30 agosto 2010

I terribili segreti di Maxwell Sim di Jonathan Coe

NON SPARATE SU MAXWELL!



A metà anno ’90 frequentavo l’Università a Parma, avevo l’obbligo di frequenza, viaggiavo in treno cinque giorni alla settimana.
In ogni pausa che avevo tra una lezione e l’altra uscivo dalla facoltà di Giurisprudenza dove aveva sede il mio corso di Servizio Sociale, in pieno centro, iniziavo a camminare e finivo sempre, irrimediabilmente, nella Libreria Feltrinelli di Via della Repubblica, in quel piccolo (allora, ora sarà sicuramente stato ampliato!) spazio, con i libri stipati in maniera inverosimile. Proprio lì ho fatto molte conoscenze importanti, tra cui l’opera di Jonathan Coe, scrittore contemporaneo inglese.
Oggi mi ritrovo qui, dopo un bel po’ anni in cui ho potuto conoscere interamente la sua produzione letteraria, a parlare del suo ultimo libro perché mi sembra un’opera attuale come non mai, che tratta di questioni contemporanee alle quali la nostra società sta dimostrando di non essere adeguatamente preparata.
Contrariamente a molti commenti in cui mi sono imbattuta prima di leggerlo, ho trovato Maxwell Sim una persona assolutamente nella media della vita quotidiana, non un fallito, non un mediocre, come viene invece dipinto da più parti.
A pag. 171 Maxwell ipotizza il suo epitaffio “qui giace Maxwell Sim, era un tipo piuttosto comune” …bisogna davvero essere particolari per avere successo o per non essere considerato un fallito? E soprattutto, cosa vuol dire essere “particolari”?
Maxwell è soltanto un uomo in crisi per la fine del suo matrimonio e della sua vita familiare, finiti per quella mancanza di dialogo, di condivisione e di intimità non così infrequenti, secondo me, tra le famiglie che conosciamo e che quotidianamente ci circondano.
Quanti sono gli adolescenti che mentre un genitore parla sono più impegnati a buttare un occhio al cellulare per vedere se arriva un sms, invece di ascoltare e guardarlo negli occhi? La maggior parte, a mio avviso! E questi padri e queste madri sono allora genitori mediocri e cattivi?
Quanti di noi, come Maxwell, ad un certo punto, imprecisato, della vita, si sono domandati cosa ci stanno a fare, qual è il vero senso?
Tutto questo è Maxwell, nulla di più, nulla di meno: questo libro, a mio avviso, è un libro sulla solitudine in cui viviamo al giorno d’oggi, un isolamento dorato, del quale possiamo attribuire buona parte di responsabilità alla tecnologia moderna, che frappone tra i legami umani ogni diavoleria che funziona da filtro, da barriera.
Ad un certo punto, seduto solo nella propria stanza davanti ad uno schermo coloratissimo e splendente, ognuno di noi arriva a rendersi conto che vorrebbe, più di ogni altra cosa, essere seduto al tavolino di un bar con una PERSONA di fronte, vera, reale, da poter toccare allungando una mano, con la quale parlare, con la quale guardarsi negli occhi…
Vi consiglio pertanto di leggere questo romanzo, caratterizzato peraltro da una costruzione narrativa secondo me molto accattivante: forse non è il miglior libro di Coe, ma questo autore ha dimostrato di stare al passo con i tempi, sempre capace di uno sguardo critico ed ironico sulla società, rinnovato ed attuale, e, ciò che più conta, non incagliato su ciò che lo ha reso famoso ormai più di tre lustri fa.
Grazie quindi nuovamente a quella “piccola” libreria del centro di Parma, con la quale ho un debito che difficilmente potrò estinguere!


(c) Lorenza Mondina

06 agosto 2010

Recensione "Lo squalo" di Peter Benchley

LO SQUALO di Peter Benchley



©Arnoldo Mondadori Editore – Oscar Bestsellers Mondadori 1974
ISBN 88-04-35002-4 Pag. 291 € 7,00


Dopo aver conosciuto “Lo squalo” attraverso i film girati da Spielberg, ho trovato questo vecchio volume in una vendita di libri usati e, incuriosita, l’ho acquistato.
Leggendolo, la prima grande e sostanziale differenza che si nota, è che il romanzo non è incentrato sulla presenza ossessiva, mostruosa del pescecane. Anzi, proprio grazie all’apparizione improvvisa dello squalo sulla spiaggia di Amity, vengono a galla tensioni, problemi insoluti, faccende nascoste fra i personaggi che popolano la cittadina.
Lo squalo viene descritto con perizia, con termini adeguati e studiati, così come tutto ciò che riguarda le imbarcazioni e il mare; ciò rivela la ricerca intrapresa dall’autore per scrivere cose appropriate.
Non è quel mostro di cui si vede solo una pinna del film, per poi apparire in tutta la sua deludente integrità; nel libro si ha a che fare con un vero, meraviglioso, enorme essere vivente.
Colpiscono i sentimenti provati dai vari personaggi: la moglie del capo della polizia, insoddisfatta della propria vita, che si aggrappa a uno scampolo di gioventù per ritornare a vivere.
Il capo della polizia, coscienzioso, ma che purtroppo ha le mani legate dal politico di turno.
Lo stesso politico, finito in un giro losco, ma che alla fine viene ravveduto nella sua immagine di meschino e mediocre sindaco.
E tutto questo pare risalire dal fondo, proprio grazie, o purtroppo, alla comparsa dagli abissi dell’enorme squalo; quasi che dall’oceano i “mostri” sputati fuori siano ben più di uno.
Ognuno è alle prese col suo personale mostro da combattere.
Unico neo, non so se per colpa dell’autore o del traduttore poco accorto, fanno la loro comparsa degli errori grammaticali.
Anche se ciò non toglie la bellezza del romanzo che, per gli amanti del genere, è un vero gioiello.

(c) Miriam Ballerini

01 agosto 2010

Libri: "Più lavoro, più talenti" di Gianfranco Viesti

di Antonio V. Gelormini
“Crescere e far crescere il lavoro”, questa in sintesi la ricetta emersa dalle riflessioni analitiche del prof. Gianfranco Viesti, durante la presentazione del suo ultimo libro “Più lavoro, più talenti”, (Donzelli Editore, 2010) nei giardini della Fenice al Gusmay Resort di Peschici, per il secondo appuntamento estivo degli Incontri al tramonto.
In un Paese ripiegato su se stesso, che per certi versi ha perso la capacità dell’ambizione e per altri sembra aver smarrito l’orgoglio di una forte identità nazionale, la prospettiva strategica non può essere la redistribuzione di una ricchezza spesso evanescente e sempre più individualmente difesa a denti stretti. Quanto, piuttosto, la produzione di nuova ricchezza. Per cui la riorganizzazione e la razionalizzazione degli assetti produttivi, secondo l’analisi dell’economista barese, non potrà che fare del lavoro il fulcro dell’azione di rilancio economico. Per questo il lavoro non è il problema del Paese, ma la soluzione di lungo periodo, su cui puntare risorse e speranze.
Motivo in più per stimolare il Mezzogiorno ad essere artefice principale e determinante del proprio futuro. Per non perdere quel po’ che è rimasto della sua ricchezza intrinseca e per intraprendere un percorso di riscatto, che caparbiamente riesca a moltiplicare i suoi “talenti”, nell’accezione più ampia del termine, impegnandosi decisamente a far fruttare le proprie capacità.
La linfa per alimentare questo processo virtuoso, che non riguarda solo il Sud ma l’intero Paese, è quella dei giovani e delle donne: il patrimonio comune inestimabile ancora poco o sotto utilizzato. Gli assi cartesiani di un sistema che ha bisogno di entrare a pieno titolo nel capitolo “sviluppo” dell’agenda nazionale, e non continuare ad essere relegato tra le varie note dell’appendice “Mezzogiorno”, rimanendo fuori dalla cosiddetta agenda politica.
C’è bisogno di un colpo di reni. Per uscire dalla rassegnazione accidiosa del Sud sprecone o del Sud “pozzo senza fondo”. Per invertire la piega di servizi pubblici troppo cari, ma di pessima qualità. Per provare ad arginare la falla di una spesa sanitaria regionale, in gran parte generata dall’elevato tasso di ospedalizzazione in comunità sempre più anziane, per niente alleggerite da tassi di natalità da tempo prossimi all’esigua unità.
Un invito a rialzare la testa. A riacquisire una fierezza, che si liberi delle paure mortificanti e che tragga forza dalla consapevolezza comune delle rispettive capacità individuali. Un ritorno all’abitudine di scrutare un orizzonte largo e profondo, tenendo saldamente alto lo sguardo.
Lo stesso che, in tempi altrettanto difficili, contraddistinse i Padri costituenti. Tutti d’accordo con lucida lungimiranza a individuare nel lavoro un “valore costituzionale essenziale”. Il “fondamento” dignitoso di un’identità nazionale sostenuta dalla preziosa funzione sociale di ciascun individuo.
(
gelormini@katamail.com)

ADDIO AL PATTO DI STABILITA’ STUPIDO di Antonio Laurenzano

ADDIO AL PATTO DI STABILITA’ STUPIDO di Antonio Laurenzano Addio al “Patto di stu...