29 febbraio 2020

CARCERE: IL CORONAVIRUS NON SI TRASMETTE PER TELEFONO a cura di Carmelo Musumeci


CARCERE: IL CORONAVIRUS NON SI TRASMETTE PER TELEFONO

Leggo: “Coronavirus, sospesi i colloqui dei detenuti, l'accesso in carcere dei volontari, i permessi premio.”

I prigionieri di libertà già ne hanno poca, ora quella che rimane se la divora il Coronavirus.

Mi chiedo perché i nostri governanti non approfittino di questa emergenza per liberalizzare le telefonate dei detenuti ai propri familiari, come accade già normalmente in molti Paesi esteri.

Quanti suicidi di prigionieri si potrebbero evitare!

Ho pensato di divulgare questo mio articolo sull’argomento, che ho scritto quando stavo in carcere:



"I condannati possono essere autorizzati dal direttore dell'istituto alla corrispondenza telefonica una volta alla settimana. La durata massima di ciascuna conversazione telefonica è di dieci minuti".

(Fonte: articolo 39 - Corrispondenza telefonica. D.P.R. 30 giugno 2000, n. 230).



Normalmente telefono di domenica. Verso l'una del pomeriggio, quando ho più probabilità di trovare tutti i miei familiari a casa. Prima di telefonare sono sempre in agitazione. E guardo continuamente l'orologio, rimango teso fino a quando non faccio il numero di casa. Nel frattempo il pensiero dei miei figli inizia a poco a poco a occupare tutta la mia mente. E tutto il mio cuore.

Finalmente è l'orario. Sono sempre in anticipo di qualche minuto. Non mi preoccupo: tanto a casa lo sanno. Corro nella celletta dove c'è il telefono, accosto il blindato. E faccio il numero. Trovo la linea libera. Attendo qualche istante. Poi dall'altra parte del filo sento trattenere il respiro. In sottofondo ascolto le voci dei miei due nipotini. Poi sento bisbigliare mio figlio: Passami il telefono! Ascolto il rumore di un cuscino che sbatte. " Sono arrivata prima io!" Subito dopo avverto un grugnito di mio figlio: " Sei una stronza, tanto papà vuole più bene a me che a te!" Sento mia figlia sospirare: " Pronto..." L'ho lasciata che era una bambina e da allora è quasi sempre lei che prende per prima il telefono.

" Amore."  Si potrebbe dire che da ventitré anni  mi aspetta vicino al telefono.

“Papà!”

Le chiedo: “Come stai?”

“Bene papà e tu?”

“Anch'io.” Voglio bene ai miei figli anche perché sono diventate le persone che avrei voluto essere io nella mia vita.

"Ti vengo a trovare la prossima settimana."

“Va bene amore.”

“Cosa vuoi che ti porto da mangiare?”

"La focaccia con le cipolle." Quando telefono sembra che il tempo voli via.

"Va bene." E non posso fare nulla per fermarlo.

"Amore, adesso passami tuo fratello." Non ho mai capito perché quando telefono sembra quasi che i secondi volino via come le foglie in autunno.

"Papà, ti amo."  E non li puoi afferrare.

"Anch'io amore." E con il passare degli anni sembra che i minuti al telefono diventino sempre più brevi.

"Papà, come al solito si è consumata tutta la telefonata lei..." Se solo ci dessero più tempo.

"Lasciala stare, sai com'è fatta." E più telefonate.

"Papà ci sono i bambini che stanno aspettando." Mio figlio si lamenta sempre di sua sorella.

“Chi ti passo per primo?”

"È uguale." 

"Ciao nonno Melo."

“Ciao amore.”

“Nonno, quando vieni a casa? Ce la fai a venire a casa prima che compio dieci anni?”

"Certo, adesso però amore passami tuo fratellino che la telefonata sta per finire."

"Ciao nonno."

“Ciao amore.”

Il mio secondo nipotino è più scalmanato di suo fratello: " Nonno, penso che le telefonate dove sei tu durino così poco perché le guardie sono cattive."

Muovo la testa da una parte all'altra: " No amore, non sono cattivi." Poi chiudo gli occhi.

“E allora perché non telefoni tutti i giorni?”

 E penso a come rispondergli: " Perché qua la linea si prende male e dobbiamo fare a turno per telefonare."

 Non voglio che imparino ad odiare lo Stato.

" Amore, adesso passami la nonna perché ormai c'è rimasto poco tempo." La sua vocina si fa più dolce:

“Va bene nonno, ti voglio bene.”

È il turno della mia compagna. E scatta l'avviso che la telefonata sta per terminare. Fra trenta secondi cadrà la linea. E ci rimangono solo una manciata di secondi. Non capirò mai perché ci danno così poco tempo per telefonare a casa. Mi sembra una pura cattiveria. In fondo la telefonata la paghiamo noi.



Cade la linea. E mi arrabbio perché come al solito io e la mia compagna non abbiamo avuto il tempo di mandarci neppure un bacio o di dirci qualche parola affettuosa. Sospiro. Mi sento di nuovo solo. E contro tutto il resto del mondo. Ho il cuore pesante. Mi sento frustrato. E penso che le telefonate potrebbero essere più lunghe e più numerose.

Ritorno nella mia cella come un lupo bastonato, mi chiedo perché il carcere abbia così paura e terrore dell'amore dei nostri familiari e ci proibisca le telefonate libere e i colloqui riservati, come accade negli altri Paesi. Non riesco a trovare una risposta razionale. Penso che i buoni quando puniscono non sono meno malvagi dei cattivi.



Carmelo Musumeci

27 febbraio 2020

RIFLESSIONI SU UN VIRUS a cura di Miriam Ballerini

RIFLESSIONI SU UN VIRUS

Sono ormai due mesi che tutti i giorni, ormai h 24, non sentiamo parlare d'altro che di Corona Virus.
Leggiamo dal sito My Personal Trainer :
I coronavirus sono virus che, nell'essere umano, causano infezioni respiratorie lievi, nella maggior parte dei casi, e gravi, solo raramente. Nell'ultimo ventennio i coronavirus si sono imposti alle attenzioni del mondo per tre motivi: l'epidemie di SARS, tra il 2002 e il 2003, l'epidemia di MERS, tra il 2012 e il 2013, e la recente epidemia di SARS-CoV-2, iniziata a fine dicembre 2019”.
Pertanto, come possiamo vedere, altri generi di questo virus e di altre specie,già sono stati sottoposti alla nostra attenzione.
Non scriverò di cosa si tratta, o come lo si cura, e nemmeno cosa dobbiamo fare in caso se … perché io sono solo una scrittrice, in questo caso un'opinionista. Non sono un medico, non sono un virologo.
Quello che mi piace portare alla vostra attenzione con questo articolo sono alcune cose che andremo a vedere insieme.
Come ha reagito la gente? Io abito in Italia e, fintanto che qui di casi non ce ne sono stati, le prime parole che ho sentito pronunciare sono state: “Per colpa di sti cinesi, guarda che cosa hanno creato. Così imparano a mangiare di tutto”.
Già, perché ora è partita dalla Cina. La Mucca Pazza iniziò nel Regno Unito. La MERS nell'Arabia Saudita. La SARS sempre dall'Asia. La spagnola nel 1918 negli Usa.
Eppure, quando accaddero altre epidemie di questo genere, nessuno si permise di aggredire l'altro per la sua razza.
Ci sono poi stati commenti ancora peggiori: “Speriamo colpisca l'Africa …”
Queste parole ci fanno comprendere il grado di bassezze a cui ho assistito in questi giorni.
Ma poi, che succede? Quello che era piuttosto prevedibile: l'epidemia sta uscendo dai confini dei primi focolai, perché la gente si sposta ed è abbastanza improbabile riuscire a contenerla al 100%.
Arriva anche da noi, in Italia. E come arriva? Con dei barconi come tanti avevano predetto? Su dei cinesi? Macché, semplicemente giunge a noi attraverso un anonimo tizio lombardo che cena con altre persone che si infettano e non ammettono subito di aver mangiato con un signore appena tornato dalla Cina.
Eppure, ancora c'è chi specula e mente, perché sia mai che si possa far cedere di un millimetro questa occasione succulenta di spargere altro odio verso gli altri. E quando mai ricapita un'occasione del genere?
Ed ecco i casi di pestaggi ai danni dei cinesi, chi se ne importa se sono qui in Italia da una vita e nemmeno l'hanno visitata la Cina?
Altro fenomeno è quello del panico che ha catturato la gente, la psicosi.
Preferirei davvero che fossero solo i telegiornali a parlare di quanto sta accadendo, dando tutte le istruzioni del caso. Ma sarebbe troppo bello, vero? Siamo subissati da trasmissioni, non di medicina, badate, ma trasmissioni di intrattenimento che fanno parlare chiunque di questa epidemia. Allora ci sono scrittori, filosofi, gente di spettacolo, chiunque ha da dire qualcosa ha campo libero.
E la gente, tutto il santo giorno, non fa altro che avere la testa piena di parole e parole. Quindi scattano le rincorse all'amuchina per disinfettarsi le mani e alle mascherine. I primi sciacalli, mi pare già fermati per fortuna, portano questi oggetti a prezzi esorbitanti.
La corsa ai supermercati è davvero folle. Non bisogna stare in luoghi affollati, ma si formano code
di carrelli, dove tutti stanno vicini, per poter arraffare qualsiasi cosa dagli scaffali.
Mi chiedo cosa accadrebbe qualora succedesse in Italia una qualche emergenza più seria. Ci scanneremmo gli uni con gli altri!
Ieri, una signora, scriveva su facebook di aver preso due cestelli per sbaglio, posandone uno era arrivata una tizia che con una una spallata l'aveva spostata, guardandola come se avesse intenzione di incenerirla. Quindi, munita di un qualche disinfettante, aveva pulito i manici del cestino.
Non bastasse, noto alcuni miei colleghi che mandano in giro veri e propri vademecum del corona virus riscritti da loro.
Cari italiani, vediamo di stare tranquilli e di comportarci responsabilmente. A me sono state annullate delle date, giusto per evitare la folla. Seguiamo i consigli che ci vengono dati dai medici, non dai tuttologi dell'ultimo minuto.
Non creiamo allarmismi, ma nemmeno facciamo troppo i superficiali: spesso, la cosa giusta da fare, sta nel mezzo.

© Miriam Ballerini

Intervista di Alessia Mocci a Rosario Tomarchio: vi presentiamo l’antologia Memorie



Intervista di Alessia Mocci a Rosario Tomarchio: vi presentiamo l’antologia Memorie

[…] Terra amata, mi fai riposar/ sotto lo sguardo benigno dell’Etna/ e dal mare rinasco a nuova vita,/ da quel mare fatto di storia d’uomini,/ di pescatori e focosi amori./ Cara Sicilia, qui fui greco, arabo, spagnolo/ cittadino del mondo e con/ il profumo della mia amata/ mi riscaldi l’anima.” ‒ “Profumo di Sicilia”
Il libro “Memorie – Antologia poetica” dell’autore siciliano Rosario Tomarchio è una raccolta in colloquio con il passato grazie ad una selezione di poesie di tre pubblicazioni precedenti, per un periodo di tempo che va dal 2013 al 2017.
Memorie” è la somma di nove anni nei quali Rosario si è cimentato con la riflessione e la comparazione. Ha toccando temi come la tradizione, l’amore per la Signora, l’Etna, per la sua terra e per il suo mare, per la famiglia e per quei piccoli gesti antichi che oggi, nell’era capitalista, quasi si frantumano prima ancora di realizzarsi.
E se la grande metropoli costringe l’essere umano ad una velocità che penalizza il rapporto tra emozione e pensiero, l’autore ci trasporta a Piedimonte Etneo, un piccolo borgo ai piedi del grande vulcano, nel quale gli abitanti conseguono il rito arcaico del connettere cuore ed intelletto.
Undici numero unico,/ che ripete due volte l’uno,/ il numero della luce,/ il numero del sole/ e dell’acqua che dà vita./ Caro, per te è stato destinato l’undici/ per essere due volte luce,/ luce che brilla negli occhi tuoi,/ per essere due volte sole che riscalda,/ quel sole che nasce dal tuo cuore/ e riscalda le persone a te vicino;/ per essere con maggior forza/ l’acqua che dà vita.// […]‒ “Undici”

A.M.: Ciao Rosario, oggi, parleremo della tua nuova pubblicazione. “Memorie” è propriamente una selezione di poesie presenti in alcune tue precedenti raccolte. Come nasce l’idea di un’antologia e perché hai scelto questo preciso titolo?
Rosario Tomarchio: Ciao Alessia grazie di questa interessante intervista. “Memorie” riassume tre importanti pubblicazioni che mettono in luce il mio percorso poetico e, precisamente, questa antologia poetica contiene alcune poesie provenienti da “Ricordi di poesie” pubblicato nel 2013, “Cielo” pubblicato nel 2014 e “Briciole di vita” pubblicato nel 2017. Ho scelto questo titolo pensando al mio passato e alla necessità dell’uomo − e quindi mia − di fare memoria. Nello stesso tempo in cui pensavo alle mie pubblicazioni passate facevo memoria ed ero proiettato al futuro e alle idee a cui sto lavorando.

A.M.: Quanto è difficile per il creatore preferire una poesia ad un’altra?
Rosario Tomarchio: Mi capita spesso di scrivere più poesie di quelle che ho intenzione di pubblicare in una raccolta e quindi devo fare ogni volta una selezione. Quando compio letteralmente una selezione ho bene in mente il ritmo da imprimere alla silloge poetica. Le emozioni che voglio trasmettere devono avere secondo il mio immaginario un salire e scendere. Dove per salire intendo da una emozione più lieve a una più forte. È come quando una persona si innamora e ascolta il suo cuore crescere nei battiti fino ad arrivare quasi a galoppare al primo bacio e poi lentamente tornare calmo in attesa del prossimo bacio. Così succede con la selezione che compio quando vado a comporre una raccolta poetica. Quindi nello scegliere le poesie ho usato questo metodo selezionando anche le poesie che avevano ricevuto una maggiore visibilità. Scegliere una poesia o un'altra non è semplice perché ogni poesia nasconde dentro di sé un momento di vita vissuta del poeta o delle persone che gli stanno accanto.

A.M.: Della raccolta “Ricordi di poesie” vorrei parlare di “Etna”: “Nobile donna di bianco vestita,/ sempre cara fosti ai gentil poeti,/ da greci ai latini innamorare facesti./ Alle mani di uomo doni i tuoi frutti,/ con il profumo dei tuoi fiori/ li seduci// […].”. Oltre a raccontarci in quale momento della tua vita sono nati questi versi, ci potresti anche fare un esempio di un poeta a te caro che ha narrato la bellezza della Signora?
Rosario Tomarchio: Questi versi sono nati in due particolari momenti. Un giorno mi sono ritrovato con alcuni conoscenti a parlare dell’Etna e del lavoro che offriva e io ho raccontato di mio nonno materno che, con il mulo, andava tutti i giorni sull’Etna per trasportare legna, carbone, mele dell’Etna (una qualità oggi difficile da trovare), e neve. Successivamente mi sono ritrovato a discutere di poeti latini e greci dell’antica Catania che hanno dedicato alla “Montagna” (Mongibello) alcune meravigliose liriche. Probabilmente il più famoso poeta latino che ha dedicato liriche all’Etna è Pindaro. Senza alcun dubbio il poeta greco più vicino alla cultura etnea e che ha poetato versi per la nobile Signora è Stesicoro.

A.M.: Della raccolta “Cielo” vorrei parlare di “Freddo”: “Sento freddo come un giunco sbattuto dal vento,/ come una lacrima solitaria,/ come una parola non detta,/ come un fiore di campo in un giardino di rose,/ come quella bianca pietra/ che un giorno mi accoglierà.” Perché l’essere umano scrive della morte?
Rosario Tomarchio: Grazie Alessia, per aver citato la poesia “Freddo”. Questa breve lirica è tra le più fortunate e più citate della critica letteraria. L’essere umano scrive della morte perché è qualcosa che non riesce a comprendere fino in fondo nonostante il proprio credo lo aiuta a prepararsi con fiducia alla morte. L’essere umano si prepara con fiducia perché la vita va oltre a quell’attimo temporaneo. Ovviamente credo questo fermamente grazie alla fede. Sciogliendo la parola morte dalla fede ci resta il ricordo e il ricordo è destinato a sopravvivere alla persona cara. Chi ama non muore.

A.M.: Della raccolta “Briciole di vita” vorrei parlare di “Sicilia è”: “Sicilia è una lacrima/ sul volto dei pescatori,/ di un mare che bagna una/ terra che offre/ un bicchiere di vino agli amici.// […]”. Non possiamo negare che la globalizzazione ha modificato le dinamiche di vita dei pescatori, degli agricoltori, allevatori e dunque della regione abitata, in questo caso la Sicilia. In che modo hai percepito queste modifiche?
Rosario Tomarchio: Ho percepito queste modifiche, nel momento in cui mi sono reso cosciente che per far conoscere i prodotti della propria terra, e in questo caso della Sicilia, si deve far parte della globalizzazione e in questo ci viene incontro il web che ci permette di far conoscere la nostra storia ma soprattutto i nostri prodotti in tutto il mondo. Un altro strumento valido sono le fiere internazionali che permettono di entrare in contatto con nuove idee e di proporre le nostre visioni e i nostri eccellenti prodotti. Dalla terra, dal mare e quindi dall’agricoltura, pastorizia, allevamento ecc, possiamo portare anche il discorso editoria, nel quale un ottimo strumento per la vendita dei libri è il web sempre più in sostituzione delle tradizionali librerie. Un altro buono strumento è l’ormai tipica fiera del libro se la casa editrice si prende il disturbo di partecipare!

A.M.: Il 26 agosto presso il Museo della musica di Piedimonte Etneo, la raccolta è stata presentata ufficialmente. Com’è andata la serata?
Rosario Tomarchio: La serata è andata benissimo con un pubblico veramente di qualità e con una parte dell’amministrazione presente. La presentazione, come detto, si è svolta al Museo della musica alternando la lettura delle mie poesie con meravigliosi passaggi musicali. Con l’occasione, ci tengo a ringraziare la signora Enrichetta Pollicina (vicesindaco di Piedimonte Etneo) e la signora Ivana Pollicina (consigliere comunale) per la gentile collaborazione e la disponibilità per la realizzazione della serata.

A.M.: So che hai in programma qualche novità… vuoi svelare qualcosa anche ai lettori?
Rosario Tomarchio: Sì, cara Alessia, ci sono tre grandi novità che voglio anticipare ai lettori. Prima fra tutte: la nascita della mia casa editrice, una scelta che ho fatto dopo molte riflessioni e valutazioni sulla possibilità di mercato. In secondo luogo, e legato alla mia prima novità: la realizzazione di un concorso nazionale di cui però non voglio svelare i particolari. E dulcis in fundo la terza novità è l’uscita in tutte le librerie fisiche e online della mia nuova raccolta di poesie con un tema molto particolare che farà da filo conduttore.

A.M.: Salutaci con una citazione…
Rosario Tomarchio: In questa bella e interessante intervista, abbiamo parlato dell’Etna e così mi è venuto in mente un poeta che ogni giorno guardava un monte. “Sempre caro mi fu quest’ermo colle” Giacomo Leopardi.

A.M.: Rosario ti ringrazio per il tempo che hai dedicato a questa breve esplorazione di “Memorie”, ai lettori invito all’acquisto della tua antologia, disponibile anche in formato digitale, e saluto con una citazione dello scrittore francese Marcel Proust: “Troviamo di tutto nella nostra memoria: è una specie di farmacia, di laboratorio chimico, dove si mettono le mani a caso, ora su una droga calmante, ora su un veleno pericoloso.”

Written by Alessia Mocci

Info
Photo Rosario Tomarchio by Gianluca Leonardi
Sito Rosario Tomarchio - https://artnotizie.blogspot.com/
Facebook Rosario Tomarchio - https://www.facebook.com/profile.php?id=100017034757004
Acquista Memorie
https://www.amazon.it/Memorie-Antologia-poetica-Rosario-Tomarchio/dp/1092332057

Fonte
http://oubliettemagazine.com/2020/02/07/intervista-di-alessia-mocci-a-rosario-tomarchio-vi-presentiamo-lantologia-memorie/

Sleep Well Childhood Mostra personale di Giuseppe Mulas a cura di Marco Salvario

Sleep Well Childhood
Mostra personale di Giuseppe Mulas
a cura di Marco Salvario

Alberto Peola – Via della Rocca 29, Torino
7 febbraio – 14 marzo 2020


In via della Rocca, la strada di Torino dove forse è più densa e vivace la presenza di gallerie d’arte, un riferimento importante è da più di trent’anni la Alberto Peola Artecontemporanea, con i suoi ambienti eleganti, gestiti con grande cura per le opere e illuminati sempre in maniera ottimale.
Dal 7 febbraio ospita la prima mostra di Giuseppe Mulas, venticinquenne artista di Alghero, studi all’Accademia di Belle Arte di Torino; già lo avevo notato nella grande kermesse di Paratissima.



Il modo con cui l’artista affronta la tela, con spray olio e acrilico o con tecniche miste, è violento, netto, essenziale, quasi nei canoni della Street Art; ugualmente crudo, turbato e fremente è il suo messaggio.
Il titolo della mostra “Sleep Well Childhood” ci parla di una scoperta incompleta, adolescenziale e maschile della propria sessualità, della virilità come nuovo orizzonte ignoto e sconosciuto. L’immagine è sogno, desiderio, eccitazione e incomprensione di se stessi. Un bambino è diventato d’improvviso uomo e non si riconosce più nelle pulsioni del proprio corpo e del proprio animo; intorno a lui gli oggetti diventano allegorie, simboli, provocazioni e parlano con messaggi sconvolgenti ed equivoci.
Nel cielo, vista come irraggiungibile feticcio, la falce di luna è gialla come una banana, anzi è proprio una banana tra stelle che sono asterischi dorati, e viene catturata da un braccio peloso che a sua volta si trasforma e rivela come uno scimmiesco fallo dominante.
Turbamento e provocazione, desiderio che cerca di nascondersi ma che esplode tanto più potente quanto più si cerca di reprimerlo.
Chi sono? Che cosa sto diventando?
Sempre in bilico tra ironia e volgarità, tra richiamo e chiusura in se stessi, tra poesia e squallore, tra innocenza ed esibizionismo, l’opera di Mulas costringe lo spettatore a confrontarsi con mai risolti traumi adolescenziali, condividendo il disagio o ad allontanandosi con imbarazzo.



Meno provocatori ed estremi ma ugualmente interessanti i pastelli su carta della serie “Chairs are crying while lonely people are dancing”. L’uomo è solo, si è liberato dei suoi vestiti, le gambe e i fianchi nudi sono pelosi come quelli di un licantropo; sembra infreddolito, stanco, bisognoso di nascondersi. Forse è spaventato. Cerca senza trovarla la propria essenza, dopo essersi mimetizzato sotto lo schermo illusorio delle consuetudini, e si smarrisce nella propria fragilità.


26 febbraio 2020

Intervista di Alessia Mocci a Giulio Marchetti: vi presentiamo la raccolta Specchi ciechi

Intervista di Alessia Mocci a Giulio Marchetti: vi presentiamo la raccolta Specchi ciechi


“’Le proprie inclinazioni’ risultano socialmente oppresse dal senso utilitaristico dominante, a partire dall’istruzione. ’Le cose monotone’ ben presto saranno delegate alle macchine (che ormai svolgono gran parte dei lavori ripetitivi un tempo affidati agli esseri umani). Non si tratterà più di cercare lavoro, ma di creare lavoro. Forse allora l’unica risposta sarà: creatività.” – Giulio Marchetti
Il talento creativo, quella capacità produttiva della ragione in comunione con l’inconscio. Il concetto riportato in apertura mette luce sul pensiero di Giulio Marchetti su due problematiche sociali di grande importanza: il lavoro e la felicità.
Ancora una volta è il poeta che, staccatosi da quel “senso utilitaristico dominante”, getta uno sguardo nella realtà del presente e la descrive netta, densa.
La raccolta “Specchi ciechi” è stata pubblicata nel 2020 dalla casa editrice Puntoacapo, vede la prefazione di Maria Grazia Calandone, la postfazione di Vincenzo Guarracino ed una nota di Riccardo Sinigallia.
L’autore, Giulio Marchetti, nasce nel 1982 a Roma, ha esordito con “Il sogno della vita” nel 2008. Con Puntoacapo pubblica nel 2010 “Energia del vuoto” con prefazione di Paolo Ruffilli, nel 2012 “La notte oscura”, nel 2014 “Antologia del sublime”. Con la casa editrice Ladolfi pubblica nel 2015 la raccolta “Ghiaccio nero”. Diverse sue poesie sono edite in antologie collettive.

A.M.: Salve Giulio, la ringrazio per aver accettato questa intervista che verterà sull’esplorazione della sua ultima raccolta poetica “Specchi ciechi”. Per sciogliere il ghiaccio o, forse, propriamente per far un salto indietro, mi piacerebbe sapere la differenza che avverte fra il poetare del 2008, con il suo esordio “Il sogno della vita”, e quest’ultima opera.
Giulio Marchetti: Ringrazio voi per l’ospitalità e rivolgo un saluto ai vostri lettori. Il mio primo libro, “Il sogno della vita”, era tecnicamente più ingenuo e più grezzo. La mia nuova raccolta, “Specchi ciechi”, mi auguro sia più matura. Ma la cifra stilistica è la stessa (o quantomeno è riconoscibile).

A.M.: Dalla folgorazione per la poesia avvenuta con la lettura delle raccolte “Scorribande lineari” e “Frammento e fragile” di Francesco Gazzè ad autori quali Montale, Mallarmé, Zinetti, il poeta cerca ispirazione dai libri che prende in mano, oppure necessita di compagni di viaggio?
Giulio Marchetti: Di certo i libri sono cibo che una volta ingerito va metabolizzato e poi espulso. Nel mio caso dicono si tratti di un’espulsione poetica. I compagni di viaggio sono parte del processo poetico. Ma non ci sono compagni di viaggio all’esterno.

A.M.: Possiamo ritenere le poesie presenti su “Specchi ciechi” dei frammenti di un discorso che resta sottinteso al lettore, propriamente di frammenti che arrivano istantanei e che non necessitano di esplicitazione?
Giulio Marchetti: Non riesco a mantenere una densità accettabile per più di qualche verso, così come non riesco a mantenere la stessa densità per più di qualche poesia. Per tale ragione i miei testi somigliano a frammenti e le mie raccolte sono tendenzialmente sottili. Preferisco la densità. E mi fermo quando la sento gocciolare tra le dita mentre scrivo.

A.M.: La poesia “Clessidra” si chiude con “Esiste/ un vento favorevole/ nell’oceano della perdita?” Una domanda pregna di enfatico sentimento che si interroga sulla perdita connessa al tempo che, inesorabile, trascorre. Che cosa rappresenta la perdita? Mancanza? Smarrimento? Privazione?
Giulio Marchetti: Si tratta in effetti del classico interrogativo sul tempo che l’uomo da sempre si pone. La risposta potrebbe essere estremamente corta o estremamente lunga. Estremamente corta, limitandoci a Samuel Beckett in “Aspettando Godot”: “partoriscono a cavallo di una tomba, il giorno splende un istante, ed è subito notte”; estremante lunga, continuando a citare i maggiori pensatori del genere umano: Galilei, Newton, Kant, Einstein (e ancor prima le trasformazioni di Lorentz), Hegel, Bergson, Husserl e Martin Heidegger, con la sua monumentale opera “Essere e tempo”. In ambito più strettamente artistico penso a “Le tre età dell’uomo” di Tiziano, a Roman Opalka (dipinse ossessivamente i numeri partendo dall’uno verso l’infinito) e ai calendari di Alighiero Boetti.

A.M.: Nella poesia “Ego”, oltre all’aver nel quinto verso il titolo della raccolta, troviamo in chiusura “Rigurgiti dell’ego,/ mi siedo./ E vi amo,/ e vi osservo.” Perché per l’essere umano è complesso fermarsi ad osservare le maschere con le quali si trascina stancamente nel mondo?
Giulio Marchetti: Perché l’essere umano crede di essere una mente dentro un corpo. Inizia allora a raccontarsi delle storie, è la voce nella testa che le racconta, ma l’uomo crede di essere la sua mente, quindi le crede. Non è mai nel qui e ora, non tocca mai Qualcosa al di là delle maschere. I pensieri, tuttavia, come le sensazioni, le emozioni e gli altri “rigurgiti dell’ego”, possono essere osservati. A quel punto la mente percepisce o è percepita? E chi è colui che osserva?

A.M.: In quattro poesie si cita la noia (“Naufragio”, “Cosmica”, “Scivolare” e “Il dolore”), i suoi confini, la connessione all’esistenza, il suo vertice, e l’aumentare in connessione al tempo. L’etimo della parola riporta alla derivazione dal latino odium, con propriamente il significato di “essere in odio”, forse per questo motivo quando ci assale la noia siamo tormentati, infatti sempre nel mondo latino odium veniva usato per il fastidio. Ma, esattamente, perché la noia assalta l’essere umano? Perché ci si occupa di cose monotone e contrarie alle proprie inclinazioni?
Giulio Marchetti: Già Lucrezio nel terzo libro del “De Rerum Natura” offriva una definizione paradigmatica della noia. “Spesso lascia il suo grande palazzo chi si annoia a restare a casa; ma subito vi torna perché non si trova affatto meglio fuori”. L’inquietudine e il senso di estraniazione tipici della noia trasudano da questo breve passo. Ci vuole un balzo secolare, ma si giunge inevitabilmente a Baudelaire. Lo spleen è una condizione interiore tanto angosciosa quanto suggestiva a livello artistico, nella pienezza dei suoi effetti devastanti, quasi allucinatori. “Le proprie inclinazioni” di cui oggi argutamente mi chiedi, risultano socialmente oppresse dal senso utilitaristico dominante, a partire dall’istruzione. “Le cose monotone” ben presto saranno delegate alle macchine (che ormai svolgono gran parte dei lavori ripetitivi un tempo affidati agli esseri umani). Non si tratterà più di cercare lavoro, ma di creare lavoro. Forse allora l’unica risposta sarà: creatività.


A.M.: Si uniranno le stelle in un mosaico di luce o resteranno perse nel buio?
Giulio Marchetti: Si uniranno. Sono già unite. La divisione è illusoria. Fa parte di un gioco cosmico. Ma per tornare all’Uno consapevoli, occorre sperimentare la dualità.

A.M.: Sono in programma delle presentazioni della raccolta Specchi ciechi?
Giulio Marchetti: Sono certamente in programma nelle intenzioni, non ancora nelle date.
Inoltre è in preparazione una mia mostra a metà tra la poesia e l’arte concettuale.

A.M.: Salutiamoci con una citazione…
Giulio Marchetti: "Chi guarda fuori sogna, chi guarda dentro si sveglia." – Carl Gustav Jung

A.M.: Giulio, augurandomi che il lettore accorto sappia cogliere il suo consiglio espresso con: “la mente percepisce o è percepita? E chi è colui che osserva?”, saluto con le parole del filosofo Plotino (Enneadi, III, 7): “All’inizio, quando ancora non aveva creato il ‘prima’ e non sentiva la necessità del ‘poi’, il tempo giaceva in unione con se stesso nell’Essere, non come tempo, ma deposto in quell’Essere in piena tranquillità. Ma una natura con la sua irrequieta creatività, volendo disporre di se stessa ed essere padrona di sé, decise di mettersi in cerca di qualcosa di ulteriore rispetto a quello che al momento c’era e si mise in moto: ed ecco che anche il tempo si mise in moto.


Written by Alessia Mocci

Info
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https://www.ibs.it/specchi-ciechi-libro-giulio-marchetti/e/9788866792246
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Fonte
https://oubliettemagazine.com/2020/02/24/intervista-di-alessia-mocci-a-giulio-marchetti-vi-presentiamo-la-raccolta-specchi-ciechi/

24 febbraio 2020

IL REBUS DEI PAGAMENTI IN CONTANTI di Antonio Laurenzano

IL REBUS DEI PAGAMENTI IN CONTANTI di Antonio Laurenzano
Pagamenti in contanti al via? No, stop. Il Governo nei giorni scorsi ha presentato alla Camera l’emendamento al decreto Milleproroghe che fa salve le spese effettuate in contanti dal 1° gennaio fino al 31 marzo 2020, in deroga al precedente obbligo di pagamento con mezzi tracciabili (assegni bancari o postali, carte di credito o bancomat). Tutto rinviato al 1° aprile. La moratoria di tre mesi per i bonus fiscali non tracciati è stata voluta dal Ministro dell’Economia Gualtieri per venire incontro alle richieste della Consulta dei Caf preoccupata dell’entrata in vigore delle nuove norme senza la necessaria informazione e preparazione di contribuenti e strutture. Tanta confusione, poche certezze. Anche se in ritardo, rispettate così le disposizioni dello Statuto dei diritti dei contribuenti che concede 60 giorni di tutela per adeguarsi ai nuovi adempimenti fiscali.
laurenzano contati scontrini
Antonio Laurenzano
L’obbligo della moneta elettronica per poter beneficiare delle detrazioni fiscali è stato introdotto dalla Legge di Bilancio 2020. Dal 1° gennaio scorso è scattato l’obbligo di uso di carte o bancomat per quasi tutte le spese detraibili dall’Irpef al 19%: interessi passivi mutui prima casa, spese scolastiche, funebri, assicurazioni rischio morte o invalidità, assistenza personale, sport bonus, trasporti pubblici, spese mediche e specialistiche effettuate privatamente, ecc. Nessun vincolo per le spese sostenute per l’acquisto di medicinali e dispostivi medici, prestazioni sanitarie rese da strutture pubbliche e da strutture private accreditate al SSN. Si tratta di una misura particolarmente importante per le casse dello Stato.  Dall’obbligo di tracciabilità, infatti, la Legge di Bilancio ha previsto un maggior gettito pari a circa 860 milioni per il 2021 e 496 milioni per il 2022.
Una volta approvato l’emendamento governativo ed entrata in vigore la legge di conversione del decreto, dal prossimo 1 aprile, per poter beneficiare delle detrazioni fiscali, bisognerà dunque pagare le spese detraibili soltanto con strumenti elettronici. La tracciabilità dei flussi finanziari, secondo quanto illustrato nella relazione tecnica al collegato fiscale, “è finalizzata al contrasto del riciclaggio dei proventi illeciti e del finanziamento occulto al terrorismo nonché alla lotta all’evasione”. Un obiettivo quest’ultimo che sarà ulteriormente rafforzato dal 1° luglio con la “lotteria degli scontrini” e con i limiti progressivi di spesa tramite denaro liquido, attualmente fissato a 3mila euro. Le nuove soglie, oltre le quali si applica il divieto al trasferimento del contante fra soggetti diversi, sono 2mila euro dal 1° luglio 2020 al 31 dicembre 2021, mille euro dal 1° gennaio 2022. L’Italia sarà così fra i 12 Paesi dell’Ue che prevedono limiti di legge: molto restrittivi in Francia, Portogallo e Grecia, del tutto assenti in Germania.
Decollata l’operazione “guerra al sommerso”, resta sul tappeto la domanda di fondo: lotteria degli scontrini e moneta elettronica batteranno l’evasione fiscale nel Belpaese? Oltre 211 miliardi di euro nascosti al fisco, il 12% del Pil nazionale. L’Iva rappresenta un buco di circa 34 miliardi di euro, pari al 25% dell’evasione comunitaria. Una lotta impari, che, al di là di ogni fantasioso “spauracchio”, richiede l’attivazione di strumenti di contrasto più efficaci: l’incrocio delle banche dati. Ma questa è tutta un’altra storia.

23 febbraio 2020

Recensione di Manuel Vazquez Montalbàn – La solitudine del manager a cura di Marcello Sgarbi


Manuel Vazquez Montalbàn La solitudine del manager
(Edizioni Feltrinelli)


Collana: Universale economica
Pagine: 192
Formato: Tascabile
EAN: 9788807813207

I grandi esteti riescono sempre ad inventare ricette gustosissime: barocche, come Gadda; fantasiose, come Vian; saporite, come Camilleri
e Isabel Allende; o semplicemente geniali. Come Montalbàn,
che imbandisce con cura e sapienza la tavola per il piacere del corpo
e della mente. Provare per credere la lettura di questo gioiellino;
a certe pagine mancano solo un abile regista e un maestro della fotografia e… ciak! Si trasformano in scene da godere con l’orecchio interno
e da mangiare con gli occhi. Un assaggio? Confrontate i due testi:
il primo è uno stralcio dello scrittore basco, il secondo è tratto da Boogie
di Paolo Conte (non a caso, un altro grande esteta). Non vi sembra già
di sentire l’accordo degli ingredienti?

Un cono di luce scende sul biliardo d’angolo, dove le palle scorrono consapevoli del loro colore, sontuosamente invecchiato in quelle bianche, inquietante in quelle rosse. Un vecchio carambolista ingessa
con lentezza liturgica la punta della stecca mentre con gli occhi socchiusi studia il prossimo tiro. Ha la pancetta tipica del giocatore di biliardo.
Quella pancetta che va tirata dentro prima di ogni colpo per non toccare
la sponda del tavolo, sconvolgendo cascate di birra e di caffè corretto
nei pozzi interni del corpo. Il vecchio gira tutt’intorno al tavolo
mentre il suo rivale sorseggia un bicchierino d’anice senza levare gli occhi dal panno verde dove le palle interpretano la parte assegnatagli
di animali senza nervi”.

Quei due continuavano da lei saliva afrore di coloniali che giungevano a lui come da una di quelle drogherie di una volta che tenevano la porta aperta davanti alla primavera…

(c) Marcello Sgarbi

ADDIO AL PATTO DI STABILITA’ STUPIDO di Antonio Laurenzano

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