29 agosto 2020

Georges Bernanos Diario di un parroco di campagna a cura di Marcello Sgarbi


Georges Bernanos

Diario di un parroco di campagna – (Mondadori)


Collana: Oscar classici moderni

Pagine: 252

Formato: Tascabile

ISBN 9788804508571


Per arrivare a parlare di questo Diario vorrei partire da un libro-intervista che mi è capitato sottomano tempo fa: Preti, in cui l’autrice, Maria Pia Bonanate, già giornalista di alcune testate cattoliche fra le quali Jesus, andava alla ricerca di quelli da lei definiti i nuovi dodici, ideali continuatori della missione degli apostoli. Lo spunto della ricerca nasceva dalla consegna data da Gesù ai suoi discepoli, descritta nei Vangeli e negli Atti degli Apostoli. Fra i dodici intervistati, in grado secondo l’autrice di testimoniare con coerenza il messaggio evangelico, nel libro di Maria Pia Bonanate sono presenti fra gli altri Don Ciotti del Gruppo Abele e Don Alex Zanotelli: due borderline, come i rimanenti dieci. Perché questa lunga premessa, vi domanderete?

Per dire che, secondo me, se oggi quei nuovi dodici fossero tredici, il parroco di Bernanos farebbe sicuramente parte del gruppo. Perché credo che mai come adesso il mondo abbia bisogno di preti così, di cristiani autentici, dedicati consapevolmente, fino in fondo, alla propria missione. E capaci di accettare completamente la propria condizione, a differenza di altri personaggi che animano il racconto di Bernanos. Come lo spretato Dufréty, che pensa basti togliersi una sottana per cancellare il passato, il nichilista dottor Delbende che non accetta il mondo in cui vive o il dottor Laville, che cerca di anestetizzarsi nei confronti del proprio destino ricorrendo alla morfina. Quanti Dufréty, Delbende e Laville ci sono, anche fra i preti e i laici di oggi?

Lasciatevi accompagnare da Bernanos ad Ambricourt, il luogo dove vive il protagonista di questo romanzo. Scoprirete che non è poi così diverso dai nostri paesi e dalle nostre città, perché è abitato dalle stesse piccole, grandi meschinerie.


È probabile che io sia troppo grossolano e rustico di natura, ma confesso di aver sempre avuto in antipatia il prete letterato. Frequentare i begli spiriti significa in sostanza sedere a banchetto con il bel mondo – e a banchetti come questi non ci si accomoda alla faccia di chi muore di fame”.
Un popolo di cristiani non è un’accozzaglia di madonnine infilzate. La Chiesa ha nervi saldi: non la spaventa il peccato, al contrario. Lo guarda in faccia, tranquilla, e anzi, imitando Nostro Signore, lo prende su di sé, lo assume”.

L’opposto di un popolo cristiano è un popolo triste, un popolo di vecchi”.

Certe volte chi ci ascolta potrebbe avere l’impressione che predichiamo il Dio degli spiritualisti, l’Essere supremo o che altro, niente comunque di simile a quel Signore che abbiamo imparato a conoscere come un meraviglioso amico vivente, che soffre dei nostri dolori, si commuove alle nostre gioie e condividerà la nostra agonia, ci accoglierà fra le sue braccia, sul suo cuore”.


© Marcello Sgarbi 

28 agosto 2020

Valter Odello “Schegge” A cura di Marco Salvario

Valter Odello

“Schegge”

A cura di Marco Salvario


Artista savonese nato nel 1958, autodidatta con un lungo percorso di studio, ricerca ed evoluzione alle spalle, che gli è valso un'attenzione sempre più interessata e positiva da parte della critica, Valter Odello, pur non disdegnando di partecipare a mostre collettive sia all'Italia sia all'estero, preferisce affrontare le mostre mercato, dove il contatto con il pubblico è schietto, immediato e coraggioso. Un approccio controcorrente rispetto a un mondo dove troppo spesso chi crea arte, per pigrizia o timidezza si fa tracciare la strada da galleristi più o meno preparati, e riceve l'attenzione di pochi visitatori, sicuramente preparati e selezionati, ma chiusi in una nicchia ristretta e chiusa.

Affrontare la gente che passeggia senza fretta, cercare di cogliere gli sguardi, di provocare una discussione, un momento di ammirazione, comunicare e condividere sensazioni, è una sfida diversa e, per quanto mi riguarda, questo articolo dimostra che con me Odello la sua battaglia l'ha vinta.





A Loano la seconda domenica del mese, sotto i portici moderni di Corso Europa, si svolge il mercato dell'antiquariato. Se ci andate, potrete trovare pezzi interessanti mischiati ad altri meno preziosi che molti di noi sicuramente già possiedono, dimenticati in vecchi scatoloni in cantina o in soffitta, non avendo in coraggio di buttarli per confusi legami affettivi. Vecchi dischi, libri, cartoline, gioielli, orologi, tessuti e ricami, medaglie, monete, vasellame, giocattoli del tempo che fu; non tutto ma di tutto.

Quadri antichi e quadri moderni come quelli di Valter Odello che ho incontrato domenica 9 agosto 2020.

Lo confesso, ho osservato con interesse la sua esposizione, ma dopo mi sono ricordato che ero in vacanza e ho continuato verso il lungo mare. Fatta la mia passeggiata salutare e divertente, il richiamo è stato troppo forte di me; sono ritornato ed ho ricercato le opere, le ho guardate, ho fatto qualche foto, ricevuto informazioni e scambiato opinioni.





I quadri esposti fanno parte dell'ultimo, al momento, periodo creativo dell'artista: “Le schegge di Odello”. Frammenti, frantumi che fanno pensare che non sia il soggetto a essere spezzato, ma la sua forza espressiva a erompere con violenza.

I disegni sono realizzati su tavole di forme irregolari, spesso su più tavole, fissate successivamente su una tavola inferiore verniciata di un bianco luminoso che esalta i colori. Perché quello che cattura lo sguardo è il colore, frutto di una sensibilità pura e sublime, che sa cogliere qualcosa che è oltre l'immagine e trascende il soggetto. Gli esempi che mi vengono in mente sono lo splendido “Tramonto”, dove il rosso scuro e sanguigno quasi sconfina nel marrone, e “Discesa al mare”, dove le strade antiche dei carruggi, le strette e buie vie dei paesi rivieraschi liguri, si schiudono alla luce torbida e arancione di mare e cielo. Questa seconda opera in cinque irregolari frammenti che si aprono a stella, dimostra a pieno l'abilità dell'artista perché quello che colpisce chi l'ammira, è la forza di un'immagine unica, netta e potente, focalizzata e non dispersa.





Tutte le opere di Odello, sono un inno d'amore alla Liguria, alle luci, ai colori, alle sue bellezze, alle sue costruzioni, alla sua terra, al cielo, ai suoi lavoratori. Una Liguria che esiste ancora, ma sempre più è una Liguria del passato, persa nei ricordi, nel rimpianto, ma amata con una purezza di cuore che la rende bella quanto un mondo fatato.


 

27 agosto 2020

Aforismi di luce di Claudio Borghi a cura di Alessia Mocci

 




In libreria: Aforismi di luce di Claudio Borghi edito da Negretto Editore



La storia coincide con lo sviluppo immobile dell’eternità pensante, simultaneamente linea e circolo, forma indescrivibile entro la dimensione finita del tempo. La mente si fa storia se riesce a ristorare con l’acqua della visione ultima, ad alleviare il dolore di chi non riesce a elevarsi in volo a percepirla.” – Claudio Borghi

In tutte le librerie virtuali e fisiche dal 1° settembre 2020 sarà disponibile il nuovo libro di Claudio Borghi, “Aforismi di luce – Frammenti filosofici e teologici 1976-78” edito nella collana “Versi di versi” della casa editrice mantovana Negretto Editore.

È lo stesso autore che, sin dal principio nella premessa, presenta le fonti che hanno permesso le riflessioni presenti in “Aforismi di luce”:

Le fonti, seppur molteplici, sono chiare: il libro della Genesi, il Vangelo di Giovanni, l’Apocalisse, i presocratici, Platone, Aristotele, Plotino, Dionigi Aeropagita, Agostino, Meister Eckhart, Cusano, Pascal, Spinoza, Schelling, Novalis, Rimbaud, Nietzsche, Kierkegaard, Schopenhauer, i mistici cristiani, qualche teologo del Novecento, Bergson. L’ispirazione più forte mi venne dalle Enneadi di Plotino, da L’evoluzione creatrice di Bergson e dai Frammenti di Novalis, autentici timoni nella turbinosa navigazione metafisica.”

Claudio Borghi procede con l’avvertenza al lettore riguardo l’importanza dell’atteggiamento contemplativo (propriamente con l’accezione di “Insistenza prolungata dello sguardo o del pensiero su una fonte di meraviglia o di ammirazione”, dal lat. contemplatio -onis: cum templum, con lo spazio del cielo) per le parole che si andranno ad incontrare nei frammenti filosofici e teologi:

La speculazione nasce da parole come sorgenti molteplici di senso, progressivamente svelate: luce, tenebra, io, Dio, Unico, movimento unico, Opera, Disegno sono nuclei linguistici che riverberano potenza e generano le onde guida del pensiero. Lo stile è vertiginoso. Dalle sequenze come dai singoli frammenti emana una luce di scavo profondissimo, all’insegna di una ricerca assoluta, senza interlocutori, in cui avevo attinto una dimensione spirituale unica, una sorta di fascio bruciante di energia interiore. Parole e idee sembrano tratte da un flusso magmatico. Si intravede e intrasente un contatto, la vicinanza di un fondo – o di un apice – sempre imminente.”

Segue una nota critica, avente come titolo “Una metafisica della Figura”, firmata dal cultore di filosofia Davide Inchierchia, ed indirizzata all’esplicazione non solo dell’importante tema affrontato (l’Origine assoluta) ma, come si leggerà in questo estratto, l’accento cade anche sulla forma letteraria utilizzata: il frammento.

Per quanto il frammento, con la sua caratteristica a-sistematicità, costituisca senz’altro la cifra formale dell’opera, non si tratta di un testo ‘frammentario’. Nonostante il carattere visionario, a tratti rapsodico, di un flusso interiore a prima vista di difficile decifrazione, è possibile coglierne – quasi musicalmente, ad una lettura lenta – la pulsante trama unitaria. Come accade negli illustri esempi letterari o filosofici di pensiero aforistico cui l’Autore si volge più o meno direttamente (Pascal, Kierkegaard, Schopenhauer, ma soprattutto Novalis) negli Aforismi ricerca conoscitiva, riflessione speculativa e meditazione spirituale si fondono con sapienza cercando di attingere l’unico Centro: la Cosa ultima, l’Origine assoluta nella quale materia e coscienza, immanenza e trascendenza – anziché ipostasi separabili – entrano in risonanza quali emanazioni sostanziali di una viva Essenza che di sé permea ogni creatura ed ogni natura.” – Davide Inchierchia

Aforismi di luce” è suddiviso in nove capitoli: “Trasformazioni”, “Il pensiero come visione”, “l’Universo”, “Il movimento unico”, “L’azione creatrice”, “Pensieri della sera (undici movimenti)”, “Nuove trame di luce”, “L’oasi nel profondo”, “Bianche schiume del molo”. Segue una postilla dell’autore e chiude la postfazione dell’editore Silvano Negretto dal titolo: “Dire l’indicibile”.

Ogni giocatore non soltanto gioca, ma è anche giocato. Come il gioco, l’opera poetico-artistica come la speculazione scientifico-filosofica sono esperienze in cui il fruitore – come l’autore – è coinvolto: eventi a cui l’uomo partecipa nel divenire suo proprio e della storia culturale del suo tempo. In sintonia con Sini e Gadamer, gli Aforismi di Borghi viaggiano sulla lunghezza d’onda di una “immaginazione creatrice” che, come annotavamo nella conclusione degli appunti di lettura a L’anima sinfonica (Negretto, 2017), ci pare protesa “ad una cultura del futuro, in direzione di una ricerca sempre in divenire, fonte di ulteriori stimoli per la poesia e la letteratura contemporanea”.” – Silvano Negretto


Le librerie, per eventuali richieste dei lettori, sono tenute a rivolgersi ai distributori regionali che sono indicate nel sito Negretto Editore.


Written by Alessia Mocci

Responsabile dell’Ufficio Stampa di Negretto Editore


Info

Sito Negretto Editore

http://www.negrettoeditore.it/

Acquista “Aforismi di luce”

https://www.ibs.it/aforismi-di-luce-libro-claudio-borghi/e/9788895967387

Postfazione “Dire l’indicibile”

https://oubliettemagazine.com/2020/05/15/dire-lindicibile-delleditore-silvano-negretto-la-postfazione-de-aforismi-di-luce-di-claudio-borghi/

Pagina Facebook Negretto Editore

https://www.facebook.com/negrettoeditoremantova/

Gruppo Facebook di discussione Utopia

https://www.facebook.com/groups/utopiadiscussionefilosofica/


Fonte

https://oubliettemagazine.com/2020/08/24/in-libreria-aforismi-di-luce-di-claudio-borghi-edito-da-negretto-editore/

26 agosto 2020

LA SFIDA DELL'ADOZIONE cronaca di una terapia riuscita di Luigi Cancrini a cura di Miriam Ballerini


LA SFIDA DELL'ADOZIONE cronaca di una terapia riuscita di Luigi Cancrini

© 2020 Raffaello Cortina Editore

ISBN 978-88-3285-165-6

Pag. 198 € 19,00


Questo manuale è stato scritto soprattutto per studenti di psicologia e di psicoterapia. Sulla quarta di copertina troviamo scritto: Come dare risposte efficaci alle difficoltà di una famiglia adottiva.

Pertanto, uscendo dallo schema degli studenti, dei terapeuti e dei didatti, possiamo asserire che questo saggio possa essere utile anche alle famiglie che hanno pensato di adottare dei bambini o dei ragazzi.

Lo affermo con sicurezza perché, presentandoci la storia di una famiglia con problemi che elencherò qui di seguito, ci si addentra in una lettura che richiede sì attenzione, ma che è alla portata di tutti. Il dr.Cancrini non adopera una terminologia medica ostica ai più; ma si fa ben comprendere anche da chi è a digiuno della materia.

Inoltre, basta vedere come è studiato il libro: troviamo il suo modo di operare, cioè con tutta la famiglia coinvolta. Riporta il dialogo che, anni fa, ha registrato. Vediamo il suo atteggiamento, la sua interpretazione. Quindi segue una spiegazione di quanto sta accadendo e di come si sia approcciato, senza nascondere, anni dopo, anche i suoi dubbi. Perché in quel caso avrebbe potuto reagire in modo diverso; oppure avrebbe potuto evitare di dire alla famiglia che anche lui è un padre adottante, perché, di solito, il terapeuta non deve mai parlare di sé e della sua vita privata.

Infine troviamo il commento di Martina Fossati, colei che lo ha aiutato a trascrivere i nastri e ha seguito, con questo metodo a distanza, la terapia, imparando a sua volta alcuni metodi.

Ma vediamo nello specifico di chi si è occupato questo saggio: troviamo la famiglia composta da mamma e papà (non sono mai riportati i loro nomi), che in Ucraina hanno adottato Maria e Aleksey. I due bambini, ora adolescenti, erano stati messi in un istituto, dopo vari spostamenti, in uno dei quali i due fratelli erano stati divisi, cagionando loro un grande dolore.

Il padre è violento e beve, la madre fa la prostituta per guadagnarsi da vivere. I due fratelli vengono portati via dalla famiglia alla quale viene levata la patria potestà.

I due genitori adottivi si rivolgono a degli esperti, uno dei quali è il dr. Cancrini, perché Aleksey ha manie suicide, si taglia, dice un sacco di bugie, a volte fugge.

Ecco che il lavoro del terapeuta entra in gioco in maniera importante: si nota proprio il suo lavoro che prevede che lui non solo abbia a che fare con la famiglia odierna; ma deve tenere conto anche e soprattutto di quella naturale.

Subito si nota come i bambini provino rabbia per l'abusante, il padre naturale; ma anche per chi sa e non ha fatto nulla per salvarli, ossia la madre naturale.

Il compito del terapeuta, in questo caso, è quello di far fare loro pace col passato, col vissuto. Affinché possano proseguire la loro vita nella nuova famiglia, con serenità.

Tutti i genitori hanno paura, ma quando i figli sono adottivi questa è ancora più grande perché c'è una responsabilità maggiore”. Scrive il dottore.

Nomina diversi psicoterapeuti del passato, ma essenzialmente di rifà a Freud: “La grande scoperta di Freud, è quella che ci ha permesso di considerare le esperienze traumatiche dell'infanzia, rimosse e custodite nell'inconscio, come la causa lontana del disturbo accusato dal paziente adulto”.

Cancrini si pone come facilitatore della comunicazione fra i membri della famiglia. Da una parte aiuta mamma e papà con le loro difficoltà a comprendere i comportamenti dei due ragazzi; dall'altra sprona i due ragazzi con domande e commenti alle loro risposte.

Spesso chi viene adottato prova sensi di colpa nei confronti di chi non ha avuto la sua stessa fortuna.

Troviamo una bellissima frase: “Amare e abbracciare quello che l'altro è, anche il suo passato”. Perché, quando un figlio arriva già grande, da una situazione spesso traumatica, non è giusto fare tabula rasa del vissuto. Va capito, ascoltato, custodito. È comunque parte di ciò che l'individuo è.

Dopo diversi anni di terapia troviamo la famiglia con nuove prospettive: Maria ha voluto fare la parrucchiera e studia danza. Aleksey voleva diventare psicologo, alla fine ha scelto di lavorare nel campo delle attività sociali.

I genitori hanno potuto ridedicarsi a tempo pieno al loro lavoro, dopo essersi impegnati tanto a favore dei figli.

La famiglia che qui si è costruita è davvero un esempio che non è facile trovare, nemmeno nelle situazioni che potremmo definire “normali”, cioè con figli naturali.

Innanzitutto, mamma e papà sono stati così intelligenti e sensibili da rivolgersi a qualcuno e a chiedere aiuto. Questo non accade così spesso.

Perciò il primo plauso va assolutamente a loro.

In secondo luogo, i due ragazzi, hanno saputo mediare fra la vita di prima e quella odierna, capendo che avevano avuto la grande fortuna di trovare una famiglia dove poter essere felici.

In terzo luogo, il lavoro del terapeuta è stato essenziale, fatto con sensibilità e delicatezza d'animo, tanto da essere considerato, alla fine, uno di famiglia.

I due ragazzi, coi genitori, chiudono le pagine del saggio dopo aver preso la decisione di voler tornare in Ucraina, per poter camminare e respirare, e saggiare, quanto avevano vissuto nei loro primi sette anni di vita.

All'inizio del libro troviamo la prefazione di Francesco Vadilonga. In fondo le riflessioni conclusive, dove viene spiegata anche la situazione iniziale di Aleksey, cioè il disturbo bordeline di personalità. Inoltre c'è l'elenco di tutti i riferimenti che troviamo lungo le pagine, con le loro note esplicative.

Aggiungerei una piccola nota sulla copertina: dove spicca una casetta fatta coi mattoncini di legno, mancante di un lato, ma completa di fondamenta e di tetto. Ritengo sia esplicativa in modo davvero geniale di quanto andremo a leggere. La famiglia vista come casa, solida, ma priva di un lato, cioè di quel vissuto che manca da inserire nel nuovo contesto. Chiedo venia se ho dato una interpretazione errata, ma è quanto mi ha comunicato spronando la mia fantasia!


© Miriam Ballerini


fonte

https://oubliettemagazine.com/2020/08/20/la-sfida-delladozione-di-luigi-cancrini-cronaca-di-una-terapia-riuscita/ 

LAULETTA ERCOLE. UN’ESPERIENZA FORTE: “DALLE INTOLLERANZE ALIMENTARI ALL’AFASIA”! a cura di Vincenzo Capodiferro

 


LAULETTA ERCOLE. UN’ESPERIENZA FORTE: “DALLE INTOLLERANZE ALIMENTARI ALL’AFASIA”!

Esperto di allergie alimentari ha vissuto un dramma esistenziale coraggioso ed autentico


La storia di Lauletta Ercole è veramente un unicum di vita e speranza. La famiglia di Ercole era originaria di Castelsaraceno, in provincia di Potenza. Il padre, Lauletta Emanuele era fratello di Senatro, noto sindaco della DC lucana, e di Padre Osvaldo, religioso missionario. Emanuele faceva il segretario comunale in giro trai paesi della Lucania. Ercole infatti è nato a Carbone, un remoto borgo dell’entroterra. Nella giovinezza è vissuto, insieme alla famiglia, a Potenza. Il padre infatti aveva preso una casa là, pur viaggiando in vari paesi per ottemperare al suo ufficio, come a Pignola e a Pietragalla. Vive la giovinezza nel capoluogo lucano, insieme alle sorelle, tra cui Angela Lauletta. La dottoressa Angela Lauletta dopo 30 anni ha vinto il ricorso per il mancato riconoscimento del suo legittimo diritto di primario di ginecologia presso l’Ospedale di Potenza. Ha seguito sempre il fratello nelle sue vicissitudini. Dopo aver fatto il militare, a 20 anni, giustamente il padre, invia Ercole insieme agli altri figli a Roma per farli studiare. Compra loro una casa nella capitale: è l’abitazione dove ancor oggi Ercole risiede. Ercole non è pronto per gli studi, si rivolge, invece, ad un sacerdote, don Edoardo, che lo indirizza presso la Sarma-Allergene, vicino Tivoli. Ercole entra là e si mette a lavorare. Al buon papà dice sempre: - gli studi vanno bene! Invece lavora e fa esperienze molto incisive nel campo delle allergie. È qui che matura tutto il discorso sulle intolleranze alimentari, in anni in cui, in Italia, il problema non era neppure sfiorato. Collabora con l’allergologo romano Businco Lino. L’intolleranza alimentare diventa il fulcro di tutta l’attività e l’attenzione del nostro. Escono studi importanti come: “Endometriosi, alimentazione e intolleranze alimentari”, insieme ad Angela Lauletta. E insieme al dott. A. Pelliccia: “Rapporti tra alimentazione ed epilessia”, frutto di uno studio su 25 bambini affetti dal sacro male. Sono studi importanti che denotano appunto che l’alimentazione è tutto. E questo discorso ha origini antichissime e si ricollega alla nutraceutica, o la scienza dell’alimentazione dell’Antica Medicina, con Ippocrate. Ancora oggi i medici prestano il giuramento di Ippocrate. È chiaro che l’uso del cibo-farmaco deve farci riflette sull’uso dei farmaci convenzionali che sempre di più tendono ad essere più che curativi, durativi per tutta la vita. Il cibo naturalmente si allontana sempre di più dalla sana produzione. Ricordiamo che le farine e gli zuccheri super-raffinati non aiutano la sana digestione. La scuola medica salernitana tra le sue massime annovera il famoso: prima digestio est in ore. Prima quando i forni, a mattoni di terracotta, funzionavano in ogni casa e il lievito madre girava di casa in casa, si facevano immani panelle. La gente mangiava tanto pane senza problemi. Perché la farina dei vecchi mulini era ricca di crusca. E quanto vino si beveva! Perché era naturale, non colmo di solfiti. L’alimentazione è il punto fondamentale di tutta l’esistenza umana. Lauletta Ercole ha dedicato tutta la sua vita a questo problema. Dopo 15 Anni di lavoro nella Sarma, ha lascito ed ha fondato nuove società, insieme ad altri soci, che si dedicano totalmente al problema delle intolleranze alimentari. Viaggia molto all’estero. Si reca negli Stati Uniti dove cominciano a fare i test sulle intolleranze alimentari. Lo riporta in Italia ove avvia un nuovo test all’avanguardia. Siamo proprio agli arbori dello sviluppo di questi problemi in Europa. Viaggia spesso in Europa ove tine convegni e corsi sul problema delle intolleranze, soprattutto nei paesi dell’est, in particolare in Romania e in Russia. In Bielorussia lavora per la correzione delle abitudini alimentari presso gli sportivi. È stato a Cuba. Ha diretto diverse società, tra cui Cito-diagnostic, con sede a San Marino. Tra il 6 e il 7 dicembre del 2013 si trova di nuovo in Romania, a Bucarest. Il 16 gennaio del 2014 succede un fatto che stravolgerà tutta la vita di Ercole. Si trova a Tirana, in Albania, per tenere un convegno sulle intolleranze alimentari. Si sente malissimo, non riesce a far nulla, prende il primo volo per Roma e diritto al Gemelli: una gravissima trombosi celebrale. Sta in coma per due mesi. Si risveglia in gravissime condizioni: disagi motori ed una spiccata afasia. Cade in una profonda, inevitabile depressione. In molte interviste poi Ercole racconterà questo profondo disagio, derivante soprattutto dalla perdita della capacità di parlare, dalla caduta nell’abisso del silenzio. È una condizione veramente gravissima. L’uomo è per natura, un ente dialogante, oltre che politico, come ci insegna il grande Aristotele. È l’animal symbolicum di Cassirer. Il linguaggio è tutto. Ma ecco che succede l’inaudito, il miracolo: un giorno Ercole si mette a camminare da solo, si alza dalla saletta d’ospedale e cammina e poi, piano piano, piano piano, aiutato dalle solerti cure dei logopedisti dell’Asl romana, ricomincia a parlare. Parla per ore ed ore ed esce dal tunnel dell’afasia, sostenuto in questo percorso, in tutto e per tutto, dalla sua amata Laura e dai figli. Certo, non recupera appieno tutte le facoltà cognitive, ha difficolta a leggere e scrivere, ma ha recuperato tantissimo la parola, il Logos. Il Logos era tutta la sua vita, il Logos-pharmakos di Gorgia, insieme al cibo-farmaco: tutto ha a che vedere con la bocca, con l’Os, l’oralità, sia il cibo che la parola. Ecco perché la vita stessa di questo uomo straordinario ci dimostra il legame appunto tra intolleranze alimentari ed afasia. Riprende a lavorare. Fonda Nutri-News, un’importante società che si dedica al problema dell’alimentazione. È anche un sito ricchissimo di spunti ed iniziative legate alla sua personalità ed la problema delle intolleranze alimentari, su cui Ercole Lauletta ha lavorato tutta la sua vita. Ercole è stato molto aiutato dall’Asl, ma anche dalla associazioni, come l’Aita del Lazio, di cui fa parte pienamente ed è nel direttivo. Tutta la sua vicenda ci deve far riporre l’attenzione su tanti malati di afasia, conseguenti a traumi cranici, ad ictus, stati comatosi e quant’altro. Se tante persone fossero sostenute correttamente certamente potrebbero recuperare, almeno in parte, quel Logos, come ha fatto Ercole, un fortunato, come si dice egli stesso. Ma tanti sofferenti di afasia, invece si rinchiudono in casa e crollano in un lungo stato di depressione che li condanna ad un’esistenza veramente tormentata. In Basilicata e Calabria non c’è l’Aita: quanti malati sono abbandonati a loro stessi! Sono tantissimi. La società dovrebbe prendere a cuore gli ammalati, come faceva una volta: nessuno veniva abbandonato a se stesso. Oggi è molto difficile prendersi cura, soprattutto delle zone marginali della società: gli infanti e gli anziani. Sono persone abbandonate: ecco perché i giovani sono disorientati, immersi totalmente in un mondo virtuale, ma inautentico, ed i vecchi si avviano molto più precocemente alle malattie della terza età, tra cui abbondano demenze, e così via. L’esperienza di vita di Ercole è davvero forte: una vita dedicata al problema delle intolleranze alimentari, una vita che crolla, precipita nel silenzio primordiale, una vita che riemerge dagli abissi e si racconta e ci racconta questo viaggio bellissimo, che passa attraverso una “Notte Oscura”, come quella di Giovanni della Croce. Dalla luce alle tenebre e di nuovo alla luce: una resurrezione ante litteram. I lettori possono seguire le interviste di Ercole Lauletta sul suo sito dedicato a Nutri-News: è veramente un viaggio sensazionale, una lezione d’amore e di dedizione che molto ha da dirci sull’esistenza, sulla quotidianità, sull’importanza stessa del nostro stare qua.

Vincenzo Capodiferro

21 agosto 2020

Jean-Claude Izzo Casino totale a cura di Marcello Sgarbi

 

Jean-Claude Izzo

Casino totale – (Edizioni e/o)


Collana: Tascabili

Pagine: 240

ISBN 9788876417399


Vi è mai capitato di guardare un’opera di architettura, un reperto antico, la piazza di una città che non conoscete con il desiderio di capire la loro storia e, insieme, con la frustrante consapevolezza di non riuscire a leggere quello che vi raccontano? A me sì, ed è allora che penso ad autori come Jean-Claude Izzo, ancora troppo sottovalutato. In questo noir, a metà strada tra il neorealismo italiano e il Rififi di Le Breton e primo della trilogia marsigliese proseguita poi con Chourmo e Solea, asciutto nei dialoghi, sciolto nella narrazione, preciso nei ritratti di Ugo, Lole e Fabio, il terzetto intorno a cui si intreccia la vicenda, è Marsiglia la vera protagonista. Izzo ci porta lì, nella sua città sempre a metà strada tra la tragedia e la luce”, anche se non ci siamo mai stati, con la stessa abilità con cui Ellroy, Montalbàn e Pennac ci fanno conoscere Los Angeles, Barcellona e Belleville. Una bella donna da ammirare o, se preferite un’immagine meno romantica, un vero porto di mare dove si mescolano visi, razze, odori, suoni, quartieri e angoli di strade: questa è la Marsiglia di Izzo. E, da esteta qual è, raffinato nei gusti, ci accompagna a visitarla sulle note dell’oud, del jazz di Billie Holiday o del Gelato al limon di Paolo Conte, per farci apprezzare tutte le sfumaturedi una città semplice e nello stesso tempo complessa.


Marsiglia non è una città per turisti. Non c’è niente da vedere. La sua bellezza non si fotografa. Si condivide. Qui, bisogna schierarsi. Appassionarsi. Essere per, essere contro. Essere, violentemente. Solo allora, ciò che c’è da vedere si lascia vedere. E allora è troppo tardi, si è già in pieno dramma. Un dramma antico dove l’eroe è la morte”.

Mi accovacciai davanti al cadavere di Pierre Ugolini. Ugo. Ero appena arrivato sul posto. Troppo tardi. I miei colleghi avevano giocato ai cow-boys. Quando sparavano, uccidevano. Semplice. Seguaci del generale Custer. Un buon indiano è un indiano morto. E a Marsiglia erano tutti indiani, o quasi…”.

"Erano otto. Tra i sedici e i diciassette anni. Salirono a Vieux-Port. Li aspettavamo alla fermata Saint-Charles-Stazione SNCF. Erano raggruppati nella parte anteriore del convoglio. In piedi sui sedili, battevano sulle pareti e sui vetri come su tamburi, al ritmo di una radio K7. Musica a tutto volume. Rap, chiaramente. IAM: un gruppo marsigliese alla moda. Lo si sentiva spesso su Radio Grenouille. Mandava in onda tutti i gruppi rap e ragga di Marsiglia e del Sud. IAM, Faboulous, Trobadors, Bouducon, Hypnotik, Black Lion. E Massilia Sound System, nato tra gli Ultrà, nella curva sud dello stadio Velodrome. Il gruppo aveva diffuso la febbre del ragga hip hop ai tifosi dell'Olympique Marsiglia, poi all'intera città”.

Parlammo di tutto e di niente. Lei più di me. Con languore. Staccando le parole come se stesse sbucciando una pesca”.

Nelle mie braccia Marie-Lou diventava sempre più leggera. Il suo sudore liberava le spezie del corpo. Muschio, cannella, pepe. Anche basilico, come Lole. Amavo i corpi speziati”.

(c) Marcello Sgarbi

Il bibliotecario di Roberto Bertazzoni

 

Il bibliotecario di Roberto Bertazzoni


La biblioteca, qui in carcere, è un po' come una piccola isola felice. Un piccolo grande serbatoio di cultura e di svago in un ambiente sicuramente difficile.

Il senso di questa opportunità è dato dalla possibilità, da parte dei detenuti e del personale dell'istituto, di fruire del prestito di libri dati quindi in lettura per un certo tempo.

Si tratta libri riguardanti la narrativa: gialli, fantascienza, saggistica, economia, scienze naturali, matematica, astronomia, storia, geografia, arte filosofia, letteratura, psicologia, informatica, religione, scienze sociali, tecnologia, musica, cinematografia , cucina, lingue straniere e fumetti.

Quando ho iniziato questo lavoro, ho capito subito che non si trattava di un impiego comune come quelli per far scorrere i giorni. Proprio no: era qualcosa di diverso.

Qui attraversiamo tutti dimensioni di solitudine, sofferenza, preoccupazione, dolore, sgomento, pentimento.

È un micromondo di persone che hanno sbagliato e, tante di loro, incluso me, cercano di trasformare questa esperienza di vita vissuta in una opportunità.

L'opportunità di cambiare.

Allora ho capito che dovevo essere il bibliotecario “d'attacco”, che dovevo scovare il lettore che, a volte per pigrizia o disabitudine, si cela molto bene nelle persone.

Ho capito che, tra le altre cose, anche un libro può costituire, soprattutto qui, un mondo da scoprire e nel quale tuffarsi.

Immergersi nella lettura per capire, conoscere, studiare, svagarsi, risvegliarsi, staccare. Dal non sens di una qualche vita senza significato, senza un credo, né speranza, se non il tempo che scorre.

Così ho iniziato a dialogare, a chiedere con insistenza quali potevano essere i loro interessi; gli hobby, le curiosità, oppure le semplici esigenze di ogni singola persona che mi trovavo davanti.

Stabilito un contatto di questo genere, ecco che scatta il bibliotecario “attivo”; quello che propone, cerca, annota le richieste. Porta sempre più libri per scatenare reazioni, interesse.

E, dal momento che ad ogni azione corrisponde una reazione, ecco succedere che, al mio ingresso in alcune sezioni, si manifesta spesso quello che ironicamente definisco “l'assalto al furgone postale”.

Si precipitano al mio carrello di esposizione dei libri per accaparrarsi quelli migliori e i più richiesti. Toccando e mettendo tutto in disordine; ma ci sta, va bene così. Questo è interesse, questo è positivo.

Qualche tempo fa un detenuto mi disse: « Quando vieni tu, per noi è un evento. Sappiamo che quel giorno arrivi e ti aspettiamo ».

Evento? Addirittura! Penso. Poi, però, mi fa piacere.

Certo, non credo d'essere così eccezionale, sono solo un bibliotecario che cerca di trasmettere un po' d'interesse, tutto qui.

L'importante è uscire dalla bolla della staticità, dell'indifferenza, della noia e del tempo che scorre improduttivo.

Penso che anche da qualcosa letto in un libro possa scaturire una riflessione sul nostro vissuto, di conseguenza, un'apertura che può portare a decisioni e a svolte.

La strada del cambiamento può passare attraverso un libro, una frase che ci ha colpito, un pensiero.

Nelle parole di altri che raccontano le proprie esperienze, si può trovare un'illuminazione, un credo, o le radici di una nuova filosofia di vita.

Diceva M.L. King: “I have a dream”. Io ho un sogno.

Ebbene, penso che, in un posto come questo, qualcuno il suo sogno lo potrebbe anche straordinariamente ritrovare in un semplice libro.

06 agosto 2020

Palmiro Togliatti visto dal professor Angelo Ivan Leone

 

 
Palmiro Togliatti visto dal professor Angelo Ivan Leone

Il compagno integerrimo Ercole Ercoli, ovvero il Migliore dei migliori, al secolo Palmiro Togliatti. Egli lasciò deliberatamente morire in cella il suo compagno fraterno Antonio Gramsci.

Quando il Fascismo si offrì per uno scambio di prigionieri lasciò che la cosa cadesse nel dimenticatoio, per non essere messo in ombra davanti a Stalin, dallo stesso Gramsci, che lo surclassava da ogni punto di vista, da quello umano a quello politico. Per capirlo basterebbe leggere gli immortali ed eterni “Quaderni dal carcere” di Gramsci.

Il Partito comunista di Palmiro Togliatti

Con la svolta di Salerno, Togliatti spostò l’asse strategico del Partito Comunista, non perché costretto, ma per un deliberato calcolo politico che lo portò ad accettare nell’ordine: il re e la monarchia (di qui prese l’avvio la famosa svolta, chiamata così proprio perché i comunisti sino ad allora si erano opposti più di tutti a collaborare con il re fedifrago e fuggiasco), Badoglio, i governi di unità nazionale e la carica di ministro della giustizia, la fine della lotta partigiana di cui il luciferino, ma onesto compagno Giancarlo Pajetta disse “si accorse della forza dei partigiani quando la guerra finì e si appuntò sulla giacca la sua brava stelletta, lui che non aveva combattuto un giorno in tutta la sua vita”: Il Migliore, sempre per suo ponderato calcolo politico fece: l’amnistia allargata a tantissimi fascisti e tanti ne fece entrare nello stesso Partito Comunista, accettò che le odiosissime leggi lateranensi entrassero paro paro nella novella costituzione repubblica del 1948 con queste testuali parole: “questo voto ci permetterà di stare al governo per i prossimi 20 anni”, e fece approvare quelle leggi dai comunisti assieme ai democristiani, contro il parere dei socialisti di un uomo, quello si, rivoluzionario, come Pietro Nenni.

Ecco, alla luce di tutti questi marchiani errori, per sua scelta e non certo perché costretto da non meglio precisati esami di riparazione democratica, possiamo valutare quello che è stato il Partito Comunista di Palmiro Togliatti e già il fatto che sia stato il Partito Comunista di Palmiro Togliatti e non di Antonio Gramsci, la dice lunga su quanto l’idea nella pratica si fosse allontanata da quel sogno, certamente bellissimo, in cui parecchi sembravano aver creduto.

Gli errori storici del Partito comunista

Se poi a questo sogno decaduto dal cielo si aggiungono tutti gli errori compiuti nella sua storia dalla dirigenza comunista, e io ho fatto un excursus su Togliatti, ma nei miei punti ho parlato anche di fasi successive a lui come quella di Berlinguer, potremo avere un quadro più chiaro e più reale del perché quel Partito abbia finito per non essere più una forza propulsiva ma conservativa della fragile democrazia italiana. Gli errori si pagano, e in politica si pagano amaramente.

Detto questo, concludo dicendo che il compromesso storico, come nel caso dei Patti lateranensi, i comunisti ce lo avevano in mente sin dall’inizio, e lo avevano perché era ed è comune al loro dna ideologico. Cattolici e comunisti hanno tantissimo in comune da parecchi punti di vista, da quello filosofico a quello mentale: 1 Solo Dio (Marx), 1 Sola chiesa (Il Partito), 1 Solo Verbo (il Capitale), e gli eretici, al rogo naturalmente, e Dio (Il Partito) riconoscerà i suoi.

Ecco perché l’alternativa di sinistra in Italia è sempre stata quasi una chimera. Quando i comunisti hanno dovuto scegliere, hanno sempre scelto i cattolici democristiani. Avevano un Dio diverso, ma avevano un Dio. I compagni dal dio minore, al massimo si usavano per fare paura, poi, una volta diventato regime, il Pci gli spediva nei Gulag.

Angelo Ivan Leone

“LA RABBIA” ANDREA TRISCIUZZI (resina bronzata) a cura di Maria Marchese

 


“LA RABBIA” ANDREA TRISCIUZZI (resina bronzata) 

“Tutti a dire della rabbia del fiume in piena e nessuno della violenza degli argini che la contengono” . (Bertolt Brecht) 

Andrea Trisciuzzi sconfessa gli argini eretti dal “socialmente accettabile” , quali origine di un processo che snatura e fuorvia l’individuo, allontanandolo dal ricongiungimento col proprio io reale. Egli li divelle, per dirimere la rabbia addentro le sembianze di un urlo lacerante: quello scaturito nell'eco dell’abbandono più intimo e assordante. Esso digrada nel disvelarsi formale e spirituale dell’opera stessa, che si protrae dal 1987 al 2018 “Lieve è il dolore che parla. Il grande dolore è muto” . (Seneca) L’artista romano avviluppa, con le proprie palme, la brutalità sprigionata dall’impotenza, da parte dell’essere umano, di fronte al profondo dolore: ivi ella pulsa e insorge, quale viva e intangibile materia. Ne intuisce le ribellioni e le meste rade per dispiegarne, poi, il canto più solenne. Lo chiama quindi in un unico nucleo essenziale: le mani dell’esteta plasmano l’impeto di un amaro travaglio, trasferendo nella creta la barbarie inflitta da quest’ultimo nei confronti dell’uomo, inteso nella propria interezza. È un'uterina afflizione, che ha origini arcane… nell’io autentico dell’artista. La esprime così in una veste formale, intessuta dalle trame di un palpabile assurdo: l’ossimoro poeta, in esse, traducendo un granitico patimento esistenziale attraverso la duttilità dell’argilla. Andrea Trisciuzzi trasla un significato umano, che asseconda la possanza di frantumare il nucleo primievo dell’individuo, accorpandolo in un eloquio solitario e tacitiano, la cui foggia esasperata e innaturale diviene un muto suono in grado di raggiungere remoti abissi e altresì superne sfere dell’anima. L’autore esprime, attraverso un’apparente frugalità, dignità animiche opposte, enfatizzandone i dettagli formali; nell’opera si evincono, infatti, la rinuncia (dimorata nella genuflessione del soggetto) come la rivolta (le mani, dalle proporzioni volutamente esasperate, serrate a pugno e ricongiunte al petto) , l’invocazione (promanata dalle labbra dischiuse) e altresì la negazione di quest’ultima (la furia, con cui il soggetto reclina all’indietro il capo, rende fallace il tentativo di professare questo totale sconvolgimento) . Nello stesso anno (1987) , l’artista romano realizza l’originale, suggellandone l’essenza viva con la resina. Bronza quindi quest’ultimo per allignarne le radici ad un primievo passato, conferendogli l’importanza di un valore necessario e fondamentale. “Ogni gesto che dalla gente comune e sobria viene considerato pazzo coinvolge il mistero di una inaudita sofferenza, che non è stata colta dall’uomo” . (Alda Merini) Andrea Trisciuzzi risolve questa apparente follia attraverso le proprie opere: esse divengono esaustive dissertazioni visive, che custodiscono intuizioni e sofferenze dimorate in quella diversità, difficilmente colta dalla comunità. “Il rimpianto è il vano pascolo di uno spirito disoccupato. Bisogna soprattutto evitare il rimpianto occupando lo spirito con nuove sensazioni e con nuove immaginazioni” . (Gabriele D’Annunzio) Il percorso artistico dell’esteta romano è scandito da passi precipui, che si traducono in un crescendo di realizzazioni sensibili intense, scelte e inusuali. Esse involvono la feracità di uno spirito, che traduce preziosi deliri attraverso l’eloquenza dell’arte. Quest’ultima diviene il perno unico e decisivo, in grado di contenere una veemenza mentale e animica che, diversamente, potrebbe sfociare nell’umana tristezza e miseria. Per suggellare quest’antica simbiosi, Andrea Trisciuzzi, nel 2018, realizza la gabbia rossa che custodisce questo importante e viscerale plastico.

 Testo a cura di Maria Marchese

04 agosto 2020

Perché lasciare morire Raffaele Cutolo in regime di tortura del 41 bis? a cura di Carmelo Musumeci


Perché lasciare morire Raffaele Cutolo in regime di tortura del 41 bis?

La gente fuori ha diritto di sapere cosa accade dentro un carcere.

Le parole della moglie di Raffaele Cutolo, Immacolata Iacone, dette al Consiglio Direttivo di Nessuno Tocchi Caino, mi hanno molto colpito: “Portatelo dove si possa curare altrimenti mettete la sedia elettrica, sarebbe meglio del 41 bis”.  Perché farlo morire in carcere in quelle condizioni? Non capisco! Se queste parole hanno colpito me che sono cattivo perché lascia indifferenti i buoni con la fedina penale pulita? Molti addetti ai lavori dicono che la sua organizzazione non esiste più. E allora perché? Nel senso comune della stragrande maggioranza delle persone chi commette un reato non solo deve andare in carcere, ma deve anche soffrire, insomma deve ricevere altrettanto male di quello che ha fatto. E questo avrebbe anche senso, anche se non sono d’accordo, se servisse a dare sollievo alle vittime dei reati, ma purtroppo la vendetta, anche quando è prevista dalla legge, quasi sempre fa più male a chi la invoca che a chi la riceve. Giustizia non dovrebbe voler dire vendetta, ma compassione verso chi ha fatto del male. È la compassione che ti fa sentire colpevole e ti fa uscire il senso di colpa, non certo il regime di tortura del 41 bis o la “Pena di Morte Viva” (l’ergastolo) che, invece, alla lunga ti fanno sentire innocente, anche se non lo sei.
In nome della lotta alla mafia, o della finta sicurezza, ormai nelle nostre “Patrie galere” sta succedendo di tutto, boss in disuso vecchi e malati lasciati morire come vegetali, ergastolani entrati giovani destinati a marcire in carcere, suicidi, pestaggi e torture, malasanità ecc. Molti professionisti dell’antimafia pensano che questo sia l’unico modo per sconfiggere le organizzazioni criminali, ma ne dubito molto se siamo ancora a scrivere e parlare di questi fenomeni. Piuttosto penso il contrario, credo che certe reazioni esclusivamente punitive, senza nessuna speranza, rafforzino la cultura deviante, come da decenni sta accadendo. D’altronde la mafia è una mentalità, una cultura e anche se a molti può sembrare strano, si può essere mafiosi senza commettere nessun reato, anzi molti di loro spesso ormai fanno finta di lottare contro questi fenomeni. Insomma, a mio parere, lo Stato nel contrastare questi fenomeni sta sbagliando tutto, una pena vendicativa, e che faccia esclusivamente male, fa male soprattutto ai cittadini, che pagano le tasse per alimentare la cultura deviante e mafiosa. Penso che la pena dell’ergastolo sia una pena stupida e inutile, che distrugge il presente e il futuro a chi lo sconta e non dia vita a nessuna vita. È disgustoso essere contro l’abolizione dell’ergastolo per solo consenso sociale o politico e citare in modo strumentale le vittime, perché come dice Agnese Moro, figlia di Aldo Moro: “La sofferenza dei colpevoli non allevia il dolore delle vittime”. 
Credo piuttosto che alle vittime dei reati interesserebbe far uscire ai colpevoli il senso di colpa per il male fatto e penso che questo sia più facile con una pena che faccia bene e che dia speranza, altrimenti il carnefice si sentirà a sua volta vittima, senza chiedersi mai quanto dolore ha inferto, ma rimanendo perennemente concentrato sul suo.
Lasciare morire Raffaele Cutolo in regime di tortura del 41 bis, esclusivamente per il suo passato, per lo Stato sarebbe una sconfitta morale, perché in certi ambienti sarebbe un segnale -negativo- che lo Stato è più disumano e cattivo di loro. 

Carmelo Musumeci
Agosto 2020 

03 agosto 2020

Mark Haddon Lo strano caso del cane ucciso a mezzanotte a cura di Marcello Sgarbi

Mark Haddon

Lo strano caso del cane ucciso a mezzanotte - (Edizioni Einaudi)


Collana: Supercoralli

Pagine: 248

Formato: Brossura

ISBN 9788806166489

Di autismo si parla ormai da diverso tempo prendendo ad esempio soprattutto casi celebri, fra cui lo scrittore Nick Hornby, l’illustratore Jean-Michel Folon o l’ancora più noto attore Sylvester Stallone, tutti padri di figli affetti dalla sindrome.

Il rischio è quello di spettacolarizzarlo, come è del resto già successo anni fa nel film Rain man, interpretato da Dustin Hoffman. Allora, se anche voi state aspettando che qualcuno vi parli di autismo senza stereotipi, in un modo curioso e divertente oltre che istruttivo, Mark Haddon è la persona giusta.

L’autore prova a farci conoscere meglio questo disturbo pervasivo dello sviluppo attraverso l’io narrante di Christopher Boone, un quindicenne affetto dalla sindrome di Asperger, una forma particolare di autismo.

Protagonista di una storia che definire gialla è senz’altro riduttivo, Christopher si inventa detective e, sulle orme di Sherlock Holmes, uno dei suoi miti letterari, cerca di risolvere il caso, apparentemente banale ma insieme interessante per aprire lo sguardo su una prospettiva inedita.

La vicenda, in realtà, è un pretesto di cui Haddon si serve per portarci sul vero terreno d’indagine: la scoperta di una persona speciale, dei suoi affetti e del suo mondo che, anche se presentato in maniera un po’ troppo romanzata in alcuni dei suoi aspetti, ci invita a riconsiderare i nostri rapporti, con gli altri e con noi stessi.


Il mio non sarà un libro divertente. Non sono capace di raccontare le barzellette

o fare giochi di parole perché non li capisco. Eccone uno, per esempio.

Uno di quelli che racconta mio padre.


Aveva la faccia un po’ tirata, ma solo perché aveva chiuso le tende.


So perché dovrebbe far ridere. Gliel’ho chiesto. È perché il verbo tirare in questa frase ha due significati diversi: 1) essere tesi, esausti, 2) tirare le tende, e il significato 1

si riferisce solo all’espressione del viso, il 2 soltanto alle tende.

Se cerco di ri-raccontarmi questo gioco di parole mentalmente, cercando di pensare

ai due diversi significati del verbo, per me è come ascoltare

due differenti brani musicali allo stesso tempo; mi sento a disagio e fuori posto

come quando mi arriva quel rumore indistinto di cui parlavo prima.

È come se due persone diverse mi parlassero tutte insieme contemporaneamente

di due argomenti diversi. Ed ecco perché in questo libro

non ci saranno giochi di parole”.


Decisi che avrei scoperto chi aveva ucciso Wellington, anche se mio padre

mi aveva ordinato di non ficcare il naso negli affari degli altri.

Perché non faccio sempre quello che mi dicono di fare. Perché quando qualcuno

mi dà degli ordini, di solito sono cose che mi confondono

e che non hanno nessun senso. Per esempio quando dicono ‘Sta zitto’,

ma non specificano per quanto tempo devi stare zitto. Oppure se su un cartello

vedi NON CALPESTARE IL PRATO, in realtà dovrebbe esserci scritto

NON CALPESTARE IL PRATO INTORNO A QUESTO CARTELLO

oppure NON CALPESTARE IL PRATO DI QUESTO PARCO,

perché invece ci sono molti prati su cui si può camminare.


La gente non rispetta mai le regole. Mio padre per esempio va a più di 90 chilometri all’ora nelle strade dove non si devono superare i 90 chilometri all’ora, e qualche volta guida dopo aver bevuto e spesso non si mette la cintura di sicurezza quando prende il furgone. E nella Bibbia si legge ‘Non uccidere’, ma ci sono state

le Crociate e due Guerre Mondiali e la Guerra del Golfo e in ognuna di queste guerre dei cristiani hanno ucciso dei loro simili”.


© Marcello Sgarbi



ADDIO AL PATTO DI STABILITA’ STUPIDO di Antonio Laurenzano

ADDIO AL PATTO DI STABILITA’ STUPIDO di Antonio Laurenzano Addio al “Patto di stu...