31 dicembre 2021

GRUPPO AMICI DEL PRESEPE DI SOLBIATE ARNO (VA) a cura di Miriam Ballerini

 GRUPPO AMICI DEL PRESEPE DI SOLBIATE ARNO (VA)

Quest'anno, come avrete notato, mi sono particolarmente dedicata alla visita dei presepi.        Mi affascina il lavoro manuale che sa ricreare atmosfere e mettere in scena ambientazioni e momenti importanti per la nostra religione cristiana; ma che diventano apprezzabili anche per chi li vede solo con un occhio artistico.                                                                                                    La Chiesa vecchia di S. Maurizio a Solbiate Arno, ogni anno viene aperta per permettere la visita ai manufatti allestiti dal gruppo amici del presepe.                                                                    Mi ha fatto sorridere che, appena varcata la soglia, è partita la musica di una versione di jingle bells “roccheggiante”! Seguita, poi, da altre canzoni natalizie suonate in modo più tradizionale.                                                                                                                                    Bellissima la frase che subito troviamo all'ingresso e che ci introduce nel meraviglioso mondo dei presepi: “Ad ogni uomo … a te bambino, ragazzo, adolescente, giovane, adulto, anziano … a te che credi in un mondo unito, a te che sei in ricerca, a te amico, fratello, figlio … dietro ogni statua ed ogni paesaggio c'è un volto, una storia … chiedi a Dio i suoi occhi e in silenzio contempla …”

Non sono moltissime le ricostruzioni che troviamo, circa una decina, ma sono così accurate da perderci svariati minuti per osservarle. Ognuna di loro ci fa addentrare nei vari momenti biblici: la natività, oppure la visita dei re magi, o l'Arcangelo Gabriele e la sua Annunciazione.                                                                                                                                            Le statuine, a un certo punto, sono le cose che meno si guardano, perché gli occhi vengono rapiti dai particolari ricreati alla perfezione: dei barili piccolissimi, o le ceste. Le aie con gli animali e gli arnesi tipici della vita contadina. Alcuni presepi sono posti nelle grotte, con intorno alberi e varia vegetazione. Altri sono riprodotti in cascinali, con le case fatte di veri piccoli mattoni in sasso. Sono stati utilizzati tutti materiali di recupero: pezzetti di legno, sassi, muschi, sabbia...                                                                                                                                            Ci sono poi dei veri e propri piccoli gioielli: come le selle sulla schiena dei cammelli. Si notano l'accuratezza, il lavoro che sfocia proprio nella passione di quello che si sta creando non contando più la fatica e la pazienza, ma al risultato.

Il tutto è visitabile fino circa a metà gennaio. Una gita piacevole che vi consiglio.


© Miriam Ballerini

© Foto di Aldo Colnago


Solgenitsin – Una giornata di Ivan Denissovic a cura di Marco Salvario

 Solgenitsin – Una giornata di Ivan Denissovic

Marco Salvario

Vita travagliata e controversa quella di Aleksandr Isaevic Solgenitsin, uno scrittore che si è trovato a vivere sballottato tra le vicende turbolente della Russia del secolo scorso, usato spesso sia dal suo paese sia dal mondo occidentale come un'arma politica, lodato per meriti che non sempre aveva e condannato per accuse non vere. Di questi ultimi giorni è la notizia della chiusura in Russia di Memorial, organizzazione da lui fondata nel 1989 per la difesa dei diritti umani.

Solgenitsin nasce nel 1918 a Kislovodsk, una cittadina sulle pendici settentrionali del Caucaso; suo padre, che era diventato proprietario di vasti terreni e di molto bestiame, muore in un incidente pochi giorni prima della sua nascita. La sua infanzia è povera, la sua famiglia perseguitata, le proprietà del padre espropriate, uno dei nonni è arrestato e fatto sparire dalla polizia politica; eppure con grande determinazione si laurea in matematica con lode a Rostov e studia per corrispondenza Filosofia e Letteratura. L'invasione tedesca lo spinge a partire volontario; è promosso capitano per il valore dimostrato e per due volte viene decorato, finché, il 9 febbraio del 1945, per una lettera inviata ad un amico in cui critica Stalin, accusandolo di avere tradito la dottrina leninista, è degradato, arrestato, condannato a otto anni di lavori forzati e alla successiva espulsione dalla nascente Unione Sovietica. Dopo un periodo in carcere è trasferito ai campi di lavoro; da quel momento sarà il prigioniero SC-232 e lavorerà come muratore. Preparerà molti racconti che dovrà però tenere tutti a mente, essendo vietato ai prigionieri lo scrivere.

È liberato nel 1953, negli stessi giorni della morte di Stalin, ed è inviato al confino di polizia nel villaggio tartaro di Kol-Teren, dove, benché malato di cancro, può finalmente cominciare a mettere su carta le sue opere. Per sua fortuna, la situazione politica, dopo le sanguinose purghe staliniane, si apre a un progressivo disgelo.

Solgenitsin viene liberato nel 1956 e l'anno successivo è completamente riabilitato.

Nel 1962, una delle principali riviste letterarie russe pubblica il suo racconto “Una giornata di Ivan Denissovic”. In quegli anni di grande speranze il presidente dell'URSS è Nikita Krusciov, che chiude il periodo staliniano e ne prende le distanze, presidente degli Stati Uniti è John Kennedy, mentre il papa è Giovanni XXIII. Il mondo vive un periodo di entusiasmo e fiducia, che si chiude in pochi mesi per la morte di tutti e tre i grandi uomini.

Solgenitsin continua il suo impegno, ma le sue opere non possono più essere pubblicate in URSS e i manoscritti sono trasferiti clandestinamente all'estero.

Nel 1970 gli è conferito il premio Nobel per la letteratura, ma non si reca ad Oslo per la premiazione, temendo di non potere ritornare in patria. Il suo destino è comunque segnato: nel 1974 è privato della cittadinanza ed espulso; dopo un periodo trascorso in Svizzera, si trasferisce negli Stati Uniti. Per Solgenitsin sono anni ricchi di pubblicazioni e di interventi pubblici, nonostante la precarietà del suo inglese, con dure critiche e polemiche rivolte sia alle minacce sovietiche sia alla debolezza della cultura occidentale; ha posizioni dure che lo avvicinano alla parte conservatrice della politica americana e lo mettono in urto con gli esponenti della cultura democratica. Molto veementi i suoi interventi a favore della guerra in Vietnam e contro il movimento pacifista.

Con Gorbaciov, nel 1990 riottiene la cittadinanza sovietica e nel 1994 torna in Russia.

Continua a scrivere e ad essere una presenza molto attiva nei dibattiti.

Muore di infarto nel 2008; è sepolto a Mosca con solenni funerali di Stato.



Il lettore che dopo questa veloce biografia dell'autore, si trovasse tra le mani il libro “Una giornata di Ivan Denissovic”, potrebbe avere un momento di imbarazzo, temendo di dover affrontare un polemico e avvelenato pamphlet contro lo stalinismo. Così non è.

Quella che ci viene narrata, è una giornata tipica nella vita di un uomo prigioniero in un gulag siberiano. Il gulag è un campo di lavori forzati, un ingranaggio spietato creato per cancellare la personalità delle persone, sfruttandone al tempo stesso il lavoro. A differenza dei lager tedeschi, dove l'obiettivo era lo sterminio, qui ogni persona ha importanza come lavoratore e ottiene il minimo di viveri e di riposo per potere sopravvivere e produrre, ma nulla di più.

Il racconto è ambientato nel 1951 e il potere di Stalin in URSS è in quegli anni assoluto.

Il protagonista, il contadino Ivan Denissovic Sciuchov, è Solgenitsin stesso ed è le centinaia di altri prigionieri con cui ha scambiato ricordi e testimonianze, rendendo così la descrizione vera, convincente e umana. Il vero dominatore della scena è però il gulag stesso, la sua atmosfera opprimente stringe in un gelido e spietato abbraccio prigionieri e guardie subito dalle prime righe:

Come al solito, all'alba, alle cinque, ci fu la sveglia. Picchiavano col martello su un binario, accanto alla baracca del comando. Il suono intermittente attraversò, smorzato, i vetri coperti dal ghiaccio e subito si spense: faceva freddo e il guardiano non aveva voglia di stare lì a picchiare.”

Comincia così la giornata di Sciuchov, in un campo il cui intento è trasformarlo un animale da fatica obbediente e stupido. Riposo, lavoro, mangiare. Fatica e ubbidienza.

Alcuni prigionieri cedono, si degradano, diventano spie, si abbassano a raschiare il fondo delle scodelle dove altri hanno mangiato e cercano di sottrarsi alla fatica, gli altri restano uomini, svolgono il loro lavoro con fierezza, con l'orgoglio di farlo bene, aiutano la propria squadra, i propri compagni. Ubbidiscono alle regole perché sono costretti, ma mantengono la loro dignità.

Colpisce il messaggio che persino in quell'inferno l'uomo può e deve restare vero uomo, anche se ha perso la fiducia nel futuro, al qual sembra preferire il presente in cui sta vivendo.

Primo Levi, prigioniero in un lager nazista, si chiedeva sconsolato se in tali condizioni l'uomo era ancora un uomo, Solgenitsin risponde che può adattarsi a ogni prigione e conservare la propria dignità.

Nella lotta per la sopravvivenza nel gulag, la salute fisica e mentale sono un unico bene e due sono i grandi nemici da combattere: la fame e il freddo. Non mangiare vuol dire perdere le forze e non riuscire più a eseguire gli ordine assegnati, venire puniti e ricevere meno cibo, diventando ancora più deboli. Il freddo è come una malattia e anch'esso logora e consuma.

La pezza che Sciuchov si era messo come una museruola, imbevutasi di fiato durante la marcia, è gelata in più punti come una crosta gelata. Sciuchov l'abbassa sul collo mentre volta le spalle al vento. Non era stato troppo tormentato dalle raffiche, ma le mani, nei guanti rovinati, erano intirizzite e non sentiva più le dita del piede sinistro.”

Sciuchov lavora e lotta per dimostrare a se stesso, prima ancora che agli altri o per ubbidire agli ordini, di avere conservato il proprio orgoglio, e ci riesce. Ovviamente non è un eroe, ha le sue paure e debolezze. Nella situazione in cui si trova a rischiare una severa punizione, prega con tutta l'intensità di cui la sua anima è capace, e quando un piccolo miracolo lo salva, deve subito rituffarsi nella lotta per la propria sopravvivenza, senza avere neppure un attimo per ringraziare il suo dio.

Il racconto avanza attraverso tanti piccoli episodi costruiti e montati in modo magistrale, con un'arte talmente perfetta da non permettere al lettore di sentire discontinuità.

Solgenitsin ha dovuto lavorare come muratore nel gulag, il suo personaggio è un muratore, e la narrazione è una splendida costruzione, realizzata accostando e cementando mattone a mattone fino a realizzare una opera unica.

Il lavoro affrettato ha fatto esalare dal corpo il primo calore, quello che ti bagna di sudore. Nessuno si ferma, il muro si alza, un blocco dopo l'altro. Dopo un'ora, arriva il secondo calore, quello che asciuga il sudore. Il gelo non ti ha preso i piedi e il resto non ha importanza; né il vento sottile né altro potevano distrarli dal lavoro.”

Ennio Flaiano - La solitudine del satiro a cura di Marcello Sgarbi


 
Ennio Flaiano -
La solitudine del satiro (Adelphi)

Collana: Piccola Biblioteca Adelphi

Pagine: 380

ISBN 9788845912214

Di Ennio Flaiano abbiamo già parlato. Questo è un altro esempio della sua straordinaria capacità di osservare la realtà e il mondo che lo circonda con disincanto, ironia e forse – qui più che in altre sue opere – un fondo di malinconia, che probabilmente gli deriva dalla sua condizione di padre di una ragazza encefalopatica. I luoghi comuni, il costume e le mode della Roma di fine anni Sessanta - che l’autore conosce molto bene - sfilano pagine dopo pagina come in una passeggiata lungo via Veneto. E… flash! L’autore li fotografa e li raccoglie in una miscellanea di racconti, aneddoti e ricordi di raro acume. Impareggiabile, infine, il ritratto di Leo Longanesi tratteggiato da Flaiano.

Ora dovremmo mettere a questo fotografo un nome esemplare, perché il nome giusto aiuta molto e indica che il personaggio ‘vivrà’. Queste affinità semantiche tra i personaggi e i loro nomi facevano la disperazione di Flaubert, che ci mise due anni a trovare il nome di Madame Bovary, Emma. Per questo fotografo non sappiamo che inventare: finché, aprendo a caso quell’aureo libretto di George Gessing che si intitola Sulle rive dello Jonio troviamo un nome prestigioso: Paparazzo. Il fotografo si chiamerà Paparazzo. Non saprà mai di portare l’onorato nome di un albergatore delle Calabrie, del quale Gessing parla con riconoscenza e con ammirazione. Ma i nomi hanno un loro destino”.

Attori italiani, tutti bravissimi nelle parti di ladro, di prete, di carabiniere. Attrici, tutte bravissime nelle parti di suora, popolana, donna di vita. I guai cominciano quando vogliono fare i signori, le signore, gli artisti, i condottieri, gli industriali, gli uomini politici, i professori, gli scienziati. La crisi delle élites si sente anche sulla scena, sullo schermo”.

Non si inventa niente all’aperto.”

Si racconta che Pablo Picasso, a un ufficiale tedesco che osservando il suo dipinto Guernica gli chiedeva: ‘Siete stato voi a fare questo?’, abbia risposto: No, voi’”.

Il dramma della vita moderna è questo: tutti cercano la pace e la solitudine. E per il fatto stesso di cercarle, le scacciano dai luoghi dove si trovano.”


© Marcello Sgarbi

29 dicembre 2021

La fiamma dei tuoi occhi di James Purdy a cura di Miriam Ballerini


LA FIAMMA DEI TUOI OCCHI
– Il volto umano, per quanto appaia strano, è davvero tutto ciò che mi è rimasto – di James Purdy

© 2021 Racconti edizioni

ISBN 978-88-99767-84-6

€ 16,00 Pag. 176

James Purdy, deceduto nel 2009 è stato definito un autentico genio americano. Questa raccolta di racconti brevi mi ha lasciato un po' confusa, nel senso che non saprei esattamente dirvi quale genere ricalchi questo autore.                                                                                             Ha una scrittura che raccoglie tratti noir, fantasy, con storie che sanno sorprendere il lettore e che, qualche volta, non ci si spiega del tutto perché lo scrittore le abbia scritte. Qual'era il suo intento? Sorprendere? Spaventare? Fare inorridire? I suoi protagonisti sono tutti ai margini, non solo della società, spesso anche fuori dagli schemi a cui siamo abituati. Sono grotteschi, stravaganti. Spesso non piacciono proprio. Eppure il suo modo di scrivere è accattivante, così strano e unico che, alla fine, rimani in bilico e non sai dire se le sue storie ti sono piaciute, oppure no.                                                                                                                                                     Non saprei descrivervi meglio il mio sentire nel leggere questo libretto, con i suoi racconti che sono davvero brevi, ma che dicono in modo esauriente tutto quello che c'era da dire.                Facciamo una panoramica delle sue storie dove, spesse volte, Purdy ha messo come protagonisti uomini omosessuali.

Uno di questi giorni è la storia di uomo che va alla ricerca del suo padrone di casa, non ricordando più chi sia. Quando gli sovviene, perde la memoria del proprio nome.

Un pezzo di carta qui troviamo una signora che si fa ricattare dalla propria domestica.

Notizie d'estate invece, è la storia di un domestico che spia una festa di compleanno per bambini.

Mr Evening, appassionato di antiquariato, viene fatto entrare nella casa di queste due sorelle e finisce per essere immobilizzato a letto da una malattia.

Il party di Lily è una bruttissima storia di due uomini che violentano ripetutamente la donna.

Contraccolpo è una lotta per la conquista di un salotto, con scene che giungono ad essere davvero disgustose!

Ruthanna Elder storia d'incesto e vendetta.

Dormi bene la storia dell'uomo della sabbia che fa addormentare i bambini, e la benedetta ingenuità di un bambino.

Short Papa un padre assente che torna, lascia qualcosa di sé al proprio figlio e se ne va … per sempre.

Mud Toe il cannibale una sorta di favola dove sono protagonisti gli animali di uno stagno e degli strani personaggi.

Come sono diventato un'ombra l'amore per un animale portata all'esasperazione.

Alba un ragazzo omosessuale e il genitore che non accetta come sta vivendo la propria vita.

La fiamma dei tuoi occhi, il racconto che dà il titolo all'intera raccolta è un pezzo surreale di un uomo che si crede un assassino, pur non essendolo.

Estasi due fratellastri uniti poi da una relazione omosessuale.

Come potete vedere i personaggi non sono gente comune, sono sfuggenti, marginali, restano imprigionati, magari in un letto, o dalle loro idee stravaganti. Osservano dalle finestre, dagli spiragli di un armadio. È come se fossero tinti di grigi, impressi in una fotografia poco nitida; ombre che si muovono all'interno delle pagine.                                                                                 Dice Purdy in uno dei suoi brani: “La catastrofe è ciò a cui è sempre destinato l'amore perfetto”.


© Miriam Ballerini


fonte: "La fiamma dei tuoi occhi" di James Purdy: la catastrofe è ciò a cui è sempre destinato l'amore perfetto - OUBLIETTE MAGAZINE


27 dicembre 2021

Ennio Flaiano – Ombre fatte a macchina a cura di Marcello Sgarbi

 


Ennio FlaianoOmbre fatte a macchina (Bompiani)

Pagine: 290

Formato: Brossura

Fuori catalogo

Ennio Flaiano è un grande classico della letteratura italiana che non ha bisogno di presentazioni. Acuto e lungimirante osservatore della realtà, era così avanti da anticipare i tempi. Tra le perle che ci ha lasciato brilla “Ombre fatte a macchina”, un libro che non è solo una raccolta di circa trecento recensioni cinematografiche apparse su diverse riviste dell’epoca, ma allarga lo sguardo oltre la cinepresa per inquadrare la società, la letteratura, la politica e il costume dell’Italia nell’arco di un trentennio (1939-1967) che ha conosciuto la guerra, il dopoguerra e gli albori del boom economico. Con lo scorrere delle pagine, lungo il red carpet nazionale insieme ai grandi nomi dello spettacolo sfila zoppicante anche il nostro Stivale, con i suoi pregi e i suoi difetti. Ciak! Si legge.

La parola pubblico, come tanti nomi collettivi, si presta fatalmente all’equivoco. Crediamo che si tratti degli altri e invece siamo noi.”

Un proverbio dice che i cassetti restii ad aprirsi bisogna farli aprire ai bambini: è l’innocenza, la buona fede che risolve le situazioni difficili.”

La caricatura di un imbecille può divertire, ma l’imbecille in persona rattrista sempre.”

Ogni volta la macchina di Orson Welles sembra al centro di un sistema planetario in via di assestamento. La manovra è sempre così interessante da produrre spesso un effetto non desiderato, quello di distrarre lo spettatore dall’azione.”

Una volta Charlot si recò a visitare Sing-Sing. I detenuti lo pregarono di dire qualcosa. Charlot, che era accompagnato da alcuni amici, disse: Allegri, ragazzi. Se noi siamo liberi è solo perché non ci hanno ancora trovati’”.

© Marcello Sgarbi

21 dicembre 2021

COME A SPOON RIVER… a cura di Vincenzo Capodiferro

 


COME A SPOON RIVER…

Un viaggio attraverso il cimitero di Ganna per svelarne “arte e arcani misteri”

Come a Spoon River. Arte e arcani misteri nel cimitero di Ganna” è un libro di Alberto Bertoni e Capodiferro Vincenzo, edito da Pietro Macchione a Varese nell’ottobre del 2021. Il testo nasce con l’intenzione di voler valorizzare il patrimonio artistico e culturale del nostro territorio, in particolare della storica Ganna, sede dell’omonima e illustre Badia. All’appello del prof. Gabriele Scazzosi di salvare una tomba antica in cotto della famiglia Orelli che stava cadendo a pezzi subito Alberto Bertoni, storico dell’arte, impegnato da anni nello studio e la salvaguardia delle opere d’arte riposte nel territorio ha risposto, coinvolgendo anche il Capodiferro, che ha condito i suoi buoni propositi con un tocco di filosofia. Il progetto di restauro della tomba Orelli è curato da Mauro Manzoni e Stefano Russo. Nel testo tra l’altro sussiste una dettagliata relazione storico-tecnica redatta dal Manzoni. La professoressa Rosalia Azzarello si è impegnata a tutta carica in questo grandioso progetto, predisponendo un percorso di alternanza scuola-lavoro con gli allievi della IV A del Liceo Artistico “Angelo Frattini” di Varese. I ragazzi sono stati seguiti dal noto fumettista Corrado Roi. Ne è nata una proficua collaborazione: nel libro infatti sono riportate le illustrazioni che i giovani discenti hanno elaborato, condotte dalla solerte mano della professoressa Azzarello. Il cimitero di Ganna è un sacrario dell’arte italiana: in esso sono riposte le spoglie mortali del Grandi, del Tabacchi, del Chini ed altri. Le tombe parlano con foscoliana memoria: la “celeste corrispondenza d’amorosi sensi”. E quale maggiore corrispondenza può aversi se non nel grado estetico: nell’arte? Tanto da fare esclamare a Schelling: «Ogni magnifico dipinto nasce quasi per la soppressione della muraglia invisibile che divide il mondo reale dall’ideale, ed è solo, per così dire la finestra attraverso la quale appaiono completamente quelle forme e regioni del mondo della fantasia, che traspare solo imperfettamente attraverso quello reale».

In occasione del funerale di Giuseppe Grandi, Ganna fu inondata da una folla di personaggi illustri che vennero a dare l’estremo saluto all’artista. Il Bertoni riporta tutta la fila di questi insigni, trai quali non possiamo dimenticare Vittorio Grubicy de Dragon, padre del divisionismo italiano, il quale ha dedicato due tele a questa meravigliosa valle: “Il cimitero di Ganna” e “”Che pace in Valganna!” (1894). Già da allora si respirava quell’eterea tranquillità che saturava questi paesaggi cosmici. Quella pace - nonostante tutto - non è stata turbata: eppur da quella valle era passata la tranvia che collegava Varese a Lavena Ponte Tresa. Le stazioni erano state progettate da un altro grande artista, esponente di spicco del Liberty italiano, Giuseppe Sommaruga, morto giovane anche egli - come il Grandi ante quem - nella Grande Guerra. Grandi forse soffriva della malattia dei “picasas”. I suoi occhi non erano ancora riusciti a vedere la inaugurazione del suo illustre “Cinque Giornate”, monumento celebrativo del Risorgimento milanese. Il libro è diviso in due parti: nella prima Alberto Bertoni presenta con uno stile libero, ma fine, tutti i personaggi coinvolti col piccolo e bello cimitero. Ad aprire i vari “loculi” - per così dire, in senso letterario - vi sono gli epitaffi, predisposti dai poeti Gianfranco Galante e Umberto Belardinelli, nonché le illustrazioni dei ragazzi. Nella seconda parte segue un romanzo di fantasia, redatto da Capodiferro Vincenzo, sull’artista principale della raccolta: Giuseppe Grandi. È una fantastoria che vede l’artista protagonista di un rapporto strano con una modella delle “Cinque Giornate”, la quale fugge in America con un figlio dei due in grembo. Il figlio cresce e ritorna per la Guerra del 1915 sulle tracce del padre… Il libro si ispira all’”Antologia di Spoon River” di Edgar Lee Masters. Non è un testo scientifico, ma letterario, ove si intrecciano vicende reali ed immaginarie. È un testo divulgativo ed originale, che vuole sensibilizzare il popolo sul mondo dell’arte e del patrimonio culturale presente sul territorio, un territorio che spesso non si accorge, corre oltre. Quanti monumenti, quante opere d’arte in abbandono! Non stiamo qui a citare, ma vogliamo solo sperare che quest’opera possa contribuire a incrementare la sensibilità su queste tematiche, ad aprire gli occhi per guardare i vestigi del genio e della dote estetica umana.

Alberto Bertoni insegna storia dell’arte presso il Liceo Artistico di Varese. Da anni si è dedicato alla ricerca sul patrimonio artistico varesino. Trai suoi contributi notevoli rammentiamo le monografie su Arcumeggia, Gemonio, Castelseprio e Castiglione Olona.

Vincenzo Capodiferro insegna filosofia presso il Liceo Artistico di Varese. Appassionato di letteratura e filosofia, tra le sue ultime opere si segnalano: “Tractatus psycho-phaenomenologicus” (2018); “Noetica” (2019) ristampa; “Il mistero dell’Eden” (2021).

Il libro sarà presentato il 5 febbraio alle ore 16.00 presso la sala conferenze della parrocchia san Massimiliano Kolbe di Varese, sul Viale Padre G. B. Aguggiari, 140.


A cura di Vincenzo Capodiferro

20 dicembre 2021

Dramazon di Giulio Marchetti: il Natale in un’opera di forte contestazione


Dramazon di Giulio Marchetti: il Natale in un’opera di forte contestazione


Esistono due tipi di società, quelle che lavorano per provare a far pagare di più e quelle che lavorano per far pagare di meno. Siamo la seconda”. – Jeff Bezos

Jeff Bezos, il fondatore di Amazon, è riuscito a fare di una idea geniale un vero e proprio impero finanziario e spesso è avvenuto, nel corso della civiltà umana, di osservare una particolare relazione tra l’incipit e la fine di qualsiasi fenomeno od invenzione. Dapprima è qualcosa che viene considerata positiva per poi rivelarsi un vero e proprio danno.

E se Bezos ha operato nel cercare di creare una società nella quale i consumatori fossero attirati ad acquistare presso Amazon per il costo minore e la celere consegna, di sicuro ciò a cui non si è pensato è che merci e lavoratori hanno ottenuto lo stesso trattamento e sono ormai di pari valore.

Ed è in questa forte diatriba che l’opera di Giulio Marchetti mostra tutta la sua efficacia. “Dramazon” è infatti il composto della parola inglese “Drama” e di “Amazon”. Sin dal titolo l’artista ha voluto marcare il disastro sociale nel quale stiamo vivendo, un vero e proprio dramma non solo per i piccoli commercianti ed artigiani costretti a chiudere bottega a causa delle grosse multinazionali e del mercato globale, ma ciò che ancora più sconvolge è il taglio netto con la tradizione del dono che Giulio Marchetti ha voluto rappresentare con il noto Babbo Natale.

Dramazon” presenta l’istante prima di un possibile incidente stradale: un camion in consegna si muove veloce per la strada ghiacciata – i corrieri hanno tabelle di marcia controllate e gestite elettronicamente – sulle strisce pedonali Babbo Natale che istintivamente si libera del sacco dei regali da consegnare ai bambini per cercare di ripararsi dall’impatto. La scena è buia, notturna, mentre il camion è ben illuminato, i pacchetti sono quasi tutti ancora in volo.

Marchetti costringe l’osservatore alla domanda: il corriere riuscirà a fermare la sua corsa?

Ed è questo che devono fare le opere d’arte: far porre domande a chi osserva o legge perché come disse il poeta Rainer Maria Rilke: “Vivi le domande ora. Forse poi, in qualche giorno lontano nel futuro, inizierai gradualmente, senza neppure accorgertene, a vivere a tuo modo nella risposta.”.

L’opera è corredata da una didascalia dell’autore:

Tutti i negozi hanno aggiunto .com alla propria insegna.

I supermercati hanno rottamato i carrelli, costruendo carrelli virtuali.

Valentino Rossi potrebbe essere il rider più veloce, conteso da Glovo e Just Eat.

I cinema sono pieni di Coca e popcorn, ma le sedie sono vuote.

Forse verranno smontate e vendute su Amazon.

È così bello l’amore, davanti ad un film di Netflix.

L’importante è restare a casa.

Tutti i giorni. Tutto il giorno.

Perché una volta all’anno, tra corrieri e fattorini, arriverà Babbo Natale.

E noi lo riconosceremo fra tanti.

Perché Babbo Natale è magia.

E la magia non può morire.

#DRAMAZON”


Ho sempre pensato al Natale come a un bel momento. Un momento gentile, caritatevole, piacevole e dedicato al perdono. L’unico momento che conosco, nel lungo anno, in cui gli uomini e le donne sembrano aprire consensualmente e liberamente i loro cuori, solitamente chiusi.” ‒ Charles Dickens


L’autore, Giulio Marchetti, nasce nel 1982 a Roma, ha esordito con “Il sogno della vita” nel 2008. Con Puntoacapo pubblica nel 2010 “Energia del vuoto” con prefazione di Paolo Ruffilli, nel 2012 “La notte oscura”, nel 2014 “Apologia del sublime”. Con Giuliano Ladolfi editore pubblica nel 2015 la raccolta “Ghiaccio nero”.

Con la poesia “A metà”, è stato inoltre selezionato per “Il fiore della poesia italiana” (tomo II – i contemporanei), un ambizioso progetto antologico che raccoglie il meglio della poesia italiana sotto la curatela di autorevoli esperti (Puntoacapo, 2016). Nel 2020 pubblica con la casa editrice Puntoacapo la raccolta “Specchi ciechi” con prefazione di Maria Grazia Calandone, postfazione di Vincenzo Guarracino ed una nota di Riccardo Sinigallia. Diverse sue poesie sono edite in antologie collettive. Della sua poesia si è occupato, fra gli altri, il Prof. Gabriele La Porta, storico conduttore e direttore Rai.

A Natale 2020, Giulio Marchetti pubblica su la Repubblica la prima opera della sua trilogia “Dramazon”, segue per San Valentino 2021 “Modern Heart” ed “Easteria” dedicata alla Pasqua. Il 26 novembre 2021 in occasione del Black Friday è stata pubblicata una nuova provocazione dal titolo "Brain Friday". 


Giulio Marchetti, in una intervista datata febbraio 2020, ha connesso il concetto di noia con la meccanizzazione e la creatività: “Già Lucrezio nel terzo libro del “De Rerum Natura” offriva una definizione paradigmatica della noia. “Spesso lascia il suo grande palazzo chi si annoia a restare a casa; ma subito vi torna perché non si trova affatto meglio fuori”. L’inquietudine e il senso di estraniazione tipici della noia trasudano da questo breve passo. Ci vuole un balzo secolare, ma si giunge inevitabilmente a Baudelaire. Lo spleen è una condizione interiore tanto angosciosa quanto suggestiva a livello artistico, nella pienezza dei suoi effetti devastanti, quasi allucinatori. “Le proprie inclinazioni” di cui oggi argutamente mi chiedi, risultano socialmente oppresse dal senso utilitaristico dominante, a partire dall’istruzione. “Le cose monotone” ben presto saranno delegate alle macchine (che ormai svolgono gran parte dei lavori ripetitivi un tempo affidati agli esseri umani). Non si tratterà più di cercare lavoro, ma di creare lavoro. Forse allora l’unica risposta sarà: creatività.”



Info

Profilo Instagram

https://www.instagram.com/giuliomarchetti_art/

Landing Page Giulio Marchetti

http://giulio-marchettiart.it


Fonte

https://oubliettemagazine.com/2021/12/06/dramazon-di-giulio-marchetti-il-natale-in-unopera-di-forte-contestazione/


Umberto Eco – La bustina di Minerva - a cura di Marcello Sgarbi


 
Umberto EcoLa bustina di Minerva - (La nave di Teseo)

Collana: I Delfini

Pagine: 336

Formato: Brossura

EAN: 9788834602256

Dal 1985 al 2016 Umberto Eco ha curato una rubrica culturale e ironica pubblicata sull’ultima pagina del settimanale L’Espresso. Questo libro, che oggi può apparire un po' datato ma non per questo meno attuale, è un compendio di quegli articoli, in cui con la sagacia e l’acume di un Flaiano o di un Longanesi e l’attenzione ai segni della realtà che lo accomunano per certi versi a Roland Barthes, in una ricca miscellanea Eco spazia con apparente leggerezza dallo sguardo sul mondo contemporaneo a quello sulla società italiana, dalle osservazioni sull’evoluzione della stampa e della comunicazione a una serie di divertissement e raccontini. Se volete un consiglio prendete nota, proprio come spesso si fa utilizzando l’interno delle bustine di fiammiferi: i Minerva, per l’appunto.

Ora tutti parlano di ossimoro: lo si legge sovente sulla stampa, l'ho sentito dire

da politici alla televisione, insomma, o tutti si sono messi a leggere trattati di retorica

oppure c'è qualcosa di ossimorico in giro. Si potrebbe obiettare che la faccenda

non è sintomo di nulla, si formano sempre delle mode linguistiche dovute a pigrizia

e imitazione, talune durano lo spazio di un mattino ed altre sopravvivono più a lungo

ma - insomma - negli anni ‘50 le ragazzine dicevano bestiale e recentemente

dicevano assurdo, senza per questo riferirsi né alla zoologia né a Ionesco.”


Per un poco tutti avevano preso a dire un attimino, ma non perché il tempo

si fosse davvero accorciato; oppure dicevano esatto invece di sì

(anche quando si sposavano in chiesa), ma non per puntigliosità matematica

bensì per l'influenza dei programmi quiz. Resiste ancora l'insopportabile vezzo

del coniugare, e Dio sa perché, in tempi in cui non si presenta il proprio marito

ma il proprio compagno, e infine i francesi da un po’ di anni abusano

del termine incontournable, nel senso di qualcosa che non si può evitare

e di cui si deve tener conto, e tutto alla radio, alla televisione, nelle conversazioni

a cena, è diventato incontournable: un film, un problema, un libro, un cibo,

un tipo di scarpe.”


© Marcello Sgarbi


Despota a cura di Angelo Ivan Leone


 Despota


Oggi è morta la vedova di Pinochet... la signora, raccontano i giornali e i commentatori, ha avuto una grande importanza nella dittatura del nazistoide marito. Malauguratamente si tende spesso a personalizzare la storia con quella tendenza al gossip che tanto cara è a questa nostra epoca. Pinochet, dunque, e la sua dittatura con i suoi eccidi e le sue stragi restano sullo sfondo. Al contrario, quello che deve essere vivido è il despotato instaurato l'11 settembre del 1973 dal generale con l'appoggio acclarato e storicamente accertato della Cia, ossia dagli USA guidati dalla presidenza Nixon e del non rimpianto Henry Kissinger.
Il perché di questo appoggio è dovuto alla strategia del contenimento del comunismo associata alla dottrina Monroe che diceva testualmente "L' America agli americani" ma che si deve leggere "L'America, tutta L' America agli Stati Uniti d'America".
Pinochet con le sue stragi e i suoi eccidi, pertanto, strumento della lunga mano a stelle strisce come altri macellai del calibro di Videla e di Gualtieri in Argentina, solo che Pinochet durò più di loro perché ebbe la fortuna di seguire pedissequamente le direttive dei Chicago boys con le loro dottrine ultralibersite e poco importa che le sue mani assassine grondassero sangue. Ecco chi fu Pinochet: un despota.

(c) Angelo Ivan Leone

17 dicembre 2021

Paratissima 2021 a cura di Marco Salvario

 PARATISSIMA 2021

28 ottobre – 12 dicembre 2021

ARTiglieria Con/temporary Art Center

Via Verdi, 5 - Torino

di Marco Salvario

Siamo arrivati tra gli alti e bassi di quest'anno faticoso alla diciassettesima edizione di Paratissima, che rispetto al recente passato ha offerto poche novità e molte conferme. La manifestazione ha avuto luogo nella centralissima e ormai collaudata ex sede dell'Accademia di Artiglieria, contraddistinguendosi per una doppia e parallela esposizione: “PARATISSIMA EXHIBIT AND FAIR”, dedicata all'arte contemporanea emergente, e “NICE & FAIR – CONTEMPORARY VISIONS”, riservata alle nuove proposte.

Ormai diventata mostra mercato, Paratissima non è più rimasta limitata a due fine settimana, ma si è snodata su ben sette settimane, dal giovedì alla domenica. L'ingresso costava sette euro, due in meno dello scorso anno.



Prima di iniziare l'analisi dell’evento, due note:

  1. Le segnalazioni e i giudizi che leggerete in quest’articolo, sono pareri personali e riguardano artisti che mi hanno colpito favorevolmente. Se uno di loro si trova citato, è perché la sua opera mi è piaciuta.

  2. L’elenco che segue non è una classifica ed è nato dalla sistemazione delle fotografie che ho scattato, in genere collegata al percorso di visita.

Cominciamo con EXHIBIT AND FAIR:



Andrea Gambino

Trentasettenne autodidatta, nelle sue opere ci fa ammirare paesaggi autunnali, piovosi, dove l'uomo è perso nella malinconia nel tempo, assorto nelle proprie meditazioni, forse nei rimpianti. Stanchezza, rassegnazione, però armonia con il mondo, interiorità e pace.

I personaggi sono di spalle, seduti su una panchina. Aspettano, ascoltano, osservano il mondo come noi spesso ci dimentichiamo di fare. Manca il colore, non ci sono dettagli, eppure le emozioni e le sensazioni che si ricevono, sono forti e vive.

Luca Zampini

Restiamo nel grigio, ma passiamo da un pittore a un fotografo. Zampini, sessantenne, è noto come il fotografo degli alberi, scegliendo piante la cui natura è viva e forte, quasi rabbiosa, comunicando un sentimento di paura, di piccolezza e inadeguatezza dell'uomo di fronte a tanta misteriosa e inattesa energia.

Le immagine elaborate digitalmente e sovrapposte, ci fanno percepire presenze ostili, la minaccia di streghe, lupi e spiriti, un freddo doloroso. Ci siamo persi e siamo smarriti come bambini in una brutta fiaba.

Mi-Jin Chun

Ritornano i colori, con una dolce tenuità che ricorda l'acquarello, e si perdono le forme.

L'artista è nato in Sud Corea e vive a Genova. Crea con le sue opere una magica e delicata sensazione di trasparenza, come certe illustrazioni che mostrano gli organi interni attraverso tessuti diventatati diafani. La visione si perde nell'illusione di strati sovrapposti in un movimento fluido e vivo, quasi magico.



Daniela Di Lullo

L'artista, nata a Napoli, mostra la faticosa esistenza dell'uomo obbligato a vivere nella solitudine improvvisa e inattesa, creata dalla nostra società e dalla pandemia. Vicino a lui ci sono fantasmi, ricordi che emergono dal passato, presenze solo desiderate. Esemplare il lavoro dove un automobilista spinge il proprio veicolo in panne, accompagnato da sagome che sembrano unire le proprie forze alle sue. Illusioni, l'uomo è solo.

Ogni opera ha lo stesso titolo e un numero in cifre romane che la identifica; il titolo è “Spleen”, una condizione di spirito che oscilla dalla malinconia alla noia, dall'insofferenza all'angoscia.

Salvatore Cocca

Qual è il soggetto dei quadri di Cocca? Non l'interno spoglio delle stanze, non l'esterno appena percepibile di alberi e cielo; il soggetto è il lampo di luce che entra dalle finestre, catturato come una verità improvvisa e netta, che scopre, solo per un attimo fuggente, quello che è chiuso e nascosto. Un raggio che illumina e al tempo stessa acceca, che porta lo sguardo a indagare in stanze troppo vuote, in corridoi abbandonati. Spazi che si aprono su altri spazi in un inseguimento senza fine.

Si percepisce con angoscia la stessa sensazione che si prova penetrando per un attimo nell'animo di un altro uomo o di noi stessi senza trovare veri valori; solo solitudine, aridità, abbandono.

Giorgio Baldoni

Quando si parla di sculture in carta, mi vengono in mente i grandi mascheroni colorati dei carnevali, ma la carta è un materiale che ben si presta a realizzazioni importanti e spesso è usata per scenografie di grande effetto.

I piedi e le teste di Baldoni portano la mia fantasia al limitare di un cimitero indiano, sono opere immerse in un sacro passato e al tempo stesso proiettate in un metafisico futuro, dove la natura umana si è evoluta e semplificata, e ci giudica con ironico distacco.



Candido Baldacchino

“Life in a raindrop”. Nelle fotografie digitali di questo artista torinese, la realtà della vita si appanna e confonde, quasi nascosta come a volte succede durante i viaggi in treno, quando le gocce di pioggia scorrono sui vetri e fanno scivolare il paesaggio in secondo piano. Qui la pioggia non porta a un grigio autunnale, piuttosto esalta le luci e i colori in un gioco vivo tra sogno e ricordo.

Lucia Dibisceglia

La tela non basta a volte e così è la cornice, realizzata in polistirolo, a dare alle opere di questa artista, novità, profondità e ulteriore tridimensionalità. La regolarità prospettica di palazzi, muri e arcate, diventa scultura con sullo sfondo inattesi motivi regolari, che negano alle opere ogni legame con la realtà.

NICE & FAIR



Elia Alunni Tullini

La stampa tridimensionale è una tecnica che si espande sempre più velocemente in tutti i campi della vita umana e i suoi limiti artistici sono solo nella fantasia di chi la adopera. Il processo produttivo in serie, diventa per Alunni Tullini l'occasione per ripetere e condannare i limiti che la società moderna impone agli uomini e in particolare alle donne, ridotte in questa realizzazione ad una umiliata e rassegnata replica di uno stesso unico modello.

Giulia Houber

Se Salvatore Cocca ci aveva offerto interni rarefatti e disabitati, Giulia Houber ci introduce in stanze disordinate, caotiche, dove piatti, bottiglie e scatole, si confondono con persone e bambini in una amalgama confusa e sovrapposta, dovuta forse alla povertà o alla forzata reclusione pandemica. Tutto urla il bisogno di spazio, di libertà e di respiro. Testimonianze di vita familiare in tempi di lockdown.

Ariele Bacchetti

Ogni anno gli incendi distruggono nel mondo migliaia di foreste e boschi, privando il pianeta delle naturali fabbriche di ossigeno di cui abbiamo bisogno per sopravvivere. Per l'uomo il fuoco è terrore e al tempo stesso meraviglia, sensazioni che Bacchetti riesce a catturare nelle sue tele e a comunicare agli altri con una curata e convincente gestione di colori chiari e scuri.



Lucia Di Nicolantonio

Anche per questa artista il soggetto è la natura, con rami che esplodono vivi da una luce diffusa e riflessa che ricorda le nebbie del mattino. Se le opere fosse disposte orizzontali, sarebbe stato facile pensare a scogli tra le acque dove un seme ha portato alla crescita di una pianta ostinata e impossibile, ma la verticalità cambia la razionalità dell'opera e la trasla in una dimensione diversa ed arcana.

Luce Resinanti

Intelligente e riuscita provocazione quella delle macchie simmetriche di Luce Resinanti, “Dimmi cosa vedi”; una sfida psicologica e sottile, che può portare a fare un lungo viaggio di ricerca dentro noi stessi. Quanto è scherzo e quanto è sfida reale?

Luce Resinati è un artista milanese, che in passato si è caratterizzato per realizzare le sue opere con materiali di recupero come scampoli, carte di cioccolatini, fili, stagnola ecc

Matteo Benetazzo

Tecnica pittorica particolare e complessa quella di Matteo Benetazzo, artista che ama la ricerca e la sperimentazione: pigmenti, acrilici, ecoline, chine, olio. Il risultato è quello di creare paesaggi dai colori sorprendenti, sospesi tra passato e futuro, tra magico e orrido, tra puro e contaminato, nei quali l'uomo è presente, sereno e libero, partecipe di quella realtà, tornato a un'innocenza primordiale. Nuota, si lava: non è solo nella natura, ma ne fa parte.



Emanuel Zoncato

Sculture di pietra tramutate in pallide vele che il vento trascina veloci sulle acque; volti androgeni, sereni, sognanti, liberi nel loro fluire. Mi affascina osservare come la pesantezza dei materiali nelle mani di un artista possa diventare così leggera da fare trattenere il fiato, per paura che voli via.

Silvio Zangarini

Foto elaborate che perdono i loro riferimenti, dove alto e basso non hanno più ragione di esistere; si è catturati da una affascinata vertigine e dalla paura di cadere, senza sapere a cosa e dove afferrarsi.

La bellezza delle scale, delle balconate, dei mancorrenti, delle porte, delle lampade, prende una nuova vita in un valzer armonioso e inebriante di forme.

Laura Pagliai

L'uomo è prigioniero nel suo spazio personale che lo protegge e al tempo stesso lo intrappola in una gabbia simboleggiata da barattoli di vetro trasparente. Piccoli personaggi in terracotta affrontano la propria condizione, alcuni con gioia infantile, altri con perplessità, dolore, malinconia o cercando di fuggire. Eppure su tutti incombe la stessa condanna alla solitudine. Guardando i dieci personaggi nei barattoli, mi sono chiesto: Io, quale sono di loro?

Fabio Adani

Spazi bianchi e immensi dove la figura umana è una minima sagoma scura persa nello spazio, in cammino verso mete lontane ed invisibili. Nella solitudine cosmica e totale, si svolge la ricerca di verità che ci sono negate. Si sente il freddo, il silenzio, quasi un invocazione di aiuto: Dove sono? Perché sono così solo?


Citazioni veloci per i tondi di Federica Poletti, le foto di Marcello Campora che fanno riflettere sul mondo dell'informazione, la tela monocromatica di Elay Li, gli “Happiness Garden” di Gian Luigi Braggio, l'installazione e le immagini sull'isolamento delle persone durante la pandemia realizzate da Anna Bracco, la denuncia documentata di Aurora Avvantaggiato su un ospedale mai finito a Eboli, i disegni surreali a grafite di Tommaso Moretti, l'installazione “Le liste di Myriam” di Antonella Gerbi e le sculture in argilla di Benedetto Ferraro.

Vicenza Jazz XXVIII Edizione 13-19 maggio 2024

                                        Vicenza Jazz                                          XXVIII Edizione 13-19 maggio 2024     ...