28 giugno 2019

Arriva lo scontrino elettronico. Obiettivo: combattere l’evasione di Antonio Laurenzano

Arriva lo scontrino elettronico. Obiettivo: combattere l’evasione di Antonio Laurenzano
Scontrini e ricevute fiscali addio. Dopo la fatturazione elettronica introdotta a inizio anno, prosegue la rivoluzione digitale dell’Amministrazione finanziaria. Dal 1° luglio, con il via al processo tributario telematico, scatta un altro importante obbligo: la memorizzazione elettronica e trasmissione telematica dei “corrispettivi” giornalieri per gli esercenti attività commerciali e assimilati (pubblici esercizi, artigiani, ecc.). Si passerà dal registratore di cassa al registratore telematico, ovvero ai nuovi strumenti tecnologici in possesso delle caratteristiche tecniche definite dall’Agenzia delle Entrate in grado di garantire l’inalterabilità e la sicurezza dei dati memorizzati.
Questi nuovi registratori (per il cui acquisto è previsto un credito d’imposta pari al 50% della spesa sostenuta, con un massimo di 250 euro) consentiranno di memorizzare i dati di dettaglio e quelli di riepilogo delle operazioni effettuate e trasmetterli giornalmente all’Agenzia delle Entrate. Andranno in archivio alcuni adempimenti contabili come il “registro dei corrispettivi”, l’emissione e la conservazione dei documenti cartacei (scontrini e ricevute ) alternativi alla fattura elettronica. Il Fisco potrà così acquisire in tempo reale ogni elemento per la compilazione della dichiarazione Iva e dei redditi, con la possibilità di verificare gli importi di vendite e prestazioni di servizi e confrontarli con l’Iva pagata, velocizzando l’azione di accertamento nei confronti dei contribuenti.
L’obiettivo di fondo dell’operazione è infatti il contrasto all’evasione. L’Iva è la seconda imposta quanto a gettito tributario: oltre 130 miliardi di euro nell’ultimo anno. Ma l’Iva è anche l’imposta più evasa: circa 36 miliardi l’anno. Una perdita per le casse dello Stato tra il 26 e il 27% a cui si aggiunge il minore introito delle imposte dirette (Irpef, Ires) per chi, per evadere l’Iva, non emette fattura, scontrino o ricevuta fiscale. Una criticità tributaria facilitata dal diffuso utilizzo del contante nelle operazioni commerciali. In Italia il cash rappresenta la forma di pagamento nell’86% delle transazioni, come ha certificato di recente il Comitato sicurezza finanziaria (Csf) che ha inserito la
Provincia di Varese nella fascia di rischio medio-alto nella specifica mappa dell’uso eccessivo del contante (con Torino, Como, Sondrio, Trento, Padova, Napoli e altre città).
A 36 anni dalla sua introduzione avvenuta nel 1983, lo scontrino fiscale lascia il posto allo “scontrino elettronico” che inizialmente interesserà i soggetti iva con volume d’affari 2018 superiore a 400.000 euro, dal 1° gennaio 2020 coinvolgerà l’intero comparto delle attività commerciali, con specifici casi di esonero (tabaccai, giornalai, tassisti, distributori di carburanti e altri). Secondo le stime di Confcommercio saranno oltre due milioni gli operatori economici che dovranno transitare dalla carta al digitale. Una rivoluzione complessa che, ovviamente, riguarderà anche il consumatore al quale, in sostituzione di scontrino o ricevuta, in sede di acquisto o a
seguito della prestazione di servizio, verrà rilasciato il nuovo “documento commerciale” che avrà valenza civilistica per l’esercizio di alcuni diritti (reso, cambio o garanzia).
Non avrà invece valore fiscale e quindi non potrà essere utilizzato per detrazioni o deduzioni, salvo esplicita richiesta all’atto in cui è effettuata l’operazione: in tal caso, il documento dovrà essere integrato degli elementi fiscali di legge. I contribuenti (persone fisiche) che dal prossimo gennaio effettuano acquisti di beni e servizi, al di fuori dell’attività d’impresa, arte o professione, presso esercenti che trasmettono telematicamente i corrispettivi giornalieri, qualora forniscano il proprio codice fiscale all’esercente, possono partecipare alla c.d. “lotteria degli scontrini”, con possibilità di vincita raddoppiate in caso di pagamento tracciato con carta di credito o bancomat.
Si volta pagina. Scontrino elettronico e transazioni cashless con la scomparsa del contante segneranno le future vicende economiche del contribuente nell’ottica di un rapporto di maggiore trasparenza con l’Amministrazione finanziaria, sotto l’attenta regia del … Grande Fratello fiscale.

25 giugno 2019

THEORY OF INFINITY Un’opera ironico-didascalica di Michele Caliano a cura di Vincenzo Capodiferro

THEORY OF INFINITY
Un’opera ironico-didascalica di Michele Caliano

“Theory of Infinity” è un’opera poetica di Michele Caviano, edita da Fara, Rimini 2019. Michele Caliano è nato ad Avellino il 2 settembre 1963. Vive a Montoro. È un astrofilo datato. Socio del gruppo culturale Francesco Guarini è appassionato di cosmologia e divulgatore scientifico nelle scuole medie e presso emittenti radiofonici. “Theory of Infinity” è un’opera poetica ironico-didascalica, ove si trovano intrecciate forme standard, vicine ad un linguaggio scientifico adattato al verso, con espressioni comiche, a volte anche molto forti, e diremmo quasi volgari. È uno stile veramente originale. Certe conclusioni ti fanno riflettere: il lettore è portato a fermarsi, ridere e pensare. Ma questa è una bellissima cosa! Per questo potremmo anche dire che l’opera del nostro Michy (ce lo consenta) si avvicina a certe tipologie satiriche con attacchi di fescennina memoria. D'altronde Michy proviene dalla tradizione atellana irpino-lucana. In questo intreccio favoloso la fabula rimanda naturalmente all’Infinito, grande tema, che ha tenuto impegnati ed ha tormentato intere generazioni di filosofi, letterati, scienziati, matematici, artisti, musicisti e compagnia bella.

Che sia tartaruga o serpente
niente di male pensare all’infinito
attuale o potenziale.

Da Anassagora a Pitagora a Zenone …

Dal caos aristotelico
ad Archimede curvilineo.

Di Copernico il sistema è eliocentrico
di Galileo è la scienza moderna.

Gli infinitesimi di Cantor dall’infinito assoluto…

Di Einstein l’universo è chiuso
in un cerchio fuso…

Etc., etc.
Non stiamo qui a citare il naufragio leopardiano, anche perché “Theory” non è un’opera romantica. Tuttavia il romanticismo c’è, ma si è spostato sul piano scientifico, cosmologico. Questo è un fatto culturale: molti scienziati dagli inizi del secolo scorso hanno cominciato a riprendere le teorie cosmologiche ed a inseguire di nuovo la chimera dell’infinito, il big bang e cosa c’era prima del big bang e cosa ci sarà dopo. Queste domande Michele se le pone. Ma se le poneva anche Agostino: cosa faceva Dio prima della creazione? Si guardava allo specchio: prima cosa mi creo io (Io sono Dio), e poi? Poi… Boom! Una grande esplosione: bing, bing… bang… Dovremmo chiederci come fece Cartesio: chi è che ha messo questa idea, cioè “Infinity”, nella mia testolina? È innata! L’infinito è diverso dall’infinità: lascio al lettore la riflessione sulla differenza… Oggi la poesia, poi, non è più considerata la foriera del vero. Ecco come risponde Michele:

Noi siamo l’universo cosciente
(principio Antropico universale per
Tutti gli esseri intelligenti e coscienti)
Prima e dopo non c’è nulla, niente.

Noi siamo il pensiero
unico e vero
(filosofia orientale ed occidentale) …

Noi siamo l’infinito degli infiniti…

Ecco! Abbiamo dato un’idea di come si muove Michele: stile libero, sciolto. Prima di procedere vorrei lasciare alla mente del lettore un’altra domanda: che differenza c’è tra nulla e niente? … Il principio antropico, forte, debole (non stiamo a rammentare i deboli di mente di Vattimo), da chi fu formulato? Kant: la rivoluzione copernicana del Soggetto. Ma in fondo, se ci pensiamo questo principio ci dà ragione fortemente, cioè dà ragione alla cultura italiana: l’Umanesimo. La scienza sta recuperando l’Umanesimo. E questa è una grande impresa. Poi, noi siamo la punta pensante e cosciente dell’iceberg freudiano dell’Universo. L’Universo non è una cosa, ma una Persona. Questo mette bene in evidenza il Nostro! Certo non è facile riportare la scienza in versi dopo la separazione delle scienze della Natura da quelle dello Spirito. Oggi la formazione, come già sottolineava Geymonat, è ingabbiata in compartimenti stagno. Questo è il rischio. Siamo vittime della lezione del postmoderno di Lyotard: ogni valore è atomistico. All’interno del quadro molecolare dei saperi già si raggiunge una verità relativa, per cui è inutile ricorrere a narrazioni metafisiche. Purtroppo non è così, perché i pensieri non sono atomi, non sono le proposizioni protocollari dei neopositivisti logici. Anche il postmoderno è una grande narrazione metafisica. Ma volete che la gente comune usi le “proposizioni protoc-collari”? E che so’? O anche gli scienziati si imparino a memoria le proposizioni atomiche, o protocollari. E che se ne fanno? I neopositivisti viennesi forse si erano fatti una birra di troppo! C’è un sottile filo conduttore che collega ogni forma di pensiero e di vita. L’Universo è un tutto e lo possiamo guardare solo come un tutto, cioè seguendo dei principi gestaltici: così fece anche Einstein. L’opera di Caviano rivela che lo spirito umano è universale: è scientifico ed umanistico insieme e nello stesso tempo. Le scienze della Natura e dello Spirito sono prodotto dell’uomo e non viceversa: questo è il principio antropico. Noi siamo la mente dell’universo: questo è l’intelligent design. Dobbiamo superare questo feticismo della scienza. L’uomo è il creatore di tutte le scienze. Nella poesia, che riprende la poiesis, o creazione originaria dell’universo, possiamo raggiungere questa sintesi meravigliosa tra la parte destra e la parte sinistra del cervello, tra l’intelligenza A e l’intelligenza B. Siamo come due mezze facce incollate in una simmetrica unità: due mezzi uomini incollati. Ragione e sentimento sono incollati. Tutti gli esseri viventi rispettano questa unità simmetrica tra i nietzschiani apollineo e dionisiaco. Forse a questo alludeva il mito della mela di Platone, la famosa mela di Adamo ed Eva. Hegel diceva che la mela ha procurato tre danni irreparabili all’umanità: il peccato originale, perché fu mangiata da Eva, la guerra di Troia – Elena - e la gravità - Newton. Ed è vero. Oggi anche la gravità è stata superata. Il Demiurgo prese due parti e le mise insieme in un insieme meraviglioso.

Il cosmo è dentro di noi (Carl Sagan)
di esso noi siamo autocoscienza
di tutta l’energia e della materia
possiamo fare esperienza
(anche quando ci fa male la panza)

Bella questa citazione che ci ricorda i nostri umanisti: l’uomo è microcosmo. Ficino: copula mundi! Pico: magnum miraculum! Alberti: faber fortunae suae! L’umanesimo aveva raggiunto la sintesi meravigliosa dei due cervelli in Leonardo, l’artista-scienziato, il vero inventore del metodo sperimentale, ripreso da Galileo.

Michele ci dà anche dei principi universali molto forti di cui citiamo solo alcuni:

2. Non c’è limite al nostro desideri di sapere…
3. Nessuna differenza tra scienze e religioni…

Finalmente si deve superare questo atavico contrasto tra ragione e fede, come pensava anche Spencer. Questo contrasto dura oramai dal Trecento, quando il barbiere Occam, col suo rasoio, tagliò la metafisica prima di Kant. Materia e Spirito sono due aspetti dello stesso universo. Il dualismo tra teorie corpuscolari e teorie ondulatorie lo dimostra. L’universo è mirabile sintesi di massa ed energia, cioè di materia e spirito E=mc2. La teologia dovrebbe studiare il mondo dell’energia, la scienza quello della massa.
Theory of Infinity” si pone come opera didascalica, cioè atta all’insegnamento, è un’opera semplice, ma non semplicistica. Si pone in maniera volutamente popolare. Ed usa la bellissima spada a doppio taglio dell’ironia, quel “riso” aristotelico che fece impazzire Eco. Un’arma che risale a Zenone, ai Sofisti, a Socrate e scivola fino ai nostri tempi. È un’opera adatta a tutti: può leggerla disinvoltamente lo scienziato o il letterato, il ragazzino delle scuole medie, fino alla persona comune. Per questo è universale. Il tema dell’infinito, poi, come sempre è sempre affascinante e ci pone delle domande esistenziali molto forti. Quelle stesse domande che si poneva Petrarca, il padre del nostro umanesimo: io infatti mi domando a che giovi conoscere la natura delle belve e degli uccelli e dei pesci e dei serpenti e ignorare o non cercare di sapere la natura dell’uomo? Perché siam nati? Donde veniamo? Dove andiamo?
Vincenzo Capodiferro

24 giugno 2019

UN MECCANISMO CHE CI APPARTIENE a cura di Miriam Ballerini

UN MECCANISMO CHE CI APPARTIENE

Una settimana fa, in un paese limitrofo al mio, c'è stato un terribile fatto di cronaca. Non voglio scendere nei particolari e non è assolutamente mio interesse parlarne. Quello che ci interessa sapere è che c'è stato un omicidio: l'omicida ha 47 anni ed è nato a poca distanza da casa mia. Il ragazzo ucciso ne aveva 25 ed è del paese dove è avvenuto il fatto di sangue. Il motivo: una motivazione assolutamente futile. Un banale litigio sfociato in tragedia.
Quello che vorrei portare alla vostra attenzione ruota intorno a questo fatto come a moltissimi altri. Riguarda la reazione delle persone lontane dall'accaduto, le solite brave persone.
Io ho avuto la fortuna (sì, la fortuna), di poter entrare in carcere e di parlare sia con gli operatori che con i detenuti.
La fortuna consiste nel fatto di entrare direttamente a contatto con la sofferenza e capire e conoscere cose che, chi sta fuori, non riesce mai a comprendere del tutto.
Quando succede un brutto evento come questo la mia reazione è sempre e solo una: il dispiacere. Quello più mero e più semplice. Per la vittima, per la famiglia della vittima; ma anche per chi si è reso responsabile di un atto criminoso e per chi gli sta accanto e lo ama.
In questo caso specifico conosco molto bene i genitori del colpevole e ho continuato a pensare a come potessero stare. Proprio perché li conosco, li so onesti e perbene.
Leggendo in rete i vari commenti dei saputelli e di tutte le persone così perfette da fare orrore, ho sperato solo che i genitori non avessero mai a leggere queste brutalità. I vari autori, mentre si credono tanto perfetti e si dicono innorriditi da chi uccide, non si rendono nemmeno conto di quanto male sappiano fare loro.
Innanzitutto odio il nostro sistema che permette a chiunque di esprimere la propria opinione, senza che questi abbiano alcun titolo per farlo. Questo comportamento è deleterio anche nei confronti della vittima.
Ci sono i poliziotti, i giudici e i magistrati che devono fare il loro lavoro, senza che ci sia tutta questa attenzione mediatica, morbosa.
La seconda cosa è che, fateci caso, ognuno di noi, nella sua reazione, si schiera immediatamente dalla parte della vittima. Perché? Perché il nostro essere non ci riconosce mai come persone cattive. Quando un altro commette un crimine la nostra reazione è di prenderne le distanze, perché lui è il mostro e noi i santi.
È un atteggiamento di difesa assolutamente naturale, comprensibile, se vogliamo, quanto istintivo. Però, dal momento che siamo esseri pensanti, superato questo momento dove ci teniamo a mettere i puntini sulle i, si dovrebbe andare oltre. Il nostro pensiero dovrebbe ricevere degli impulsi che comunque possediamo, che sono quelli della comprensione, della compassione.
Ognuno di noi è in grado di agire in bene e in male. Ad ognuno di noi può capitare un momento in cui non possiamo sapere come reagiremo. Ognuno di noi sa uccidere.
Ad ogni persona è accaduto di desiderare la morte di un altro, oppure di aver pensato come vendicarsi di un torto subito. È un meccanismo che ci appartiene, che sta bene risposto nella nostra macchina perfetta; che possiamo nascondere quanto vogliamo, ma che esiste.
Queste riflessioni, dove ho voluto spiegare in termini davvero semplicistici la nostra grandiosa psiche, anche perché non ho nessun titolo in merito, se non quello di una persona che scrive e che spesso è chiamata in causa come opinionista; spero sia d'aiuto per comprendere un poco di più una piccola parte del nostro comportamento. E che sia d'aiuto a quelle persone che, in questi giorni, mi sono davvero parsi paladini partiti male in arnese.

© Miriam Ballerini

A futura memoria di Angelo Ivan Leone

A futura memoria di Angelo Ivan Leone   Gli italiani sono diventati tutti anticomunisti, dopo che il comunismo è morto e sepolto. Si sono dimenticati di aver votato per 50 anni il più grande partito comunista dell'occidente e di averlo votato liberamente senza che nessuna polizia segreta li obbligasse a farlo. D'altronde quello italiano è lo stesso popolo che, dopo essere stato per 20 anni, nella sua quasi totalità fascista e aver creduto, obbedito e combattuto, si accanì schifosamente sulla salma di un morto, in una pubblica piazza.   L'Italia di piazzale Loreto, ossia quella "macelleria messicana" come la definì Ferruccio Parri, monumento alla vergogna e all'infamia nazionale, non è mai finita. Anzi, non mi stupisce affatto questo ennesimo saggio della vigliaccheria nazionale, fatto in massima parte dalle stesse persone che quando c'era il PCI, ne sono sicuro, erano tutte con il pugno chiuso durante il funerale di Berlinguer. "In Italia le cose non cambiano, nè progrediscono, semplicemente marciscono" diceva Indro Montanelli, uomo di destra, quella vera, che veniva chiamato "fascista" da quelli che adesso sono tutti "anticomunisti". Ed era anticomunista quando esserlo comportava essere sparato nelle gambe dalle BR. P.S. BR sta per Brigate Rosse non per Bravi Ragazzi.

22 giugno 2019

Per i morti viventi niente luce, radio e televisione dopo mezzanotte di Carmelo Musumeci

Per i morti viventi niente luce, radio e televisione dopo mezzanotte

- Si dice dopo due secoli: Il carcere ha fallito perché fabbrica delinquenti. Io direi piuttosto: esso ha centrato il suo obiettivo perché è proprio questo quello che si chiede. (Michel Foucault)
Il carcere in Italia è un cimitero e la cella una tomba spesso sovraffollata.
Ho sempre pensato che il carcere sia il posto dove più che in qualunque altro si possa vedere, toccare e sentire il dolore e la sofferenza, perché è il luogo più diseducativo esistente sulla terra e che t’insegna solo ad odiare.
Nei miei 28 anni di carcere ho sempre pensato che il Dipartimento amministrativo penitenziario sia un mostro infernale a nove teste e credo che contro di lui non ce la possa fare neppure Dio.
Credo che in Italia non ci sia una struttura istituzionale peggiore di questa. E questa nuova circolare, dove si chiede che “sia tassativamente garantita una fascia di rispetto di sette ore per notte, durante la quale vengano spenti i televisori, gli apparecchi radio e le luci”sia un'ulteriore conferma di ciò.
Come ormai molti sanno, e confermato dall’alta recidiva e dai numerosi suicidi, la pena in Italia si sconta in modo crudele, inumana, degradante, distruttiva e disumanizzante.
La stragrande maggioranza dei prigionieri sopravvive in luoghi di desolazione dove le persone vengono immiserite, svuotate e trattate come fossero pietre, in celle piene di scarafaggi, ratti e sudiciume.
     Ho letto in questi giorni che un'indagine statistica ha rivelato che la mortalità per i detenuti è maggiore delle persone che vivono in libertà. Hanno scoperto l’acqua calda. L’uomo è un animale nato libero e soffre la prigionia e la cattività più di qualsiasi altro animale.
Eppure gli autori di questa circolare ministeriale si preoccupano, come dice testualmente questa direttiva, in modo fuorviante di “tutelare il diritto alla salute che, naturalmente, contempla anche la necessità di un adeguato riposo notturno, riposo che non può in alcun modo essere impedito o disturbato da parte di individui che pretendono di imporre al prossimo i propri, magari scorretti e insalubri, ritmi sonno/veglia" dimenticando però di dire che i detenuti spesso vengono svegliati dalle conte notturne (controlli) e dalle luci dei corridoi che rimangono accese tutta la notte.
La gente non sa che il carcere così com’è non vuole solo punire, ma vuole anche distruggere e ora si pretendi di far dormire i detenuti a comando, come se fossero conigli.
Nei miei 28 anni di carcere ho sempre tenuto la televisione spenta di giorno e l’accendevo solo a tarda sera, quando passavano i programmi culturalmente più interessanti e ho sempre studiato e scritto di notte, adesso mi vengono i brividi a pensare che se mi trovassi di nuovo in carcere non lo potrei più fare.
In questi giorni un mio amico ergastolano mi ha scritto:
… sono anche stanco di chiedere, oggi vorrei solo essere lasciato in pace in una cella, non chiedo altro che un diritto, ma come si dice è importante avere un diritto, ma è più importante che qualcuno ti da il diritto che ti aspetta.
Ecco, adesso il prigioniero in Italia non ha più il diritto di leggere, studiare, ascoltare la radio e vedere la televisione quando vuole, ma quello che fa più male è leggere che i funzionari del Dipartimento amministrativo penitenziario (DAP) dicono di farlo per il tuo benessere e ovviamente per motivi di sicurezza. Che tristezza essere governati da uomini che se anche non commettono crimini a volte sono peggiori di chi li ha commessi.
Carmelo Musumeci
Giugno 2019

20 giugno 2019

Per me si va… di Angelo Ivan Leone

Per me si va… di Angelo Ivan Leone   Un filmetto. Nient'altro che questo. Visto negli anni '90 aveva lasciato, però, in me e in molti ragazzi della mia generazione una sorta di impronta indelebile. Già quel titolo: due vite al massimo. Un titolo che è il programma di tutta una vita. La storia: la riedizione in chiave moderna della parabola di Bonnie e Clyde. Per concludere, fatalmente, con quel finale che qui ripropongo. Lungi dal credere che la farina del diavolo va a sempre a finire in crusca, come direbbe il mio amato Tex, mi sono sempre soffermato su questa durezza e crudeltà del finale. Questa sorta di esecuzione dove tutti sparano su due ragazzini che avevano rubacchiato con una ferocia inaudita. Quando penso a qualcuno che vorrebbe che anche qui da noi si prendesse ad esempio il famoso e famigerato: "modello di autodifesa del sistema americano" che è stato, è e sarà sempre fallimentare nello stesso Paese dove è stato inventato, a me prima di tutti i discorsi e i ragionamenti, che contano sempre poco nella testa di tanta gente, balza immediatamente agli occhi una sola immagine. Questa: https://www.youtube.com/watch?v=gnHo6FZdmrs


18 giugno 2019

ROMA AD 476 DI angelo Ivan Leone

ROMA AD 476 DI angelo Ivan Leone

Tutta la storia dei successori di Teodosio (379-395) in Occidente è intrecciata ai movimenti dei barbari. Nel 375 d.C., ci fu la pressione degli Unni dalle steppe dell’Asia centrale sui Visigoti, che ottennero da Valente di potersi stanziare nella zona della Tracia. Si ebbe però presto una rivolta dei Visigoti che portò alla disastrosa sconfitta di Roma ad Adrianopoli nel 378. Alla morte di Teodosio, inoltre, Alarico, capo dei Visigoti, riprese la sua indipendenza d’azione.
Stilicone, generale vandalo cui si erano affidati i due figli di Teodosio Arcadio e Onorio, imperatori rispettivamente d’Oriente e d’Occidente, cercò di arginare questo nuovo nemico di Roma che fu fermato in Veneto. Tuttavia, la situazione ai confini precipitava per una nuova invasione dei popoli germanici (Vandali, Alamanni, Alani, Burgundi, Svevi), che erano sospinti ancora dagli Unni nel 406. Stilicone fu assassinato nel 408 a seguito delle lotte tra fazioni alla corte di Onorio (imperatore d’Occidente). Così Roma perse, a un tempo, il suo miglior generale e il suo più forte difensore.
Gli effetti si videro drammaticamente nel 410, anno in cui la città eterna, per la prima volta dai tempi di Brenno, fu saccheggiata dai Visigoti di Alarico.
Emerse a questo punto un’ultima grande figura femminile di corte: Gallia Placidia, sorella di Onorio, presa in ostaggio da Alarico e data in moglie al successore di Alarico, Ataulfo. Ataulfo, però, fu pressato da Flavio Costanzo, magister militum di Onorio, e il suo successore Vallia lasciò riscattare Placidia da Onorio e ottenne in cambio, attraverso un foedus (patto), di creare nell’Aquitania (attuale Francia occidentale) un regno indipendente che fu il primo regno romano-barbarico (418). Con Gallia Placidia governò e difese l’impero l’ultimo grande generale di Roma, Ezio.
I primi successi di Ezio furono diplomatici, con la formazione di altri regni romano-barbarici. Fu concesso ai Vandali di Genserico di insediarsi in Africa; in una piccola parte della Gallia ci fu il regno dei Burgundi. Gli Unni, ai quali fu permesso di stanziarsi in Pannonia (attuale Ungheria), arrivarono ben presto, sotto la spinta tellurica di Attila, a uno scontro con l’Impero.
Nel 451 Ezio batté in una delle più importanti battaglie di tutti i tempi, ai campi Catalaunici, Attila. L’imperatore Valentiniano III ruppe con Ezio e lo fece uccidere ed egli stesso rimase ucciso per mano dei seguaci di Ezio nel 455. Dopo questo duplice assassinio, seguì un periodo di estrema confusione e l’Urbe eterna fu presa e violentemente saccheggiata una seconda volta nel 455 dai Vandali di Genserico. Sotto il regno dell’imperatore Maioriano (457-461) si ebbe l’ultima riscossa militare dell’Impero d’Occidente. Quando anche Maioriano fu assassinato, la crisi dell’Impero romano d’occidente raggiunse la sua fase terminale. Dopo un periodo di vacanza sul trono d’Occidente (472-474), l’imperatore d’Oriente Giulio Nepote nominò imperatore d’Occidente il proprio figlio, Romolo, vezzosamente chiamato Augustolo.
Tuttavia, anche l’Italia si avviava oramai a essere un regno romano-barbarico. Così, il barbaro Odoacre, sciro a guida di una confederazione di Eruli, depose Romolo Augustolo e rimandò le insegne imperiali a Costantinopoli. Acclamato re dalle truppe, chiese il riconoscimento all’imperatore d’Oriente e gli fu concesso nel 476 d.C. L’Impero Romano d’Occidente non esisteva più. Come ha scritto Arnaldo Momigliano, è caduto senza fare rumore.

Mostra Fotografica SAN SALVARIO a cura di Marco Salvario

Mostra Fotografica SAN SALVARIO a cura di Marco Salvario
#spazionizza 11 – Via Nizza 11, Torino
10 maggio – 8 giugno 2019

Una mostra fotografica su San Salvario nel quartiere di San Salvario, in una location sotto quei portici di via Nizza che da decenni sono sempre a metà tra eleganza e degrado. Iniziativa lodevole e ben riuscita che ha coinvolto tre bravi fotografi: Federico Anzellotti, Franca Auricchio e Ivan Bianco.
Devo chiedere scusa ai lettori e ai fotografi per le immagini che accompagnano l’articolo: la mia visita è avvenuta in un giorno luminoso, i riflessi del sole hanno avuto spesso effetti devastanti e disturbanti sul giocattolo che uso io per documentarmi e che maneggio con notevole imperizia. Ho cercato di salvare il salvabile.
Lo #spazionizza 11, ospitava contemporaneamente nei locali del primo piano una seconda mostra dedicata a Gustavo Adolfo ROL, sensitivo, personaggio affascinante e controverso sul quale mi prometto di spendere qualche parola in futuro.
Restiamo sulla mostra fotografica dedicata a San Salvario. Ero tentato di affrontare l’analisi dei tre artisti come un unico autore a tre teste, ma poi ho deciso di donare a ognuno dei protagonisti la propria meritata autonomia.


Federico Anzellotti

Fotografo già da bambino, possessore a nove anni di una reflex. Che invidia! Io a quattordici anni ho avuto in comproprietà con mia sorella un giocattolo che faceva diapositive 24x18, quindi su un rotolo normale per 36, io ne potevo scattare 72. Comunque credo che sarei rimasto lo stesso disastro, anche se mi avessero regalato una Hasselblad quando ero nella culla.
Federico Anzellotti vive la fotografia come un “entrare in contatto”, una comunicazione prima con il soggetto e in seguito con lo spettatore, che deve vedere le opere esposte come un racconto per immagini.
San Salvario ben si presta per tale ruolo inspiratore, con le sue immagini statiche di palazzi solenni ma grigi su uno sfondo di nuvole, e dinamiche come l’ingresso della metropolitana o il tram arancione che percorre le strade.



Franca Auricchio

Fotografa amatoriale di ottima intuizione che negli ultimi cinque anni ha deciso di perfezionarsi e migliorare la propria tecnica. Nata in quel tratto di via Madama Cristina che è il cuore pulsante della San Salvario multietnica, in continuo divenire, porto di approdo spesso non facile e conflittuale.
Nelle foto esposte in questa mostra, mi ha colpito la grande capacità di cogliere e fare propri gli spazi, con il loro contenuto di persone in movimento o di luci nella notte.



Ivan Bianco

Nato a Courgné nel 1984 di orwelliana memoria, si trasferisce a Torino nel 2016 e trova subito nelle vie del quartiere una preziosa fonte d’ispirazione. Quest’anno (2019), è entrato nel mondo della fotografia analogica imparando l’arte di sviluppare da solo le proprie immagini in bianco e nero.
Questo percorso di ricerca, la differenza di tecniche, rende la sua esposizione più composita rispetto agli altri fotografi e più tesa verso nuove sperimentazioni.
Ho particolarmente apprezzato le foto dedicate alla movida nei locali e nelle strade di San Salvario.

HO SCRITTO QUESTO SALTO Una rapsodia ermetico-esistenzialista di versi di Marco Colonna a cura di Vincenzo Capodiferro

HO SCRITTO QUESTO SALTO
Una rapsodia ermetico-esistenzialista di versi di Marco Colonna

Ho scritto questo salto” è un’opera poetica di Marco Colonna, edita da Fara, Rimini 2019. Marco Colonna è nato a Palermo nel 1964, vive a Forlì. Dal 1999 dirige il portale web sestopotere.com. Cura il canale You-Tube Lotta alle mafie. Ha scritto articoli per vari periodici. Ha collaborato con televisioni e radio. Ha avuto diversi riconoscimenti. Inserito in diverse antologie, con Fara ha pubblicato anche Ani+ma (2016) e Siamo-sono (2017). Marco Colonna è un giovane molto attivo, come si evince dalla sua breve biografia riportata, eppure si presenta, nella sua immagine, come un “solo e pensoso”. Nella sua poesia si respira un’aura di pessimismo, eppure nella vita questo giovane si dà da fare, vive quel nietzschiano nihilismo attivo. Le sue poesie riprendono a grandi linee lo stile degli analogisti ermetici della poetica essenzialista. Questo atteggiamento lo possiamo già trovare nel distico: Disboscare le parole/ tornare al deserto delle lettere. Questo ermetismo, però a differenza di quello classico, è dettato da esigenze pratiche, non teoriche: non c’è più tempo per leggere, per meditare. Il cellulare prende ore ed ore della nostra vita. Il linguaggio cellularesco è neo-futurista. Bisogna correre, anche nella lettura. C’è un forte richiamo al deserto: il deserto ci rimanda ai Padri del deserto. Anche essi usavano un linguaggio essenziale. Certo i vecchi ermetici non avevano carta, dovevano anche essi essenzializzare, ma oggi non è questo il problema, il problema principale è la mancanza di tempo: il tempo fuggitivo che ci avvolge nei suoi turbinosi ritorni.
Come scrive Pietro Caruso nella Prefazione: «La poesia di Marco Colonna è cosmogonica come orizzonte e molecolare come struttura. Per cercare di penetrare la sua poesia bisogna provare le emozioni del funambolo. Mai guardare in basso, procedere a testa alta, asciugarsi le mani con il gesso della razionalità senza grossolanità dell’esistenza greve […]. Una trasposizione orientale che viene dai versi haiku si è fusa con la modernità di Bataille e lo psichismo di Lacan». In ciò lo stile del Nostro somiglia a quello di Alessandro Lamberti.
Nella sezione “Della realtà”, il Nostro prende spunto sempre da morti tragiche, come la caduta del ponte Morandi:

Arresi alla caduta,
saremo urla umane
nel boato di cemento.

Ci offre spunti di poesia esistenzialista che si concentra sull’”assurdo”, sul “tragico” e sull’heideggeriano “essere per la morte”. La morte è un fatto, che pur nella sua assurdità, dà il senso profondo all’esistenza:

La terra ci mangia in fretta…
noi significanti eternamente
in cerca di significato.

Come mai un giovane si interessa così tanto della morte? Oggi la morte è diventata un tabù, come la malattia, io direi: il tabù della croce. L’Europa era cristiana, oggi ci si vergogna di ostentare la croce. L’heideggeriano “essere per la morte”, se non per la differenza non ontologica, ma teologica, si avvicina molto all’”Apparecchio alla morte” di Sant’Alfonso. Per evitare la croce è più facile l’eutanasia. Eutanasia che tronca le esistenze anche a tredici anni! Ma in che mondo siamo arrivati? Ha trionfato Thanatos su Eros! Se il Signore avesse ragionato così, si sarebbe suicidato prima di Giuda per evitare la croce! La croce, il complesso del dolore richiede il complesso di salvazione. La morte non è più la vedova nera, ma è, come al chiamava Francesco, la nostra sorella più cara. Il problema vero della morte non è la morte prima, o fisica, ma la morte seconda, o metafisica, le “anima morte”. Ci sono così dei viventi che vivono come se già fossero morti e dei morenti, invece, che vivono come se fossero vivi. Così l’ammalato vive la vita nella sua pienezza, quel fil di vita che il dono dell’universo ha ricamato. Se siamo morti dentro siamo come gli zombie parmenidei. Questo è il senso profondo del concetto centrale del “Disessere” in “Mise en abyme”.

Non realtà
non teatro
non mondo
non poesia
non io.
Disessere.

L’essere è chiamata, è vocazione. Se non c’è risposta c’è il Disessere, non l’Esserci, cioè c’è l’esistenza inautentica di Heidegger, cioè l’inesistenza.

E quando il mondo
ci precipita dintorno
sempre ci ritrovi e ci consoli
nel ricordarci cosa siamo: terra e
vita che si regge al mondo.

Ci ricorda un frammento eracliteo: «Per le anime è morte divenir acqua, per l’acqua è morte divenir terra, ma dalla terra si genera l’acqua e dall’acqua l’anima» (fr. 36).
La poesia di Colonna è puramente esistenziale, non ci sono spunti metafisici. E questa è anche un’altra differenza con l’antico ermetismo, come quello, ad esempio, di un Ungaretti. È un pessimismo puro, che non contempla vie di liberazione, come in Schopenhauer, o come nella Ginestra leopardiana: il socialismo, che troviamo poetato anche nella pascoliana Italia proletaria. La pura contemplazione del dolore avviene, però col puro occhio estetico. Come diceva Aristotele, la tragedia purifica l’anima, è catartica. Esserci è più importante che Disessere: anche il Disessere è un essere mancato, un essere mancante, forse anche dei cari estinti. Non ci sono le speranze dei vati dannunziani, dei superuomini, degli oltre-uomini nietzschiani. Lì ancora c’era la metafisica della speranza, qui non c’è niente, c’è la pura espressione del foscoliano “nulla eterno”. Quella molecolarità di cui parlava il Caruso, si iscrive, in effetti, nella ventata postmodernista, che ha avvolto anche la poeticità.
Vincenzo Capodiferro

15 giugno 2019

Quante forme ha il cuore...di Angelo Ivan Leone

Quante forme ha il cuore...di Angelo Ivan Leone

Questa canzone, lirica e poesia insieme ci parla di quelle variabili di cui la vita è piena. Si parla dell'amore, già, ma quale amore? Come canterebbe Cocciante. Un amore diverso da quello tradizionale e stereopitato nella convenzionale scena di uomo e donna uniti da qualsiasi vincolo sacro. Un amore tra due amanti, non per questo meno grande, anzi. Un amore clandestino che brucia di luce propria fino a quando: la noia, la routine, l'abitudine non hanno il sopravvento anche su questo utopico sogno di passione.
La passione smodata e irrefrenabile viene infine vinta e avvinta, conclusa dalla musa incantatrice ed ispiratrice, allo stesso tempo, di questo immenso viaggio che è sempre a mezzo tra amore e morte, che ammette con lo stesso tono con cui Petain dovette ammettere la resa della Francia nella seconda guerra mondiale: "Con il cuore spezzato vi dico..."
"Io non ti amo più".
Marina Rei feat Pierpaolo Capovilla - E mi parli di te
https://www.youtube.com/watch?v=-9jvrOg5eeQ

13 giugno 2019

Tax day, Imu e Tasi alla cassa di Antonio Laurenzano

Tax day, Imu e Tasi alla cassa
di Antonio Laurenzano
Per famiglie e imprese si avvicina il “tax day”. Bollino rosso sul calendario per il giorno 17 giugno (il 16 cade di domenica): alla cassa i proprietari di case di lusso, seconde case, altri fabbricati, aree edificabili per il pagamento di Imu e Tasi con la novità di possibili aumenti. La Legge di Bilancio 2019, votata dal Governo del… cambiamento, ha rimosso lo stop ai rincari degli Enti locali operativo dal 2016 permettendo quindi a Regioni e Comuni di aumentare le aliquote fino ai livelli massimi. Cioè il 3,3% per l’addizionale Irpef regionale, lo 0,8% per quella comunale e, dulcis in fundo, il 10,6 per mille per Imu e Tasi.
Leva fiscale sbloccata nell’ottica di garantire alla fiscalità locale le risorse necessarie per assicurare ai cittadini adeguati servizi pubblici, con le legittime riserve del caso rapportate ai conti in rosso di molti Comuni. Per il malcapitato contribuente la possibilità di ignorare ogni eventuale aumento deliberato: pagare l’acconto di giugno pari al 50% dell’imposta calcolata in base alle aliquote dell’anno precedente e saldare, con relativo conguaglio, il prossimo 16 dicembre. Attenzione però alle condizioni “soggettive” e “oggettive” intervenute nei primi sei mesi di quest’anno che possono modificare l’importo dovuto. Da monitorare, in particolare, cambi di residenza, data di nuove locazioni o di risoluzione di vecchi contratti di locazione, comodati ai parenti di abitazioni tenute a disposizione, variazioni urbanistiche dei terreni.
Un quadro normativo che potrebbe presto cambiare. Nel dossier della fiscalità locale c’è una proposta di una imposta unica con bollettino pre-compilato che dovrebbe assorbire l’attuale regime di doppia imposizione sugli immobili prodotta da Imu e Tasi. L’obiettivo dei firmatari è quello della semplificazione per mandare in archivio due balzelli calcolati sulla stessa base imponibile. Ma se l’intento appare lodevole, la beffa per i contribuenti si nasconde in uno dei 13 articoli della proposta di legge firmata dalla Lega. Si prevede per la nuova imposta un’aliquota massima dell’11,40 per mille rispetto a quella attualmente in vigore del 10,6 per mille, come somma delle aliquote di Imu e Tasi. “Un aumento ingiustificato, denuncia Confedilizia, per la tassazione sugli immobili che ha raggiunto, in totale, la cifra monstre di 50 miliardi di euro l’anno.”
Il mattone è “riserva di caccia” per l’imposizione comunale, un “bottino” per gli Enti locali di oltre 10 miliardi. Una tassazione in cerca di equità. Non si può continuare a tassare per fare cassa senza una complessiva riflessione sulla fiscalità immobiliare, e non solo quella relativa ai tributi locali, che tenga conto della perdurante crisi del mercato. Con l’italica fantasia si cambia il nome delle tasse ma il mattone resta sempre nei pensieri del Legislatore, peraltro latitante sulla riforma del catasto che da vent’anni attende la sua attuazione.
Sostituire nel sistema fiscale l’obsoleto concetto di “vano”, risalente al 1929, con quello di metro quadrato delle superfici, adattare i valori di proprietà e quelli locativi ai valori del mercato reale, sono passaggi indispensabili per superare iniquità e sperequazioni nelle tassazioni. Senza ignorare il “mistero buffo” tutto italiano delle abitazioni di lusso che sarebbero, secondo alcune stime, almeno dieci volte tante e che finora sono sfuggite all’occhio … poco vigile del fisco proprio a causa di una normativa superata dal tempo, non in linea con le dinamiche del mercato
Un vuoto legislativo che tarda a essere colmato. Da anni si opera in presenza di una frantumazione della legislazione tributaria e di una precarietà normativa, una strada non più percorribile per l’affermazione dei principi di civiltà giuridica con cui uno Stato moderno deve relazionarsi con i propri cittadini.

ADDIO AL PATTO DI STABILITA’ STUPIDO di Antonio Laurenzano

ADDIO AL PATTO DI STABILITA’ STUPIDO di Antonio Laurenzano Addio al “Patto di stu...