28 novembre 2009

Libri: "I semi delle favole" di Vincenzo Tedeschini

Sono tanti i semi citati in questa nuova pubblicazione della Collana Stelle Filanti di AlbusEdizioni, una bella raccolta di racconti per bambini e non bambini. Semi di fatto, come Chiccolino, il protagonista della prima favola, o degli alberi che danno vita a un paradiso terrestre ne “Il salice piangente”, o semi immaginari come nella storia del merlo e il biancospino. Dieci storie con altrettanti protagonisti che ci prendono per mano e ci conducono in una dimensione ludica e infantile, dieci storie che allietano il tempo dell’infanzia, ma non la isolano in un fantastico irreale. Tanti personaggi che pur appartenendo a un mondo lontano come Berta, Peppino, Cornelio, Sara, non si discostano dal mondo moderno.
La semplicità della parola scritta di Vincenzo Tedeschini pervade ogni trama e ogni narrazione, si tocca in ogni rigo, in ogni frase, in ogni periodo e rende la lettura piacevole, scorrevole e ben adatta ai più piccoli.
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Fonte: Albus Edizioni

Libri: "Fascisti eretici" di Francesco Grisi

Questo è un libro che percorre frammenti del movimento fascista che, con il consenso degli italiani, governò per oltre vent'anni. Dopo oltre sessant'anni alcuni personaggi "eretici" sono ancora oggetto di studio e di sicura ricerca. Molte altre personalità potrebbero affiancarsi a quelle trattate nel libro. Alcuni nella idea di eresia rimasero fascisti, altri divennero mussoliniani e pochi abbandonarono la barca sulla quale erano saliti da ragazzi. La questione non riguarda soltanto la coerenza nel fascismo. È più complessa. Il volume ha sorprese e segreti. Chi lo leggerà si accorgerà che l'eresia tra le due guerre era una cosa seria: in libertà tutti scrivevano ed esprimevano il loro pensiero. Troverà motivi per intendere, senza schedature stupide, gli anni che videro un'Italia che sperava di testimoniare nella storia europea.
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Francesco Grisi (1927-1999) è stato assistente di Giacomo Debenedetti, alla cattedra di letteratura italiana contemporanea, a Roma. Ha pubblicato anche: A futura memoria (Newton Compton, Roma 1986), Maria e il vecchio (Rusconi, Milano 1991) e La poltrona nel Tevere (Rusconi, Milano 1993).
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Fonte: Edizioni Solfanelli- www.edizionisolfanelli.it

23 novembre 2009

Recensione "Nhan Bu il cuore della giovane tigre" di Umberto Maggesi

NHAN BU il cuore della giovane tigre
 di Umberto Maggesi

© 2009 Ugo Mursia Editore S.p.A. ISBN 978-88-425-4016-8
Pag. 299 € 18,00

Nhan Bu il cuore della giovane tigre è il sesto libro di Maggesi, il secondo romanzo che ha come protagonista il giovane Nhan Bu.
Lo abbiamo lasciato nella scuola dello stagno, intento a imparare le arti marziali e lo ritroviamo, tredicenne, in questo nuovo lavoro.
Ambientato nel Vietnam del XIII secolo, ci riporta un fatto storico: l’invasione dei mongoli nel Dai Viet, facendolo aderire ai suoi personaggi d’invenzione.
Il giovane Nhan Bu, coi suoi compagni e il suo maestro, verranno anche loro chiamati a far parte dell’esercito che difenderà la propria patria dall’invasione.
Scritto con capitoli brevi, veloci, subito comprensibili, è un romanzo di atmosfere: di suoni, di odori, di usi e costumi abilmente ricostruiti.
La descrizione armoniosa della natura fa addentrare il lettore nella foresta di cui si parla nel libro. Ci fa vedere cosa si cela fra i rami e, da essa, fa nascere un prezioso insegnamento: “La natura ha le sue leggi, giovane Nhan, non trasformare la tua paura in odio”.
Questa frase viene detta durante un incontro con una tigre nella foresta e, proprio come quell’animale che si prepara a combattere per difendere la prole, così anche Nhan Bu dovrà trovare nel suo cuore lo stesso ardimento per combattere il nemico.
Ricco di preziose perle di saggezza, ci parla della guerra, quella antica, ma che fin troppo assomiglia a una delle tante odierne. “La guerra è tragedia, sovvertimento dell’ordine, fine dell’arte e degli studi. La sconfitta dell’uomo”.
Il romanzo è scritto con perizia, si nota lo studio e la ricerca che ci sono state da parte di Maggesi. L’uso dei termini più adeguati che ben si addicono al periodo e al testo.
Mi permetterei di consigliare questo romanzo quale libro di testo per i nostri giovani, i quali ne avrebbero da trarre un grande insegnamento. Consapevole che libri che sanno donare parole che fanno riflettere e crescere, sono frutti rari.
“ Non dolerti se qualcuno ti ricorda ciò che sei. Un passero non è un’aquila, non caccia e non ha artigli pericolosi, ma il suo canto è una gioia per la foresta e le altre creature, non cerca di essere qualcosa che non è”.


© Miriam Ballerini

20 novembre 2009

Recensione: "Le ceneri di Angela" di Franck McCourt

LE CENERI DI ANGELA di Franck McCourt



© 2008 Adelphi Edizioni S.P.A. Superpocket
ISBN 978-88-462-1012-8 Pag. 377 € 5,90


Le ceneri di Angela è una storia vera, il protagonista lo scrittore.
Ciò che colpisce di questo libro è che l’autore non ha semplicemente scritto la propria biografia, ma l’ha scritta facendola raccontare del piccolo Franck McCourt; narrandola dal punto di vista di un bambino di 4 anni.
Dice l’autore: “Ripensando alla mia infanzia, mi chiedo come sono riuscito a sopravvivere. Naturalmente è stata un’infanzia infelice, sennò non ci sarebbe gusto. Ma un’infanzia infelice irlandese è peggio di un’infanzia infelice qualunque, e un’infanzia infelice e cattolica è peggio ancora”.
Questo romanzo ha vinto il Premio Pulitzer e il National Critics Award. Leggendolo non ci si sorprende che possa aver ottenuto dei riconoscimenti così prestigiosi.
Il piccolo Franck ci racconta di come sua madre e suo padre, irlandesi, si siano conosciuti e sposati a Brooklyn. Lui è nato nel 1930.
Il rapporto col padre è di amore-odio intenso. Malacky è un padre meraviglioso quando racconta le favole e se lo prende in braccio; un genitore vergognoso quando torna a casa ubriaco. Quando per miracolo riesce a trovare un lavoro, ma si beve tutta la paga e subito dopo perde il posto.
Angela è sua madre e le ceneri… le ceneri sono dove i suoi occhi si posano quando non sa o non vuole rispondere; troppo stretta dal dolore. E le ceneri sono anche i tanti figli nati e morti infanti: una bambina e due gemelli maschi, oltre agli aborti subiti.
Franck cresce tra fratelli che dopo poco scompaiono e, altri, che come gli racconta il padre, vengono lasciati dall’angelo del settimo scalino. Alla tisi e alle tante malattie di allora sopravvivono Franck, Malacky junior, Michael e Alphonsus, ai quali è dedicato questo libro.
I ricordi del piccolo Franck si snodano nel periodo temporale che va dal 1930 al 1946. Fra la miseria più nera, ci mostra le case nelle quali vivono, crescendo a pane fritto e acqua e zucchero. Con dei vecchi cappotti pulciosi per coperta.
Il realismo più assoluto, la sofferenza più acuta, le delusioni più cocenti; ma anche il sorriso di chi, bambino, vive nell’ingenuità e pertanto sopravvive senza sapere nemmeno come.
E ci mostra, ancora, la cattiveria delle persone, per la quale non c’è cura.
Franck nasce in America, ma la famiglia è costretta a tornare in Irlanda. Qui, il padre non saprà mai trovarsi un lavoro e anche quando, insieme ad altri padri di famiglia, andrà in Inghilterra a lavorare in fabbrica; non invierà mai a casa un soldo, bevendoseli tutti.
Infine, il ragazzo ormai sedicenne, riuscirà a imbarcarsi e a partire per l’America, dove spera di fare fortuna e poter riunire la sua famiglia.
Il libro è dolorosamente divertente, perché le battute ingenue e la visuale priva di malizia del bambino, stemperano la drammaticità delle situazioni.
E’ profondamente sincero, a volte anche troppo, ad esempio quando Franck ci racconta della sua sessualità e dei suoi desideri.
E’ un romanzo che colpisce, che ci penetra nel profondo. A cui ci si affeziona, ridendo e piangendo coi protagonisti.
Si vorrebbe sapere cos’è accaduto, in seguito, al giovane Franck una volta giunto in America; ma poi si guarda il libro e ci si rende conto che Franck ce l’ha fatta.
Come riportato in copertina: “Il racconto sincero e dissacrante di un’infanzia derelitta, un protagonista indimenticabile. Un capolavoro di umanità e ironia”.




© Miriam Ballerini

13 novembre 2009

Cinema. "La prima linea”: terrorismo, fine dell’illusione

recensione di Bruna Alasia

Sergio (Riccardo Scamarcio) il 3 gennaio del 1982 è a Venezia e sta organizzando l’assalto al carcere di Rovigo, dove vuole fare evadere quattro detenute, tra le quali Susanna (Giovanna Mezzogiorno), la sua donna reclusa perché, come lui, appartiene a un gruppo politico armato. Mentre si prepara all’azione – una delle più audaci evasioni realmente accadute – Sergio ricorda gli inizi della sua clandestinità, l’incontro con Susanna, l’ingresso in un gruppo terroristico denominato “Prima linea”.

Scorrono sullo schermo immagini vere dell’Italia del tempo, quella delle stragi di Piazza Fontana, di Brescia, i suoi morti, i suoi cortei. Sergio racconta la paura di essere in un paese a rischio di golpe e di venire ucciso. Evoca l’ambiente operaio di Sesto San Giovanni, al quale il terrorismo ha rivolto una chiamata illusoria: é esponente di una “Prima Linea” senza seguito.

La drammatica solitudine di un personaggio che scivola, senza quasi rendersene conto, in una spirale omicida che distrugge anche lui, è resa da Renato De Maria con rigore non privo di pietas. Il regista non narra una storia di mostri, ma di integralisti, distaccati dalla realtà, uomini che rinunciando alla loro umanità hanno rinunciato ad amare se stessi. La scelta delle armi, evocata attraverso la storia di una coppia, evidenzia come abbia reso impossibile persino l’amore tra un uomo e una donna.

Convincenti gli attori Riccardo Scamarcio e Giovanna Mezzogiorno, credibili nella loro fisicità, simili a centinaia di giovani che sfilavano nei cortei degli anni di piombo A chi muove il rimprovero di avere scelto due attori “troppo belli”, va consigliato di guardare le foto degli esponenti della sinistra armata del tempo: c’ è anche chi, morto a vent’anni, era bellissimo.

Liberamente tratto da “Miccia corta”, il cui autore è l’ex esponente di Prima Linea Sergio Segio, il film si ispira alla sua vicenda e a quella di Susanna Ronconi, come protagonisti simbolo, pretesto per narrare, attraverso due tipi psicologici, il dramma, il dolore arrecato, la dissoluzione della giovinezza, della vita.

Questa pellicola scomoda, difficile, necessaria e bellissima, non ha avuto nessun aiuto di stato. E’ stata annunciata da polemiche inclementi. Comprensibilmente, i parenti delle vittime l’hanno vista più che come un aiuto alla comprensione storica, un cedimento verso gli assassini. Ma anche Sergio Segio non l’ha apprezzata: forse perché il film racconta la fine di una illusione mortale.


Regia:
Renato De Maria
Attori:
Giovanna Mezzogiorno, Riccardo Scamarcio, Fabrizio Rongione, Lino Guanciale Ruoli ed Interpreti
Produzione: Andrea Occhipinti
Distribuzione: Lucky Red
Paese: Italia 2009
Uscita Cinema: 20/11/2009
Genere: Drammatico
Durata: 96 Min
Formato: Colore

12 novembre 2009

Libri: "Mario Capagloriosa" di Rosaria Tenore

Recensione di Rosa Aimoni
Questo libro narra la storia, mettendone in evidenza soprattutto l’aspetto caratteriale, di Mario, denominato “Capagloriosa”.
Già dal soprannome del protagonista si può evincere il lato più prorompente della sua personalità: quello che noi con superficialità definiremmo “testardaggine”, dando al temine un’accezione esclusivamente negativa, è invece uno dei tratti più avvincenti di Mario.
Egli è un meccanico, un vero e proprio genio della riparazione delle macchine; fin da ragazzo dimostra un’elevata propensione per questo lavoro che, con il suo operato, si trasforma in una vera arte. L’arte di riparare le macchine, anche quelle agricole, quelle di cui i contadini non possono fare a meno. Quelle macchine che a volte, dimostrando quasi di avere un’anima, si fermano, per ripartire solo dopo essere state curate da Mario, l’unico a sapere realmente come prenderle.
“Capagloriosa” è il soprannome di un uomo ostinatamente attaccato agli antichi valori e che a volte è capace anche di mettersi contro tutti pur di difenderli. Nonostante le continue sollecitazioni esterne, Mario rinuncia a svolgere quelle attività che, pur essendo remunerative, sono però moralmente pregiudizievoli.
Egli impersona l’essenza di una solidarietà che ora, purtroppo, non esiste quasi più. Mario come personaggio si erige nel libro a simbolo di quell’unione fra lavoratori oramai perduta; la sua figura si contrappone con forza al modo di essere della società contemporanea che invece vive sotto il segno dell’individualismo.
Il talento che Mario possiede gli conferisce anche una sorta di assoluto rispetto da parte dei suoi concittadini; la sua attività nel paese è indispensabile soprattutto agli agricoltori che senza quelle grandi macchine non possono lavorare.
Tutti hanno chiesto, almeno una volta, l’intervento di Mario, che però non è disponibile a lavorare per tutti, perché egli non mette la sua arte a disposizione di chi non gli è simpatico, nemmeno se è disposto a pagarlo il doppio.
Il suo attaccamento ai valori si evince anche attraverso la sua ostinata contrarietà ad ogni forma di progresso, ritenuta da lui non necessaria. Mario, ad esempio, non vuole il telefono in casa, che considera un oggetto inutile.
Se la figura di Mario potesse trasformarsi in pensiero vivo nella nostra mente ci suggerirebbe, probabilmente, che molte delle cose che noi abbiamo sono forse superflue.
Se Mario fosse il versetto di una poesia ci direbbe di rimando che forse basta poco per essere felici.
Se Mario fosse una frase scritta in un giornale ci comunicherebbe con enfasi che ogni lavoro può trasformarsi in un’arte se svolto davvero con passione.
Mario però non è un pensiero, non è un versetto, non è una frase di un giornale. E’ un personaggio realmente esistito e descritto con maestria in un libro: un romanzo, breve e intenso, che va sicuramente letto.
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07 novembre 2009

Sulla morte di Alda Merini

di Antonio V. Gelormini
Era sbocciata insieme alla primavera e ai suoi profumi il 21 marzo di settantotto anni fa. Se n’è andata con un refolo autunnale. Leggera come le foglie che lo inseguono. “Bella come il silenzio”, ora ricolmo dei suoi versi immortali. Alda Merini dal 1 novembre è approdata nella sua agognata “sfera di stelle”. Cullata dalle braccia di Erato, Calliope ed Euterpe, già prima della sua fioritura, è cresciuta, trovando spesso rifugio, nella dolcezza della poesia, del canto e della musica. Un amore folle, mai geloso, lungo una vita. Una linfa energetica smisurata, che ne illuminava gli occhi e i sentimenti, mentre ne stancava le mente e le giunture. Ma che, al termine degli intervalli più nebbiosi, le faceva gridare con intima e sommessa soddisfazione: “Mi sento sana di poesia”. La vita le ha sorriso attraverso le grate più dure, rafforzando in lei quell’invidiabile e serena accettazione delle traversie, temprando uno stato d’animo votato all’amore smisurato e alla continua ricerca del bene e del bello. In particolare, in quelle incessanti maree di male, che per tanto tempo hanno invaso la sua apparente ingenuità. “L’inferno della vita me lo sono goduto tutto”, amava ripetere. Ma aggiungeva anche: “I poeti non si chiedono mai da che parte viene il male, l’accettano e lo trasformano in poesia. Una sorta di cambiamento della materia, che diventa fuoco. Fuoco d’amore per gli altri”. Una fede nel prossimo cieca ed incrollabile, perché: “Il poeta lavora per il sociale, lavora per gli altri. Il poeta è felice quando sa che quello che scrive serve anche agli altri. Questa è la forza che mi fa ancora scrivere”. Una forza che l’ha accompagnata fino all’ultimo istante. “Nei suoi versi c’era il profumo del paradiso” ha detto commosso l’arcivescovo Gianfranco Ravasi, attento ed appassionato estimatore di Alda Merini. Forse è la più bella carezza che potesse mai ricevere, dopo le innumerevoli dichiarazioni d’amore sparse col fumo incessante delle sue sigarette. In un inverno di parole vuote quel fumo sa tanto d’incenso, e quelle tirate senza fine delle autentiche boccate d’aria pura. L’ape furibonda riposi ora nel miele della sua cella.
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Immagine reperita su Google.

02 novembre 2009

Libri: "Il folle e la società" di Gianluca Corrado

Pochissimi filosofi come Michel Foucault hanno visto nel folle non un malato mentale, quanto il depositario di una differente accezione del senso e della libertà, titolato ad autodeterminarsi nella propria originarietà. Tuttavia sino a che punto, nei fatti, questa meritoria posizione accredita al pazzo un’inviolata autonomia e piuttosto non lo rinserra in un isolamento dalla compagine sociale e dai suoi scambi, che in buona parte prevedono norme da condividere e ordini a cui conformarsi? Nel ripercorrere lo sfaccettato confronto del 1971 tra Foucault e il linguista Noam Chomsky, per il quale la pazzia è un’alterazione della natura mentale anzitutto da curare e da assistere, il presente volume perviene all’esigenza pratica di una sintesi delle due visioni: trattare il pazzo non soltanto come un paziente, ma pure come un’occasione per la cosiddetta normalità d’interrogarsi sui luoghi comuni del proprio “benessere”, contestualmente evitando però che la differenza del folle sia esasperata in una diversità che non si aiuta – anche mediante la terapia – a entrare in dialogo con la maggioranza sociale.
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Gianluca Corrado, nato a Viareggio nel 1968, è laureato in filosofia. Membro del comitato di redazione della rivista “La questione Romantica”, lavora nell’editoria e si occupa di pensiero psicotico presso Servizi Ascot di Firenze e l’associazione ALI – Autonomia Lavoro Integrazione. Per volumi collettanei e riviste ha scritto saggi di ermeneutica e di estetica. Con Solfanelli, nel 2008, ha pubblicato "La follia in scena".
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Fonte: Edizioni Solfanelli - www.edizionisilfanelli.it

Libri: "Con il naso all'insù" di Angelo Amato de Serpis

L’area nolana è un piccolo scrigno, spesso ancora inesplorato dai più, di tesori archeologici, artistici, architettonici e monumentali. Angelo Amato de Serpis, attraverso il racconto di un ragazzo attento ed entusiasta del suo piccolo viaggio a Nola e dintorni, ci porta per mano a scoprire tre perle della cultura nolana: la spettacolare Festa dei Gigli, l’incredibile Villaggio Preistorico di Nola e lo splendido Complesso Basilicale Paleocristiano di Cimitile. Con la semplicità e le emozioni, anche ingenue, di un ragazzo non nolano in visita nella terra di San Paolino e di Giordano Bruno, possiamo penetrare nello spirito e nell’essenza più vera della Festa dei Gigli e di questi meravigliosi luoghi. Il racconto stimola anche la curiosità di conoscenza e la voglia di voler vivere direttamente queste emozioni e di andare a Nola e Cimitile, non solo attraverso la lettura del racconto, ma anche e soprattutto in prima persona.
La carnalità della parola di Angelo Amato de Serpis è “figlia” della sua semplicità. Che tu subito avverti, quasi toccando il leggerissimo spessore di un semplice aggettivo, il quale ti avvicina all’idea di “limitazione di peso”, la quale subito si traduce, con facilità, nei suoi concetti di “tollerabilità descrittiva”. Che non fa fatica ad alimentarsi del suo “impiego” della parola per comporre tutti i pezzi del prezioso “equipaggiamento” della narrazione, sempre ammantata di chiarissima luce. (dalla prefazione di Giuseppe Giusti)
Angelo Amato de Serpis (1970), nolano, è giornalista pubblicista dal 1994. È stato corrispondente dei quotidiani il "Giornale di Napoli" e de "Il Mattino" di Napoli. Attualmente è collaboratore di diverse testate giornalistiche e curatore di programmi culturali. È inoltre autore di diversi articoli di carattere culturale su varie riviste specialistiche e non e ha curato diverse pubblicazioni di carattere storico e ambientale. È presidente dell'associazione turistico-culturale MERIDIES, che punta alla valorizzazione del patrimonio culturale dell'area nolana, in particolare del Villaggio Preistorico e del Museo Diocesano di Nola. È ideatore ed organizzatore del Certame Internazionale Bruniano, dedicato al filosofo nolano Giordano Bruno, ed è stato coordinatore ed ideatore della manifestazione turistico-culturale Apriti Sesamo organizzata dalla Provincia di Napoli e di Avellino.
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Fonte: Guseppe Bianco - www.albusedizioni.it

ADDIO AL PATTO DI STABILITA’ STUPIDO di Antonio Laurenzano

ADDIO AL PATTO DI STABILITA’ STUPIDO di Antonio Laurenzano Addio al “Patto di stu...