RIFORMA DEL CATASTO, UNA CORSA AD OSTACOLI
Di Antonio
Laurenzano *
Restyling dai contorni
incerti quello sul Catasto, nodo centrale della Legge delega per la
Riforma fiscale. Dopo settimane di tensione e minacce di crisi, il
faticoso accordo (o compromesso?) raggiunto nella maggioranza di
governo rilancia la nuova mappa del fisco che, salvo imprevisti e
imboscate parlamentari, dovrebbe essere approvata entro fine giugno,
tale da consentire a Palazzo Chigi di lavorare ai decreti delegati,
nel rispetto dei tempi fissati dal calendario del Pnrr.
Il nuovo Catasto,
superando la strettoia di fine legislatura, scatterà nel 2026. Al di
là di slogan e propaganda di alcuni partiti, non presenta grandi
novità ai fini di un riequilibrio della tassazione sugli immobili,
in particolare per una pressione fiscale sulle abitazioni più equa.
Cancellata l’attribuzione esplicita di un “valore patrimoniale”
agli immobili, ma sopravvive all’ultima limatura politica
l’indicazione di una “rendita catastale ulteriore suscettibile di
periodico aggiornamento”, da affiancare a quella già presente
nella visura catastale. Questa rendita bis sarà determinata in base
ai criteri di mercato previsti dal DPR 138/1998, quello che già
consente ai Comuni di aggiornare i parametri catastali, e quindi le
tariffe d’estimo, alle mutate condizioni degli immobili, rapportate
anche alla revisione delle zone censuarie. In questa ottica, e ai
soli fini informativi, per il Fisco sarà sempre possibile accedere
ai valori Omi (Osservatorio del mercato immobiliare) che indicano i
prezzi di mercato divisi per zone. Tramontata l’ipotesi di un
archivio catastale basato sui metri quadrati delle singole unità
immobiliari, più aderente alla realtà rispetto al vecchio e
controverso criterio dei vani catastali.
Non si passa dunque da un
regime catastale a uno patrimoniale basato su valori reali di
mercato. Resta cioè l’incongruenza tra le rendite e i valori
commerciali. Il Catasto italiano verrà progressivamente aggiornato,
ma senza cambiamenti rispetto ai criteri attuali. Le risultanze
catastali saranno le uniche utilizzabili per la determinazione della
base imponibile dei tributi. Di fatto la riforma del Catasto è
“svuotata” e perde ogni efficacia in termini di maggiore gettito
previsto. “Si cambia tutto, per non cambiare nulla”: nelle grandi
città immobili in zone centrali accatastati come case popolari che
pagano meno rispetto ad abitazioni moderne di periferia che hanno
rendite aggiornate. L’iniquità resta. Di certo arriverà una
rinnovata caccia alle “case fantasma”, con una semplificazione
delle comunicazioni e delle azioni di accertamento ai fini dei
controlli sul territorio da parte degli enti locali. Il maggiore
gettito scovato dall’evasione potrà essere utilizzato per ridurre
le imposte sugli immobili regolari dello stesso Comune, in primis
l’Imu. L’Agenzia delle Entrate ritiene che attualmente ci siano
oltre 1,2 milioni di unità immobiliari urbane non censite in
Catasto, senza contare i terreni edificabili classificati come
agricoli. Una situazione fortemente critica che genera un’evasione
fiscale delle imposte immobiliari di circa 6 miliardi di euro.
La mappatura degli
immobili, e dunque la rilevazione dei beni non censiti, rappresenta
il primo passaggio per il Catasto del futuro: l’obiettivo resta
quello di dotare l’Agenzia delle Entrate di strumenti in grado di
facilitare e accelerare l’individuazione e il corretto classamento
degli immobili attualmente non censiti o che non rispettano la reale
consistenza di fatto, la relativa destinazione d’uso, ovvero la
categoria catastale attribuita. Le abitazioni sono suddivise in
categorie e classi che riflettono ancora la situazione di quando la
rendita è stata attribuita senza tenere conto di eventuali migliorie
intervenute nel tempo. Basti pensare che 3,5 milioni di edifici
residenziali tuttora esistenti sono stati costruiti prima del 1940 e
la maggior parte ha subito importanti opere di riqualificazione.
Ruderi diventati case di lusso, ville con piscina.
Considerando che l’ultima
revisione importante del sistema di rilevazione catastale risale al
biennio 1988-89, in previsione dell’arrivo dell’Ici, e i valori
utilizzati sono gli stessi da 32 anni, nonostante i numerosi
tentativi di revisione, risulta evidente che si tratta di un sistema
di tassazione ormai distante dalla realtà, in cui è presente una
grande disparità tra valore imponibile e valore di mercato, con
grave ripercussione sulle entrate tributarie. Interessante a riguardo
l’indagine conoscitiva svolta dal Corriere della Sera nel 2021: è
stato messo a confronto il prezzo medio a metro quadrato di vendita
rilevato dai rogiti dell’anno precedente e il valore medio delle
rendite catastali. La differenza tra prezzo di mercato e valore
fiscale è risultata a Milano del 174%, a Roma del 56%, a Napoli del
108% e a Torino del 46%.
Grande
attesa dunque per l’ “operazione verità”. Ma sarà davvero il
primo passo per migliorare l’equità del nostro sistema fiscale e
rendere più trasparente la tassazione immobiliare? La tanto agognata
riforma fiscale vedrà mai la luce? La sfida del futuro dovrà
passare attraverso la riduzione del debito: la spesa pubblica non è
una coperta che si può sempre allungare. Fare politica significa
scegliere: quali obiettivi perseguire, quale sviluppo socio-economico
promuovere, quali strumenti finanziari attivare per coprire le spese.
Al Governo Draghi la “mission impossible” di conciliare progetti
di crescita e realtà di bilancio per un Fisco in sintonia con i
principi di solidarietà, equità e capacità contributiva sanciti
dalla Costituzione.
*Tributarista