29 dicembre 2009

The dome di Stephen King

THE DOME Stephen King


© 2009 Sperling & Kupfer Editori S.p.A.
ISBN 978-88-200-4766-5 86-I-09
Pag. 1038 € 17,92


King sorprende sempre per la sua prolissità, per come riesca da una situazione banale, a trarre un lunghissimo e articolato romanzo.
Cosa accadrebbe se qualcuno giocasse con noi, come certi bambini crudeli con le formiche? Quando le intrappolano sotto a una lente di ingrandimento per vederle bruciare vive?
Essenzialmente è questa l’idea di partenza del romanzo che venne a King nel lontano 1976, ma allora non riuscì a svilupparla. Ci ha provato oggi ed ecco che ne è nato The dome, in italiano la cupola.
Ambientato nella cittadina di Chester’s Mill nel Maine, la quale, d’improvviso, si ritrova isolata dal resto del mondo; chiusa in una cupola trasparente che nemmeno i potenti missili dell’esercito statunitense riescono a scalfire.
King non ha da gestire solo pochi personaggi, ma l’intera cittadina. Ad ognuno assegna un carattere, una particolarità diversa.
Ricrea la lotta fra il bene e il male in formato ridotto, rispetto a quella mondiale de L’ombra dello scorpione.
Scritto in maniera accattivante, che prende, che spinge a proseguire e a vedere cosa accadrà anche quest’ultimo lavoro di King non delude gli appassionati del genere.
Fra fantascienza e horror, l’autore si destreggia fra il bullismo, la bontà e la cattiveria, l’altruismo e l’egoismo. Sondando le reazioni più disparate delle persone costrette a vivere la stessa situazione. Portando fino all’esasperazione ogni loro caratteristica.
Dice King: “Ho cercato di scrivere un libro in cui il pedale dell’acceleratore fosse costantemente a tavoletta”.
E direi che ci è riuscito!
Un gioiello la morale nel finale: “Tornarono insieme nel mondo, portando la cosa che avevano ricevuto in dono: la semplice vita. La pietà non è amore, pensò Barbie… ma se da bambino hai donato un indumento a chi era nudo, non può non essere un passo nella direzione giusta”.




© Miriam Ballerini

27 dicembre 2009


Michael Jackson, una fiaba nera
Vita del re del pop (1)

di Bruna Alasia

I Jackson 5
Racconto primo

G
ary è una città dell’Indiana a quaranta chilometri da Chicago, si affaccia sul lago Michigan ma non si può dire romantica e non si può invidiare: la sua storia ricorda quella dei villaggi industriali inglesi della metà dell’ottocento. Ai primi del secolo scorso si é formata come agglomerato di casette che ospitavano gli operai dell’azienda siderurgica United States Steel Corporation. Fu chiamata come il presidente, Mister Helbert H. Gary. In quella città temuta per l’alto tasso di criminalità Joe Jackson, ex pugile nero e violento che non aveva sfondato nella boxe e che adorava la musica, sposò Katherine in secondo matrimonio. I due si stabilirono al numero 2300 della premonitrice Jackson Street in una casettina dove Joe, di professione gruista, a stento mantenne una famiglia impegnativa: nel 1949 nacque la primogenita Rebbie; nel 1951 Jacki; Tito nel 1953; Jermaine nel 1954; La Toya nel 1956; Marlon nel 1957. Il 29 agosto 1958 vide la luce il loro settimo bambino Michael Joseph Jackson.
***

La casa dove crebbe Jacko aveva tre stanze, puzzava di panni sporchi, minestra e stufato, una “capanna dello zio Tom” che si isolava dagli afroamericani perché Katherine disdegnava che i figli giocassero con gli altri: li voleva speciali. Teneva Michael sulle ginocchia e per farlo addormentare gli sussurrava motivi come “Cotton fields” perché le ricordava la sua infanzia. Ascoltandola lui si sentiva rimescolare:
Quando ero bambino
Mia madre mi dondolava nella culla
Nel vecchio campo di cotone dietro casa

http://www.youtube.com/watch?v=K8NkQQ6oMtc&hl=it

Tito accompagnava con la chitarra la ninna-nanna. Lui, Jackie e Jermaine, spesso si appropriavano dello strumento del padre e lo suonavano di nascosto. I fratelli maggiori cantavano, Michael agitava le gambe: Katherine in quei momenti amava quella vita faticosa. Ma un giorno la chitarra sibilò e si udì uno schiocco. Tito abbassando gli occhi inorridì: una corda era saltata.
- Papà ci ammazza…
***

Joe ringraziava la domenica perché poteva rilassarsi dedicandosi alla passione secolare che scorreva nel sangue della sua razza: fu grato di pizzicare le sei corde e intonare un motivo. La sua soddisfazione morì quando comprese che qualcosa non quadrava:
- Chi è quel disgraziato che l’ha scassata?!
Chiamò i figli a raccolta. Lo guardavano muti. Schernendosi, Tito tradì la sua colpevolezza. L’uomo lo acchiappò per le braghe e lo stese sul divano.
- Lascialo – gridava Katherine - non l’ha fatto apposta!
Suo padre lo colpì sulla schiena, sul sedere, in testa, sulle gambe, lo prese per un orecchio, gli fece fare il giro della stanza. Le urla furono udite dai vicini.
- Lo ammazzi! – scongiurava la donna, i figli piangevano.
Poi l’uomo si fermò, folgorato da un’idea.
- Perché cavolo non mi avete detto che vi piaceva?
Silenzio.
- Si può sapere perché non lo avete detto?
Troppo pericoloso azzardare una risposta. Il padre sparì e tornò con una chitarra mai vista:
- L’ho avuta in prestito… venite subito qui…. –
Gli andò incontro anche Michael con passo incerto.
- Via quelli col pannolino – Joe lo scansò e tese lo strumento agli altri - Tito, Jackie, Jermaine fatemi vedere cosa sapete fare…
Tremante Tito iniziò a suonare mentre i fratelli cantavano con lui. La faccia di Joe Jackson si illuminò riconoscendo in loro la promessa di quello che lui avrebbe voluto essere.
- Vi regalerò gli strumenti che usavo quando stavo con il gruppo dei Falcons – disse calmo - un sassofono, un bongo, tamburelli e altre chitarre… diventerete un complesso vero…
-
***
C’erano a Gary all’inizio degli Anni Sessanta posti fumosi, seminterrati, cantine attrezzate a locali notturni frequentate da un pubblico ostile, squattrinato, che male accoglieva gli artisti, dove Joe Jackson accompagnò Jackie, Tito e Jermaine perché si esibissero prima come “Jackson family”, poi come “Jackson Brothers”. Mamma Katherine, che nel 1963 era diventata testimone di Geova, quando tornava dal grande magazzino dove era cassiera, lo avvertiva:
- Joe se oltre a scopare a destra e a manca mi rovini i ragazzi me ne vado!
Suo marito scrollava le spalle pensando che i suoi figli dovevano fare musica e avere il successo che lui non avevano avuto. Se necessario a suon di sberle.

***
Il liceo Roosevelt che Jackie, Tito e Jermaine frequentarono a Gary nel 1966, a fine anno scolastico, come in America è tradizione, tenne una serata per musicisti dilettanti. Papà Joe vi iscrisse subito i figli, adesso in cinque. Si chiamavano Jackson 5: Marlon al tamburello, Tito alla chitarra, Jermaine al basso, Jackie e Michael cantanti. Il più giovane di tutti, di soli otto anni, era Jacko. La serata fu indimenticabile: Jermaine suonò il basso come un indemoniato, Tito alla chitarra fu esemplare. Quando i ragazzi si esibirono in “My girl”, un classico dei Temptations, l’auditorium del Roosvelt andò in delirio per la vocina serica di Jacko. I fratelli Jackson vinsero il primo premio.

A notte fonda mentre percorrevano in auto la via del ritorno Joe Jackson commentò:
- Non si può non vincere se ci si da dentro!
- Quando salgo sul palco non ho più paura – disse Michael
- Perché altrimenti ti caghi sotto? – rise Jackie
- Nasone e cagone… - rincarò Tito.
Michael gli diede una spinta e sarebbe scoppiato a piangere se il padre non avesse deviato il discorso:
- Ragazzi, la nostra vicina ha trovato il nome giusto… Jackson 5 fa la differenza…

http://www.youtube.com/watch?v=HcmMolE4le4



(continua)


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