PARATISSIMA
Torino 2020 – Art Station
23 ottobre – 01
novembre 2020
Ex Accademia Artiglieria
- Torino
Di Marco Salvario
Quest’anno Paratissima
ha cambiato formula, cercando di adattarsi alle severe regole di
questo interminabile periodo di pandemia, e nella sua storica
esibizione torinese ha provarsi a spezzarsi in quattro momenti
distinti. Purtroppo i decreti legislativi sempre più rigidi hanno
permesso solo al primo evento “STOP 1 – Nice & Fair |
Contemporary visions” di avere luogo, mentre gli altri tre sono
stati rinviati a data da destinarsi.
Non è questa l’occasione
adatta per ripetere le critiche che da qualche anno faccio sul sempre
più evidente tradimento dei principi che avevano fatto nascere
Paratissima, in questo momento si deve solo lodare lo sforzo
eccezionale che è stato compiuto per permetterle di accogliere gli
artisti e i visitatori in sicurezza e nel rispetto delle normative,
offrendo una buona qualità e quantità di opere. Sono stato tra i
primissimi visitatori paganti ammessi e ho trovato che
l’organizzazione era perfetta e la mia visita è avvenuta in
perfetta tranquillità.
Chissà perché mentre le
precedenti manifestazioni indicavano con fierezza la propria
edizione, questa volta Paratissima non si chiama Paratissima 16,
forse per il significato del numero nella smorfia napoletana, dove il
sedici è la fortuna cioè ‘o culo, oppure per evitare la mala
sorte della prossima Paratissima 17, oppure semplicemente perché,
come una signora che scopre qualche accenno di rughe sul viso, vuole
nascondere la propria età.
Sorvolo sui 9 euro da
pagare per l’ingresso, giustificabili con le aumentate esigenze di
sicurezza, però sono imbarazzanti per un’iniziativa per molto
tempo gratuita e che ora offre al visitatore molte meno opere e
artisti. E meno fantasia.
Il sito dell’ex
Accademia Artiglieria, Art come artiglieria e Art come arte, è stato
confermato dopo l’esperienza dell’anno scorso pur se su spazi
ridotti; è una sistemazione accattivante e si spera possa essere uno
stimolo al recupero di tutta l’area. Purtroppo fare affidamento su
un interessamento costruttivo delle istituzioni cittadine è inutile,
la mancanza di denaro e di capacità di tali persone condanna Torino
a un decadimento inesorabile.
Prima di iniziare la mia
personale analisi dell’evento, lasciatemi puntualizzare:
Le segnalazioni e i
giudizi che leggerete in quest’articolo sono pareri personali e
riguardano artisti che mi hanno colpito favorevolmente. Se uno degli
espositori si trova citato, è perché la sua opera mi è piaciuta.
Se non si parla di lui, o non mi ha interessato, o il caso ha voluto
che le sue opere mi sfuggissero, o non ho trovato lo spunto giusto
per commentarlo.
L’elenco che segue
non è una classifica ed è nato dalla sistemazione delle fotografie
che ho scattato, collegata al percorso di visita.
RE
Interessanti le opere del
progetto espositivo “Prospettiva rifugio” a cura di Valeria
Cirone, Paola Curci e Lin Lin. Molto attuale lo spunto: “Dai limiti
del confinamento alla riscoperta personale”. Ogni uomo, anche il
più giramondo, ha bisogno di un posto che deve sentire suo,
dove è protetto e dove da dove può osservare che cosa lo circonda.
Un nido, una tana, un riparo da sentire casa.
In tale progetto, l’opera
di RE “Né in cielo né in terra” ci colloca davanti a una
finestra chiusa, dal legno grezzo e pesante. Fuori forse c’è un
bosco, però non ha importanza. La finestra è al tempo stesso
prigione e difesa verso un mondo che è libertà e minaccia, che
attira e respinge. Che cosa veramente c’è, fuori dal rifugio?
Vento, freddo, pericolo, eppure l’uomo sa che dovrà uscire prima o
poi, per procurarsi il cibo e cercare il contatto con altri uomini.
Luvol
La Street Art è sempre
più presente nelle gallerie d’arte moderna dove, superati sarcasmi
e perplessità, dimostra la sua vitalità e validità, evidenziando
la sua capacità di denunciare e affrontare le situazioni sociali o
politiche della realtà in cui opera.
Luvol, il suo nome d’arte
è l’anagramma del vero cognome, sa essere testimone attento e
intelligente. I suoi bambini con i volti coperti dalle mascherine
azzurre ammirano e giocano con bolle di sapore: qui la lettura non
può che essere allegorica. Sono simbolo del futuro incerto, quelle
bolle? Sono le illusioni con cui distraiamo quei cuccioli umani
mentre intorno a loro, piccoli che nessuno guarda, il mondo è
malato?
Oltre tutte le possibili
interpretazioni, la capacità di cogliere e inseguire le immagini,
rende Luvol uno degli autori che ho preferito in questa edizione di
Paratissima.
Giu.ngo-lab
Giu-ngo-lab nasce dalla
collaborazione tra Giuseppina Longo (artista) e Angelo Fabio Bianco
(dottore zootecnico); a essi si è in seguito associata Maria Paola
Minerva (designer).
L’installazione
presentata dal titolo “Il mio doppio chiede aiuto”, consiste di
cinque contenitori di vetro che racchiudono al loro interno un volto
di donna che chiede con disperazione di essere liberata. Un nostro
doppio prigioniero di noi stessi, uno dei nostri tanti aspetti a cui
non permettiamo di mostrarsi e realizzarsi per calcolo, imbarazzo o
semplicemente perché non ci sembra adatto alle consuetudini
dell’ambiente dove viviamo. Siamo spaventati e terrorizzati dalla
paura di riconoscerci in lui, eppure quella nostra natura c’è e
palpita in noi, avida di realizzarsi.
Elena Marchesini
Ironia e provocazione
nella figura di Monna Lisa che in abiti moderni, mentre sosta davanti
al proprio ritratto, guarda verso lo spettatore. “What’s Art?”
Che cos’è l’arte, anzi, l’Arte con la “a” maiuscola.
Perché il tempo trascorre cancellando il ricordo di tante opere e di
tanti artisti mentre altri rimangono e addirittura ingigantiscono?
Non si tratta di
imbastire un processo a Leonardo o chiederci se la Gioconda sia
davvero un capolavoro così unico e immortale, ma di interrogarci sul
perché in un’epoca di artisti e opere eccezionali, proprio
quell’immagine abbia avuto le caratteristiche per diventare un
mito. Interroghiamoci, quindi, ma Elena Marchesini sa porci la
domanda accompagnandola con un simpatico e riuscito sberleffo.
Marco Circhirillo
Fotografie realizzate con
la tecnica dell’esposizione multipla, permettono all’artista di
moltiplicare il soggetto per decine di volte, centinaia in “Super
Ego”. “Psicotropie”, le definisce l’artista e uno psicotropo
è una sostanza che agisce sulle funzioni psichiche, come una
medicina o una droga.
Marco Circhirillo non ci
propone un esercito di cloni uguali che invadono il mondo, quanto la
ricerca da parte dell’individuo della propria posizione corretta in
un dato ambiente, quella dove si sente più realizzato, in armonia
con gli altri, anche e soprattutto quando gli altri sono copie di noi
stessi.
Silvia Ottobrini
Con questa artista
entriamo in una dimensione indefinibile, dove la scultura si presenta
incorniciata come la pittura, dove la poesia diventa fiaba, la realtà
si perde in accenti macabri e il tempo non ha più valore. Ogni opera
è un percorso particolare, da interpretare e analizzare, dai
significati criptici, a volte confusi, a volte più convincenti.
“Tout est et n'est
rien”, com’è scritto sul motto degli Challant.
Nell’opera “In
dolore”, dove una mano cuce con filo rosso una ferita profonda con
punti grossolani, sentiamo la crudezza antica e attuale della vita,
eppure nel gesto c’è un atto di aiuto e soccorso.
Eleonora Gugliotta
Quando ho parlato ad
alcuni amici di questa artista, dei capelli neri usati come
arricchimento e ornamento di cartine geografiche, camicie, piatti e,
diciamolo, di un rotolo di carta igienica, ho suscitato un’istintiva
repulsione. Eravamo a tavola e il pensiero di un capello nel proprio
piatto era disturbante.
Potrei evitarmi la
recensione e rimandare il lettore al video “Rito Funebre alla Terra
- Performance di Eleonora Gugliotta” che è possibile trovare su
YouTube o in forma più breve su vimeo, per capire come queste opere
siano intense di suggestione e passione. Le nostre radici
mediterranee e classiche riemergono con forza; il lutto per la nostra
storia tradita, per la Terra che stiamo uccidendo, si palesa in uno
dei modi più istintivi e disperati: una donna che strappa i suoi
bellissimi capelli e li offre alla Terra, in memoria di un passato
che stiamo colpevolmente dimenticando.
L’autrice diventa
sacerdotessa di una religione che venera la natura, lo spirito che
vive nelle cose, l’anima del creato, valori che la modernità
violenta, avvelena e distrugge senza rispetto.
Simone Benedetto
Tra gli artisti che ho
incontrato durante tutte le edizioni di Paratissima che ho seguito,
Simone Benedetto è quello che sempre ha saputo entusiasmarmi e
commuovermi. Non mi ha deluso neppure quest’anno, anzi, come ho già
scritto in passato, in ogni occasione supera se stesso. In “Graft
Room” i corpi umani sono realizzati in jesmonite, un materiale
composito facile (per chi lo sa fare) da intagliare e modellare.
Uomini, soprattutto
adolescenti e bambini, diventano cavie nella cui carne sono innestate
fiale, ampolle e provette per un progetto che sembra ai nostri occhi
di inaccettabile crudeltà. Eppure, quanto siamo vicini a realizzare
davvero simili laboratori, probabilmente giustificando tale
operazione con la possibilità di un bene superiore per altri uomini?
Come sempre l’autore sa
turbare e fare riflettere.
Citazioni veloci
per le fotografie di Laura Ansaloni, le visioni in chiave Street Art
di Mr.Pink, “Memorabilia” di Véronique Torgue, le trasparenti
ceramiche di Aurora Vettori, le interessanti sculture di Arturo
Ianniello, le raffinate stampe di Teresa Carnuccio, la macchina da
scrivere “Lezione di lettere” di Riccardo Bofadini e i collage di
A.Yulia Korneva.