Intervista
di Alessia Mocci ad Emanuele Martinuzzi: vi presentiamo Notturna
gloria
“Le mie prime raccolte, che non ho
quasi più riletto se non alcuni estratti, provenivano da tutt’altra
considerazione personale della poesia, il senso che davo al poetare
era molto nitido dentro di me, la ricerca della poesia si sposava
perfettamente con la riflessione e la conoscenza di se stessi e del
mondo, era un fatto che davo per scontato, quei lavori risentono di
queste e altre illusioni che avevo sulla vita, la cultura letteraria,
la poesia e me stesso.” – Emanuele Martinuzzi
Sulla via che percorriamo e che
denominiamo vita capita, talvolta, la possibilità di guardarsi allo
specchio in modo diverso, con uno sguardo interiore che disprezza
la menzogna. Se, in quell’occasione, l’essere umano – il
poeta – è disponibile all’ascolto si può accedere alla
porta con quella consegna di chiavi che permette l’ingresso in un
mondo altro, grazie al quale si ha l’abbandono di ‘alcune’
illusioni che impugnavano le redini del cocchio. ‘Alcune’, già,
perché oltre all’imprevedibilità della corsa dei due cavalli
anche il paesaggio che incontriamo potrebbe imbastire una nuova
tavola nella quale l’arrogante desiderio ci fa tramutare le vivande
in oro.
Emanuele Martinuzzi (Prato,
1981) si è dedicato ai versi sin dalla tenera età ed, anche, dopo
la laurea in Filosofia ha continuato una strada solitaria di dialogo
incessante. Dalla prima pubblicazione con “Nella pienezza del Non”
sino al canzoniere di cui si tratterà in questa intervista, Emanuele
si è prodigato nell’indagine sul perché della scrittura come
necessità “costruttiva affidata al verso”.
“Notturna gloria” edito da
Robin Edizioni nel 2021, con prefazione di Adua Biagioli Spadi,
è una raccolta di ventuno poesie associate ad altrettante
illustrazioni del Maestro Gianni Calamassi. L’opera presenta
un differente concetto di gloria che per l’appunto è notturna, è
oscura, infernale. Il canzoniere è suddiviso in tre parti, nella
prima trovano spazio le città in stato di abbandono, nella seconda
città storicamente esistite e nella terza ed ultima parte luoghi
immaginari.
“[…] Fuggo cavo di
me stesso nelle caverne/ del sentire, spigoloso mi dicono i vocaboli/
di seta delle rocce, rime vaganti in questa/ eco arretrata alla
morte// […]” – “Aufugum”
A.M.: Benvenuto Emanuele, è un
piacerti poter presentare ai lettori la tua novità editoriale. Anni
fa ci siamo incontrati con tre tue sillogi: “Nella pienezza del
Non”, “Anonimi frammenti” e “Dopo il diradarsi, la nude”.
“Notturna gloria” è in comunicazione diretta con questi titoli
citati oppure percorre un’altra via?
Emanuele Martinuzzi: Un vero piacere
poter parlare con te ancora una volta del mio ultimo lavoro
letterario. In effetti è trascorso tanto tempo dalla mia prima
autopubblicazione “Nella pienezza del Non”
che venne alla luce nel 2010, più di dieci anni fa, mi sembra
passata una vita. Già allora fu un cambiamento non da poco, dopo che
per tanto tempo, da quando avevo dodici anni, avevo vissuto la poesia
in modo intimo, scrivendo solo per me stesso, mettendo in un cassetto
le mie poesie, percorrendone i sentieri in solitaria e allo stesso
tempo in liberissima ricerca, leggendo e dialogando solo con gli
autori del passato e con le mie emozioni più profonde. Da un lato
sento che tra i primi lavori pubblicati, tra cui appunto “Anonimi
frammenti”, “Dopo il diradarsi, la nube”, “Polittico”
e questo ultimo canzoniere c’è una sottile comunicazione, anche
ideale, per ponti misteriosi, accomunati dalla mia sensibilità che
nel tempo si rinnova certamente ma permane, dall’altro sinceramente
parlare anche solo dei miei primi lavori e di conseguenza del me di
allora mi pare addirittura di evocare le reminiscenze di un'altra
vita, letteraria anche, e rispetto ad adesso è come ci fosse un
burrone di differenze non più avvicinabili, né colmabili neanche
dal ricordo, che non riesco a mettere a fuoco del tutto. Le mie prime
raccolte, che non ho quasi più riletto se non alcuni estratti,
provenivano da tutt’altra considerazione personale della poesia, il
senso che davo al poetare era molto nitido dentro di me, la ricerca
della poesia si sposava perfettamente con la riflessione e la
conoscenza di se stessi e del mondo, era un fatto che davo per
scontato, quei lavori risentono di queste e altre illusioni che avevo
sulla vita, la cultura letteraria, la poesia e me stesso. Non li
rinnego assolutamente fanno parte di quello che ho scritto, sono lì
a testimonianza di qualcosa, anche se non so più bene cosa in realtà
o meglio sono semi germogliati e lì accetto per come sono o non
sono. Quella fiducia costruttiva affidata al verso, quel senso
filosofico della poesia sono prospettive in cui non mi riconosco più
così in modo entusiasta e privo di tentennamenti. Quel percorso si è
evoluto fino alle mie due raccolte “L’oltre quotidiano –
liriche d’amore” e “Di grazia cronica – elegie sul tempo”,
edite da Carmignani editrice, che in un certo qual modo sono l’apice
del mio intendere la poesia come forma interiore, una via primigenia
del filosofare, strutturate per temi, portatrice di significati
criptici ma netti, essenziali, cioè l’una l’amore come archetipo
del femminile, l’altra il tempo come archetipo del maschile. Dopo
per me c’è stata la diaspora dei saldi pensieri, la perdita di
quel centro di gravità permanente che si rifletteva nelle mie
poesie. La vita mette sempre in discussione tutto, porta ombra dove
si crede ci sia solo luce, o fa apparire il chiaroscuro in ciò che
si chiamava sole. In questo senso è più originale e fantasiosa di
qualsiasi autore. Un lungo e confuso periodo contrassegnato dal
cosiddetto blocco dello scrittore è stato capace di esiliare i miei
punti di riferimento interiori, cambiarmi, vedere diversamente la
poesia, anzi forse vedere per la prima volta come non la vedessi, che
fosse qualcosa di sfuggente, incomprensibile, forse una passione che
non capivo profondamente, che mi illudevo di controllare, pur
traghettandomi in territori di estasi e tormento, senza neanche
sapere come e perché. In questo periodo di ripensamento ho
pubblicato altre due raccolte “Spiragli”
edita da Ensemble e “Storie incompiute”
edita da Porto Seguro editore, che apparentemente possono sembrare
poesie ermetiche, di ispirazione orientale, con l’intenzione di
tendere verso l’essenziale, ma che in realtà si compongono di
scritti nati incompiuti, epigrammi manchevoli, frammenti e spiragli
segnati da una voce interrotta, ossia sono ciò che ho saputo tirare
fuori da un’ispirazione disorientata, senza largo respiro, che
veniva fuori a tratti, gettata sul foglio bianco senza più il solito
e passato labor limae, ma così come un gesto al
di là del senso, un comunicare a prescindere, un bisogno di cuore e
pancia, senza più troppa mente o riflessione. In questo contesto ho
incominciato a fare viaggi alla ricerca di luoghi abbandonati, siti
archeologici, monumenti d’arte, chiese antiche e altre architetture
del passato, all’inizio per diletto e poi per seguire una strana
esigenza ancora non ben compresa. Poi dai territori fisici mi sono
spostato nei territori letterari, cosiddetti inattuali, remoti,
lontani, a me sconosciuti o in quelli della fantasia, complice anche
un periodo di problemi personali, che non mi permettevano di
spostarmi agevolmente. Girovagando trovavo pace e meraviglia in
questi spazi dalle molte dimensioni, incurvati nel silenzio, e venivo
a volte asserragliato da parole e frasi che trascrivevo e componevo
via via, formando così quelle che poi sarebbero diventate le 21
poesie del mio ultimo lavoro poetico. Così è nato piano piano,
viaggio dopo viaggio, ombra dopo ombra, eco dopo eco, dubbio dopo
dubbio, lettura dopo lettura, dal 2017 al 2019, questo canzoniere
illustrato intitolato “Notturna gloria” edito da Robin edizioni.
Ancora non so cosa e se ho trovato qualcosa, ma la sensazione del
viaggiare mi ha fatto avvertire la possibilità di nuove radici ed
elaborare il lutto in un certo senso, trasfigurando quelle perdute.
A.M.: Nella prefazione de
“Notturna gloria”, Adua Biagioli Spadi scrive: “Il viaggio
intrapreso dal poeta, quasi una sorta di ricordo dantesco, è un
addentrarsi fisico e mentale nella fragilità delle cose e del suo
stesso io: egli stesso coglie l’inizio dell’ombra per risalire a
una luce fiduciosa che sa di avere un luogo, da qualche parte, una
destinazione tutta da ritrovare.” Ombra e luce, viaggio e casa:
perché il poeta trascorre la sua esistenza in viaggio?
Emanuele Martinuzzi: Tutta la
prefazione della poetessa Adua Biagioli Spadi è riuscita davvero a
farmi comprendere meglio che cosa avessi comunicato agli altri, che
cosa potessi capire meglio del mio scrivere e nuove sfumature non
preventivate né calcolate nella stesura, a cui abbandonarsi così
senza riserve. Ha impreziosito sicuramente il tutto dando uno sguardo
tagliente e profondo, dove si doveva e poteva, per osservare
nell’invisibile. Comunque non solo i poeti, siamo tutti in viaggio
in qualche modo, anche senza uscire dalla propria casa o dalle
proprie emozioni. Siamo abitati da luoghi, o meglio non-luoghi,
utopie che ci attraversano, desideri che ci lacerano e che spesso non
vengono ascoltati, si passa una vita a viaggiare magari fisicamente
senza fermarsi ad osservarsi, inseguendo il cambiamento, gustandone
l’ebbrezza o irretiti dalla fretta, senza sentire più cosa rimane
invece immutato e morto dentro di noi, o magari una vita trincerati
nella propria casa, impauriti e protetti dall’esterno, illudendosi
di rimanere sempre gli stessi, di poter controllare il cambiamento,
il divenire delle cose e di ciò che siamo e non siamo o non sapremo
mai. Nello spaesamento che vivevo, viaggiare, spesso nella mia amata
Toscana alla scoperta di luoghi bellissimi e poco conosciuti, se non
dimenticati, è stato un rispecchiamento continuo nei tormenti di ciò
che non osavo più chiamare, né evocare attraverso le disperse
parole della poesia. Nella mitologia antica è un classico che
l’eroe, il poeta o il mistico debba attraversare il guado della
vita più misteriosa, intraprendendo la sua catabasi, la sua discesa
nell’oltretomba che fuor di metafora può essere la sua immersione
nelle ombre della propria anima, per recuperare l’amore fuggito o
disperso, la propria Euridice da salvare, o incontrare Beatrice, solo
mezzo di salvezza per vedere faccia a faccia la scintilla di senso
che ci abita, al di là del deserto in cui ci troviamo a peregrinare
a volte. In questo caso discendere nelle ombre di ciò che è
abbandonato o spopolato, nella voragine di ciò che è distrutto o
scomparso o nella vertigine del sogno, è stata sia la catabasi che
l’anabasi, sia un perdersi che ritrovarsi nella scrittura di queste
poesie, in una straniante forma di rispecchiamento e perdizione. La
poesia è salvezza e dannazione, una benedizione e un labirinto. Non
si può prescindere dal vivere le contraddizioni se si vuole leggere,
scrivere, vivere le proprie poesie, la poesia.
A.M.: Ogni poesia è compagna di
una speculare illustrazione, opere del Maestro Gianni Calamassi.
Com’è nata questa collaborazione?
Emanuele Martinuzzi: Man mano che
buttavo giù le frasi e che le poesie si materializzavano sotto ai
miei occhi continuavo ad avvertire quella sensazione di imperfezione
e manchevolezza, che mi aveva accompagnato e che aveva
contraddistinto le mie due raccolte precedenti, “Spiragli”
e “Storie incompiute”, ciò che scrivevo nella sua
vaghezza e nel suo personale simbolismo mi pareva non riuscire a dare
corpo a quei luoghi interiori, a cui volevo dare nuova vita. Ho
pensato che fosse una cosa che non avevo mai fatto, ma un esperimento
interessante in cui imbarcarsi quello di associare ad ogni poesia un
dipinto o disegno o illustrazione, in modo che le linee e le forme
giungessero dove la mia voce mi sembrava arenarsi. Ho pensato subito
di proporre questa cosa al Maestro Gianni Calamassi, che stimo molto
umanamente e artisticamente. E lui con generosità e amicizia devo
dire che non solo ha accettato subito, ma si è affidato alle mie
decisioni e sensazioni, pur avendo più spessore e maturità
artistica. Mi ha dato un insegnamento importante, dando fiducia alle
mie scelte estetiche, instaurando un creativo connubio tra diverse
generazioni e sensibilità, in cui si è ritrovato con lo spirito di
sperimentarsi ancora una volta. Addirittura ha disegnato
appositamente per questo lavoro tutta la serie delle città
abbandonate o spopolate, prendendo spunto da mie fotografie fatte
nelle mie peregrinazioni, in uno stile figurativo. Mentre per le
città scomparse o distrutte ha donato le sue opere astratte e
minimaliste e per le città immaginarie alcuni suoi lavori figurativi
con ascendenze simboliste e surreali. Quello che mi onora è che chi
avrà modo di leggere questa raccolta potrà fare un interessante
excursus nella produzione artistica di questo Maestro fiorentino, con
opere che vanno dal 1970 al 2019. Credo già questo esalti di per sé
le mie poesie e davvero integrino le loro possibilità espressive con
orizzonti insperati.
A.M.: Qual è la città a cui
sei più legato?
Emanuele Martinuzzi: Non ho una
città a cui sono più legato e non potrei averla per come è nato ed
è stato costruito questo libro. Ogni città raccoglie e custodisce
un flusso di pensieri, ricordi, emozioni e luoghi sia fisici che
interiori, che le lega tra loro in un continuo indistinto. Ogni città
evocata dalla poesia e dall’arte in realtà non è solamente quel
luogo particolare. Questa raccolta è una sinfonia di linee e parole,
silenzi e forme, è venuta fuori così spontaneamente. E poi ogni
luogo è associato a una persona, a un gesto a me caro e non potrei
scegliere tra questi istanti così importanti dentro di me.
Sterlingo, città immaginaria, è per esempio il nome storpiato nei
racconti mitologici di mio nonno della collina dove vivevano i suoi
avi mezzadri e dove lui tornava spesso a visitare quei verdi
paesaggi, in una dimensione per me bambino che ascoltavo queste
favole, ancora adesso a metà tra il sogno e la realtà. Perla, città
immaginaria citata nel libro “L’altra parte”
di Alfred Kubin, è anche il nome della persona a me cara, che mi è
stata vicino per diverso tempo e che mi ha raccontato di questo
enigmatico scrittore austriaco. Aufugum è la città scomparsa e
distrutta, su cui è sorta la città calabrese in cui è nato mio
padre e in cui abita ancora una parte importante della mia famiglia e
quindi della mia storia personale, legata alle passate generazioni.
Luni, antica e importante città distrutta dell’antica Roma, citata
da Dante nella Divina Commedia e da cui è sorta la bellissima
Lunigiana in cui ho girovagato alla ricerca di bellezze naturali o
borghi spettacolari come il borgo medievale di Bagnone. Per esempio
le città abbandonate o spopolate che ho visitato personalmente, che
hanno ispirato i versi di queste poesie, in realtà non tutte sono
citate, mi viene da pensare a Villa Saletta dove è stato girato il
film La notte di San Lorenzo dei Fratelli
Taviani, o Castiglioncello a Firenzuola, oppure la Chiesa di San
Michele Arcangelo che sorge all'interno dell'antico borgo fortificato
di Castel di Nocco, sul valico della vecchia strada che ancora oggi
unisce Buti e Vicopisano, e così tante altre. Ognuno di questi
luoghi con la loro magia ha contribuito ed è presente in questa
raccolta, pur nella loro assenza, attraverso l’ispirazione e le
parole da essa nate. Anche la tripartizione che si è consolidata
nell’evoluzione naturale di questo viaggio, tra città abbandonate
o spopolate, città scomparse o distrutte, infine città immaginarie,
ha un senso non assoluto, le une sconfinano metaforicamente nelle
altre, l’ispirazione dei versi di una città può essere nata
dall’incontro di più luoghi fisici o letterari. Il tutto crea un
viaggio misterioso e sfumato tra concretezza e sogno, tra interno ed
esterno, tra natura umana e storia personale.
A.M.: In “Alba longa” si
legge: “[…] È come un filo sottile l’attesa che cuce tra
loro/ passanti di nebbia in città future, guance/ di notturni che si
coricano nell’altra metà della neve/ come un bisbiglio,
un’eresia.// […]” Perché l’anima è una piazza deserta?
Emanuele Martinuzzi: Questo e altri
versi non smettono di emozionarmi e tormentarmi ogni volta che mi
ricapita di leggerli. C’è un’oscura simmetria in alcune frasi di
questa raccolta, completata nel 2019, rispetto alla tragica vicenda
della pandemia e delle sue conseguenze per tutti noi. Assolutamente
non perché penso che vi sia un afflato profetico in questi versi,
sono un semplice e umile amante della poesia, il dono della profezia
non mi appartiene, è già tanto se so cosa mi accade nel presente,
figuriamoci ben altro. Però credo che la poesia possa sempre
parlarci sia del passato che del futuro, in quanto per sua natura,
indipendentemente da chi la scrive, si staglia in un orizzonte di
senso universale, in cui convergono il cuore, la pancia e la mente
dell’umanità e così le sue dimensioni temporali e i suoi spazi
interiori. Aver viaggiato in questi luoghi spopolati in tempi ancora
immuni da questa assurda vicenda, rende più ancora interessante
secondo me la lettura di “Notturna gloria”,
perché permette un ripensamento ed elaborazione del presente alla
luce del passato, con la speranza di un futuro di ricostruzione. C’è
uno spopolamento dei luoghi e uno dell’anima, non-luogo delle
utopie, dei sogni. In effetti queste poesie che cosa non cercano di
fare se non ricostruire con la bellezza e l’arte luoghi destinati
dalla natura e dalla storia all’oblio. La forza della cultura
spesso è un opporsi alle forze incontrollate della natura o della
violenza. L’anima è una piazza deserta, quando discende negli
inferi delle proprie ombre, le figure che passano sono passanti senza
volto destinati a una nebbia che non si dirada, in cui la città
perde i suoi connotati per scomparire assieme all’individuo. Mi
viene in mente anche la poesia Umbriano, su questa città abbandonata
immersa nei boschi della bellissima Umbria, che così canta: “[…]
gli steli stanno insieme e disuniti, / non per il vento che li urla”.
Nel testo si ripete ossessivamente questa frase, stanno
insieme e disuniti, e nel rileggerla non posso non immedesimare tutta
la sottile e taciuta sofferenza per una necessaria distanza realmente
vissuta da tutti noi, si spera più temporanea possibile, in cui solo
il vento urla ciò che il cuore non osa dire, attanagliato dalla
paura. C’è sicuramente una distanza che rende estranei perfino
nella vicinanza, ed è l’indifferenza, la mancanza di empatia.
Questo per dire come la poesia dia voce alle ombre del cuore, agli
anfratti della mente sofferente o speranzosa, questo è il suo
viaggio da sempre.
A.M.: In “Fedora” si legge:
“[…] In ogni gesto sembra quasi vivano ancora/ i frammenti di
una fragranza antica, la meraviglia/ della campagna che tace nei
ricordi, un aroma amaro/ di dolcezza, l’infanzia dei perché.//
[…]” Perché, oggi, noi esseri umani siamo così distanti
dalla meraviglia?
Emanuele Martinuzzi: Credo che la
meraviglia faccia parte dell’umanità, della sua parte più
fragile, misteriosa e creativa, in cui la ragione si abbandona al
sogno, in cui l’infanzia viene custodita in tutta la sua mitologia
e la sua creatività. In ogni epoca e in ogni persona c’è sempre
un dialogo, uno scontro se non proprio una lotta tra le intenzioni
della meraviglia e quelle del cinismo, del disincanto e della perdita
dell’incanto con cui guardare alle cose. Viviamo in un’epoca
storica, che per svariate ragioni e su molti aspetti è connotata da
questa dialettica imperfetta, tra la follia del nichilismo e le
ragioni del sogno, della speranza, dell’umanità. Dove il futuro e
l’umanità sembrano venire meno la sfida è ancora più
interessante e più grande per coloro che, affidandosi alla propria
piccola sensibilità come a una fiammella nelle tenebre, decidono di
procedere attraverso le tenebre o le incertezze o certe dinamiche
anti-umane, affrontando prima di tutto dentro se stessi il nichilismo
che pervade il proprio momento storico. Mi viene in mente la
bellissima scena del film Nostalghia di Andrej
Tarkovskij, girata nelle piscine di acque termali di Bagno Vignoni.
Detto ciò questa raccolta con tutti i suoi limiti, che in realtà
sono anche i suoi pregi, avverto sempre più nitidamente sia un
esempio, non sempre di semplice accesso o immediata lettura, di
ricostruzione della meraviglia nei sepolcri della storia. Ci vuole
tempo per addentrarsi in queste ombre, è un libro che deve sostare
sulla scrivania o sul comodino per molto tempo, riprenderlo,
abbandonarlo, darsi tempo e farlo assorbire assieme al proprio
vissuto, giorno dopo giorno. Lo si può amare o detestare, a una
prima impressione. Un libro del tempo che sedimenta dentro il proprio
spirito con lentezza. Una lettura diversa, da donare agli altri. E
appunto viene raccontata nei versi e nelle immagini di Notturna
gloria la possibilità che l’arte, la poesia e la
bellezza possano infondere vita e senso in ciò che apparentemente
sembra non averne più, destinato ad essere cosa o maceria, in balia
del tempo e delle contraddizioni della natura. E anche che se il tuo
tempo storico non soddisfa i tuoi bisogni interiori o risponde alle
tue domande più profonde, c’è sempre la possibilità di guardare
al passato, riscoprire territori non più calpestati né letti da
secoli per guardare le cose da inattuali prospettive. La verità non
è data una volta per tutte solo dall’oggi, ma ci abita e
accompagna con molti nomi, a volte misteriosi e sconosciuti come i
nomi delle città remote di questo canzoniere, a cui va ridato nuovo
spessore e nuove vie interpretative. Si può dialogare con ciò che
sembra morto e nel dialogo miracolosamente si affaccia una nuova
esistenza.
A.M.: Devo confessarti che tra
tutti questi borghi solo uno mi è familiare: Erto. Di sicuro avrai
intuito il perché… Che cosa significa perdersi “ad ascoltare
timbro paterno del vento”?
Emanuele Martinuzzi: La
scelta di inserire Erto nelle città abbandonate o spopolate mi
sembrava doverosa, non solo per ricordare il disastro del Vajont e di
quella tragedia su cui sono stati fatti numerosi dibattiti, processi
e opere di letteratura, su cui molti scrittori e uomini di cultura
hanno speso le loro idee e il loro ricordo, come per esempio Mauro
Corona nel libro Vajont: quelli del dopo, ma
anche per fare un viaggio nel tempo, una sorta
di flashback nella Erto abbandonata e spopolata di allora, appena
dopo l’avvenuto disastro, ripercorrere quelle emozioni, ridare
spessore a quel vuoto allagato di violenza. In quella atmosfera
sospesa, in un tormento nuovo e assurdo, comunque spirava il timbro
paterno del vento. Nella solitudine più tragica mi piace pensare si
possa avvertire lo stesso vento come una voce vicina che ti rincuora,
che nel lambirti ti dice sei ancora qua, sei vivo e puoi ricostruire,
dare testimonianza. Comunque non solo Erto è uno dei borghi che ci
può essere direttamente familiare, ma anche Craco, un bellissimo
paese fantasma in provincia di Materna, conosciuto attraverso le
immagini che i molti film che sono stati girati là hanno immortalato
e reso presente al nostro sguardo, ne cito solamente alcuni “Il
Vangelo secondo Matteo” di Pier Paolo Pasolini, “La Passione”
di Mel Gibson, “Cristo si è fermato ad Eboli” di Francesco Rosi.
A.M.: Causa pandemia le
presentazioni letterarie non sono state praticabili ma ho notato che
in tanti hanno ben pensato di utilizzare i social network e la
modalità video come alternativa.
Emanuele Martinuzzi: Personalmente
ho continuato ad usare i social come ho sempre fatto per la
diffusione e condivisione della mia passione per la poesia, la
scrittura e la cultura in genere, anche quella più frivola o da
intrattenimento, attraverso il mio blog e le mie pagine Facebook e
Instagram. Per le presentazioni seguendo un po’ la mia indole e la
mia timidezza ho preferito per adesso aspettare a osare facendo
presentazioni video on line. Non escludo in futuro che possa
sperimentarmi anche in questa cosa. Per adesso complice la bella
stagione, il fatto che mi sia vaccinato per la mia e altrui
sicurezza, e la situazione che va pian piano migliorando riguardo la
triste situazione pandemica che stiamo vivendo, dovrei presentare in
presentia per la prima volta “Notturna gloria”,
durante una rassegna artistica e letteraria nelle colline della mia
amata Toscana. Bello è sempre visitare i luoghi, portare la propria
poesia e magari riuscire a toccare il cuore degli altri, di amici
vecchi e nuovi. La poesia ci mette in contatto gli uni gli altri e
con l’invisibile che ci abita.
A.M.: Salutaci con una
citazione…
Emanuele Martinuzzi: Non mi viene in
mente nessun’altra citazione se non il bellissimo verso di Montale
che chiude la sua poesia Casa sul mare, inserita
in Ossi di seppia, e che ho voluto porre
all’inizio del viaggio di “Notturna gloria”
prima della poesia che apre la raccolta Monte Kronio di Sciacca, come
a voler significare che questo viaggio di ricostruzione e
riconciliazione con le proprie ombre inizia da un approdo sulle
sponde dell’antico mare di Sicilia, com’è stato per la
colonizzazione greca d’Occidente nella Magna Grecia, per la
spedizione dei Mille o lo sbarco in Sicilia degli Alleati.
“Il cammino finisce a queste
prode/ che rode la marea col moto alterno./ Il tuo cuore vicino che
non m'ode/ salpa già forse per l'eterno.”
A.M.: Emanuele ti ringrazio per
le numerose riflessioni che hai espresso e ti saluto con le parole di
Aristotele: “Se non esistesse nulla di eterno, neppure il
divenire sarebbe possibile.”
Written by Alessia Mocci
Info
Blog Emanuele Martinuzzi
https://andthepoetry.blogspot.com/
Acquista “Notturna gloria”
https://www.ibs.it/notturna-gloria-libro-emanuele-martinuzzi/e/9788872748381
Fonte
https://oubliettemagazine.com/2021/06/23/intervista-di-alessia-mocci-ad-emanuele-martinuzzi-vi-presentiamo-notturna-gloria/