29 settembre 2014

DIPHDA NON È SOLO UN GATTO di Anna Rivelli


DIPHDA NON È SOLO UN GATTO

Romanzo suggestivo e coinvolgente di Anna Rivelli


“Diphda non è solo un gatto” è l’ultimo romanzo della scrittrice Anna Rivelli, edito da Tracce, Pescara 2014. Oggi si parla tanto di rispetto degli animali, ebbene questo romanzo ha per protagonista proprio un gatto, di nome Diphda. Anzi l’autrice alla fine dell’opera ringrazia e fa una dedica «Alle creature che mi hanno insegnato che Diphda non è solo un gatto. Grazie a Tempestino, Ringo, Gea Micka…» e cita tutti i suoi simpatici amici. Come scrive Ubaldo Giacomucci è un «romanzo di indubbio valore, quindi che ci costringe a interrogarci sui temi fondamentali dell’esistenza senza fornirci risposte preconfezionate». Uno di questi temi esistenziali emergenti è proprio il rapporto che può instaurarsi con creature di altre specie viventi, simili alla nostra. La storia, molto coinvolgente e suggestiva,  si svolge tutta in una palazzina di Via Giordano Bruno, ove compaiono i vari personaggi, insieme a Diphda, tra cui questi due amici Pier, che sta per Pierluigi e Greg, che sta per Gregorio. Ci sono dei momenti belli e di forte “sospensione”, come la perdita di Diphda. Diphda è il nome di una costellazione, di un gatto, ma anche il nome di… una persona che compare in un bellissimo finale a sorpresa, che l’autrice ripone a coronamento della sua opera, e per cui invitiamo il lettore a seguire la sua trama, che ti avvince e ti coinvolge, quasi come se il lettore-spettatore si immedesimasse nel racconto. Come nota sempre il Giacomucci: «Il livello allegorico è di una certa intensità, e la scorrevolezza della trama e la coerenza espressa dai personaggi diventano emblematiche della semplicità dei valori più autentici, creando quasi un corto circuito tra scrittura e realtà». Le allegorie non mancano e in questa estrema sintesi abbiamo colto il senso profondo dell’opera della Rivelli. Il messaggio che l’autrice vuole rivelarci lo possiamo cogliere in alcuni passaggi, che riportiamo dal testo: «che gli animali fossero capaci di percepire presenze incorporee Mom lo diceva sempre; lo aveva letto in un libro sulla vita animale insieme a quello che a lui sembrava un gran mucchio di altre baggianate; gli era difficile, infatti, accettare l’idea che potesse esserci qualcos’altro dopo la morte» (p. 29). Riportiamo ancora un idilliaco ritratto del personaggio: «Di quanti più o meno assiduamente frequentavano la casa di Pier, il gatto era l’unico che sembrava aver capito tutto della vita, almeno della sua , ma poi, in fondo, anche di quella degli altri. Anche lui abitava lì da sempre, da quando la mamma di Pier lo aveva raccolto per strada piccolissimo quasi in fin di vita ed aveva passato la nottata ad allattarlo a goccia a goccia con la pipetta sottratta al flacone dell’antibiotico» (p. 21). Ci sembra una chiara immagine dell’autrice, che una volta ci raccontava di aver fatto l’aerosol ai gatti con una busta. Certamente è un romanzo che ha molte note autobiografiche, in cui Anna Rivelli si rispecchia perfettamente. Il senso più profondo del messaggio che l’autrice vuole rivolgere ai lettori lo cogliamo, oltre che nella bellissima citazione di Kahlil Gibran (p. 33), è questo: «E che cos’è? Che cos’è questo amore se non quell’alito che ci fa vivi già sulla soglia della nostra vita e sul suo limite estremo? Che cos’è se non l’anima stessa dell’universo che soffia come vento inestinguibile dentro di noi che altro non siamo che l’universo stesso? Io, tu… l’ultimo attimo che pure è il primo… e il sole che t’illude il tempo… e un dio che te lo riempie… e Diphda che ti guarda con occhi di bambino… Noi siamo l’Uno e il Tutto… senza razze, senza sessi… siamo l’Uno e il Tutto… io, tu… una stella che palpita, una pianta che respira… adesso, cento anni fa o tra mille… che è sempre adesso» (p. 101).  E qui siamo anche al senso allegorico più profondo, che collega l’autrice a quel panismo dannunziano e perché no? Al panteismo di quel Bruno di Via Giordano Bruno della palazzina di Diphda. E quanta somiglianza c’è tra queste parole di Anna Rivelli e quelle di Bruno: «è dunque l’universo uno, infinito, immobile… dunque l’individuo non è differente dal dividuo, il semplicissimo dall’infinito, il centro dalla circonferenza. Possiamo affermare che l’universo è tutto centro, o che il centro dell’universo è per tutto… » (De la Causa, dialogo 5). Noi siamo tutti centri molti, finiti e mobili dell’universo uno, infinito, immobile. Un ultimo richiamo che vogliamo esprimere nella nostra recensione a questo bellissimo romanzo di Anna va certamente alla creazione, a quel sesto giorno, quando Dio disse: «Le acque brulichino di esseri viventi e uccelli volino sopra la terra» (Gn 1,20). E poi: «La terra produca esseri viventi secondo la loro specie: bestiame, rettili e animali selvatici, secondo la loro specie» (Gn 1,24). Dio creò gli animali affinché l’uomo li custodisse, non a che li uccidesse e li mangiasse. D’altronde l’uomo non solo uccide gli esseri viventi di altre specie, ma anche quelli della sua specie, i suoi fratelli. Ecco perché inviò il patriarca Noè, l’amico degli animali innocenti, per salvarli: «è venuta per me la fine di ogni uomo, perché la terra, per causa loro, è piena di violenza; ecco, io li distruggerò insieme con la terra. Fatti un’arca di legno…» (Gn 2,13).
Voler condensare in poche righe tutta l’attività letteraria dell’autrice è molto difficile, cercheremo di riportare le cose più importanti. Anna R. G. Rivelli è nata a Potenza nel 1963. Dopo gli studi classici si è laureata all’Università di Salerno nel 1987 con un’interessante tesi di laurea sulle sculture lignee in Basilicata. Ha creato e dirige per le edizioni Studio Arti Visive i Quaderni Monografici. È direttrice del Centro culturale PAN. Ha pubblicato poesie, racconti, interventi di critica e storia dell’arte, collaborando con varie riviste, locali e nazionali. Nel 1996 è stata inserita nel catalogo “Voci di donne lucane”. Nel 1999 è stata presentata la sua opera nell’ambito del progetto “Scuole di lettura in biblioteca”, voluto dall’On. Giovanna Meandri. Nel 2007 ha fondato l’associazione NoiCittadiniLucani. Attualmente è docente di Lettere al Liceo Galilei di Potenza. Da anni collabora con il Quotidiano della Basilicata. Il suo primo romanzo “Il Ragno”, edito sempre da Tracce nel 2011, ha ricevuto il primo premio al concorso letterario “Saturo d’argento” di Leporano. Nel 2013 ha realizzato per il comune di Potenza il Museo virtuale degli artisti lucani.

Vincenzo Capodiferro

25 settembre 2014

Recensioni e corso di scrittura creativa



Miriam Ballerini ricorda che è ancora disponibile il suo corso di scrittura creativa on line.
Inoltre, se avete scritto un libro e volete una recensione, potete chiedere informazioni scrivendo a miriamballerini@alice.it
Il libro deve essere stato pubblicato da una casa editrice, non auto prodotto, ed essere provvisto del codice ISBN.
La recensione verrà pubblicata su vari siti seguiti da un vasto pubblico.
Per informazioni sull’autrice: miriamballerini.com

24 settembre 2014

L'assassino dei sogni di Carmelo Musumeci e Giuseppe Ferraro




L’ASSASSINO DEI SOGNI  Carmelo Musumeci e Giuseppe Ferraro
© 2014 Stampa Alternativa – Nuovi Equilibri
ISBN  978-88-6222-417-8   Pag. 63  € 1,00

Questo libricino in formato economico, a prima vista, può sembrare un qualcosa di scarno, ma se si va al di là dell’apparenza, scopriamo al suo interno pagine ricche di umanità.
Lo possiamo paragonare proprio al protagonista, Carmelo Musumeci, promotore della raccolta firme contro l’ergastolo ostativo; col quale anche la sottoscritta collabora da anni.
Musumeci è un detenuto, uno di quelli col “fine pena mai”. In carcere da più di venti anni sta portando avanti la sua battaglia che lo ha portato da “delinquente” a una persona che si è laureata, è cresciuta ed è cambiata. Una persona messa al margine, proprio come potrebbe apparire questo libretto, così discreto, che passa quasi inosservato. Eppure, se lo si legge con attenzione, scopriamo quanto possa donare.
Giuseppe Ferraro è un docente di filosofia della morale alla Federico II di Napoli.
In questo libro troviamo le lettere che nel tempo si sono scambiati l’ergastolano e il filosofo; lettere personali, ma che qui trovano una ragione d’essere proprio per quello che hanno da insegnare al prossimo: l’umanità, la riflessione, la capacità di trovare una ragione di vita anche laddove pare non ci debba più essere via d’uscita.
Sono molti i temi toccati: oltre la reclusione in sé, le gabbie che tutti noi racchiudono. Il suicidio, il senso della vita, le giornate vissute nel carcere da una parte e tramutate in senso sociale dal filosofo.
Perché anche un ergastolano è una persona che ha desideri e speranze, anche se pare non ne abbia più diritto.
Ci sono pagine di denuncia, di fatti che noi troviamo a latere  nelle pagine di cronaca, ma che, per chi le vive quotidianamente, fanno parte della propria giornata.
La società ha un dovere fondamentale, ed è quello del recupero. Non basta acciuffare il colpevole, toglierlo dalla società e lasciarlo a sopravvivere laddove non possa più nuocere, senza fargli comprendere il suo errore, senza redimerlo. Senza dargli una speranza di cambiamento e di propositi.
Troppo spesso la gente dimentica che dietro all’errore c’è un essere umano, troppo facile è eluderlo così da fingere che non esistano anche gli sbagli, di sicuro alcuni atroci; ma che comunque fanno parte del nostro essere uomo.
La frase che più mi ha colpito e che condivido appieno è questa: “La pena deve essere un diritto, non una condanna, non una punizione”.
Un libro che consiglio vivamente di leggere, perché è stupido fingere che non esistano determinati problemi; ciò che rende grande ogni uomo è la sua capacità di riflettere, di capire, di seguire un percorso che lo porti anche a confronto con problemi che crede lontani da lui.
La prefazione è stata curata da Francesca de Carolis che dice: “Il professore e l’ergastolano, dunque. Che non è, come si può immaginare, un colloquio fra maestro e discepolo o, chissà, fra consolante e afflitto. Si tratta piuttosto di un confronto, continuo, serrato, con la vita”.

© Miriam Ballerini

08 settembre 2014

BAMMENELLA di marcello de santis

BAMMENELLA di   marcello de santis

Quante volte ho ascoltato la canzone Bammenella per la splendida interpretazione di Angela Luce, bella e brava cantante e attrice napoletana. 
Per un certo periodo è stata per me la canzone più amata, quella che ascoltavo di più, ne ero incantato (forse perché ero innamorato della bella voce di Angela). 
Eppure, confesso, non mi sono mai soffermato sul testo che pure mi piaceva tanto; anche e soprattutto per la musica che mi rapiva ogni volta. E non immaginavo neppure lontanamente il significato del termine bammenella, che ritenevo - ignorantemente - fosse il nome della protagonista della canzone. Solo più tardi mi resi conto che, sì, in qualche modo lo era.
Allora non sapevo quanto lontano io fossi dalla realtà. 
Bammenella, in lingua significa bambinella, un vezzeggiativo del sostantivo "bambina, insomma "piccola dolce bambina"; ma nella canzone è il nome della ragazza che fa da protagonista, nata dalla verve di quel grande compositore e poeta che fu a Napoli Raffaele Viviani, il "poeta scugnizzo" come veniva chiamato.
La canzone nacque nei primi anni del novecento, esattamente nel 1917, a narrare le vicende di questa giovane affascinante guagliona che per vivere esercita il mestiere più antico del mondo, la prostituta; lei si descrive come "bammenella 'e copp' 'e quartiere", la bambinella di sopra i quartieri, presumiamo si tratti dei quartieri spagnoli, sopra Toledo. Oggi i quartieri, in cui un tempo era disegnata e divisa teoricamente la città, sono solo dei riferimenti, come dire, topografici; e in ispecie indicazioni dei luoghi sulla carta della posizione nella città vecchia. A quel tempo, nel primo novecento, erano circa una trentina, oggi sono stati raggruppati in dieci municipalità.

una strada dei quartieri spagnoli

I quartieri spagnoli oggi stanno a indicare le zone di Montecalvario ed Avvocata, per intenderci; prendono il nome dall'essere stati, nel millecinquecento, sede delle milizie spagnole di stanza permanente a Napoli o di passaggio per poi andare verso altre destinazioni. E fin da subito luoghi di cattiva fama per la presenza di prostitute e di piccola e grande criminalità. Sono vicoli e vicoli che scendono dalla parte alta della città storica di Napoli giù alla allora via Toledo (oggi via Roma) che prende il nome dal viceré della città don Pedro de Toledo, appunto. Ancora oggi i quartieri sono popolatissimi di gente povera gran parte della quale vive nei famosi "bassi (vasci)"

La ragazza dunque si racconta così

“... So' Bammenella ‘e coppe Quartiere:  
pe’ tutta Napule faccio parla’,  
quanno, annascuso, pe vicule, ‘a sera,
‘ncopp’ o pianino mme metto a balla’. 

Sono "Bambinella" di sopra i Quartieri, / e per tutta Napoli faccio parlare (di me), / quando, nascostamente, per i vicoli, di sera, / sulla musica di un pianino mi metto a ballare... 

Il mio amico Stefano Trapanese, che mi onora della sua amicizia, mi autorizza a pubblicare una sua opera che immortala appunto "Bammenella".

Bammenella
(olio su tela di Stefano Trapanese)
Il soggetto è riprodotto dal vivo 
la modella è una ragazza che veste leggeri pizzi
ed una lingerie molto lingerie
Sembra di vederla questa ragazza - estroversa e sfacciata - mettersi a ballare in tutta la sua gioia, così come la immaginò - mi piace pensare - il suo autore Raffaele Viviani (1888-1950).

Raffaele era di Castellammare di Stabia, ma la sua famiglia presto si trasferì a Napoli, dove il giovane con la grande passione per il teatro trasmessagli dal padre, che a Castellammare dirigeva un teatro, l'Arena Margherita, prese a scrivere appena si fece grandicello, Ché ancora bambino - aveva solo quattro anni - debuttò sulle scene del nuovo San Carlino, a fianco della sorella Luisella; e dalle tavole del palcoscenico nacque il Raffaele Viviani che noi conosciamo.

Raffaele Viviani (1888-1950)
la famiglia ha sempre versato in condizioni miserevoli 
e Raffaele ben presto deve darsi da fare per aiutare in casa. 
Infatti a soli dodici anni perde il padre e diviene giocoforza lui il capo della famiglia. 
Dovette abbandonare i giochi e lavorare per vivere, cominciando a recitare prima, 
a scrivere commedie dopo; e poi poesie e quindi canzoni, 
tutte cose che lo resero celebre non solo a Napoli, ma nel mondo intero.
Ecco i primi versi di una poesia in cui  descrive se stesso ancora guaglione

Quanno pazziavo 'o strummolo, 'o liscio, 'e ffiurelle, 
a ciaccia, a mazza e pìvezo, 'o juoco d''e ffurmelle,
 stevo 'int''a capa retena 'e figlie 'e bona mamma,   
e me scurdavo 'o ssolito, ca me murevo 'e famma.

quando giocavo con lo strummolo (la trottolina di legno) 'o liscio (giocando a carte, lo striscio, il liscio, a significare che si hanno in mano altre carte dello steso seme) 'e ffiurelle (a figurine) a lizza (o lippa) o con i bottoni ('e ffurmelle) ricordo che stavo nella più grande combriccola di figli di buona mamma e mi dimenticavo al solito che morivo di fame.
(Raffaele Viviani, Guaglione, 1931)
E dunque, Bammenella. 
L'autore con tutta la sua anima di attore e sceneggiatore nonché di autore di commedie, descrive una ragazza, come detto, di facili costumi, che andrebbe bene come interprete di una sceneggiata tutta napoletana. Io non so se l'abbiano mai messa in scena questa canzone (come è avvenuto per tante altre; ho in mente a tal proposito il grande Mario Merola con le sue indimenticabili sceneggiate, la più grande di tutte "'Zappatore", nata appunto come canzone - era l'anno 1928 - per i versi di Libero Bovio e la musica di Ferdinando Albano, e poi portata sulle scene ogni volta con grandissimo successo); dicevo, non so se Bammenella sia mai stata rappresentata, riconosco la mia ignoranza, e me ne dolgo. Ma credo che sarebbe una sceneggiata di grido; gli ingredienti ci sono tutti per un dramma che pare attuale, considerando l'argomento trattato: la donna perduta, giovane e bella, il pappone, il maresciallo o il brigadiere, la malattia del protettore, le cure che gli prodiga la donna, e le botte che lui le rifila, e l'amore che - nonostante - ella prova per lui. 
E la musica è già pronta; basta farne degli arrangiamenti ad hoc.E se pensiamo che la poesia è nata dall'estro di questo grande artista a tutto tondo, c'è da restare stupiti; un artista "già grande", quando grande non era ancora, ma che fu costretto, come ho detto, a diventarlo presto, quann'era - se po' dicere, ancora "guaglione". 
Aveva presto lasciato i giochi di ragazzo, lo strummolo, 'o liscio, 'e ffiurelle, perché
... a dudece anne, a tridece, cu 'a famma e cu 'o ccapì,
dicette: Nun pò essere: sta vita ha da fernì.
Pigliaie nu sillabario: Rafele mio, fa' tu!          
E me mettette a correre cu A, E, I, O, U.

... a dodici tredici anni, con la fame che non passava e cominciando a capire la vita, mi dissi: non può andare così, questa vita deve finire...
e si mise a studiare, prese il sillabario, 
"adesso devi fare sul serio, caro Raffaele"... 
... e si mise a compitare cominciando dalle vocali... (e mi misi a correre studiando le A,E,I,O,U).

E allora Bammenella, Bammenella 'e copp''e quartiere. 
Nella quale l'autore, grande scrittore e interprete sulla scena delle sue opere in vernacolo, trasfuse tutta la sua immensa umanità, che va a mitigare la trista realtà della donna di strada, vittima non solo della vita ma anche del protettore che su di essa scarica una inammissibile violenza gratuita; e anche su Bammenella si riversa questa violenza materiale, ma ella ama il suo uomo, nonostante tutto.
Sentite qua:
....
Io faccio ‘ammore cu ‘o cap’e guaglione 
e spenno ‘e llire p’o fa’ cumpare’. 
....
Tengo nu bellu guaglione vicino 
ca mme fa rispetta’! 

Chi sta ‘into peccato, 
ha dda tene’o ‘nnammurato, 
ch’appena doppo assucciato, 
s’ha da sape’ appicceca’. 

E tutt’ e sserate 
chillo mm’accide ‘e mazzate! 
Mme vo’ nu bene sfrenato, 
ma nun ‘o ddà a pare’!”

... faccio l'amore con il capo / e spendo i soldi per fargli sempre fare bella figura. (in pratica, è lei che mantiene lui)
...
ho vicino a me un bel ragazzo / che mi fa rispettare da tutti.../ del resto chi vive nel peccato come me / deve per forza avere l'innamorato, bello, forte / che dopo aver fatto l'amore / deve sapere anche litigare...
Mi riempie di botte (mazzate) tutte le sere / mi vuole però un bene da matti / anche se non lo dà a vedere...

E ditemi voi se questi versi scritti quasi cento anni fa non sono attualissimi, nel dipingere la situazione della violenza sulle donne, che da allora non è cambiata, se non in peggio; di cui oggi molto si parla e si argomenta, con una maniera sì drammatica ma quasi accettabile, direi; come nella canzone, ché così appare in essa questa bellissima figura femminile, grazie anche a una stupenda colonna musicale. 
Bammenella è convinta che il suo uomo la ami, anche se la spinge giornalmente sul marciapiede a battere, la riempie di "mazzate" e le fa fare debiti per mantenerlo; situazione che anche oggi la gran parte delle donne vessate materialmente e psicologicamente si rifiutano di denunciare (per paura? per abitudine alla sottomissione?) alle autorità costituite; e si giustificano dentro di sé con un "e che possiamo fare, se non questo?".
E' convinta che lui l'ama, e lei confessa di riamarlo in maniera carnale. Lo cura quando sta male, spende tutto quello che ha  per le visite del medico, per le medicine, e quando non ha denaro sa come fare:
...‘o duttore cu mme s’è allummato, 
pe’ senza niente mmo faccio cura’.

Ha fatto innamorare il dottore (che s'è acceso per lei, s'è allumato) / e fa curare il suo uomo senza pagare (e lascia intendere che paga in natura...).

Bammenella viene presa spesso in occasione di retate delle guardie che la portano in caserma; ma lei non se ne preoccupa, ché 
Cu ‘a bona maniera, 
faccio cade’o brigatiere, 

con le mie buone maniere / faccio cadere nelle mie braccia il brigadiere ...
e quando nella retata talvolta cade il suo protettore, lei sa come fare, si reca laddove l'hanno portato, e 
Cu ‘a bona maniera, 
faccio cade’o brigatiere
mentre io lle vengo ‘o mestiere 
isso hav’o canzo’ e scappa’
... mentre concedo a lui le mie grazie / il mio uomo ha modo di scappare...

E' un amore carnale che la lega indissolubilmente a questo mascalzone che per lei è solo il bel ragazzo alto e forte che la fa rispettare da tutti e che la fa impazzire d'amore.
Sentite questo:
Pe’ mme, o ‘ssenziale 
è quanno mme vasa carnale: 
mme fa scurda’ tutto o mmale 
ca mme facette fa’.”

Per me la cosa più bella e più importante / è quando lui mi bacia e mi desidera carnalmente / è allora che mi fa scordare ogni male, ogni bruttura della vita / e di tutto il male che mi fece e mi fa fare...

Eccola la vita degradata di Bammenella, ma per lei la vita più bella che ci sia perché ha vicino un uomo che la ama nonostante tutto, non importano più la dignità calpestata, le botte; e ci sta bene pure che spesso venga portata via dalle guardie, tanto andare in questura, per lei è talmente un'abitudine inveterata che è diventata una pura "furmalità". 

Ché lei lo sa che

.... cu ‘a bona maniera, 
faccio cade’ ‘o brigatiere, 
piglio e lle vengo ‘o mestiere...

Cu ‘a bona maniera, 
faccio cade’o brigatiere
mentre io lle vengo ‘o mestiere 
isso hav’o canzo’ e scappa’

... mentre concedo a lui le mie grazie / il mio uomo ha modo di scappare...

Per chiudere voglio riportare una breve testimonianza di Angerla Luce che ha per oggetto la canzone.

Angela Luce

Lo ha raccontato in occasione dei festeggiamenti per i suoi sessant'anni di carriera di canto e di cinema. Riporto le sue parole:

Era il 1967 e stavo girando ‘‘Lo straniero''. Eravamo in una pausa e a un tratto il maestro si avvicinò e mi disse: ‘Angela me lo fa un grande regalo?', 
‘Ma certo conte, mi dica', 
‘No, non mi chiami conte, ma solo Luchino, ecco vorrei che mi cantasse ora e qui la sua straordinaria ‘Bammenella'. Sa, l'ho sentita a teatro e mi ha regalato emozioni fortissime'. 
Non me lo feci ripetere due volte e intonai a cappella, senza strumenti, lo struggente brano di Viviani, che da allora sarebbe diventato il mio cavallo di battaglia». 

E' il suo cavallo di battaglia. 
Per me Bammenella, la ragazza perduta de copp''e quartiere, è e sarà solo e sempre Angela Luce.

Per ascoltare il testo:  http://www.youtube.com/watch?v=Yn4Jaxir09I

IL SOGNO EUROPEO DI DE GASPERI A sessant’anni dalla sua scomparsa di ANTONIO LAURENZANO


       IL SOGNO EUROPEO DI  DE GASPERI 

      A sessant’anni  dalla sua  scomparsa


                             di  ANTONIO  LAURENZANO

19 agosto 1954 : a Sella Valsugana, a 73 anni, moriva Alcide De Gasperi, uno dei Padri fondatori dell’Europa, « un  europeo prestato all’Italia ». Con il francese Schuman e il tedesco Adenauer ha scritto una delle pagine di storia più importanti del XX secolo, contribuendo a ricucire le sanguinose lacerazioni del passato fra gli Stati del Vecchio continente e a gettare il seme per una « comunità spirituale di valori e di civiltà ».
            A sessant’anni dalla scomparsa, la lezione europea di De Gasperi è di grande attualità. Il suo fu un  europeismo  illuminato che seppe bene interpretare le aspirazioni di pace e di democrazia dei popoli europei dopo gli anni bui della guerra. Era convinto che il superamento dei nazionalismi e dei totalitarismi passasse attraverso la costruzione di una comune casa europea, espressione di valori condivisi. Per l’Europa non ci sarebbe stato un futuro se non si fossero spenti i focolai degli egoismi nazionali, se non si fosse avviato un  processo di unificazione politica.      
            E’ alla Conferenza di Pace del 1946 a Parigi che inizia la storia politica di Alcide De Gasperi al servizio del Paese quando,  davanti ai  ventuno delegati delle Potenze vincitrici, pallido in volto,  con dignità profonda e  l’angoscia nel cuore, pronuncio’ poche ma significative parole  : «Sento che qui tutto è contro di me, tranne la vostra personale cortesia ». Fu il vero artefice della ricostruzione nazionale. Rimase al potere otto anni : un periodo di contese e forti tensioni sociali.
            Per il suo senso dello Stato e la sua lucidità d’azione fu paragonato a Cavour. Coraggiosa  la scelta operata nel maggio 1947 di allontanare dal Governo socialisti e comunisti, dettata  da una precisa esigenza politica : per la ripresa dell’economia, occorreva dare all’Occidente un segnale forte, senza tentennamenti ideologici. Ebbe così inizio la proficua intesa governativa con Luigi Einaudi  per l’attuazione di  quella politica liberale che fu alla base del miracolo economico alla fine degli Anni Cinquanta.
            Fece crescere l’Italia con gli aiuti del Piano Marshall  e le restitui’ prestigio a livello  internazionale facendola partecipare alla NATO, nonostante la lunga e accesa battaglia parlamentare. Con mano sicura, porto’ l’Italia fuori dalle lacerazioni morali e materiali causate dalla disfatta bellica. La firma a Parigi, il 18 aprile 1951, del Trattato istitutivo della CECA , Comunità economica del carbone e dell’acciaio, segno’ una svolta importante nella storia del Vecchio continente. Vinti e vincitori della Grande Guerra si trovarono uniti per disegnare , con unità di intenti e di azione, un comune percorso di pace e progresso per l’Europa.
            Il suo impegno a favore dell’unficazione politica europea si concretizzò con il disegno della Comunità europea di difesa (CED). Quando, nell’aprile 1954, l’Assemblea Nazionale francese rifiuto’ di ratificarne il Trattato istitutivo, Alcide De Gasperi, che si avviava alla fine dei suoi giorni terreni, con amareza dichiarò : « Meglio morire che non fare in Europa la Comunità di difesa !» Era per lui la fine di un sogno !
            Alcide De Gasperi porto’ nella politica una misura morale rigorosa, espressione della sua coscienza, della sua onestà intellettuale, della sua integrità di vita. Non esercito’ mai il potere per il potere. Morì povero com’era vissuto. Ed era vissuto in piena solitudine, anche all’interno del suo stesso partito, forte della sua incrollabile fede in Dio. Non aveva bisogno di nessuna mediazione terrena di  curiali per sentirsi vicino a Dio, cosi’ profonda era la sua religiosità ! La sua statura politica, la sua dignità di Uomo di Stato, non ammettevano nessuna interferenza nell’azione di governo, nemmeno dal Vaticano, all’ombra del quale, peraltro, come cattolico era creciuto,  convinto assertore della  divisione dei ruoli fra l’Uomo di  Chiesa e l’Uomo di Stato, sulla scia  del vecchio  principio risorgimentale : libero Stato in  libera Chiesa. Semplicità e  riservatezza  furono le sue prerogative.Tolleranza e rispetto le sue armi. Un galantuomo della politica, « un europeo venuto dal futuro », che ha ha lasciato in eredità alle giovani generazioni un grande patrimonio di valori ideali e spirituali.

ADDIO AL PATTO DI STABILITA’ STUPIDO di Antonio Laurenzano

ADDIO AL PATTO DI STABILITA’ STUPIDO di Antonio Laurenzano Addio al “Patto di stu...