papa a Loreto o similari”! Critico sul ruolo dei Governatori il Direttore Internazionale Sabotasanti (Rivista Lion-marzo): “I Governatori devono essere autorevoli e non autoritari”!
L’amicizia è uno dei pilastri su cui poggia l’etica lionistica, “ma molti tra noi pare che stentino a comprenderlo, in quanto schiavi in catene della vanità di mostrare, dell’avidità di ottenere, di apparire senza donare, di ottenere quell’illusione di potere….” “Esaminiamo con spirito critico il comportamento delle persone che fomentano un lionismo velenoso e poco rispettoso del nostro codice etico”, scrive nel suo editoriale Sirio Marcianò (Rivista Lion-maggio). Una riflessione di buon senso.
Quale lionismo disegnare per il futuro? Come ho già scritto in passato, di fronte al disinteresse del mercato a occuparsi di sociale e alla riduzione di risorse pubbliche, il lionismo, punta di diamante nel variegato mondo dell’associazionismo e del volontariato, dovrà rappresentare l’architrave di un nuovo sistema di relazioni sociali. Un lionismo di proposta sociale in grado di intercettare i bisogni della gente, essere interlocutore privilegiato dell’ente locale nella programmazione dell’attività socio-culturale. Un lionismo capace di fare opinione, di suscitare dibattiti, di essere forza propositiva sul territorio per affermare un ruolo di cerniera fra i bisogni della collettività e il nuovo che avanza. Aprirsi cioè alla società civile con una presenza incisiva per una nuova dimensione di cittadinanza umanitaria.
I lions diventino opinion leader, se non degli “opinion maker”, dei suscitatori di “bisogni” che la classe politica dovrebbe poi soddisfare. Nessuna supplenza istituzionale, ma nemmeno inerzia o latitanza di fronte alle esigenze della comunità. Agire come protagonisti e non come anonime comparse sociali. Disegnare dunque una nuova “road map” del lionismo, affrancato da ogni miopia sociale, da sterili formalismi e da infantili egocentrismi per vincere la sfida della indifferenza, del disimpegno e della fuga di tanti soci. Soltanto con un impegno responsabile, testimoniato con sobrietà, è possibile legittimare la centralità di una presenza e la specificità di un’azione finalizzata a disegnare una società a dimensione d’Uomo. E’ questa l’unica opzione valida, la grande priorità per onorare la “vocazione al servizio”!
S’impone un cambio di rotta! Rilanciamo con ritrovato slancio la fede nel servire per realizzare progetti vincenti più aderenti allo spirito e alla peculiarità del messaggio lionistico e divenire forza attiva di cambiamento sociale, lontani da ogni forma di retorica e di facile populismo, lontani dai soliti personalismi, dalle ambizioni sfrenate di chi si ostina a considerare l’Associazione una passerella personale, di chi rincorre una dubbia identità sociale attraverso patetici flash e miseri proclami.” (Luigi Pozzi, DG 2014-2015).
Un messaggio chiaro di grande speranza nel segno della gloriosa centenaria tradizione del Lions Club International. Un appello agli Uomini giusti, agli Uomini illuminati dell’Associazione per scrivere un futuro degno del passato. Un appello che da osservatore delle vicende lionistiche condivido con fiducia per un lionismo espressione di leale spirito di servizio.

(www.antoniolaurenzano.it)

ADDIO AL PATTO DI STABILITA’ STUPIDO di Antonio Laurenzano

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