29 marzo 2022

L’UNIONE EUROPEA E LA GUERRA AI RUBLI DELLO ZAR Di Antonio Laurenzano

 


L’UNIONE EUROPEA E LA GUERRA AI RUBLI DELLO ZAR

Di Antonio Laurenzano

Kiev chiama, Bruxelles risponde. In un clima di grande compattezza, linea d’azione unitaria tra gli alleati della Nato, nel G7 e tra i Paesi Ue nei tre vertici tenuti nella capitale belga, con l’intervento del Presidente degli Stati Uniti Joe Biden. Tante le implicazioni belliche ed economiche, unico l’obiettivo: dare una svolta all’aggressione russa in Ucraina, potenziando -a oltre un mese dall’invasione- il coordinamento nella politica sanzionatoria contro Mosca per “ripristinare la pace e la stabilità e sostenere il diritto internazionale”. S’inquadra in tale ottica la conferma del forte sostegno militare e umanitario all’Ucraina e il rafforzamento dell’Alleanza a Est, oltre agli interventi sulle forniture energetiche per azzerare gradualmente la dipendenza di gas, petrolio e carbone russi, fino a giungere al totale boicottaggio bloccando ogni importazione dalla Russia e, di conseguenza, il flusso miliardario di dollari. Uscire cioè da ogni forma di ricatto.

Ma il punto cruciale rimane la reale efficacia delle sanzioni finora decise contro il Cremlino quale deterrente dell’azione bellica. Di forte effetto finanziario risulta il congelamento delle riserve valutarie detenute all’estero (oltre 643 mld di dollari) da Bank Rossii, la Banca centrale della Federazione Russa, per rendere impossibile all’istituto monetario di liquidare i suoi asset, venderli per difendere il rublo, crollato del 42% a seguito dell’invasione e delle sanzioni imposte da Ue e USA. Nessuna possibilità per Mosca di finanziarsi sui mercati internazionali. Una misura degli alleati occidentali finalizzata a fare aumentare l’inflazione, paralizzare il potere d’acquisto e ridurre gli investimenti. Quello economico è il secondo fronte che si è aperto nel momento in cui Putin ha dato l’ordine di invadere l’Ucraina. Un fronte insidioso per la tenuta del regime che ha generato in Europa il timore che Mosca potesse aggirare le sanzioni usando il proprio oro. Nei forzieri della banca moscovita ci sono circa 2.300 tonnellate d’oro, volumi raddoppiati dopo l’invasione della Crimea nel 2014: tesoro che vale circa 140 miliardi di dollari, difficile però da monetizzare per le restrizioni che hanno colpito la Russia. I lingotti fusi nel Paese non sono più accettati nelle maggiori piazze finanziarie, a cominciare dalla City londinese, precludendo così ogni canale di rifornimento valutario.

Una situazione finanziaria che si è ulteriormente aggravata per la Russia dopo l’intervento del consorzio internazionale Swift che, su indicazione della Bce, ha inibito alle maggiori banche russe (oltre il 70% del mercato bancario del Paese) l’uso dei codici di sicurezza necessari per gli scambi Internazionali. Difficoltà a eseguire transazioni per le imprese e le istituzioni russe, con rilevanti danni economici. Bloccate le esportazioni e le importazioni per la impossibilità della regolamentazione dei relativi pagamenti. Da qui “la mossa da pokerista” di Vladimir Putin per ridare forza alla moneta nazionale e rintuzzare le sanzioni: pagamenti del gas in rubli. Gli “Stati ostili” colpiti dal provvedimento dello zar di San Pietroburgo (Italia compresa) dovranno comprare rubli prima di ottenere in cambio gas russo. Il rublo, rinfrancato, ha recuperato (parzialmente) terreno rispetto al dollaro, favorendo così maggiori profitti nelle vendite energetiche e, quindi, più mezzi per sostenere lo sforzo bellico. Un “fuoco di paglia”, secondo gli analisti, perchè non supportato da una credibile politica monetaria e da una adeguata sostenibilità economica.

Per i leader europei quello di Putin è un bluff, “una violazione contrattuale” (Draghi), i contratti in euro e dollari si rispettano. Le società russe che vendono gas hanno avuto finora in cambio moneta forte, euro o dollari, rischiano di ricevere in futuro solo rubli e con il tasso galoppante d’inflazione non sarà proprio un affare. Secondo la società di rating Moody’s, il rischio di insolvenza e le potenziali perdite per gli investitori rimangono molto elevati, dato il marcato deterioramento nella capacità e nella volontà del Governo russo di far fronte ai propri obblighi di debito nelle ultime settimane.

Per la Russia non sarebbe scongiurato il default, già rischiato in occasione del pagamento delle cedole da 117 milioni di dollari su bond in dollari in scadenza lo scorso 16 marzo. Ci sono altri importi in scadenza: entro poche settimane circa 2,5 miliardi di dollari di rimborsi sui titoli statali. Morgan Stanley ha indicato nel 15 aprile la data che definirà o meno l’insolvenza di Mosca. Obbligazioni russe diventeranno carta straccia? Banche e investitori in fuga. La strada è segnata: se non cesserà il fuoco delle armi, inasprimento delle sanzioni per accantonare la follia di un despota a capo di un Paese sempre più isolato, non solo finanziariamente, dal resto del mondo, con accanto soltanto Bielorussia, Eritrea, Corea del Nord e Siria. Un’economia condannata al baratro perché priva di normali relazioni commerciali. La Russia oggi è poco più di una “grande stazione di rifornimento”, dovendo dipendere per tecnologia, finanza, capitali e beni di consumo.

La guerra dal terreno militare, inevitabilmente, si è spostata sul terreno economico, e quindi su quello più strettamente politico-istituzionale. Con il destino dell’Ucraina, è in gioco la libertà e la democrazia dell’Europa. Un futuro di pace per l’intero continente. La volontà di potenza e di aggressione non può che infliggere morti e calamità sia ai vinti che ai vincitori.

Ingiustizia! di Umberto Lucarelli a cura di Vincenzo Capodiferro

 


INGIUSTIZIA!”

Un accorato testo/denuncia sociale di Umberto Lucarelli


«Un percorso, nei boschi fisici e interiori, lungo il crinale della solitudine, dell’amarezza e della disperazione di un professore ingiustamente accusato di “molestie sessuali” nei confronti dei suoi alunni, un dialogo, con un interlocutore attento e paziente, il narratore, che, nel tentativo di lenire la sofferenza del professore, scopre la sua stessa solitudine, il senso di appartenere a un mondo che ormai ha bandito un modo di essere con l’altro fondato sull’espressione anche fisica dell’essere assieme, sull’espressione anche fisica del comprendere»: scrive Marco Passeri nell’Introduzione al testo “Ingiustizia!” di Umberto Lucarelli, edito da Bietti, Milano 2021.

Umberto Lucarelli ha pubblicato, tra l’altro: Non vendere i tuoi sogni, mai (1987); Ser Akel va alla guerra (1991); Il quaderno di Manuel (1994); Fossimo fatti d’aria (1995); Nulla (1999); Pavimento a mattonella (2001); Rivotrill (2011); L’invettiva (2020).

Umberto è uno scrittore di confine, come quei medici senza frontiere, diremmo autori senza limiti, è un denunciatore, un fustigator morum, fustigatore dei costumi, un satirico dei giorni nostri.

«Così tutto a un tratto l’avevano incolpato di una cosa tremenda e si era sentito precipitare nel vuoto senza poter afferrarsi a nulla, era venuto subito e immediatamente da me e mi aveva raccontato l’accadimento e più precisamente l’ingiustizia a cui era stato sottoposto, l’ingiustizia è un sopruso dissi subito ricordo e mano a mano che lui parlava e mi raccontava e mi rendeva per dir così edotto della sua sofferenza io pensavo l’ingiustizia è prevaricazione, lui parlava e io pensavo l’ingiustizia è sopraffazione, lui continuava a informarmi sulla sua situazione, a piangere, a lamentarsi mentre io continuavo a pensare l’ingiustizia è una violazione del diritto, una violazione …».

Così comincia questo serrato dialogo diretto, ma indiretto nello stesso tempo. Il testo fila tutto d’un pezzo, secondo uno stile consueto di Umberto, ma anche di altri autori della Bietti, come Marco Passeri, di cui ricordiamo “Il nonno”.

Ciò che emerge è, secondo un canone quasi neoverista, o neonaturalista, il fatto. L’autore/osservatore riporta quasi nelle stesse modalità espressive, anche se indirettamente, tutto ciò che freudianamente esce dalla psiche della vittima, questa volta un povero docente, accusato ingiustamente di pedofilia.

Quello che Umberto ci propone è un tema forte, provocatorio, l’apologetica di una società allo sbaraglio, che si scandalizza di affetti, erigendo muraglie fondate spesso su tabu illusori, a volte inventati. Ci sono i tabu reali, i nuovi tabu della miseria, della malattia e della morte e ci sono quelli fenomenici. Non si scandalizza invece della totale corruzione in cui è incorsa con la totale distruzione di tutti i valor, una società di farisei laici, di adulti adulteri, che erge muri in base all’apparire e non all’essere. Questo è il frutto del supercapitalismo anonimo ed impersonale esagerato che domina il mondo, ultima apoteosi del post-capitalismo classico, personale, statale, e nazionale. Una tal società liquida, ma diremmo di più liquidata e liquidatrice, si proietta in un mondo totalmente virtuale. Sui social tutto viene ingigantito, tutto acquista autonomia e forma. Tutto viene animato e così si può creare un mondo reale, sebbene puramente reality: la differenza è minima. Abbattuti i confini tra fantasia e realtà, riducendo, infine, la vita a sogno, come già la letteratura si auspicava da secoli, l’uomo si è imbottigliato in meta-versi paralleli creati, in ognuno dei quali vige una morale diversa, un parametro diverso. Anzi l’unica morale che si è affermata è quella dell’”Unico e la sua proprietà”, quella di un oltre-omismo inumano, per non dire disumano. Dall’Umanesimo si arriva al disumanesimo.

La società occidentale ha raggiunto il limite della follia collettiva. Si pensa solo a cani, gatti e biciclette. Ci si scandalizza per una pacca sulla spalla che un docente dà ad un allievo per incoraggiarlo e non ci si scandalizza per divorzi, aborti, eutanasia e compagnia bella. Si ha paura della guerra, quando la guerra è sempre alle porte, ovunque. Basta che non la facciamo in questo fetido Occidente, che dal 1945 vive una novella finta Belle Epoque. Torna la miseria. I diritti dei lavoratori sono calpestati, aboliti. Cresce una generazione cerebrolesa, flemmatica e fragile. Mentre la generazione degli anni Sessanta era sanguigna, rivoluzionaria, in questa prevale l’umore ippocratico del flemma. Le generazioni si alternano: biliosi, flemmatici e sanguigni. I giovani non sanno più fare nulla, neppure friggere un uovo. Ma che razza di società abbiamo creato noi? Con le guerre e le armi quante risorse si sprecano? Risorse non rinnovabili! Invece di produrre armi perché non si fa altro. L’industria bellica da sempre è quella trainante. L’argent fait la guerre. Ma quando


Forgeranno le loro spade in vomeri,

le loro lance in falci;

un popolo non alzerà più la spada

contro un altro popolo,

non si eserciteranno più nell'arte della guerra.


Quando arriverà il tempo del profeta?

Il libro di Umberto Lucarelli ci fa ricordare il film “Il sospetto” (2012). Ecco il succo del messaggio che Umberto vuole lanciarci:

«Se infatti allontaniamo l’altro, obbedendo a un’eterofobia senza pari, ogni gesto diviene equivoco, untuosa fonte di sospetto («nessuna indagine solo voci, diceva lui»). Ecco il gran miracolo: la stessa realtà che addomestica l’altro, rendendolo “accettabile”, lo tramuta in mostruosità. Ma non temete: finalmente al riparo dagli altri, al sicuro da tutti gli altri, saremo noi i prossimi fortunati destinatari di questo trattamento. E non ci sarà questurino del pensiero a salvarci, quando toccherà alle nostre migliori intenzioni salire sul patibolo. In una realtà del genere, la penna del cavaliere Ser Akel si fa bisturi che affonda nella carne viva di un mondo morto, preda di una crescente astrazione che condanna il corpo e tutto quanto attiene al corpo, promuovendo un individuo disincarnato in obbedienza a un odio neo-puritano verso la carne».

Il grande esperimento sociale comminato dai poteri occulti è l’eterofobia, fomentata con le canzoni mediatiche giornaliere: covid e guerra. Le risorse sono rimaste poche e la popolazione, come diceva la buonanima di Malthus, cresce sempre, cresce troppo. Non bisogna avere figli. Non bisogna fare figli. E grazie! Con lo stile consumistico fondato sul supercapitalismo senza frontiere Malthus ha ragionissima! Ma perché non far emergere sistemi alternativi? Senza spreco di risorse non rinnovabili? No! Non conviene ai supercapitalisti. E allora?

Questa denuncia sociale di Umberto ha per noi un valore importante: farci capire che c’è un velo di Maya, di ipocrisia nella società attuale, che altro non è che un sepolcro imbiancato. Vuole apparire morale, ma è totalmente amorale, vuole apparire puritana, ma è completamente impura, dove ci sono donne e uomini senza numeri di casa, né famiglie.


Vincenzo Capodiferro

A Linden Leaf put me in a Trance Mostra personale di Dorothee Diebold a cura di Marco Salvario

 A Linden Leaf put me in a Trance

Mostra personale di Dorothee Diebold

a cura di Marco Salvario

Davidepaludetto – Arte contemporanea – Via degli Artisti 10, Torino

19 febbraio – 10 aprile 2022



Dopo avere iniziato la propria attività in via Stampatori, la galleria Davidepaludetto si è trasferita nel 2016 in via degli Artisti, a poche decine di metri di distanza dalla Luce Gallery, di cui ho scritto alcune settimane fa, sempre su Insubria Critica. Siamo nelle vicinanze di Palazzo Nuovo, uno dei centri principali dell'Università degli Studi di Torino; chissà se i futuri dottori sapranno trarre qualche arricchimento dalle iniziative artistiche che hanno così comodamente a portata di mano. Io sono un po' pessimista, ma sarei felice di essere smentito e di scoprire che qualcuno di loro riesce ancora a staccare lo sguardo dal proprio smartphone, perché le opere di Dorothee Diebold, ospitate in questi giorni alla Davidepaludetto, possono regalare emozioni anche a un pubblico giovane sempre molto difficile da coinvolgere.


L'artista è nata nel 1988 in Germania, attualmente vive e lavora a Berlino; questa è la sua prima mostra in Italia.

Il mondo attuale, caratterizzato dalla esasperata tecnologia, dal martellare continuo di dati, saturo di contenuti, disomogenei e artificiali, le fa percepire la realtà come una dimensione sfuggente, immersa in una natura che non ha più anima, sempre più distorta, violata, e dalla quale tuttavia ci si sente inesorabilmente attirati perché anche noi ne siamo parte.

Per il visitatore, la contemplazione attenta delle opere porta a una vertigine, a un immergersi, al farsi trascinare in un vortice. Mancano i riferimenti, mancano gli appigli, eppure noi siamo al centro del movimento.



“A Linden Leaf put me in a Trance”, è il titolo della mostra; “Una foglia di tiglio mi ha messo in trance”.

La natura è ormai ridotta a poco, a una foglia, eppure basta quel frammento a ispirare l'artista, a portarla oltre i limiti della sua umanità cui non riesce più ad adattarsi. Una sensazione di smarrimento che comunica al visitatore.

Le opere di Dorothee Diebold sono spesso realizzate a coppie, in un dialogo più poetico che scientifico, dove le domande e le risposte non vanno interpretate con la razionalità quanto piuttosto con l'istinto, condividendo una nuova spiritualità che, pur essendo tutta proiettata nel futuro, ci riporta invece a radici lontane, pagane, dove i riti di stregoni e sciamani cercano di superare i limiti della conoscenza tecnologica.

Non ci sono veri quesiti, non ci sono spiegazioni convincenti, c'è solo la volontà di catturare il filo sempre più fragile che può permetterci di non rimanere soli, rifiutati da un presente che non ci siamo scelti e non riusciamo a capire. Una foglia di tiglio.


28 marzo 2022

Fibre di possibilità di Sergio Messere a cura di Alessia Mocci


Fibre di possibilità di Sergio Messere:
la sovranità del Singolo nella potenza libera della sua natura


[…] Un celere vapore/ adombra il mio capo/ reclinato:/ son per caso/ Io – Straniero –/ un fiore spezzato/ che setaccia/ per declivi e piani/ il deserto,/ necessaria inferia/ nelle rudi e sprezzanti mani/ d’un fato incerto?// […]” – “Io, straniero di Dio”

L’Io si scruta, si adagia allo specchio, sente una fitta che dal petto si rivela come suono nell’orecchio: sono domande dello straniero, del viaggiatore, del poeta, del narratore. Perché la carne – il corpo – risiede in questo pianeta e la psiche – l’anima – setaccia il passato in cerca di appartenenza come se fosse “un fiore/ in esilio”?

L’essere umano è decadente, insaziabile, ingrato, contaminato, lacerato, è un infante, un martire, un sapiente, un “senza pace” che dalla valle acclama e combatte dalla notte dei Tempi.

La poetica di Sergio Messere partecipa della simbologia della vetta e della valle nella quale la prima è sede dello Spirito mentre la seconda dell’Anima che, con un frenetico turbinio, si affanna nel suo cercare significati del vivere. Una ricerca instancabile che scaturisce da una “certezza” di cui ancora oggi l’uomo non ha prova di esistenza, eppure resiste energico nel percorrere la valle provando le diverse vie che il Fato ha disposto.

Fibre di possibilità” (LFA Publisher, 2021) si suddivide in sette capitoli impreziositi da sette tele dell’artista Pietro Tavani (Civitavecchia, 1948), il capitolo Tetralogia degl’Inquieti presenta lo schizzo “Staccati uomo!” del 1975, Vibrazioni principia con “Sfere evolutive” del 1984, Nero si manifesta con “La notte oscura” del 2003, Luce con “Meditazione” del 1974, Scorci con “Io e me” del 2013, Divertissement con “I fuochi” del 1981 e chiude Psicoalchimie e coni d’ombra con “Transfert” del 1977.

Un connubio tra parola e pittura che mostra il medesimo obiettivo: il dialogo interiore, la meditazione, la ricerca di armonia. Ed anche titolo della raccolta poetica che identifica il sé con il tutto fa parte di questo ragionamento secondo cui ciò che esiste è connesso con l’Uno, con il tutto, così inteso secondo la corrente filosofica neoplatonica.

Le frasi inutili, i momenti di apnea, i pomeriggi senza fine mi hanno reso una persona migliore.

Per diventare una “persona migliore” bisogna scorgere l’imperfezione, l’errore ma anche e principalmente possedere la volontà innata di superamento. Così la poesia – “le frasi inutili” – è capace di vagare oltre lo spazio ed il tempo, a cui il corpo del mortale è soggetto, per permettere all’Io di vivere quegli istanti di eterno che operando provocano alterazione.

Dall’inquietudine dei primi versi assistiamo alla vibrazione per poi cadere nel nero a cui segue la luce e la manifestazione del doppio – della scissione – e dell’ironia. Ogni eroe ed antieroe (per usare la terminologia dello psicoanalista James Hillman a cui si rimanda con la lettura di “Saggi sul Puer”) ha la sua meta – la sua psicoalchimia – la morte della persona formatasi con i pregiudizi predominanti della società e la rinascita come essere nuovo – “una persona migliore”, afferma Sergio Messere.

La “sovranità del Singolo/ nella potenza libera/ della sua natura in fieri” si legge nella lirica “Il manifesto dell’iconoclastia” nella quale si descrivono le istituzioni come serpisenza pudore/ e senza volto/ annidate nel tepore/ dei ministeri/ e degli altari,/ delle cattedre/ e dei focolari,/ il loro verbo edace/ han seminato a piene mani/ nel nostro ingegno ferace:/ Fede e aldilà,/ famiglia e tradizione, società e subordinazione/ nell’al-di-qua…/ Lor Signori «cravatte e croci d’oro» –/ i paladini del dovere/ e del «posticino sicuro»,/ i nemici del nostro piacere/ e dell’individuo –,/ delle loro verità di cicale / ci han lastricato la via/ inculcandoci la menzogna delle menzogne:/ la ridicola dottrina della morale.// […]” e si auspica la fondazione della città-giardino di Galama (parola che in serbo-croato significa “rumore, lamento”).

Il punto igneo:/ la mia vera/ dimensione.// Il porto/ per tutte/ le direzioni.// […]” – “Espansione”

Ne “Fibre di possibilità” compare anche la musica, compagna fedele di viaggio, ad esempio nella lirica “La scintilla” l’autore informa il lettore del sottofondo del primo brano “Da paesi e uomini stranieri” dell’opera del 1838 “Scene infantili” del compositore e pianista tedesco Robert Schumann; nella lirica “Vitae” sottofondo del singolo “Euphoria” del 2012 della cantante pop svedese Loreen; e nella lirica “Cattedrale” sottofondo di “Overture”, primo capitolo dell’opera “Antigone” dell’artista e pianista tedesco Felix Mendelssohn Bartholdy.

[…] Eccoli lì,/ lasciate sospeso/ ogni giudizio/ e osservateli,/ mentre sfilano/ come testimoni/ senza un volto/ su quella passerella invisibile:/ i santi e i dannati,/ i saggi e i pazzi,/ i guerrieri e gl’infermi,/ i martiri e i tiranni.– “Uomini predestinati”


Written by Alessia Mocci


Info

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https://www.mondadoristore.it/Fibre-di-possibilita-Sergio-Messere/eai978883343383/


Fonte

https://oubliettemagazine.com/2022/03/21/fibre-di-possibilita-di-sergio-messere-la-sovranita-del-singolo-nella-potenza-libera-della-sua-natura/


SCONTARE LA PENA a cura di Carmelo Musumeci

 


SCONTARE LA PENA


La Corte Costituzionale, con la sentenza del 15 aprile 2021, ha stabilito che la pena dell’ergastolo ostativo è incompatibile con la nostra Costituzione. Adesso a me sembra che, con la proposta di modifica in discussione al Parlamento, l’ergastolo ostativo diventi ancora più ostativo. Forse è fuori luogo in questi brutti tempi di guerra scrivere di ergastolo, ma credo che sia comunque giusto farlo. Molte persone “perbene” pensano che si possa sconfiggere la guerra con le armi o facendo ancora più morti, altre pensano che si possa sconfiggere il male aggiungendo altro male.  E una certa antimafia, da circa 30 anni, è convinta che si possono sconfiggere certi fenomeni criminali solo con l’ergastolo ostativo o con il regime di tortura democratico del 41 bis. Non sanno quanto si sbagliano, perché certi fenomeni non si sconfiggono solo militarmente, ma soprattutto culturalmente. Per esempio, ci sono alcune persone “perbene”, culturalmente con mentalità mafiosa, che non commettono reati ma creano le condizioni per farli commette agli altri. Per questo penso che forse un giorno riusciremo a sconfiggere la mafia, ma credo che sarà molto più difficile sconfiggere la devianza di una certa parte dell’antimafia che non ha nessun senso della misura e che da decenni non fa altro che produrre culturalmente altra mafia.

In questi giorni mi è venuto da riflettere sul verbo “scontare”, infatti si dice “scontare la pena”. Quindi è già insito nella parola stessa che “scontando una pena” questa diminuisca, infatti più sconti la pena e più la parte restante diminuisce. Quindi è già insito nella ratio del concetto giuridico di “scontare la pena” che la pena prima o poi si esaurisca proprio in virtù del fatto che con il passare degli anni la pena si sconta. Allora è assurdo e contraddittorio dire “sconta l’ergastolo ostativo” oppure “sta scontando l’ergastolo ostativo” perché nonostante il passare degli anni, la pena residua non diminuisce. Penso che l’ergastolo ostativo va persino contro la matematica e l’italiano.
La pena perpetua non ti toglie solo la libertà, ti strappa pure il futuro. Credo che lo Stato si possa prendere una parte di futuro, ma non tutto, se vuole essere migliore di un criminale. L’ergastolo ostativo è disumano, perché l’uomo per vivere e morire ha bisogno della speranza che la sua vita un giorno forse sarà diversa o migliore. La pena perpetua è un sacrilegio perché anticipa l’inferno sulla terra e la pena eterna senza possibilità di essere modificata è competenza solo di Dio (per chi crede). L’uomo è l’unico animale che può cambiare, per questo non potrebbe e non dovrebbe essere considerato cattivo e colpevole per sempre. La giustizia potrebbe, anche se non sono d’accordo, ammazzare un criminale quando è ancora cattivo, ma non dovrebbe più tenerlo in carcere quando non lo è più. O farlo uscire solo quando baratta la sua libertà con quella di qualcun altro collaborando e usando la giustizia. Se la pena è solo vendetta, sofferenza e odio, come può fare bene o guarire? Voglio ricordare che per chi ha commesso un crimine il perdono fa più male della vendetta, il perdono lo costringe a non trovare dentro di sé nessuna giustificazione per quello che ha fatto. Ecco perché converrebbe combattere il male con il bene, col perdono, con una pena equa e rieducativa. La pena dell’ergastolo ostativo ti lascia la vita, ma ti divora la mente, il cuore e l’anima.

Carmelo Musumeci
Marzo 2022 

26 marzo 2022

“WOW!” : QUANDO L’ARTE STUPISCE IN MANIERA IMMEDIATA di Maria Marchese


 
WOW!” : QUANDO L’ARTE STUPISCE IN MANIERA IMMEDIATA

di Maria Marchese

Nel mese di Gennaio, è stata inaugurata, presso Villa Bertelli, a Forte Dei Marmi, un’importante antologica, dedicata ad Andy Wharol. Nella stessa sede, il 21 Febbraio, si aprono le porte della sala Ernesto Treccani, per ospitare una collettiva, fortemente voluta dal developer e editor Alessio Musella, il cui scopo viene, da quest’ultimo, sintetizzato, nel titolo stesso della mostra: “WOW!”

Allo sguardo appaiono sperimentazioni estetiche cosi diverse da suscitare uno stupore corale…

Il curatore coinvolge, infatti, un considerevole numero di artisti contemporanei, le cui radici esperienziali sono poliglotte, creando un’atmosfera semantica ricca di contaminazioni e chiavi di lettura.



Alessio Musella è stato in grado di sposare personalità impensate, nel medesimo contesto, frangendo il limite delineato dalla parola “pop” , legata, prettamente, ad una serie di incipit standardizzati.

Ad oggi, a Wow Collettiva d’arte, sono presenti gli artisti Matteo Dropsy, Andrea Grieco, Blub L’arte sa nuotare, Enrico Ceccotto, Mario Vespasiani, Sandra Menoia, Bianca Beghin, Gianna Amendola, Mauro Moriconi, Eugenio Rattà, Luigi Arpaia, Matelda Borta, Anna Nazarova, Tiziana Stocco, Silver Plachesi, Ang, e, a breve, interverrà, anche Luigi Mele.



È possibile, quindi, trovarsi di fronte un giocoso “DEVILS KILLA”, art toy di successo, con una leggendaria storia, alle spalle, che lo figura come “colui che scaccia le cattive presenze” e, affianco, un delicato “FIORE DI LOTO” , pregevole infiorescenza, realizzata, a mosaico, dalla capace Matelda Borta.

Ferro, legno, vetro e fuoco si fondono, invece, nell’opera “L’INCANTATORE DI FOLLE” , dell’artista pugliese Luigi Arpaia, mentre le verità della natura ammiccano, tra mutevoli colori, per diventare narrazione simbolica di vicende umane, sublimate dal pennello dell’autrice veneta Bianca Beghin. Tra le pagine artistiche appaiono, altresì, un favolato “PICCOLO ANDY ”, della pittrice campana Gianna Amendola, che riconduce l’animo alla sfera bambina del sogno, oppure le scultoree creature di Silver Plachesi, che scompone realtà abbandonate e riassembla, poi, genialmente, i pezzi di memoria, che mutano in fantastiche “street visions” , provenendo i loro elementi proprio dai “bordi della strada” .



Tessere tonali cangianti compongono, invece, il suolo di “PERSEVERANCE” , dell’artista melzese Ang, che ricostruisce uno sbarco extraterrestre, e, proprio “E. T. “ finisce sott’acqua, con una Monnalisa, per “Blob L’arte sa nuotare”. Uno squalo bianco, con un derma decisamente “popular”, affiora, ancora, dal mondo marino e dal genio di Enrico Ceccotto.

Le affilate forbici di Andrea Grieco, cut up artist, ritagliano un “delirio alieno”, mentre le lame di Eugenio Rattà traslano arte digitale, collage e soggetti “warrholiani” sulle tele.

L’energia impetuosa di Sandra Menoia “aggredisce” la Marilyn Monroe grigia e la riammanta del proprio personale vigore espressivo.



Così, Anna Nazarova raccoglie alcuni “guru mediatici” contemporanei e li sintetizza nelle propri elaborati; Tiziana Stocco chiama a ruolo i caposaldi della carriera dell’artista americano, digitalizzandoli, per poi intervenire, in maniera personale, ritoccandoli a pennello. Mauro Moriconi, invece, caratterizza l’esposizione con delle polaroid, crasi tra immagini originali, scattate da Wharol in persona, e i rinomati “tondi” , che fanno parte del progetto digital di successo, dell’artista lucchese.

Infine Mario Vespasiani acquerella una visione speculare del celebre autore: realtà fisica e animica si interfacciano come indispensabili parti dell’interezza.

La “MONNALISA” di Luigi Mele varcherà presto la soglia della sala espositiva: colori e spazi sono, in essa, rivisitati in chiave attuale e peculiare.

Questa breve sinossi evidenzia quanto questo “ensemble” sia confusionario solo in apparenza: Alessio Musella è stato in grado di creare un’esperienza multidisciplinare, che unisce più piani di lettura, mettendoli in dialogo tra loro.

Toni, soggetti, tecniche, passato, presente, futuro, spazi, dimensioni, pensiero, simbologia, … tutto ciò sembra finire in un unico “carnevale metafisico” .



Il numero di visitatori è in aumento, di settimana in settimana, riscuotendo consensi ed entusiasmo soprattutto da parte delle scolaresche, per cui la kermesse si rivela un’esperienza didattica importante e coinvolgente.

La mostra è visitabile, dal Lunedì al Giovedì, dalle 10:00 alle 12:15 e dalle 15:00 alla 19:00, previo appuntamento, prenotando al numero 0584 787251.


24 marzo 2022

Daniel McNeill – La faccia –a cura di Marcello Sgarbi


Daniel McNeill
La faccia
(Mondadori)

Collana: Oscar saggi

ISBN 9788804458920

Sapevate che i bambini nati da nove minuti appena, che non hanno mai visto un volto umano, preferiscono il disegno di una faccia a un foglio bianco o a un disegno sconclusionato? Oppure che di solito la bocca umana non è più larga dello spazio fra le pupille? O ancora che Balzac, da giovane, piazzava specchi paralleli nella sua soffitta parigina, per godersi le innumerevoli riproduzioni della propria faccia? Queste e altre curiosità sono contenute nell’originalissimo libro di Daniel McNeill pubblicato già da parecchi anni, un vero e proprio viaggio alla scoperta di quello che è il primo biglietto da visita che mostriamo agli altri: il nostro volto. E mi concedo una battuta: ci metto la faccia che vi piacerà.

Siamo talmente sintonizzati sulle facce che le costruiamo prendendo come riferimento uno sgorbio e un puntino”.

Battere le palpebre è comunicazione. L’attore Michael Caine evita di farlo nei primi piani, perché ritiene produca un calo nella tensione, e si è esercitato per anni a tenere gli occhi aperti”.

Soprattutto in epoca vittoriana, una bocca piccola era raffinata”.

In Europa la faccia del monarca era spesso l’unica conosciuta in tutto il paese, perché appariva sulle monete. Nel 1791, quando Luigi XVI fuggì verso nord travestito da cameriere, fu catturato nella piccola città di Varenne da contadini armati di moschetto. Un mastro di posta lo aveva riconosciuto dalle banconote. Chiunque altro sarebbe riuscito a passare”.

Esiste un rapporto anatomico fra i gusti molto spiacevoli e la faccia disgustata: è la stessa parte del cervello che reagisce a entrambi”.

© Marcello Sgarbi


21 marzo 2022

Sandor Màrai – Le braci – a cura di Marcello Sgarbi


 
Sandor MàraiLe braci (Adelphi)

Temi: Letteratura mitteleuropea

Pagine: 181

ISBN 9788845922572

L’amicizia di Henrik e Konrad è minata dall’amore del secondo per Krisztina, moglie di Henrik. In una trama finemente tratteggiata, come braci che conservano il calore del fuoco, nell’animo dei protagonisti di questo splendido romanzo ambientato a Vienna contrastano tra loro miriadi di sentimenti: tradimento, desiderio, pensieri omicidi. A un certo punto, Konrad compie una scelta definitiva: fugge.

I due amici, rivali in amore, non si rivedranno che dopo più di quarant’anni, ma nonostante nel frattempo Krisztina sia morta Henrik ha tenuto viva la brace della sua passione. I due, davanti alla realtà di un nuovo, imminente conflitto mondiale, si ritrovano superstiti fra le ceneri della grande cultura mitteleuropea, annientata dalla Grande Guerra.

Attanagliati dai grandi interrogativi sull’esistenza scoprono i loro limiti umani, rendendosi conto che non ha più senso mantenere in vita qualcosa che non ne ha più.

I dettagli hanno grande importanza. In un certo senso fungono da adesivo, fissano la materia essenziale dei ricordi”.

Ogni vera passione è senza speranza, altrimenti non sarebbe una passione ma un semplice patto, un accordo ragionevole, uno scambio di banali interessi”.

Perché conta anche l’istante – il tempo determina le cose a suo capriccio, e ad esso noi dobbiamo adeguare le nostre azioni. A volte il tempo ci offre una possibilità, legata appunto a un istante preciso, ma se ce lo lasciamo sfuggire non possiamo fare più nulla”.

© Marcello Sgarbi

RICORDO DI GIULIANA RAMPONI (1940-1954) a cura di Vincenzo Capodiferro


 
RICORDO DI GIULIANA RAMPONI (1940-1954)

Una scrittrice in erba morta a 14 anni

Di Giuliana Ramponi (1940-1954), di Lecco, abbiamo un bel ricordo: una raccolta di racconti, fatta redigere dal padre, insegnante, all’indomani della sua morte prematura, dal titolo “Giuliana”, edito da Stefanoni.

In quella sua piccola apparizione, dalle scuole medie fino al Magistrale, presso le suore di Maria Ausiliatrice di Lecco, seguite da nobili maestre, come Suor Angela Vigo, docente di lettere, Giuliana dà il massimo di sé in tutto.

Riportiamo solo a mo’ di esempio questa sua grandissima riflessione: «Dio può essere paragonato ad una retta, perché non ha né principio, né fine; l’anima è una semiretta, perché ha avuto un principio, ma non avrà mai fine; l’uomo è un segmento perché ha avuto un principio ed avrà fine; fine, s’intende, in quanto il corpo si dissolve con la separazione dall’anima …».

La giovane Giuliana, consunta dalla malattia, muore giovanissima. Troviamo nei suoi racconti il ricordo degli amici, della scuola, dei maestri. La vediamo immersa nella natura madre.

Leggiamo gli ultimi momenti della sua esistenza terrena, così raccontati dal padre:


Il 5 ottobre una pallida prigioniera viene liberata dal carcere e vive ore d’intensissima gioia: Giuliana, circondata dalle cure più affettuose di medici e infermieri, ma posta di fronte al dolore della separazione dai suoi cari e al terrore di non poter più riprendere la scuola, viene dimessa dall’ospedale, dove languiva come un uccellino in gabbia dorata.

Di lì a pochi giorni la piccola torna alla sua scuola ed è alunna di 1° magistrale. Per quanto tempo? È appena trascorso l’ottobre e già le manca la forza per aggrapparsi al treno. Allora dice angosciosamente al babbo, che angosciosamente l’ascolta:

  • Vuol dire che se non potrò frequentare regolarmente farò qualche esame a settembre … ma tu, papà, intanto, non privarmi della felicità di andare a scuola … portami con il tuo motorino!

E papà, trattenendo a viva forza il suo pianto, porta alla scuola Giuliana, che sfida l’inclemenza della stagione, fino al 15 novembre. La mattina del 16 la piccola dice:

  • Andrei anche quest’oggi a scuola, ma ho una tosse piuttosto insistente e non vorrei disturbare le mie compagne …

Il giorno seguente stando in casa, riceve devotamente la santa Comunione, dopo di che, il babbo, cedendo alle affettuose preghiere di amici e colleghi, la porta ancora una volta a Milano per sottoporla ad una nuova visita. All’indomani Giuliana si deve fermare per riprendersi un poco; abbastanza, cioè, per allargare le sue ali e spiccare il volo verso la Gioia.

Trascorsa la notte assolutamente tranquilla, dopo essersi levata e messa accuratamente in ordine, la bambina accusa un po’ di affanno. Il babbo intuisce. Siamo alla fine. Corre dal sacerdote. Questi le amministra l’olio santo, che l’inferma piamente riceve. Poi l’estremo saluto. Papà e mamma le dicono:

  • Vedi, cara Giuliana, il Signore ti chiama in Paradiso … pregherai per il tuo babbo e per la tua mammina?

E Giuliana, accostandosi a baciare coloro che le hanno dato la vita, serenamente risponde:

  • Sì, papà, sì, mamma, pregherò per voi quando sarò in Paradiso.

Mezz’ora più tardi chiudeva per sempre i suoi dolcissimi occhi e confondeva il suo volo col volo degli angeli. Erano le 8 del 19 novembre 1954.

Allorché la candida bara dove giace la beata creatura sta per essere chiusa, il padre mette sul cuore della sua Giuliana la lettera d’addio …

Poi naturalmente con somma commozione e venerazione si cerca tra le sue cose. Insieme a poche decine di lire è custodita nel borsellino un’immaginetta in carta pergamena, dove spiccano un giglio e la preghiera:


Ti offro, o Maria, la mia giovinezza,

a cui tu sorridi con compiacenza.

Rendila luminosa aurora di vita santa,

profumata di purezza.


Vi è pure una corona del rosario, destinata, secondo una confidenza, ricevuta da Anna Maria, al babbo, per il suo prossimo compleanno. Tra le cose di scuola sono questi due gruppi di leggiadri uccellini …:

  • Vedi, papà i primi lavori ad acquerello della tua pasticciona?però suor Claudina è molto brava e spero di poter fare qualcosa di meglio verso la fine dell’anno scolastico …


Quando mancano circa dieci giorni alla fine:


  • Ricordi, mamma, quel frammento di poesia che mi recitavi quando ero bambina.


Quel rio che ratto all’ocean cammina,

quel rio vuol dirmi che del par veloce,

nel mar d’eternità mette la foce

mia vita peregrina.


Non so come mamma, quel frammento mi viene ora come un ritornello e lo vado ripetendo mille volte al giorno.


Molto bella questa immagine della vita di un uomo paragonata ad un fiume che metta la foce nel mare dell’eternità, quel mare che fece esclamare il Leopardi: naufragar m’è dolce in questo mare.

Abbiamo voluto riportare queste ultime note sulla vita di Giuliana. Come si dice è la morte a dar senso all’intera esistenza di un uomo. Giuliana ha vissuto intensamente quel cristiano essere-per-la-morte, nella piena consapevolezza dell’eternità che aspetta la vita oltre il velo di Maya esistenziale.

A quel tempo il sacerdote accompagnando il feretro di questa giovane scrittrice aveva detto:

- Portate in spalla un angelo!


La famiglia di Giuliana era numerosa. Abbiamo voluto riportare questo intenso ricordo di una vita vissuta in un lampo, dalla furia della guerra ai mitici anni Cinquanta, anni del famoso boom che ci ha portato ai nostri tempi in espansione come da un fatidico big bang. Oggi riviviamo il dramma della guerra e dei morbi come il covid. Che questo notevole esempio ci possa essere di conforto e nell’ammirazione di guida. Giuliana è passata al mondo come una meteora infuocata, lasciandoci le tracce di un’immensa dedizione ed amore, di una cultura “fresca, aulentissima”, proprio come quella novella rosa che rigenerò la nostra poesia in altri tempi.


Vincenzo Capodiferro

18 marzo 2022

Uscita la raccolta poetica di Giacomo Mazza a cura di Vincenzo Capodiferro

 


Uscita la raccolta poetica di Giacomo Mazza (1830-1901) poeta comasco Uno spaccato interessante di letteratura del Romanticismo e del Risorgimento italiano

È uscita alle stampe la raccolta di scritti poetici e in prosa del poeta comasco Giacomo Mazza (1830-1901), per l’editore monzese Limina Mentis, col titolo “Dove ogni cosa sen va io men vado”, curata da Alessandro Ronchetti. Giacomo Mazza nasce a Como nel 1830. Trascorre l'infanzia nella città lacustre, indi con la famiglia si trasferisce a Milano. Il padre Giovanni insegna alla Scuola Normale. Giacomo studia qui in un primo momento e poi si trasferisce al Collegio Ghislieri di Pavia. Si dedica agli studi giuridici, sebbene poi nella vita non seguirà mai questo indirizzo. Comincia fin dalla giovinezza, invece, a corrispondere alla vocazione letteraria, che inseguirà per tutta la sua esistenza terrena. Dopo un periodo di vagabondaggio torna alla sua amata Como dove vivrà per qualche tempo, in Borgo Sant'Agostino. Nel 1860 si trasferisce a Guanzate, in una tenuta nei pressi della splendida località Montevecchia, ove c’è un bellissimo santuario dedicato alla Beata Vergine del Carmelo. Proprio in questo posto, lontano dal mondo, come Cartesio nella sua Olanda, vicino alla stufa, matura la sua produzione letteraria: è un sacrario ricchissimo della letteratura italiana del Risorgimento e del Romanticismo, che nulla ha da inviare ai grandi. L’archivio Mazza è stato custodito dalla famiglia Ronchetti ed il giovane Alessandro, che ha studiato al Liceo Classico Cairoli di Varese, si è interessato alla sua valorizzazione. È un patrimonio notevole della cultura italiana, su cui ancora tanto c’è da lavorare. Mazza traduce Béranger. Si dichiara favorevole agli ideali rivoluzionari, esalta Garibaldi e condanna Napoleone III. È in dialogo coi grandi del suo tempo, tra cui Victor Hugo: esiste una corrispondenza epistolare del nostro con questo genio francese della letteratura. Trai suoi componimenti ricordiamo “La pila voltiana”, dedicata a questo grande scienziato, Alessandro Volta, suo concittadino, per cui nutre grande ammirazione. Gli ultimi tempi della sua vita vive ospitato all'asilo infantile di Guanzate, di cui era stato un grande benefattore, ove muore il 6 maggio del 1901. È un testo affascinante che merita di essere attenzionato, perché riporta un patrimonio inedito, l’opera di un umile intellettuale, che per socratica modestia mai volle che si pubblicassero i suoi scritti.


Vincenzo Capodiferro

14 marzo 2022

Bertille Bak MINEUR MINEUR Fondazione Mario Merz a Torino a cura di Marco Salvario

 Bertille Bak

MINEUR MINEUR

Fondazione Mario Merz – Via Limone 24, Torino

21 febbraio – 22 maggio 2022



Lo spazio espositivo della Fondazione Merz a Torino ospita per tre mesi un progetto artistico di Bertille Bak, vincitrice nel 2020 della terza edizione del Mario Merz Prize.

Nata nel 2005, la Fondazione ha sede nella ex centrale termica delle Officine Lancia, in Borgo San Paolo, molto vicino allo storico grattacielo Lancia, che con i suoi 70 metri è uno dei simboli della vecchia Torino industriale, anche se il quartiere circostante si è ormai trasformato in una zona residenziale. Intitolata a Mario Merz, la Fondazione ospita mostre, eventi, attività di stimolo, ricerca e approfondimento sull'arte contemporanea.



Bertille Bak è nata in Francia, ad Arras come Robespierre, nel 1983. Si è subito segnalata come artista impegnata nel sociale e nei temi legati all'infanzia, troppo spesso sfruttata e privata del suo diritto a istruzione, gioco e libertà.

“Mineur Mineur”, questo è il titolo del progetto, perde nella traduzione dal francese la bellezza tragica e gioiosa del suono; “mineur” significa sia minorenne che minatore: bambino minatore, quindi, come lo erano i piccoli carusi siciliani che ancora a inizio novecento dovevano lavorare sotto terra nelle zolfatare in condizioni di reale schiavitù.

L'artista è nipote di operai polacchi che lavoravano nelle miniere di carbone nel nord della Francia, un mestiere che i bambini cominciavano a svolgere dall'età di tredici anni, quindi nella tradizione orale della sua famiglia si sono tramandati i ricordi di quei tempi.

Purtroppo, quello che per noi è il passato, in molte parti del mondo è ancora una realtà presente. Un'esistenza dura, nella miseria di umide baracche, che priva i bambini dell'infanzia e del futuro; spesso la polvere mina i polmoni e il sangue, ma le minime paghe sono necessarie e non sufficienti per il sostentamento delle famiglie.

Per tre anni, Bertille Bak ha studiato l'attuale realtà di sfruttamento minorile nelle miniere di cinque nazioni: India, Indonesia, Thailandia, Bolivia e Madagascar. Dal materiale raccolto, elaborato e rivisitato dell'artista, nascono cinque filmati paralleli eppure diversi, da vedere simultaneamente l'uno accanto all'altro, dove la storia dei piccoli bambini inizia dal risveglio al mattino e si sviluppa nella giornata lavorativa. Un racconto che non è documento quanto rappresentazione, dove gli adulti non compaiono mai, dove la fatica e l'abuso diventano passatempo amaro, dove la schiavitù è subita con uno sberleffo discolo e ribelle.

Eppure, per lo spettatore, quanta tristezza, quanta amarezza.

Mi vengono in mente, ma sono mie associazioni personali, Chaplin di Tempi moderni oppure Benigni in La vita è bella, dove l'assurda disumanità del presente, non potendo essere accettata nella sua cruda essenza, è traslata a un livello diverso, grottesco e amaro per noi, ma che per le sue vittime infantili riesce a ricreare un'illusione di gioco.



L'opera che apre lo spazio espositivo è “Le berceau du chaos”, la culla del caos, una giostra senza bambini, che gira senza fermarsi tra sirene e allarmi; segue “The mine is mine”, sette strutture in pesante cartone al cui interno, salendo con qualche disagio una ripida scala di tre gradini, si possono vedere fibre luminose realizzate sulla base dei disegni eseguiti dai bambini minatori.

L'esposizione comprende infine altri due video: “ Bleus de travail” e “Tu reviendras poussière”. L'ultimo è una realizzazione complessa, densa di simboli e allegorie, che prende l'abbrivio dalla vita in una cittadina francese di ex minatori; gli abitanti devono continuamente testare la propria salute e curarsi contro la silicosi, terribile malattia che le polveri respirate fanno sviluppare nei corpi e che miete vittime ogni giorno. Purtroppo non è una storia isolata e abbiamo casi dolorosi in Italia, penso a Casale Monferrato dove la multinazionale Eternit aveva aperto nel 1907 il più grande stabilimento d'Europa: lì si continua e si continuerà a morire per molti anni per colpa del mesotelioma pleurico, provocato dalle fibre d'amianto allora lavorate.

La denuncia di Bertille Bak non è quindi solo un grido isolato e particolare, ma stigmatizza una realtà che ha i suoi germi malati dovunque e che troppo spesso si cerca di allontanare dal nostro tempo e dal nostro mondo. Serve l'arte per risvegliare quella consapevolezza che l'informazione e la politica ci negano?

Come in passato, il disprezzo per la salute umana e per l'infanzia è presente oggi, qui tra noi, non dimentichiamocelo.


12 marzo 2022

L’EUROPA E L’INVASIONE RUSSA IN UCRAINA di Antonio Laurenzano

 


L’EUROPA E L’INVASIONE RUSSA IN UCRAINA

di Antonio Laurenzano

Riscrivere la storia del nuovo millennio e ridisegnare la carta geografica dell’Europa. E’ chiaro, nella sua drammaticità, l’obiettivo di fondo dell’invasione russa in Ucraina nella folle strategia di Putin. Al di là di ogni fallace giustificazione legata all’allargamento della Nato a Est e alle origini dell’Ucraina, “una Nazione inventata da Lenin”, la Federazione Russa del novello zar di San Pietroburgo agisce da tempo militarmente per alterare gli equilibri territoriali formatisi negli ultimi vent’anni. E’ il risultato di una precisa visione politica basata su un imperialismo che ha il “diritto” di ricostruire l’area continentale che era stata sotto il dominio dell’Unione Sovietica, la “grande Russia” pre-bolscevica. Dopo l’invasione della Georgia del 2008 e l’annessione della Crimea del 2014, l’aggressione all’Ucraina (Nazione indipendente dal 1991 grazie al 91% del voto popolare) si inserisce nella sanguinosa coerenza imperiale, in attesa di nuovi teatri di guerra nelle repubbliche del post 1990. E poco importa se per un malcelato delirio di onnipotenza del suo Presidente, la Russia continua a violare molti principi che reggono l’Onu: il rispetto della sovranità degli Stati, la regola dell’autodeterminazione dei popoli, l’obbligo di risolvere in modo pacifico le controversie, l’obbligo di non interferire con le competenze interne di altri Stati. La Russia ha violato importanti accordi multilaterali regolarmente sottoscritti, come quelli istitutivi del Consiglio d’Europa e dell’Organizzazione per la sicurezza e la cooperazione in Europa (Osce). Per il diritto internazionale, la Federazione russa è uno Stato fuori legge.

Ma come reagire a uno “Stato canaglia”? Uno Stato che, sconfessando la visione Kantiana della “pace perpetua” diffusa nelle leadership politiche ed economiche europee con la fine della Guerra fredda e la caduta del Muro, ha messo a nudo la realpolitik dell’Ue con i suoi ritardi e i suoi errori per non aver saputo riconoscere il “senso di insicurezza” creatosi a Mosca con la fine dell’Unione Sovietica, nel non aver intercettato le frustrazioni dell’ex agente del Kgb, soverchiato dalla potenza cinese e sottovalutato dalla diplomazia occidentale, e il suo desiderio di riscatto geopolitico. Un revanscismo che con il sangue e le distruzioni in Ucraina, con il ricatto energetico ai “Paesi ostili” e la minaccia nucleare segna la sconfitta dell’Unione europea. In primis, della ex cancelliere tedesca Angela Merkel la cui politica di acquiescenza nei confronti di Mosca, avallata a livello comunitario, ha portato per quindici anni a ignorare la dimensione strategica dell’Europa. Considerare cioè la Russia un mercato da “pacificare” con la tecnologia e le merci tedesche, da “catturare” con la costruzione di Nord Stream 1 e 2, il gasdotto Russia-Germania di 1234 km sui fondali del Mar Baltico, aggirando e indebolendo Ucraina, Bielorussia e Polonia, disinteressandosi delle richieste americane di irrobustire la spesa militare. Una politica miope che ha colpevolmente ignorato i pericolosi rigurgiti nazionalistici all’ombra del Cremlino, l’ostinata determinazione di Putin di tornare alla dimensione imperiale rivendicata con fermezza alla Conferenza per la sicurezza di Monaco nel 2007 (riunificazione del “Mondo Russo” smembrato dallo scioglimento dell’URSS). Anni di apparente pacificazione, autocompiacimenti nelle cancellerie europee, ospitalità dorata allo zar (Berlusconi docet), il suo coinvolgimento nel G8, con la discussione di un partenariato.

E ora, la guerra nel cuore dell’Europa! Inaspettata, imprevista, incomprensibile. Sanguinaria. Strage di civili, donne e bambini in fuga, città sventrate, corridoi umanitari chiusi, carri armati russi all’assalto delle istituzioni. Putin sta giocando le sue carte. Si pensava che bleffasse, e invece… L’Unione europea si è risvegliata dal torpore che l’aveva indebolita, riscoprendo i suoi principi fondanti, la sua vocazione al dialogo, all’accoglienza, alla solidarietà, nel segno dell’unità d’azione e della condivisione. Compatta, reattiva e decisa: l’Ue, con ritrovato spirito unitario, sta dando prova di grande maturità politica a difesa della sovranità democratica di un Paese aggredito, condizione alla base di una pace duratura. Sanzioni, armi, debito comune per un orizzonte europeo, sempre meno nazionale. Una importante capacità di reazione, figlia della sofferenza e del sangue europeo del Novecento. La salvaguardia della pace continentale oggi brutalmente compromessa impone però anche una svolta strategica: la creazione di una nuova Europa dotata di una politica di difesa e sicurezza collettiva a supporto di una politica estera davvero comune e di un interventismo a reazione rapida nelle aree di crisi circostanti. E’ bastata una settimana di bombardamenti, scontri e minacce, anche nucleari, in arrivo da Mosca e diretti all’Europa, schierata a sostegno dell’Ucraina, per seppellire lo storico antimilitarismo tedesco e fare della Germania del cancelliere Olaf Scholz il perno di una nuova politica strategica europea, “per impedire che la guerra di Putin dilaghi in altri paesi europei”. La percezione della minaccia esterna è improvvisamente diventata comune, la guerra di aggressione della Russia rappresenta una svolta decisiva nella storia dell’Unione. Da qui l’impegno unanime dei 27 Capi di Governo Ue preso nel vertice di Versaille a un aumento delle spese militari. Il conflitto in Ucraina accelera dunque la nascita dell’eurodifesa, il progetto visionario di Comunità europea di difesa (CED) di Alcide De Gasperi, bocciato nell’agosto 1954 dall’Assemblea nazionale francese. Strada lunga e piena di ostacoli, fra cui l’integrazione di strutture e culture di difesa diverse e profondamente nazionali. Ma la guerra di Putin non lascia alternative. Nessuna resa, ma prepararsi alla guerra: non per combatterla, ma per tenere gli altri lontani dai confini dell’Unione e impedire a qualche despota contemporaneo di superare il punto di non ritorno. “Historia magistra vitae”, la storia insegna.


E' tornato il lupo incontro a Belgirate