27 febbraio 2021

“Effimera Resilienza” – essere o non essere A cura di Marco Salvario

 

Effimera Resilienza” – essere o non essere

Ossimoro Art Gallery – Via Carlo Ignazio Giulio 6, Torino

15-26 febbraio 2021

A cura di Marco Salvario


Situato alle spalle del santuario della Consolata, una delle più antiche e venerate chiese di Torino, lo spazio espositivo “Ossimoro Art Gallery” ha ospitato per due settimane la mostra collettiva di arte contemporanea “Effimera Resilienza” – essere o non essere. Dietro il titolo della mostra si nasconde la coscienza della fragilità dell’arte, che in questo periodo di pandemia si è fermata, vinta e avvilita, ignorata e sempre messa in secondo piano rispetto agli altri gravi problemi del periodo. Così, sospesa tra essere e non essere, l’arte continua a esistere, pur nella sua natura effimera, e seguitano a lavorare gli artisti con le loro creazioni. La bellezza continua a essere un valore assoluto, che sopravvivrà a questo periodo infausto, e può aiutarci a ripartire migliori e più responsabili.



Come sempre nei miei articoli, segue un veloce e incompleto accenno agli artisti e alle opere della mostra che mi hanno colpito favorevolmente. Aggiungo volentieri, e forse è la prima volta che posso scrivere una frase del genere, che nessun’opera dei venti artisti che esponevano, mi ha lasciato insoddisfatto.



Tiziana Bussolini – “Cieli Azzurri”, “Cercatrice di Sogni”.

Due poetici acquarelli che ci fanno respirare atmosfere orientali, elogiano la calma, la pazienza, la fiducia che ai tempi duri ne seguiranno di migliori.

Pochi giorni fa leggevo una discussione su come rendere i colori più vivaci e luminosi: Tiziana Bussolini dimostra invece come spesso la bellezza e l’espressività di un’opera siano nelle tinte tenui e diluite. Non serve gridare per essere ascoltati, perché le parole sussurrate restano impresse più profondamente nei nostri cuori.

Rosy Mantovani – “Untitled dalla serie Fiori dell’Anima”.

L’opera è realizzata a olio, grafite e garza su tela di juta: una scelta complessa ma che mi ha convinto. Leggo che la serie “Fiori dell’Anima” racconta il disagio sociale di un’infanzia costretta a vivere in un ambiente ostile; solitudine, inquinamento, abbandono. La natura che era libertà e gioco, ora è grigia prigione, tristezza, malattia. Il futuro dei nostri figli è già stato perduto.



Giusi Velloni – “Diffidenza”.

Il corpo dell’uomo è nudo, muscoloso, chiuso in se stesso quasi in posizione fetale; una mano proteggere il capo. Sconfitta, prostrazione, paura. Eppure, se una battaglia è stata perduta, non c’è rassegnazione. L’uomo è stato piegato, è caduto, ma non si è arreso. La tensione dei muscoli è potente, l’uomo si rialzerà e combatterà di nuovo.

Un olio su tela molto attento alla forma, ai colori, e di grande potenza espressiva.

Anna Parisi – “Ritualità”.

Un autoritratto fotografico che sarebbe piaciuto a Pirandello. Non è un nascondersi, un celare il volto, quanto un presentarsi a sguardi che sono capaci di riconoscere di noi, solo una piccola parte spesso ingannevole.

La maschera non è sul viso, eppure è rivolta verso di noi e ci osserva con occhi vuoti, senza vedere e senza farsi conoscere. Illusione di sapere e di identificare.

Davvero pregevole il contrasto di luci e ombre. Emergono i dettagli: il vestito verde, gli stivaletti rossastri, le tende sottili, le piante fiorite sul davanzale e la maschera tribale che ci fissa.

Anna Parisi ama viaggiare nel mondo e fotografare, ma anche nell’interno della propria casa riesce a creare immagini di grande seduzione.

Eva Caresio – “Forza interiore”.

Riemergere, aprire le braccia all’aria, alla luce e all’acqua. Un nuovo battesimo, una nuova nascita; diventare parte della natura.

Questa pittrice torinese, nata e cresciuta in un ambiente dove l’arte era di casa, riesce a cogliere quel bisogno di libertà e di gioia di vivere, che ognuno di noi sente il desiderio di scatenare e ritrovare dopo i periodi di lockdown, l’altalena di chiusure/aperture, concessioni/divieti, cui per ancora tanto tempo saremo sottoposti.

Inno nazionale a cura di Angelo Ivan Leone

 Inno nazionale 

  Dopo gli ultimi nomi visti e con l'ignobile ressa fatta dai partiti per accaparrarsi qualche posticino in più nel "governo dei migliori", mi sa che come inno nazionale per omaggiare l'esecutivo non c'è rimasto che questo.
 Qualcuno potrà dire che non è il caso di fare del qualunquismo. Il problema è che non era nemmeno il caso di fare un governo in piena crisi pandemica con tutti quei morti, che non era il caso di farne uno nuovo che sembra la brutta copia di quello di prima per i nomi, i progetti e i programmi. Programmi che non possono che essere che quelli dettati dalla pandemia. E quindi, all'uomo comune che è poi tutti noi, resta un gigantesco perché? Ecco, con questo gigantesco perché si lascia il lettore e il cittadino, fondamentalmente solo, e alle prese con un mondo tetro, oscuro e tragico quello dell'anno I della Pandemia.
 P.S. Le immagini nel video sono quelle delle uniche rivoluzioni che il popolo italiano è in grado di fare. Per questo si spiegano tante cose. Rivoluzioni creative o ricreative...
"Creativi contro cretini" Beppe Viola.

(c) Angelo Ivan Leone

25 febbraio 2021

UN PAESE STREMATO DI ANGELO IVAN LEONE

 https://youtu.be/OBBI6R_ryoo

UN PAESE STREMATO DI ANGELO IVAN LEONE


Quello che è stato il primo anno di guerra contro il virus raccontato in questo video animato. Cosa che si associa ad una nuova consapevolezza. L'idea che questa, che si credeva una guerra di breve durata, come tutte le guerre, è destinata a durare per molto tempo. Ecco queste sono tra le amare verità che una classe politica e una classe dirigente avrebbe dovuto ammettere senza false rassicurazioni buone soltanto per tenere buona la gente.

Il Paese è stremato da quest'anno e ha il diritto e chi lo guida ha il sacrosanto dovere di dire tutta la verità su questa guerra. Durerà tanto, bene. Che lo si sappia. Il principio di ogni democrazia è la libera informazione.

Lettere dal carcere: Considerazioni a cura di Roberto Bertazzoni

 



cliccare sulle lettere per ingrandirle



23 febbraio 2021

Presentazione Double face: scrittura e scrittore


 Buongiorno,

se avete due minuti, tanto dura questo video promozionale,
vi chiedo di dedicarli all’ascolto della presentazione del mio
manuale di scrittura.
Ricordo che è in vendita su amazon sia in formato cartaceo che
in ebook. Basta cliccare qui sotto!
Grazie!!!
Miriam


https://lnkd.in/e3pEQ2w

DENTRO L’OPERA UN TEMPIO LUMINOSO INTERIORE di DORIS HARPERS a cura di Maria Marchese


 DENTRO L’OPERA UN TEMPIO LUMINOSO INTERIORE di DORIS HARPERS

 Doris Harpers esprime un intimo invito addentro un “tabernaculum” sconsacrato, ove esprime la genesi di un balbettio mistico. 

“Il più umile balbettio mistico è più vicino a Dio che la Summa Theologica” (Emile Cioran) La Maestra libera quei primi suoni comprensibili, articolati dal proprio io primievo, mutandosi in pissidio che, dischiusosi l’opercolo, promana quel mistico balbettio… Valendosi del carattere volatile del gessetto, l’autrice libera un eloquio vibratile e intenso, adunandone, quindi, il nucleo nel senso di una percorrenza naturale, che suggella il ricongiungimento tra l’individuo e l’uno cosmico. 

L’autrice affronta il gesto e la materia creando, in maniera immediata e capace, la significanza della spontanea edificazione di un arcano pantheon interiore. Un rispettoso nero ne esprime l’inviolabilità e, nel contempo, effigia il navalestro, che suggella il ricongiungimento alla rada luminosa; la possanza di quest’ultima, attraverso la valentia esecutoria dell’artista, procede e sposa, poi, l’inconfessata, oscura condizione.

 La dicotomia sprigionato dalle due terre, in cui Doris Harpers libera una liturgia di motti segnico/cromatici indicativi di ragioni formali, spirituali e intellettive caratterizzati da forza centripeta e altresì centrifuga, trova quiete nella rada dell’ossimoro. In essa, infatti, s’annichila il conflitto per approdare ad una profondità spirituale erratica, ove si sorrade l’impalpabile condizione promanata dall’essenza di una privilegiata e sconfinata terra, che conduce dove l’alba conoscitiva e mistica danza, tra flutti di energia. 

“Oh! Adorare e cioè perdersi nell’insondabile, immergersi nell’inesauribile, trovare pace nell’incorruttibile, assorbirsi nell’immensità definita, offrirsi al fuoco e alla trasparenza, annientarsi consapevolmente e volontariamente man mano che si prende sempre più coscienza di sé, darsi senza limiti a cui che non ha limite” . (P. T. de Chardin) Doris Harpers sembra aver affrontato il significato espresso dalle parole del padre gesuita: partendo dall’incipit fisico attraversa le ineffabili condizioni del non essere per approdare infine ad un’immagine sensibile, dalle pregnanze ancestrali e fondamentali, di una concezione ineffabile. 

“Un tempio luminoso interiore” nasce durante un workshop, al convegno degli artisti al Goetheanum (Ch) . 

Doris Harpers insegna pittura presso la libera accademia per la formazione antroposofica “Aldo Bargero” , ad Oriago, in Veneto; un approccio peculiare, quello dell’artista, meritevole di una maggior conoscenza… Esiste una formula “alchemica” alla base del suo approccio nei confronti dell’arte. Può dirci di più? Cerco un equilibrio fra le forze del pensare, del sentire e del volere. 

Cerco di “ascoltare” il colore, di scoprire il suo carattere, il suo gesto archetipico, per farne poi emergere le forme e i temi legati ai vari regni della natura. Come vede la situazione dell’attuale panorama artistico? Secondo me abbiamo bisogno di opere d’arte che ci indichino una strada verso la luce, che esprimano valori universalmente umani. Quale consiglio darebbe ad un artista, che si accinge ad entrare nel mondo dell’arte? Un vero artista vive già nel vero mondo dell’arte. Se vuole trovare più visibilità nel mondo, consiglio di trovare altri artisti e amanti dell’arte, che credono negli stessi ideali e di unire le forze.


(c) Maria Marchese

20 febbraio 2021

Alberto Arbasino – Supereliogabalo – a cura di Marcello Sgarbi


Alberto Arbasino
Supereliogabalo (Edizioni Adelphi)


Collana: Fabula

Pagine: 406

ISBN: 9788845915970


Non si è mai abbastanza edotti sugli usi e i costumi di alcuni imperatori romani passati alla storia quasi più per le loro stravaganze e follie che per la loro autorità.    Penso a personaggi quali Caligola e Nerone, per esempio. In questo senso, il monarca protagonista di questa rivisitazione post-moderna sembra superare tutti. Molto liberamente ispirato all’Eliogabalo di Antonin Artaud è per l’appunto Super, come viene suggerito dal titolo. L’autore non ha bisogno di presentazioni, perché è uno dei più controversi e geniali esponenti della letteratura contemporanea. Politically uncorrect, citazionista, enciclopedico e ricercato al limite del barocco, sospeso tra espliciti richiami al futurismo e a scrittori quali Palazzeschi, questo anarchico e dissoluto Eliogabalo non ha paura di sporcarsi la lingua.

Così anche i passi più scabrosi della narrazione acquistano leggerezza, tratteggiati con un’ironia quasi sarcastica, a volte divertita e a volte feroce. Da leggere con attenzione alla pagina, un po’ come il Gadda di Quer pasticciaccio brutto de via Merulana, dove ogni parola ha un peso specifico perché è scelta accuratamente.

Ma se invece continuano a ripetermi le ideologie e le saggezze, allora è come il ronzio del frigorifero, se mi dà noia chiamo subito il tecnico perché l’acqua minerale in fresco mi va bene però il ronzio no, il ronzio no… conta molto di più per me stare zitti, sentendo musica, bevendo, fumando, tenendosi magari le mani o i piedi, comunicando così, non verbalmente… si capisce tutto meglio…”

Fidarsi solo dell’istinto, e mai del ragionamento?” brontola il sicario, nascosto da ore dietro un arazzo.

Ah, ma naturalmente tutto questo delucida ormai chiaramente il senso delle cosiddette ‘follie’ degli Imperatori Deliranti… ancora l’astrologia, naturalmente! Le loro ‘manie’ così unilaterali, così precise, così specifiche il teatro apollineo per Nerone, la furia alessandrina per Caligola, la caccia erculea per Caracalla e Commodo, lo spasimo solare per voi, Eliogabalo - tirano infatti evidentemente a indicare una identificazione programmatica, a ogni costo, col segno astrologico particolare del proprio potere individuale.

E corrispondono a calcoli politici nettissimi: Nerone quando canta o Commodo quando fa il gladiatore sanno benissimo cosa vuole il pubblico in quel momento, show business mirato e non già oratoria dialettica o bassa etica nicomachea o editoriali grondanti o mozioni auspicanti…” spiega il mago. 


(c) Marcello Sgarbi

19 febbraio 2021

“EUCARESTIA DI ANIME” Angela Liliana Grassi di Maria Marchese

 Dentro l’opera



“EUCARESTIA DI ANIME” Angela Liliana Grassi di Maria Marchese

Angela Liliana Grassi parte da un unico rituale segnico, che diviene genesi di ogni sua “creazione” : da quell’incipit l’opera si genera e risolve da sé. In questo fondamentale disvelamento, l’autrice e il passo artistico celebrano, nell’atto dell’ineffabile concretamento, un intimo e misterioso connubium. Queste nozze possono trovare un riscontro nella figura della divinità Giano: egli era custode del passato dei cambiamenti rivolti al futuro, delle soglie e dei ponti…                                                                                                                                                        Ogni tela nasce, infatti, nell’immediatezza della spontaneità, per quanto questa inconsapevolezza è effigie di un profondo processo di maturazione personale e universale, che ha radici lontane e uno sguardo lungimirante.                                                                           L’artista rivela se stessa esprimendo, in ogni opera, un’evoluzione unica e irripetibile, le cui trame cromatiche coinvolgono l’osservatore addentro un mirifico istante eterno dell’esistenza.                                                                                                                                       Quando Angela Liliana Grassi mi ha donato quest’opera perché, tra tutte, era rimasta non casualmente lì, accanto a noi, mi ha detto di donarle io un nome. In me si è manifestata, d’emblée, la locuzione “EUCARESTIA DI ANIME” .                                                                         Nella significanza mistica “accade “ questo ricongiungimento: una percorrenza completa l’altra e disgiunte non hanno senso di esistere.                                                                             Ognuna custodisce il fondamento di un importante processo evolutivo, odoroso di riflessioni che hanno toccato profondità interiori per sacrare, alfine, la rada umana delle quiete.           Queste due sensatezza portano con sé un vivido fermento, che si esprime attraverso i palpitanti vagiti del colore blu: un grido bambino primievo, che vibra e fiorisce in importanti epifanie esistenziali.                                                                                                                                Così i segni, apparentemente privi di un risvolto, unendosi trovano la loro completezza, nell’ottica di un cammino in cui il nitore è terra di luce e purezza.                                                Nel sodalizio al centro dell’opera, la perfezione della sfera suggella due volti, appena percettibili; essi si vivificano nella condizione in cui la fisicità esiste come parte di quell’uno.

“Noi siamo uno, dopo tutto, tu ed io. Insieme soffriamo, insieme esistiamo, per sempre, ci procreeremo l’un l’altro” . (T. De Chardin)

La vicendevolezza del creare un nuovo senso, l’uno per l’altra: questa immediata volizione artistica dell’artista di Desio esprime appieno la fondatezza di un rendimento di grazie per ciò che la vita ha riunito.

“È nel nostro dovere di uomini e di donne comportarci come se i limiti delle nostre capacità non esistano. Noi siamo co-creatori dell’universo” . (T. De Chardin)

Questa citazione del padre gesuita sancisce il potere dell’essere umano, frangendo il limite sancito dalla sfera terragna e indovando la forza di questa “EUCARESTIA DI ANIME “ nell’ottica di un progetto umano assoluto.                                                                                     Lascerò il dittico senza cornice alcuna affinché il senso dell’opera si preservi nella landa dell’autenticità.

IL RECOVERY FUND DI MARIO DRAGHI di Antonio Laurenzano

 


IL RECOVERY FUND DI MARIO DRAGHI

di Antonio Laurenzano

Giorni decisivi per il Recovery Fund. Il 30 aprile scade il termine di presentazione del Piano nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR) alla Commissione europea per poter accedere al progetto comunitario Next Generation EU varato in risposta all’emergenza economica e finanziaria scatenata dalla pandemia. Il Piano sarà la priorità del nuovo Governo Draghi, insediatosi a Palazzo Chigi dopo l’imprimatur parlamentare. Sul tappetto una ricca dotazione: per l’Italia risorse quantificabili in circa 209 miliardi di euro di cui 81,4 in sussidi, lungo un periodo di sei anni. “Queste risorse dovranno essere spese puntando a migliorare il potenziale di crescita della nostra economia”, ha precisato Draghi nel suo discorso programmatico al Senato.

Il progetto Next Generation EU rappresenta per i Paesi dell’Unione un’iniziativa fortemente innovativa rispetto al complesso dei mezzi finanziari a disposizione che si concentrano, in particolare, sul comparto trasversale legato alla transizione digitale ed ecologica. Un volano per stimolare in modo significativo gli investimenti pubblici a sostegno della domanda aggregata, premessa della ripresa economica. Per i Paesi ad alto debito come l’Italia, debito che la pandemia ha innalzato in modo significativo, un efficace programma di investimenti accompagnato da ambiziose riforme strutturali è la sola opzione praticabile per riportare il rapporto debito/pil su un piano di sostenibilità, puntando ad accrescere l’impatto del denominatore sull’evoluzione di lungo periodo del rapporto in parola.

Come ha ricordato il Premier nel suo intervento a Palazzo Madama, “gli orientamenti che il Parlamento esprimerà nei prossimi giorni a commento della bozza di Programma presentata dal Governo Conte saranno d’importanza fondamentale nella preparazione della sua versione finale”. Si tratta cioè di valutare la caratura strategica degli interventi progettuali, le riforme abilitanti, la collaborazione tra pubblico e privato.
“Le missioni del Programma, ha chiarito Draghi, potranno essere 
rimodulate e riaccorpate, ma resteranno quelle enunciate nei precedenti documenti del Governo uscente, ovvero l’innovazione, la digitalizzazione, la competitività e la cultura; la transizione ecologica; le infrastrutture per la mobilità sostenibile; la formazione e la ricerca; l’equità sociale, di genere, generazionale e territoriale; la salute e la relativa filiera produttiva. Rafforzeremo il Programma per quanto riguarda gli obiettivi e le riforme che li accompagnano.”

Di grande significato il richiamo all’Italia post bellica: “Oggi noi abbiamo, come accadde ai governi dell’immediato dopoguerra, la possibilità, o meglio la responsabilità, di avviare una nuova ricostruzione.” Dalla reputazione del Governo e dalle aspettative che sarà in grado di generare dipenderà il superamento della pandemia e della crisi economica. La crescita di un Paese non scaturisce solo da variabili economiche. Dipende dalle istituzioni, dalla fiducia dei cittadini verso di esse, dalla condivisione di valori e di speranze. Fattori che determinano il progresso di un Paese a patto di una “unità intesa non come una opzione ma come un dovere.”

L’uso ottimale dei fondi europei si misurerà sulla qualità dei progetti di riforma e di investimento pubblico, ma anche, se non soprattutto, dalla capacità di trainare l’intrapresa privata e riportare tra le famiglie la fiducia nel futuro, fiducia che condiziona sia la loro propensione al consumo sia la loro voglia di investire in capitale umano. La pandemia ha determinato una situazione oggettiva di blocco delle economie, ma la percezione di inadeguatezza dell’azione di rafforzamento delle strutture sanitarie ha amplificato l’incertezza, cioè la componente soggettiva che paralizza l’economia.

Adesso tocca a Mario Draghi e alla responsabilità di tutte le espressioni politico-parlamentari del suo Governo la ricerca di una soluzione strategica che rimetta l’Italia sulla strada di uno sviluppo socio-economico durevole nel solco della sua storica vocazione di Nazione co-federatrice dell’Europa Unita. Una road map credibile, proiettata verso un futuro comunitario condiviso. Su questo punto Draghi ha tracciato nette le linee di azione del suo mandato a Palazzo Chigi: “Sostenere questo governo significa condividere l’irreversibilità della scelta dell’euro, significa condividere la prospettiva di un’Unione Europea sempre più integrata che approderà a un bilancio pubblico comune capace di sostenere i Paesi nei periodi di recessione. Gli Stati nazionali rimangono il riferimento dei nostri cittadini, ma nelle aree definite dalla loro debolezza cedono sovranità nazionale per acquistare sovranità condivisa. Anzi, nell’appartenenza convinta al destino dell’Europa siamo ancora più italiani, ancora più vicini ai nostri territori di origine o residenza. Dobbiamo essere orgogliosi del contributo italiano alla crescita e allo sviluppo dell’Unione europea. Senza l’Italia non c’è l’Europa. Ma, fuori dall’Europa c’è meno Italia. Non c’è sovranità nella solitudine. C’è solo l’inganno di ciò che siamo, nell’oblio di ciò che siamo stati e nella negazione di quello che potremmo essere.”

Messaggio chiaro per gli europeisti “convertiti” dell’ultima ora. La strada di Bruxelles come la strada folgorante di …Damasco?


18 febbraio 2021

TUTTO QUI??? DI ANGELO IVAN LEONE



TUTTO QUI??? DI ANGELO IVAN LEONE

Si racconta che il poeta francese Gide stesse stendendo una voluminosa relazione per i suoi colleghi dell'Accademia, mentre il genio era tutto assorto in questa stesura, una signora, poteva benissimo essere la moglie ma non indaghiamo, lo distolse dall'opera, osservando "Ma quali cose così importanti devi dire ai tuoi colleghi per scrivere tante cartelle?" L'eccelso poeta rispose con un sorriso "È proprio perché non ho nulla da dire loro che la tiro tanto per le lunghe".

Ecco l'idea che ne ho tratto da questo discorso del neopresidente del Consiglio Draghi mi ha fatto tornare in mente questa immagine. Tutto qui? Sembrerebbe proprio di sì. Dire che siamo atlantisti ed europeisti come cosa più importante mi sembra una banalità, talmente ovvia da sfidare il ridicolo. Si doveva parlare di nuove varianti, di cosa chiudere e cosa no. È tempo di guerra e non di pace. Sia ben chiaro che nessuno si augura il fallimento di Mario Draghi perché dopo di lui, come dopo Ciampi, almeno stando a quello che disse Gianni Agnelli, c'è solo un generale o un prete. Infine è giusto e sacrosanto che ci siano le opposizioni a questo governo, perché un governo senza opposizione è solo una dittatura mascherata.

Ci auguriamo il meglio, ma criticare cosa non va bene è la base della democrazia. 

17 febbraio 2021

GLI UOMINI, LA TERRA E GLI ANTICHI DEI ANG MONTORIO di Maria Marchese

 


GLI UOMINI, LA TERRA E GLI ANTICHI DEI ANG MONTORIO di Maria Marchese

 “C’è qualcosa di nuovo oggi, nel sole, anzi di antico” (Giovanni Pascoli) “Gli uomini, la terra e gli antichi dei” nasce da una foto inviata all’artista melzese: un’immagine che mi ritrae con un dito sollevato verso il cielo. Illuminata da una luce odierna, ha origine, così, questa ennesima dissertazione figurata di Angelo Augusto Montorio. Il microcosmo universale, realizzato a pennello dall'alacre pittore, conserva i momenti di una lunga riflessione, seppur nata da un pensiero fulmineo, scandita dai tempi di asciugatura del pigmento oleoso. L’autore esprime il senso di una landa primieva, abbracciata da un cielo diurno e altresì notturno: essa custodisce l’avvicendarsi delle colonizzazioni compiute dall’uomo, nel corso dei secoli. Il viola la contraddistingue e involve impulso passionale e meditativa ragione, lenezza e calma, che si sposano con le trame ricamate, odorose dell’arte degli antichi tessitori; esse serbano altresì il processo di formazione di queste catene montuose, assurte grazie alle forze marine e ai movimenti tellurici. Il colore nero si scioglie, su questa terra antica, come lacrimoso pianto, che testimonia il sangue versato nei corso dei secoli. La vita sorge, però, rigogliosa e attuale, sulle violacee sommità, nella significanza di un vasto a spontaneo luco: ecco che Angelo Augusto Montorio sottolinea, come è solito fare nelle sue opere, la necessità di questo legame, personale e assoluto, con un percorso evolutivo atemporale. Il turchino orizzonte rivela il significato dell’ulissismo, traslato nel procedere delle nuvole; esse scorrono sulla percorrenza della trasformazione e dell’evoluzione. Tra l’azzurro, l’artista eleva una torre… l’ultima roccaforte umana. Questa nutre una luce che sposa e illumina la sfera superna, in cui dimorano gli dei, nonché il nome di questi ultimi: il Primo, la Madre e la Progenie. Dal fondo della Nuova Creazione, l’esteta esprime due mani, in cui indova il legame di appartenenza al genere umano maschile e femminile e altresì le rende depositarie di una ricerca che si rivela, rispettivamente, tra la sfera soprasensibile e quella che simboleggia la scienza, la filosofia e le arti. Accompagnate dalla luna e dal credo, le palme si ricongiungono, attraverso il fascio luminoso, alla condizione in cui regnano le divinità e tracciano, nel contempo, un’ipotetica rotta per approdare, con questa veste esperienziale, nell’ineffabile concretezza dell’oggi. L’autore chiude così, in maniera sublime, questo viaggio, in cui l’osservatore viene coinvolto in maniera diretta ; grazie alla peculiarità cromatica e alla sceltezza dei tratti e delle immagini, Angelo Augusto Montorio riesce, infatti, a conferire veridicità ad un inafferrabile pensiero, che si risolve nella realtà del quesito e della ricerca.

16 febbraio 2021

Appunti brevi su Cremona n.1 di Gian Carlo Storti Percorso 4 La Città Spagnola e Settecentesca

 


Appunti brevi su Cremona n.1 di Gian Carlo Storti

Percorso 4 La Città Spagnola e Settecentesca

Dopo l’aurea stagione rinascimentale, Cremona ripiega gradualmente su se stessa ed a testimonianza di ciò più rari si fanno, in epoca barocca, i nuovi interventi architettonici anche se proprio al 1602 data l’apertura del grandioso cantiere della chiesa dei Santi Marcellino e Pietro che, con l’annesso collegio (ancor oggi utilizzato come scuola pubblica), divenne sede dei potenti Gesuiti. Al 1629 risale il completamento della facciata della barocca chiesa di San Vincenzo in via Palestro mentre l’unica chiesa parrocchiale della città realizzata in pieno Settecento è la chiesa di Sant' Ilario la cui edificazione, voluta dagli Eremitani Scalzi di S. Agostino al posto di una chiesa preesistente, data tra il 1714 e il 1766; ad una facciata incompleta, ma impostata secondo i canoni dello stile barocchetto, corrisponde un interno dinamico con stucchi e decorazioni ed una ricca quadreria che ben esemplifica la pittura cremonese tra ‘600 e ‘700. A metà Settecento l’antica chiesa di Sant’ Omobono, nella quale il Santo Patrono era morto il 13 novembre 1197, venne scenograficamente affrescata da G. A. Borroni e G. B. Zaist. Tra gli edifici civili, il gusto ormai decisamente avviato verso il pieno barocchetto sigla la bella facciata del palazzo Stanga-Rossi di San Secondo di corso Garibaldi ed in via dei Tribunali la lunga facciata di palazzo Silva-Persichelli (oggi sede del Tribunale), mostra le novità stilistiche proprie del suo autore, l’architetto F. Rodi che lo eseguì nel 1784. All’imperante stile neoclassico rimanda, invece, il Teatro "A. Ponchielli", posto su corso Vittorio Emanuele e ricostruito dopo un rovinoso incendio da L. Canonica nel 1806. Al 1828 data, infine, palazzo Mina-Bolzesi in via Platina, unico nel suo genere a Cremona in stile impero, attribuito all’architetto milanese Carlo Sada o al ticinese Simone Cantoni.

Io, l’Amante: il corto prodotto da Rupe Mutevole e tratto dal libro di Roberta Savelli, finalista all’I Am Film Festival 2021 a cura di Alessia Mocci

 


Io, l’Amante: il corto prodotto da Rupe Mutevole e tratto dal libro di Roberta Savelli, finalista all’I Am Film Festival 2021



C’erano i lunghi pomeriggi in compagnia di Messer Leonardo, che aprivano orizzonti nuovi alla mia mente: «Movesi l’amante per la cosa amata come il suggietto con la forma, come il senso col sensibile, e con seco s’uniscie e fassi una cosa medesima... Quando l’amante è giunto all’amato, là si riposa». Come erano vere queste parole, maestro!– tratto da “Io, l’Amante”

Io, l’Amante – Pensieri segreti della puta che amò un principe, posò per un genio. E divenne immortale” di Roberta Savelli è stato pubblicato nel 2018 dalla casa editrice Rupe Mutevole Edizioni nella collana editoriale Le relazioni.

Sin da subito, per la sua originalità, ha avuto importanti riconoscimenti quali unico libro di narrativa incluso nell’ambito delle celebrazioni del 500° anniversario della morte di Leonardo da Vinci.

Il cortometraggio – ispirato al libro – diretto da Mauro Salvi con le musiche originali di Mark Drusco, e prodotto dalla stessa casa editrice Rupe Mutevole, ha avuto il riconoscimento ufficiale di finalista nella categoria Best Showreel Scene/ Actress al prestigioso I Am Film Festival 2021 di Londra, con i nominativi di Mauro Salvi ed Eva Immediato.

Il 17 ed il 18 marzo 2021 si volgerà l’evento finale del festival londinese durante il quale saranno premiati ufficialmente lungometraggi e cortometraggi selezionati ufficialmente. Tutte le opere finaliste saranno proiettate.

Il cortometraggio “Io, l’Amante”, già finalista al prestigioso Lamezia International Film Festival 2020, vede come protagonista l’attrice Eva Immediato (Cecilia Gallerani) e con Ugo Nasi (Ludovico il Moro), Mario Lucarelli (Leonardo da Vinci) e Veronica Sarperi (Dorina).

In un’intervista, l’autrice racconta di Cecilia Gallerani (Milano, 1473 – San Giovanni in Croce, 1533) la protagonista del suo libro “Io, l’Amante”:

L’opera di Leonardo, la “Dama con l’ermellino”, mi ha sempre affascinato non solo per la sua perfezione assoluta, ma per l’aura di mistero che circonda – a mio parere – questa soave figura di donna. Mi sono chiesta quanti, guardando lo splendido dipinto, si siano domandati chi fosse realmente la giovane ritratta, quali fossero i suoi pensieri, le sue passioni, le sue gioie e dolori.

Posso dire (ed è una mia personalissima opinione) che Cecilia sia in grado di suscitare maggiori interrogativi, ad esempio, della placida bellezza di Monna Lisa. Quella del celeberrimo ritratto del Louvre è una bellezza compiuta, pacificata, quella di Cecilia, la puta (fanciulla) è ancora in fieri (ricordo che all’epoca aveva poco più di sedici anni) e la posa stessa è particolarissima: verso chi si volge Cecilia?

A quale richiamo sembra voler rispondere? Perché trattiene con la bellissima mano l’ermellino, la cui zampetta si impiglia nella manica della gamurra? Da questa curiosità nasce in definitiva il mio libro.


Mauro Salvi nasce a Chiavari (Ge) nel 1953. È regista di film, sceneggiatore e scrittore. Con lo pseudonimo di Mark Drusco è compositore di musiche per film dal 1995 e fondatore nel 2010 della corrente musicale “Harmony Haiku”.

Esordisce come regista nel 2000, col film “The Doors of the Unknown”. Dal 2002 al 2004 dirige i film “The Way of Beauty”, “Downight”, “Women in Magic”. Nel 2019 e 2020 dirige i cortometraggi “Io, l’Amante” e “Il Viaggio di un’Anima”.

Eva Immediato è un’attrice lucana, si forma attraverso vari corsi e laboratori teatrali a Roma, dove si laurea anche in Storia e critica del Cinema presso La Sapienza. Lavora con diverse compagnie teatrali in Italia e all’estero (Australia, Argentina, Uruguay, Brasile, Svizzera) dal 1998, affiancando e imparando da grandi attori e registi. Alcuni nomi: Ulderico Pesce, Carlo Giuffrè, Carmelo Bene, Bruce Myer, Carlo Quartucci.

In ambito cinematografico, partecipa a diversi film con attori e registi di fama internazionali ed è protagonista femminile del docufilm Rai “Vito ballava con le streghe”; prende parte alla fortunata serie tv “Imma Tataranni”. Dirige vari corsi di Teatro presso Associazioni e scuole (teatro- danza, teatro- benessere, alternanza scuola- lavoro). Presenta e coordina eventi musicali, teatrali e culturali.

Roberta Savelli è nata a Volterra (PI), città a cui è legatissima, anche se attualmente risiede in Abruzzo. Laureata a Firenze in Lettere e Storia dell’Arte, ha ottenuto importanti riconoscimenti nazionali ed internazionali in campo letterario, tra cui prestigioso il 1° Premio assoluto nel concorso “Voci” Roma 2018.

Ha pubblicato varie raccolte di liriche tra cui “L’Anima allo specchio” (1983 Zappacosta, Chieti), “L’Ombra della Sera” (1986, Seledizioni, Bologna), “Alla ricerca di Atlantide” (1996, Agostino Pensa Editore, Terni), “Il respiro degli dèi” (2009, Agostino Pensa Editore Terni). Due sono i libri di narrativa dati alle stampe: “Il matto – Storia della bambina che non sapeva volare” (2017, Agostino Pensa Editore, Terni), “Io, l’amante – Pensieri segreti della puta che amò un principe, posò per un genio. E divenne immortale” (2018, Rupe Mutevole Edizioni).

Rupe Mutevole Edizioni, fondata nel 2004 dall’editrice Cristina Del Torchio, scelse un villaggio sui monti dell’Appennino ligure-emiliano come sede e luogo dell’attività editoriale. Fu una scelta controcorrente e innovativa, caratterizzata dalla necessità di sbarazzarsi dell’abusato luogo comune che impone la città come unico centro produttivo di una casa editrice. Il motto è di cercare nuovi ritmi, nuove propulsioni, nuovi entusiasmi e Rupe Mutevole li trova fra gli spazi aperti, fra i boschi di castagni, sulle rupi e montagne che circondano il villaggio.


Info

Sito I Am Film Festival

https://www.iamfilmawards.net/

Acquista il libro “Io, l’Amante”

https://www.reteimprese.it/pro_A40124B368553

Leggi l’intervista a Roberta Savelli

https://oubliettemagazine.com/2020/03/06/intervista-di-alessia-mocci-a-roberta-savelli-vi-presentiamo-io-lamante/


Fonte

https://oubliettemagazine.com/2021/01/26/io-lamante-il-corto-prodotto-da-rupe-mutevole-e-tratto-dal-libro-di-roberta-savelli-finalista-alli-am-film-festival-2021/

15 febbraio 2021

Daniel Pennac – Il paradiso degli orchi - a cura di Marcello Sgarbi

 


Daniel Pennac –
Il paradiso degli orchi - (Edizioni Feltrinelli)


Collana: Universale economica

Pagine: 208

Formato: Tascabile

EAN: 9788807812101


La sgangherata, imprevedibile e numerosa famiglia di Benjamin Malaussène è la protagonista della straordinaria tetralogia di uno dei più interessanti autori francesi contemporanei. Questa recensione riguarda il primo volume della saga, proseguita poi con La fata carabina, La prosivendola e Signor Malaussène                                                                                                       Di professione capro espiatorio in un grande magazzino, quando non è pagato per subire le lamentele dei clienti (sì, sembra incredibile ma è veramente la sua occupazione) Benjamin vive nel quartiere parigino di Belleville con fratellastri e sorellastre, figli come lui di una madre un po’ “allegra” (mater semper certa, pater nunquam): il Piccolo, Jérémy, Clara, Thérèse e Louna. E tra le stramberie, in mezzo a loro non può mancare un altro personaggio da fumetto: Julius, cane epilettico. Di colpo, nel vero senso della parola, la famiglia Malaussène si trova coinvolta in un giallo anomalo.                                                                                                                Sì, perché a scatenarlo è lo scoppio di una bomba nel grande magazzino.     Da lì in poi sarà un turbinare di vicende dal retroscena atroce, ma raccontate con un’ironia e a tratti con uno humour nero capaci di stemperare anche i momenti più drammatici.                                                Maestro nell’uso della metafora, colto e nello stesso tempo lieve, per niente compiaciuto, l’autore semina perle di saggezza senza prendersi mai sul serio. E a volte – un po’ come succede nei film di Woody Allen – viene la tentazione di bloccare la lettura per tornare alla pagina precedente e gustare di nuovo una battuta o una citazione, sempre esatte e misurate. Chapeau!


La voce femminile si diffonde dall’altoparlante, leggera e piena di promesse

come un velo da sposa.

Ispettore praticante Caregga. Uno sfollagente promosso penna a sfera.

Scale mobili immobili: è più che immobilità. Banconi straripanti di merce

senza alcun commesso dietro: è più che abbandono. Registratori di cassa

che non fanno sentire il tintinnio dei campanelli: è più che silenzio.

Quel che mi vien da dire è semplice come la disperazione.

Le notizie corrono come gli odori.


© Marcello Sgarbi

11 febbraio 2021

L'UOMO VESTITO DI NERO di Stephen King a cura di Miriam Ballerini


L'UOMO VESTITO DI NERO di Stephen King

“Non mi interessa essere creduto, ma liberarmi”.


© 2020 Mondadori

ISBN 978-88-200-7033-5

Pag. 123 € 15,90


Per questo libro, King non si è sprecato molto, lo devo ammettere. Ha infatti ripreso un suo racconto uscito nella raccolta “Tutto è fatidico”. Un racconto che, lo stesso King ammette, non ha tutte le potenzialità della sua penna a cui ci ha abituati. Eppure, questo pezzo ha vinto ben due premi prestigiosi: il World Fantasy Award e il O. Henry Award.                                                                                                                Sembrerebbe nascere da una storia vera, cioè da un racconto di un suo amico. Il nonno, infatti, all'inizio del XX secolo, si era detto convinto di aver incontrato il diavolo in persona!                Di questo parla, appunto, questo racconto. Di un ragazzino che va a pescare nel bosco, da solo, e fa questo sinistro incontro. Se non fosse riuscito a scappare in tempo, ne è certo, il diavolo lo avrebbe mangiato!                                                                                                                                Tornato a casa ne parla al padre e questo, come ogni genitore che si rispetti, non gli crede. Insieme tornano sul luogo del misfatto e, qui, troverà tracce inconfutabili di quanto accaduto.                                                                                                                                            Interessanti e abbastanza inquietanti le illustrazioni che accompagnano il racconto, dipinte da Ana Juan, pittrice spagnola.                                                                                                               Oltre al racconto di King, troviamo “Il giovane signor Brown”, un brano di Nathaniel Hawthorne. King vi si è ispirato per scrivere il proprio racconto, e per rendergli omaggio. Una specie di baratto fra scrittori di epoche diverse!                                                                                                     Il libro, in sé, contiene delle piccole perle e, questa volta, con rammarico ammetto che King è il meno brillante fra tutti.

Vediamo a confronto due pezzi, prima uno di King, poi quello di Hawthorne.

Sopra di me, al limitare degli alberi, c'era un uomo. Aveva un volto affilato e molto pallido. I capelli neri erano appiattiti e divisi con rigorosa precisione da una scriminatura sul lato sinistro della testa. Era molto alto. Indossava un completo nero con il panciotto, e capii subito che non era un essere umano, perché aveva gli occhi dello stesso colore delle fiamme in una stufa a legna, rosso screziato di arancione”.

In verità, per tutta la foresta incantata, sarebbe stato impossibile scorgere qualcosa più terrificante del volto di Brown. Volava tra i neri pini e brandiva il suo bastone, gesticolando come un pazzo, e ora vomitava una serqua d'orrende bestemmie, ora emetteva tali risate, che tutti gli echi del bosco gli sghignazzavano intorno come demoni. Il maligno, nel suo genuino aspetto, è meno ripugnante di quando infuria nel petto di un uomo”.


© Miriam Ballerini


fonte: "L’uomo vestito di nero" di Stephen King: non mi interessa essere creduto, ma liberarmi - OUBLIETTE MAGAZINE 

10 febbraio 2021

AI LETTORI

 


Cari lettori,

il blog non mi segnalava più l'arrivo dei commenti, sono riuscita solo ora a pubblicare i vostri numerosi pensieri. Chiedo scusa in prima persona per questo disguido.                                           Da adesso il blog è di nuovo efficiente e spero non sia venuto meno l'entusiasmo a voler commentare o anche a lasciare un semplice saluto a tutti noi. Ogni giorno siete in tantissimi che passate e leggete e questo non può che far piacere a me e ai miei preziosi collaboratori.

Vi chiedo solamente una cortesia: per favore, firmatevi! Il vostro pensiero diventa più ricco se seguito da un nome, piuttosto che da un signor nessuno.

Vi ringrazio e spero abbiate a seguirci anche in futuro con lo stesso affetto e attenzione.


Insubria critica - Miriam Ballerini

09 febbraio 2021

LO SPETTACOLO STOMACHEVOLE a cura di Angelo Ivan Leone


LO SPETTACOLO STOMACHEVOLE a cura di Angelo Ivan Leone


 Lo spettacolo stomachevole di conversioni e processioni dinanzi al "nuovo che avanza?" fa pensare a tantissimi al fatto che è, sostanzialmente, il vecchio che ritenta. Come in quei passi immortali del Gattopardo del "tutto cambi affinché non cambi nulla" o nell'oscuro rimbombare della logica sempiterna dei Viceré di De Roberto "Ora che l'Italia è fatta, ci dobbiamo fare gli affari nostri" e, infine, al Nerone di Petrolini e al suo arringare "l'ignobile plebaglia". Eppure possiamo ancora credere che tutto questo non rappresenti che le conseguenze ultime e, in definitiva, secondarie di fronte al momento che stiamo vivendo.

"Come nel '45" ha osato dire qualcuno dei neoconvertiti... Effettivamente se si fosse accorto che questa non era altro che una guerra il governo di unità nazionale lo avremmo avuto sin da subito. Si chiama unione sacra. La fanno tutti i Paesi seri quando sono, appunto, seri e non un bivacco di apolidi. Tuttavia ci auguriamo che il Paese sappia trovare, come la sua storia ha sempre dimostrato, lo spirito per vincere e stupire il mondo. E come paragone storico io non ci metterei il '45, ma il '78 quando riuscimmo a vincere la guerra contro il terrorismo e a capo dello stato avevamo l'uomo che tutta l'Italia ha amato: Pertini, Sandro.

08 febbraio 2021

Italo Calvino – Marcovaldo - a cura di Marcello Sgarbi


Italo Calvino –
Marcovaldo - (Edizioni Mondadori)


Collana: Moderni

Pagine: 208

Formato: Brossura

ISBN: 9788804667995


L’autore non ha bisogno di presentazioni: grande classico del Novecento, in questi quadretti di vita scanditi capitolo per capitolo dallo scorrere delle stagioni, unisce due componenti caratteristiche del suo stile: da una parte la fervida capacità inventiva, dall’altra la ricerca - un po’ come Flaubert – della parola giusta, secondo la sua stessa idea di narrazione: È soltanto su una certa solidità prosaica che può nascere una creatività: la fantasia è come la marmellata, bisogna che sia spalmata su una solida fetta di pane. Se no, rimane come una cosa informe, come una marmellata, su cui non si può costruire niente”.                                                                 È su questa linea stilistica che vengono narrate le vicende di Marcovaldo - manovale non specializzato - e della sua famiglia. Numerosa e nello stesso tempo singolare, quasi da fumetto, a partire dai nomi dei componenti: la moglie Domitilla e i figli Michelino, Paolino, Filippetto e Isolina.                                                                                                                                                 Semplice e umile fino al punto da apparire ingenuo, Marcovaldo vive in città nel periodo del dopoguerra. Nella metropoli si affacciano i “favolosi anni sessanta” con il loro sentore di boom economico, di corsa ai consumi e di perbenismo un po’ ipocrita, come si può cogliere soprattutto negli ultimi capitoli del romanzo.                                                                     Marcovaldo, però, sogna la campagna e la vita all’aria aperta. Fra ideali e realtà, insieme ai famigliari si risolve quindi a vivere da cittadino come se fosse in un contesto agreste, con effetti comici a volte al limite del surreale.

Nella notte calda quei rumori perdevano ogni spicco, si sfacevano come attutiti dall’afa che ingombrava il vuoto delle vie, e pure sembravano volersi imporre, sancire il proprio dominio su quel regno disabitato.                                                                                                                             In ogni presenza umana Marcovaldo riconosceva tristemente un fratello, come lui inchiodato anche in tempo di ferie a quel forno di cemento cotto e polveroso, dai debiti, dal peso della famiglia, dal salario scarso.

Insomma, se il tuo carrello è vuoto e gli altri pieni, si può reggere fino a un certo punto: poi ti prende un’invidia, un crepacuore, e non resisti più.

Non c’è epoca dell’anno più gentile e buona, per il mondo dell’industria e del commercio, che il Natale e le settimane precedenti.

Sale dalle vie il tremulo suono delle zampogne; e le società anonime, fino a ieri freddamente intente a calcolare fatturato e dividendi, aprono il cuore agli affetti e al sorriso.

L’unico pensiero dei consigli d’amministrazione adesso è quello di dare gioia al prossimo, mandando doni accompagnati da messaggi d’augurio sia a ditte consorelle che a privati; ogni ditta si sente in dovere di comprare un grande stock di prodotti da una seconda ditta per fare i suoi regali alle altre ditte; le quali ditte a loro volta comprano da una ditta altri stock di regali per le altre; le finestre aziendali restano illuminate fino a tardi, specialmente quelle del magazzino, dove il personale continua le ore straordinarie a imballare pacchi e casse; al di là dei vetri appannati, sui marciapiedi ricoperti da una crosta di gelo s’inoltrano gli zampognari, discesi da buie misteriose montagne, sostano ai crocicchi del centro, un po’ abbagliati dalle troppe luci, dalle vetrine troppo adorne, e a capo chino danno fiato ai loro strumenti; a quel suono tra gli uomini d’affari le grevi contese d’interessi si placano e lasciano il posto ad una nuova gara: a chi presenta nel modo più grazioso il dono più cospicuo e originale.

Tutti erano presi dall’atmosfera alacre e cordiale che si espandeva per la città festosa e produttiva; nulla è più bello che sentire scorrere intorno il flusso dei beni materiali e insieme del bene che ognuno vuole agli altri; e questo, questo soprattutto come ci ricorda il suono, firulì firulì, delle zampogne -, è ciò che conta.

© Marcello Sgarbi


 

ADDIO AL PATTO DI STABILITA’ STUPIDO di Antonio Laurenzano

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