22 dicembre 2011

Aglianico, il vino vicerè

AGLIANICO, IL VINO VICERE’
di Antonio V. Gelormini


Terra di vento, di sole e di risacca marina. Terra nient’affatto silenziosa, quella di Puglia, le cui colline sono palcoscenico a cielo aperto di un unico, incessante e ammaliante frinire. Cicale, durante i giorni afosi d’estate, e grilli nelle notti calme e piene di stelle, quando tra filari e i solchi crustacei la vigna matura. Terra d’imperatori, di contadini e d’infedeli, segnata da ambizioni, da tradimenti e dedizioni. E mai “terra di re”, perché terra abituata a condividere, a contaminarsi ed a guardare negli occhi i suoi “signori”, tenendo ben alta la testa, per meglio scrutare il proprio orizzonte.
Terra amara e dolce, temprata da un sole inclemente e attraversata dal soffio notturno di antiche brezze orientali. Terra nobile dentro, che l’approdo leggendario e valoroso di un “Ellenico” rese feconda e ventre accogliente di fruttuosi “virgulti”. I suoi ambasciatori più autoctoni: Primitivo, Negramaro e Nero di Troia,  per secoli hanno dato lustro a blasoni viti-vinicoli più aristocratici, prima di trovare, “in purezza”, autonoma e adeguata dignità identitaria.
Una corte dai riflessi prestigiosi, per far da corona alla discendenza più nobile della famiglia dei “rossi meridiani”: quella del tralcio Aglianico,  che dal Vulture all’Irpinia, dalla Murgia al Salento ha affinato nei secoli l’insigne lignaggio. Per cui, se il Barolo è indiscutibilmente il re dei vini, l’Aglianico può decisamente definirsi il vino “viceré”. Non perché secondo al solenne rosso piemontese, ma in virtù di un titolo tra i più tipici nella storia del Mediterraneo, autenticamente meridionale e dalla spiccata risonanza ispanica.
Una rotta linguistica che, nel percorso dei secoli, si fa sintesi odissea (quindi leggendaria) nella Terra di Enotria, per declamare il vitigno diomedeo Ellenico con l’accento tardo-aragonese, che lo trasforma in Aglianico, per via della doppia “l” pronunciata gli nella fonia usuale spagnola. Per la verità, la ricerca presenta anche un solido riferimento all’arrivo del vitigno dall’antica città di Elea (Eleanico), sulla costa tirrenica della Campania. O ancora, un più complesso e virtuoso intreccio contaminante con le radici di profonda tradizione toscana.
Una storia antica quanto il mondo, la relazione multiculturale tra Puglia e Toscana. Uno scambio intensissimo lungo sentieri oleari, viti-vinicoli ed anche dialettali. Che spingono i salentini a darsi tonalità da “fiorentini del sud”; la struttura organolettica dell’oliva locale conferire nuova verginità agli oli toscani; e a supporre la gemmazione binaria di Aleatico e Aglianico da uno stesso ceppo, magari Ellenico, approdato sulle coste tirreniche: meta etrusca di antiche rotte mediterranee.
La pulizia del colore rosso rubino, l’intensa gamma di riflessi che spazia dalle giovani sfumature violacee a quelle più arancioni dopo l’invecchiamento, l’olfatto ricco e fruttato, l’accentuata pruinosità degli acini profondamente blu, la potenza elegante di un gusto che, al tempo stesso, è morbido e giustamente tannico, sono tutti “punti di contatto” di un’impronta longeva comune e di nobile appartenenza.
Tra le eccellenze pugliesi di questa impegnativa ma gratificante frontiera aglianica, spiccano il Bocca di Lupo – Castel del Monte D.O.C. (100% aglianico) e il Trentangeli – Castel del Monte D.O.C. (aglianico-syrah-cabernet sauvignon) delle Cantine Tormaresca di Minervino Murge; l’Emmaus – Aglianico Puglia IGT (90% aglianico-10% primitivo) degli antichi vigneti della Masseria “Le Fabriche” di Maruggio nella Murgia Tarantina e la proposta biologica dell’Amorosso – Aglianico D.O.C. (100% aglianico) prodotto ad Acerenza (Pz) per le Cantine Diomede di Canosa di Puglia.
Declinazioni di una testimonianza persistente di quel prezioso patrimonio tramandatoci ed affidatoci, per certi aspetti ancora da scoprire, salvaguardare e valorizzare, per trasmetterlo “arricchito”, e non certo immiserito, alle future generazioni. Quelle dei figli dei nostri figli!

19 dicembre 2011

L'ogam del druido di Donato Altomare

Donato Altomare
L'OGAM DEL DRUIDO

Sicilia, inizi ventesimo secolo.
Il duca di Sanseverino, cinquantenne, nobile siciliano, esperto in magia bianca è un Cacciatore. I Cacciatori sono un ridottissimo gruppo di esseri umani che danno la caccia ai dèmoni che corrodono i pilastri sui quali poggia la Sicilia. Una volta corrosi tutti, l’isola sprofonderà nel Mediterraneo, com’è successo a un’altra grande isola…
Sette sono i pilastri, sette le tombe che racchiudono i Rosicchiatori. Ma questi non sono mai soli, protetti da altri dèmoni che bisogna uccidere.
Elena Gherardi, ventenne milanese è una ragazza in gamba e dalle inaspettate risorse. Possiede una raccolta di oggetti magici antichi, strani e misteriosi, eredità del padre Tommaso, che si mostreranno molto utili al duca. Suo malgrado, si trova coinvolta nella caccia ai Rosicchiatori. Da quel momento lei e il Sanseverino non potranno più separarsi.


Donato Altomare
L'OGAM DEL DRUIDO
Primo racconto del ciclo "Dèmoni di Sicilia"
Copertina di Alessandro Salvemini
Edizioni Tabula fati
[ISBN-978-88-7475-228-7]
Pagg. 80 - € 7,00

I sentieri dell'uomo comune di Giuseppe Capograssi

Vincenzo Lattanzi
GIUSEPPE CAPOGRASSI
I sentieri dell’uomo comune
Giuseppe Capograssi si presenta al lettore contemporaneo con i segni inconfondibili del classico: stentorea chiarezza della parola e profondità di analisi messe al servizio di un grandioso affresco sull’uomo e la vita.
A centoventi anni dalla sua nascita, a più di cinquanta anni dalla sua morte dobbiamo ancora fare ricorso alle sue penetranti capacità di diagnosi per capire dove il turbine vorticoso della storia ci stia conducendo.
Questo saggio biografico e critico delinea i percorsi di formazione interiore di una sensibilità tra le più originali del Novecento filosofico, che all’esperienza comune e all’individuo “anonimo” ha dedicato il suo canto più appassionato.


Vincenzo Lattanzi è originario di Sulmona (L’Aquila). Ha collaborato con la cattedra di Filosofia del Diritto della facoltà di Scienze Politiche dell’Università “La Sapienza” e con la Fondazione Nazionale “Giuseppe Capograssi” di Roma. È autore di pubblicazioni nell’ambito della ricerca filosofica con particolare riguardo all’opera di Capograssi, tra le quali: "G. Capograssi: Linee per una filosofia della vita" (Edizioni Amaltea, Corfinio 2001); "Attualità e inattualità di Rosmini", a cura di (Fondazione Nazionale G. Capograssi, Roma 2001); "Capograssi e la musica" (Istituto Accademico di Roma, Acta 2008-2009, Roma 2010). Ha anche curato e tradotto dal tedesco il volume dedicato a A. Merkl, "Dottrine di diritto pubblico nelle encicliche sociali" (Gangemi Editore, Roma 1999). Ha inoltre pubblicato una raccolta di poesie "Voci di sera" (Anaphora Edizioni, Torino 1995). Svolge anche attività musicale. Lavora attualmente con l’Unione europea nel quadro della politica estera e di
sicurezza comune. Risiede a Vienna.



Vincenzo Lattanzi
GIUSEPPE CAPOGRASSI
I sentieri dell’uomo comune
Profilo critico e biografico
Presentazione di Francesco Mercadante
Edizioni Solfanelli
[ISBN-978-88-7497-742-0]
Pagg. 112 - € 9,00

15 dicembre 2011

Settis: la dignità costituzionale del paesaggio


ECOTIUM 2011 – DAUNIA VETUS
SETTIS, LA DIGNITA’ COSTITUZIONALE DEL PAESAGGIO
di Antonio V. Gelormini


Lo spirito che lo anima ha la stessa forza intellettuale dei Padri Costituenti. Forse anche per questo il Presidente della Repubblica, Carlo Azeglio Ciampi, lo volle a capo del Consiglio superiore per i Beni Culturali. Ma è la straordinaria competenza di Salvatore Settis, storico dell’arte, archeologo, direttore del Getty Research Institute di Los Angeles, direttore della Scuola Normale di Pisa, titolare della Càtedra del Prado e presidente del Comitato Scientifico del Louvre, a conferire il sigillo dell’autorevolezza alle sue riflessioni e spesso, da qualche tempo, anche alle sue denunce.
Il suo ultimo libro, edito dalla Einaudi, “Paesaggio, Costituzione, cemento” è diventato una sorta di breviario laico, per chi ha a cuore la tutela del territorio e dei contesti ambientali in genere. Anche perché l’autore si dice particolarmente colpito da quello che definisce “un indizio interessante”: l’attenzione crescente della Chiesa verso il paesaggio, attraverso l’incitamento all’azione nobile della “salvaguardia del creato”.
Ospite del Distretto Culturale Daunia Vetus e della Diocesi di Lucera-Troia, nel quadro degli incontri di ECOTIUM 2011, il professor Settis ha affrontato una vera e propria full immersion nei due centri del Subappennino, potendo ammirare le rispettive Cattedrali e il magnifico Rosone troiano, visitando i musei civici e diocesani e apprezzandone i reperti, lasciandosi rapire dagli Exultet; scoprendo l’Episcopivs Troianvs, la Fortezza Sveva Angioina e l’Anfiteatro Romano a Lucera, ma anche bacchettando e lamentando una generale carenza di pubblicazioni, nonché un comune e approssimato lavoro sia di datazione sia di segnalazione didascalica.
La sua conferenza, nell’affollato e ristrutturato Teatro Comunale di Troia, è stata seguita da un gran numero di giovani provenienti dalla provincia e soprattutto dal bacino universitario del capoluogo foggiano. Infatti, dopo i saluti dell’autorità civica, è stato il prof. Giuliano Volpe, rettore dell’Ateneo di Capitanata ed egli stesso archeologo, a toccare per primo i temi della serata, ponendo l’accento sulla “responsabilità degli intellettuali e sui piani paesaggistici non ancora adottati dal Ministero”. Soffermandosi, tra l’altro, sull’esigenza del comprensorio Dauno “bisognoso di profonda riflessione”, verso il concetto di bene comune, nella sua dimensione drammatica di “area ad enorme consumo di territorio”.
Una lectio facilior “da cittadino a cittadini”, quella del prof. Settis, perché il tema della salvaguardia del paesaggio è al contempo tema religioso, etico, sociale e politico, in particolare nell’abnorme divario che separa gli abitanti del pianeta, “tra il solo 1% distruttore e quel “99% che subisce e non reagisce”. Per cui, “Il paesaggio diventa simbolo della società che lo esprime. Ci rovina e ci fa peggiori, se rovinato; ci migliora se è preservato e curato”.
L’altro aspetto su cui il prof. Settis ha insistito è stata la rivisitazione delle qualità estetiche del paesaggio, per suggerirne una profonda “de-esteticizzazione”. Volta al recupero del carattere etico della tutela ed alla denuncia del pericoloso leitmotiv “padroni a casa propria”: catalizzatore di un processo di degrado civile, per cui “il paesaggio finisce col non essere più di tutti gli italiani”.
E qui la denuncia diventa un rosario di dati agghiaccianti. Tre milioni e seicentomila ettari in meno di suolo agricolo dal 1990 al 2005. Ovvero 161 ettari al giorno di cementificazione. Oltre due milioni di appartamenti invenduti in Italia, con una popolazione con tassi d’invecchiamento che crescono inesorabilmente. E si continua a costruire. Con follia disinvolta, stiamo costruendo 33 vani per ogni nuovo nato. “Il paesaggio lo creiamo noi”, ricorda il prof. Settis, “per questo non può essere racchiuso nel semplice colpo d’occhio o in una veduta. La sua correlazione con la salute di ciascuno necessita di un concetto molto più ampio di paesaggio, che abbia più a che fare col come lo si vive”.
Un’esortazione a prospettiva larga, che si affida al sostegno della poesia di Andrea Zanzotto, per esprimersi adeguatamente: “Il paesaggio è trovarsi davanti a una grande offerta, a un immenso donativo, che corrisponde all’ampiezza d’orizzonte”. Quasi un omaggio alla prossimità del Tavoliere. Per leggere finalmente il paesaggio, esso stesso, come “bene culturale” e, quindi, “bene comune prioritario” sui patrimoni privati. Secondo il principio della publica utilitas, che porta il prof. Settis a: “Identificare il paesaggio con la responsabilità del cittadino. Una responsabilità inter-generazionale a tutela dei diritti delle generazioni future”.
Se non altro, per arrestare la deriva distruttiva delle incentivazioni indiscriminate, nell’incantesimo diffuso e ammaliante delle energie rinnovabili, stigmatizzata dall’amarezza del poeta veneto: “…se durante la guerra c’erano i campi di sterminio, adesso siamo arrivati allo sterminio dei campi”. Al cui proposito il prof. Settis pone a tutti un interrogativo chiaro e inquietante: “Data per scontata la panacea produttiva e conveniente della scelta rinnovabile, perché allora non si investe in maniera altrettanto massiccia in ricerca?”
L’ancora di salvezza, pertanto, torna ad essere il recupero della dignità Costituzionale del paesaggio. Quella fissata dai Padri costituenti nell’art. 9 della Carta, che è sintesi alta di un combinato multiculturale avvincente, già nell’immediato dopoguerra, un periodo non facile per il Paese, nel supremo interesse di tutti e di ciascuno. La normativa di Luigi Rava del 1909, a tutela del patrimonio storico-artistico (istituzione delle soprintendenze); le disposizioni ispirate da Benedetto Croce sulla tutela del paesaggio; le leggi Bottai del 1939 in tema di difesa del Patrimonio e del Paesaggio. Tutte mirabilmente fuse nella “Fucina Costituente”, in una tela dalla bellezza unica, ordita dall’architettura sapiente di menti lucide, come quelle di Aldo Moro e Concetto Marchesi.
L’aggancio alle fondamenta della Carta Costituzionale è il viatico instancabilmente ripetuto dal prof. Salvatore Settis, che individua la chiave di volta di tutto il discorso nel passaggio concettuale da “paesaggio estetico” a “paesaggio etico”. Per una “Natura (Creato) che è comunità di vita e sistema ecologico da conservare”. Accezione, quest’ultima, intesa come maggior numero possibile di cittadini fruitori, per il maggior tempo possibile.


(gelormini@katamail.com)




13 dicembre 2011

La stracciata pazzia di Stefano Bernazzani




“La stracciata pazzia” di Stefano Bernazzani - la letteratura incontra la crisi economica
di Lorenza Mondina

Mai come al giorno d’oggi, quando succede qualcosa di eclatante nel mondo, capita di andare in libreria e trovare immediatamente una serie di libri sull’argomento in questione: succede per morti illustri, succede per alcune tematiche particolarmente care ai media, succede per le guerre.
Ci sono poi argomenti di cui l’opinione pubblica quasi “si annoia”, non parla se non tramite piccoli trafiletti su grandi quotidiani, accanto a battaglie tra penne illustri.
Inoltre si sa, le notizie, anche quando vengono messe sotto il riflettore, invecchiano appena nascono, restano in vita per il tempo di un titolo sul giornale, ma si dimenticano quasi subito, rendendo la conoscenza delle questioni trattate molto rapida e superficiale.
Prendiamo la crisi, non quella delle banche e delle grandi società finanziarie, ma quella che da più di tre anni vivono i lavoratori singoli, i lavoratori che, con uno stipendio di poco più di mille euro al mese, mandano avanti la loro vita. Chi si ricorda più di coloro che hanno perso lavoro in questi ultimi anni? Chi pensa più a chi è stato messo in cassa integrazione? Chi si ricorda più di quelle ditte che non sono sopravvissute indenni alla dilagante situazione disastrata odierna?
Però, entrando in libreria, troviamo libri su Steve Jobs, abbiamo recentemente visto scaffali pieni di copertine con Gheddafi, e sui giornali continuiamo a leggere di Lehman Brothers e di “spread”.
E intanto le famiglie diventano sempre più povere, gli operai stentano sempre di più ad arrivare alla fine del mese, la gente invecchia lavorando.
E chi dà ancora rilevanza a questa situazione?
Oggi posso dire che qualcuno c’è, io l’ho trovato nell’ultimo libro che ho letto: letteratura che è ancora capace di aprire gli occhi e la mente, che ci racconta ancora di valori e di sentimenti.
La stracciata pazzia è un libro che parla di vita “comune”, della quotidianità di un uomo qualsiasi, che deve lavorare per vivere, e lo fa raccontandoci un problema reale e contingente, quale è la crisi oggi, quella dei nostri anni.
Leggendo questo libro si possono trovare i sentimenti che questo caos sociale può suscitare in una persona, finalmente c’è chi guarda verso una direzione che all’opinione pubblica probabilmente non interessa troppo: è partendo da questo assunto, da questa ottica, che ci si svelano le motivazioni delle scelte che le persone arrivano, anche disperatamente, a fare.
In tutta onestà, non posso dire di non aver dato più volte credito alle argomentazioni di Giovanni, uno dei protagonisti, di fronte alle mosse del sindacato, contestandolo anche aspramente. Ma poi subentra sempre la lucidità di chi non c’è direttamente dentro: chi non subisce in modo diretto e tangibile la crisi, può essere razionale, deve esserlo, ha la mente fredda. La mia mente fredda mi ha fatto capire, allo stesso modo, le scelte di Piero, il referente del sindacato, la sua posizione ed i suoi punti di vista.
Ma, al di là della scelta di campo che chi legge può decidere di fare o non fare, sono stata dentro al libro e dentro alla storia, in un modo o nell’altro, ho sentito parlare della crisi, e questo non è da poco: il valore sociale, oltre che culturale e ricreativo, della letteratura si svela così in tutta la sua potenza.
Voglio infine dire che in questo libro troverete tante altre cose importanti (amicizia, amore, lavoro, futuro), ma ciò che lo pone un po’ fuori dai soliti schemi è proprio l’attualità del filo conduttore della storia.  

08 dicembre 2011

Operazione Blueprint di Antonio di Carlo

Antonio Di Carlo
OPERAZIONE BLUEPRINT
Romanzo
Edizioni Solfanelli


Un taccuino nero con codici criptati attraversa la Russia comunista sopravvivendo ai suoi presidenti e al disgelo.
Un uomo, depositario di infiniti segreti e mente di raccapriccianti stragi, continua imperterrito a seminare morte in nome di qualcosa che la Storia sta già disconoscendo.
Omega completa la sua serie di tragiche performance in uno scenario politico profondamente cambiato; non è cambiata, invece, la ruota che fa muovere il mondo e che non conosce confini, ideologie o colore della pelle.
In un romanzo che raccoglie quasi cinquant’anni di storia moderna, intrecci a prima vista paradossali acquisiscono lentamente un contorno nitido e, sebbene nulla possa suffragare l’ipotesi di partenza, non vi è nulla, in realtà, che la possa negare.

Antonio Di Carlo è nato a Parigi nel 1965. Cresciuto in giro per il mondo, risiede da anni in Nord Africa (Libya, Tunisia e Algeria) dove si occupa di infrastrutture nel settore petrolifero.
Grande viaggiatore (anche se odia gli aerei per inconfessabili motivi), scrive per gioco e per passione, adora gli sport meccanici, i Talking Heads, David Bowie e la buona tavola.
Lettore compulsivo, legge di tutto in quattro lingue.


Antonio Di Carlo
OPERAZIONE BLUEPRINT
Edizioni Solfanelli
[ISBN-978-88-7497-740-6]
Pagg. 256 - € 17,00
http://www.edizionisolfanelli.it/operazioneblueprint.htm

07 dicembre 2011

Stella e Corona di Giorgio Galli e Daniele Vittorio Comero

Giorgio Galli
Daniele Vittorio Comero
STELLA E CORONA
Sogni, utopie e brogli elettorali nella democrazia elettorale italiana (1946 - 2011)

La storia di questi ultimi anni dimostra che, rispetto alle nobili intenzioni dei Costituenti, poste a fondamento della ritrovata democrazia, il sistema politico sta lentamente degenerando verso una deriva oligarchica, con la sostituzione di un’elite con un’altra, dal partito unico, all’unica congrega.
Gli elettori sentono questo sistema come una campana rotta, per questo si allontanano sempre più dalle urne. Altro che “fatica del voto”, la fatica è quella di sopportare l’evidente esproprio di sovranità popolare attuato con il Porcellum, senza che tale sacrificio abbia portato alcun beneficio. Con la scusa della “governabilità” tutta l’attenzione è dedicata alla messa a punto di nuovi meccanismi di trasformazione di voti in seggi, mirati unicamente alla conservazione del potere.
Contro tale nefasta impostazione gli Autori hanno messo a punto delle linee guida, nella scia tracciata da Gianfranco Miglio, per ritornare sulla retta via della “democrazia rappresentativa” e riportare la sovranità al popolo, con una proposta innovativa di sistemi elettorali per il Parlamento e il Governo.

Giorgio Galli, già docente di Storia delle dottrine politiche presso l’Università degli Studi di Milano, è uno dei maggiori politologi italiani. La sua produzione di storico è orientata prevalentemente alla storia contemporanea italiana, in particolare al Secondo Dopoguerra. Oltre a un’intensa attività di commento giornalistico svolta in varie sedi e in particolare attraverso il settimanale “Panorama”, Giorgio Galli ha intrapreso ricerche più complesse e originali sull’intreccio fra vicende e dottrine storico-politiche e una serie di tradizioni e culture che il moderno ha più o meno relegato nel grande contenitore dell’irrazionale o del pre-razionale.

Daniele Vittorio Comero, esperto elettorale, è da molti anni membro del Comitato scientifico della Società Italiana di Studi Elettorali - SISE. Laureato in Scienze Politiche all’Università Statale di Milano, diplomato in Statistica all’Università Cattolica di Milano, lavora presso l’Osservatorio Elettorale a Milano, si occupa anche di statistica socio-demografica. Giornalista pubblicista, direttore del periodico “Civica”, ha collaborato con i periodici: “Notizia Oggi”, “Italia Magazine” e “Tradizione”. Membro delle missioni internazionali in Russia in occasione delle elezioni presidenziali (1991 e 1996). Relatore in numerosi convegni, in ultimo al Consiglio regionale del Piemonte sui sistemi elettorali per il Parlamento (2011).



Giorgio Galli
Daniele Vittorio Comero
STELLA E CORONA
Sogni, utopie e brogli elettorali nella democrazia elettorale italiana (1946 - 2011)
Edizioni Solfanelli
[ISBN-978-88-7497-746-8]
Pagg. 264 - € 18,00
http://www.edizionisolfanelli.it/stellaecorona.htm

05 dicembre 2011

Paratissima – Edizione 2011 terza parte

Paratissima – Edizione 2011
Artisti e no - Parte terza
di Marco Salvario

Probabilmente non l’ho scritto nelle due parti precedenti o, se l’ho scritto, le mie parole sono scivolate via troppo veloci e qualcuno mi ha equivocato: Paratissima non è solo pittura, scultura, fotografia e dinamiche variazioni sul tema. Paratissima è, soprattutto le notti, musica, danza, teatro e moda: questa mia presentazione di artisti è quindi parziale, non solo in riferimento alle locazioni da me visitate, ma anche riguardo ai generi cui mi sono orientato.
Chiarito questo, continuo l’analisi degli artisti presenti a Paratissima, Edizione 2011, e rimandando nuovamente, per eventuali chiarimenti, all’introduzione della Parte prima.
Opere e autori citati (in ordine assolutamente casuale):




Baba del Latte
http://www.babadellatte.blogspot.com

Al ParaNizza di via Nizza 19, in una postazione al primo piano a mio giudizio abbastanza infelice come logistica, esponeva un artista che, invece, avrebbe meritato una migliore sistemazione. Già i materiali di cui Patrizio Cavallar, in arte Baba del Latte, si serve per realizzare le sue sculture, dimostrano il suo approccio originale e personalissimo: carta, colla industriale, barattoli, tibie di cinghiale (!), paraffina, biglietti da 5 euro; malgrado tale inusuale diversità, il risultato è omogeneo, convincente, degno di confrontarsi con pari dignità con le realizzazioni di artisti che usano materiali più classici.
A Paratissima il nostro, che è pittore, scultore, incisore e fotografo, ha presentato raffigurazioni di mani che si cercavano, braccia crocifisse, pugni che reggevano scheletri di ombrelli: rappresentazioni tese, realistiche, cariche di lotta, di sofferenza e, al tempo stesso, di speranza. Quasi magicamente il pensiero, l’emozione, l’entusiasmo dell’autore si concretizzano e diventano (fragile?) opera d’arte.
Se ci fosse una medaglia da dare a chi ha più adeguatamente ricevuto e sviluppato lo spirito di Paratissima - la creatività pura, la libertà di espressione del proprio intelletto, l’irrequietezza fuori dagli schemi, la capacità espressiva – il ventitreenne Baba del Latte sarebbe tra i candidati che è obbligatorio prendere in considerazione.




Guido Adaglio
http://guidoadaglio.foliohd.com

I corpi carnali e sensuali nella loro plastica tensione che popolano le tele di Guido Adaglio, erano esposte nella particolare locazione del cinema a luci rosse Metropol in via Principe Tommaso. Entrando, lo ammetto, ho avuto una sensazione d’imbarazzo accentuata dall’odore denso di sudorazione ed eccitazione che vi si respirava, dalla vicinanza promiscua delle opere alle locandine dei film e da un piccolo incidente accaduto mentre fotografavo: stavo mettendo a fuoco con la mia macchina fotografica una delle tele (non le locandine, lo giuro!), quando nel cinema è entrato un cliente furtivo e veloce che, appena si è visto inquadrato, ha fatto dietrofront e si è eclissato in un attimo. Oops! Voglio rassicurarlo: non è rimasto immortalato; però ho fatto perdere un ingresso al locale ..
Di Adaglio volevo presentare l’opera “Perso fu il mio senno, per l'eroina”, lavoro che rivela una notevole capacità scenica, ma le mie foto sono state modificate in modo irrecuperabile dai riflessi delle insegne luminose di un bar dirimpetto, che si rispecchiavano fastidiose sulla vetrina del cinema stesso, così ho ripiegato su “Mi perdo dentro fuggendo l'ignoto”, lavoro valido, ma più studio, ricerca e non completamente maturo (la data è il 2002). Tale tela dimostra comunque la capacità dell’autore di cogliere nel corpo umano le linee di tensione e di delinearne la figura, in un abile gioco che riesce a coniugare insieme semplificazione e dettaglio, in un contrasto estremo tra luce solare, che è conoscenza, e tenebre, che non sono dannazione ma ignoto. Il titolo ci guida a vedere nella nuda figura maschile un nuovo Ulisse, che volta sdegnoso le spalle al mondo già esplorato, per cercare di penetrare il muro nero del mistero, limite la cui pesantezza viene resa fisicamente da uno strato di colore nero spesso, al punto da coagularsi in ruvidi gonfiori sulla tela.




Cristina Adinolfi - Axt
cri.adi@libero.it

Nelle bianche pareti si aprivano, geometricamente allineate, decine di aperture circolari, come piccoli oblo nelle cuccette di una nave o come tazzine sul cui fondo leggere il futuro. Attraverso quelle piccole feritoie aperte su mondi familiari e mutevoli, ritroviamo lo stesso simbolo che si ripete uguale e sempre diverso, rassicurante e ossessivo.
Cuori cuori cuori e cuori.
Anzi, precisa Cristina Adinolfi, in arte Axt: un cuore unico, un “cuore” archetipo di tutti i cuori del mondo. O forse due cuori, in comunione: “mon coeur – ton coeur”.
Una sequenza d’immagini dove il cuore è riconoscibile in tagli di carne, frutti, foglie, macchie, ombre, pietre, e riportanti un assillo d’amore tenero e convinto, che riesce a non essere né ingenuo né eccessivo. Un messaggio semplice e curato in ogni piccolo squarcio, magia al tempo stesso di costruzione e naturalezza.
Non sono in grado di immaginare dove questa artista possa e voglia andare, come riuscirà a stupirci (se ci riuscirà) in futuro: sono però convinto che una citazione nella mia carrellata di artista Axt la meritasse e mi aspetto di sentire parlare di lei.



Alberto Franzin - Branza
Branza1@hotmail.com

Mi aspetto di sentire parlare in futuro anche di Alberto Franzin, nome d’arte Branza (come il formaggio), giovane entusiasta e interessante nel suo modo di affrontare la tela, che esponeva nella suggestiva Officina dei ceni, laboratorio di restauro del legno e non solo, in Via Berthollet 16. Paratissima è un’importante occasione per i residenti di San Salvario di scoprire interessanti locali tipici e originali a chilometro zero.
Di Branza mi è piaciuto istintivamente l’approccio al foglio, la gestione precisa e leggera, la chiarezza del tratto o della pennellata, il senso del limite che blocca la mano al momento giusto.  Quante volte l’artista per insoddisfazione, ripensamenti, irrequietezza, porta la sua mano ad aggiungere particolari inutili, pesanti, confusi e confondenti. Il nostro, invece, è in pace con se stesso e sa fermarsi quando il suo pensiero è stato trasferito su carta o su tela.
Forse all’autore, che sembra alla ricerca del proprio io nell’inseguire e sperimentare tecniche diverse, servirebbe scegliere e focalizzarsi maggiormente; e dovrebbe ricordarsi di mettere la firma o almeno siglare le proprie opere. La firma è molto più importante di quanto possa sembrare: è una propria affermazione di presenza, di orgoglio, di convinzione, la certificazione di volere accettare e riconoscere quanto si è fatto. È un gesto importante come dare il proprio cognome a un figlio.
Belle le cornici, credo (da verificare!), realizzate nella stessa Officina dei ceni.

Finisco con quattro citazioni ingiustamente veloci:




Vincoli - Cristina Pirrone
Una fotografia che acquista una nuova luce e cambia la propria natura all’interno della rete (reale!) di fili d’acciaio che la catturano. L’esempio di come un tocco semplice e geniale dia valore a un’opera che altrimenti avrei giudicato ordinaria.
Sguardi dal Nirvana – Enrico Pescantini e Valeria Agnese
Interno del cinema/teatro Maffei, altro locale specializzato in proiezioni per adulti. Un’intera parete di fotografie che riprendono i volti delle persone e la vita tra le montagne del Tibet, immagini che sono al tempo stesso preziosa documentazione e opera artistica. Lavoro valido sia per le singole fotografie che per la presentazione d’insieme.
Indiano d’America – Luca Durando
http://www.designbydurando.it
Usando l’aerografo come strumento, questo artista del nostro tempo riesce a regalarci immagini emozionanti e di rara qualità. Davanti alle caratteristiche tecniche della sua opera (acrilico su cover plastico, aerografo, finitura trasparente lucida), si percepisce che arte e modernità possono e devono procedere a braccetto.
Immagini in offerta – Giuseppe Cassi
Un po’ Ligabue (Antonio, non Luciano) e un po’ Manara (Milo e, di nuovo, non Luciano) questo Giuseppe Cassi; ingenuità e malizia. Un artista particolare, provocatore che stuzzica e al tempo stesso si fa beffe delle nostre morbosità. I suoi personaggi così violentemente imposti, così spietatamente offerti allo sguardo, così denudati prima ancora che nudi, diventano metafora e simbolo di noi stessi, dei segreti svelati delle nostre anime. Immagini in offerta.

02 dicembre 2011

Amazon di Gianluigi Zuddas

Gianluigi Zuddas
AMAZON
Edizioni Tabula fati


Diecimila anni or sono il bacino del Mediterraneo si riduceva all'enorme lago conosciuto come Mare Interno e sulle sue coste, “nonché sulle numerose isole”, la fauna umana presentava alcune differenze con quella che oggi ne calpesta le dorate spiagge.
Nell'isola di Kos, per esempio, il dominio dell'Argone, che allevava uomini-cavallo da sella, era subordinato al potere dei Preti del Gelo, capaci di scatenare bufere con la loro forza mentale.
A Coralyne, fra i banchi dei profumi della Diaconessa Lugunda, i commensali più colti parlavano solo in Lingua Incomprensibile, mentre nel Palazzo Reale di Nedda alcuni sacerdoti cercavano di capire il bizzarro e inquietante funzionamento di un quintetto di antichi gong con facoltà di scaraventare in luoghi lontani chiunque capitasse tra le loro vibrazioni...
In "Amazon" è tra questi gong che vengono a trovarsi due bellicose amazzoni impegnate in una missione di spionaggio, che sotto la magia del micidiale rintocco saranno trasferite di volta in volta in località diverse dove si troveranno a dover fronteggiare situazioni impreviste.

Livornese, nato nel 1943, Gianluigi Zuddas si è dedicato alla fantasy nel 1978. Ha subito conquistato grande popolarità vincendo nel 1979 il Premio Italia con "Amazon" (La Tribuna, Piacenza 1978; Nord, Milano 1998), il suo primo romanzo.
Nella sua ormai copiosa produzione spicca il Ciclo delle Amazzoni, composto da altri tre romanzi: "Le Amazzoni del Sud" (Fanucci, Roma 1983; Nord, Milano 2000), "Stella di Gondwana" (Fanucci, Roma 1983; Nord, Milano 1999) e "Il Volo dell’Angelo" (Nord, Milano 1985); e alcuni racconti con le stesse protagoniste.
Fra i numerosi racconti ricordiamo "Per cercare Aurade", col quale ha vinto nel 1980 la prima edizione del Premio Tolkien (in "Le Ali della Fantasia", Solfanelli, Chieti 1981), "L’inviato del dio" (Tabula fati, Chieti 2006), e il completamento del ciclo di "Solomon Kane" (Fanucci, Roma 1979) lasciato incompiuto da R.E. Howard.
Altri suoi romanzi sono "I Pirati del Tempo" (Libra, Bologna 1980), "Balthis l’Avventuriera" (Nord, Milano 1983) grazie al quale ha vinto nel 1983 il Premio Italia e Premio Europa, "Le Armi della Lupa" (Solfanelli, Chieti 1989), e "C’era una volta un Computer" (Larcher, Castel Mella 2006).
Nel 1984 ha vinto il Premio Europa come “Best European SF Writer” alla Seacon di Brighton.




Gianluigi Zuddas
AMAZON
Presentazone di Gianfranco de Turris
Copertina di Vincenzo Bosica
Edizioni Tabula fati
[ISBN-978-88-7475-230-0]
Pagg. 192 - € 14,00

http://www.edizionitabulafati.it/amazon.htm

http://ciclodelleamazzoni.blogspot.com/

01 dicembre 2011

Ali di cartapesta di Alessandro Benazzi

Ali di cartapesta di Alessandro Benazzi
Rivolto a…
…A lettori di tutte le età, per il suo linguaggio morbido e delicato con cui affronta tematiche attuali che vanno dal senso di inadeguatezza alla tossicodipendenza. Dall’adolescente che si sente imprigionato dall’ago della bilancia e dagli standard di perfezione ostentati nelle copertine dei tablò, alla nonna che ha perso il nipote per causa dell’alcol o tenta ancora di capire perché il proprio figlio convive con un altro uomo. In particolar modo è rivolto a coloro che riescono a spingersi oltre le apparenze e sanno che "L’essenziale è invisibile agli occhi". E se, da una parte, il romanzo pone l’accento sul tema dell’Aids - forse oggi accantonato perché nuove cure sono ormai in grado di allungare notevolmente la vita dei malati - che rimane un pericolosissimo spettro proprio perché se n’è abbassata la guardia e la prevenzione è sempre troppo poca, dall’altra incoraggia la voglia di mettersi in gioco, di scendere in campo invece che rimanere in panchina, per cambiare la realtà e aprirsi all’altro in una nuova percezione della vita. -
(Da un intervista ad Alessandro Benazzi, scrittore)

Se il tuo soggiorno sulla Terra è così breve, fa che almeno sia piacevole. È la tua vita, falla come tu la vuoi… Prima che sia lei a cambiare te.

Spesso per dare una svolta alla propria esistenza si prendono strade apparentemente comode ma in realtà molto difficili. Bello sarebbe allora potersi elevare da tutto ciò che ci ostacola, che pesa. Purtroppo, si rischia di affidarsi ad ali troppo fragili.

Un romanzo che tocca temi forti, veri e propri mali della società, curabili forse solo grazie a valori altrettanto forti come l’amore e l’amicizia.

È soprattutto su questi grandi sentimenti che il narratore s’interroga, riflette, ben capendo che sono la chiave giusta per aprirsi alla vita vera.

Alessandro Benazzi è un giovane assistente di volo. Laureato in lingue e letterature straniere all’università di Roma. È questo il suo romanzo di esordio.

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