29 settembre 2011

Libri: "3096 giorni" di Natascha Kampusch


3096 GIORNI      di Natascha Kampusch
© 2011 Bompiani/Rcs Libri S.p.A.
Pag. 295    17,50            ISBN 45267185
 Penso che tutti ricordino la storia di questa ragazza, rapita all’età di 10 anni da Wolfgang Priklopil, al quale è riuscita a sfuggire otto anni dopo.
Lei stessa afferma dalla copertina “Ora mi sento abbastanza forte per raccontare tutta la storia del mio sequestro”.
Ma fa di più: ci parla della sua situazione famigliare prima del rapimento, dove per lei non è comunque stato facile esprimersi. Natascha è una bambina alla quale è stata sottratta la sicurezza in sé stessa, quasi come se il destino stesse preparando un terreno fertile dove far attecchire i futuri otto anni.
Una mattina decide che è ora che vada a scuola da sola, nonostante i suoi timori, l’incertezza, vuole dimostrare, soprattutto a sé stessa che può farcela. Invece, a metà strada, viene presa di forza e spinta su un furgone bianco. Portata a pochi chilometri da casa sua e rinchiusa in una piccola cella sotto terra.
Natascha ci racconta tutti i terribili giorni, 3096, contati proprio come farebbe un detenuto, della sua prigionia, alla mercé di un uomo di 25 anni più grande di lei, che soffre di gravi turbe psicologiche.
E lei, nonostante bambina, dimostra una maturità immensa di fronte a questa situazione: riesce a comprenderlo, a perdonarlo. Così facendo riesce a sopravvivere, nonostante lui sia abilissimo nell’ annientare la sua persona sia nel fisico che psicologicamente.
Le torture sono di ogni genere, assurde e pesanti come macigni persino da leggere. Ma Natascha ha in sé la forza del perdono che le consente di andare oltre e, quindi, di fuggire.
Nel momento in cui lei fugge, Priklopil si suicida gettandosi sotto un treno.
Natascha ha chiaro anche il quadro della nostra società: un insieme di persone che fa di tutto per dividere da sé il male, che ha bisogno di individuare il mostro nell’altro; così che non li tocchi, così da non dover riflettere che ogni essere umano ha in sé il senso del bene e del male. Che a chiunque potrebbe accadere di essere preda di deliri, o di divenire vittima.
Non le si perdona il fatto che lei non odi, che lei non porti dentro di sé la lama tagliente della vendetta e del rancore. Non si comprende la sua maturità, la sua umanità. Non si accetta che una vittima possa perdonare, perché, se lei che ha subito di tutto, è in grado di farlo, allora anche la società dovrebbe salire su un gradino più in alto dei pregiudizi e fare uno sforzo per comprendere prima di tutto perché accadano determinati fatti e come si possa fare per impedirli; piuttosto che giudicarli dopo che siano successi.
Molti hanno tacciato il suo perdono come “sindrome di Stoccolma”, cioè una condizione psicologica nella quale una persona vittima di un sequestro può manifestare sentimenti positivi (talvolta giungendo all'innamoramento) nei confronti del proprio sequestratore. (Da Wikipedia).
Personalmente, dopo aver letto il libro e aver notato che mai una volta chiama per nome il suo segregatore, ma per cognome o dicendo “il mio rapitore”; dopo avere visto tutta la lista delle torture, delle sofferenze, di come e quanto lui abbia fatto per renderla dipendente da lui, portandola sull’orlo della morte per fame, costringendola a tradurre come meravigliosi, momenti che ognuno di noi trascorre normalmente; posso asserire che nelle sue parole non c’è mai stato un momento in cui abbia ceduto ritenendo che Priklopil facesse ciò per il suo bene. Sempre ha ammesso la sua malattia, la sua violenza.
Credo che questo libro, al di là della storia disumana che la Kampusch ha sopportato per otto anni, sia una lezione di vita per tutti noi; oltre che un importante momento di auto terapia per la stessa Natascha che è riuscita a elaborare quanto le è accaduto, dimostrando a sé e agli altri la sua forza nel non piegarsi, la volontà a proseguire. Come lei stessa scrive: “Solo adesso posso tirare una riga e dire veramente: sono libera”.
 
© Miriam Ballerini

Il prof. Pietro Bugli ci parla di "Alimentazione e pelle"

 
Un medico-scienzato al servizio del nostro benessere


Recentemente, presso l’importante Centro Medico Polispecialistico Life Adgredior Via Quadronno n.24-Milano – www.lifeadgredior.it - diretto dal Prof. Dott. Alberto Ugo Caddeo, si è tenuta un interessante seminario informativo inerente “Alimentazione e Pelle” condotto dal Prof. Dott. Pietro Bugli.
Prima di iniziare a parlare della conferenza, è opportuno che io parli di questo particolare Centro il cui obiettivo è di procedere, insieme con i pazienti, alla ricerca del proprio “Progetto di Vita”. Il tutto avviene tramite terapie mediche innovative e apparecchiature elettromedicali di ultima generazione. Inoltre, è un Centro dove si tengono corsi e incontri culturali dedicati alla crescita personale, alla migliore conoscenza di sé e all’ottimizzazione delle relazioni con gli altri.
Il Prof. Pietro Bugli, con competenza derivata da un percorso professionale di tutto rispetto in quanto, oltre ad aver conseguito le lauree in Medicina e Chirurgia, specialista in Chirurgia d'Urgenza e Pronto Soccorso, è un accreditato esperto in Medicina Estetica e della Scienza dell’Alimentazione, ha illustrato come un’alimentazione corretta aiuta a mantenere bellezza, vitalità ed energia. “Se la dieta è disordinata – ha affermato il prof. Bugli, che non si è perso in presentazioni inutili, ma è entrato immediatamente nel cuore del problema - la pelle diventa spia ed espressione della funzionalità dell'organismo e specchio delle intolleranze alimentari. E’ dimostrato – continua il Professore - che una buona alimentazione aiuta la salute e, una buona salute, si manifesta esteriormente nella bellezza della pelle”.
Il Prof. Bugli, ha illustrato una serie di diete da lui studiate. Com’è già stato detto sopra, esse sono molto facili da seguire e, quindi, danno la speranza anche a chi è stato deluso dai mille tentativi di diete, sempre abbandonate dopo pochi giorni perché troppo complicate. Tutti gli scettici, si sono dovuti ricredere ed hanno apprezzato, oltre alla loro semplicità, la capacità di soddisfare il corpo e lo spirito, perciò, possibili. Sono diete studiate sulla singola persona, che diventano anche un'esperienza gradevole perché si apprende un'alimentazione corretta, senza proibizioni, senza dover pesare alimenti e dosare i condimenti.
Naturalmente, questo giovane e valente medico-scienzato, per evitare cedimenti da parte dei pazienti durante il periodo della dieta e per l’ottima riuscita della stessa, afferma che sarà sempre al nostro fianco, sempre reperibile e sintonizzato con noi.
A conferenza conclusa, il Professore, con generosa capacità professionale, ci ha “somministrato” numerosi consigli dietetici sui quali riflettere.
Inoltre, mi sono permessa di chiedergli un’intervista e, pur avendo altri impegni successivi alla conferenza, ha accettato di rispondere col sorriso sulle labbra e, questo, è sinonimo di predisposizione verso il prossimo.
Ci può brevemente illustrare il suo percorso professionale? “Sono stato aiuto medico di pronto soccorso presso l'Ospedale di Stato della Repubblica di San Marino;  Medico federale della Nazionale sammarinese di pallacanestro e della Nazionale di calcio di San Marino. Sono Medico Federale per il controllo anti-doping della UEFA; Vice Presidente della Federazione Medico Sportiva della Repubblica di San Marino;  Presidente dell'Associazione Istituto di Medicina e Chirurgia Plastica ed Estetica; Presidente dell'Associazione COCAI (International Council Against Childrens' Obesity) e mi occupo della problematica legata all'obesità infantile”.
Prima di procedere alla dieta, c’è una fase preparatoria alla stessa? “No. Come ogni patologia si combatte da subito”.
Quanti kg. si perdono con questa dieta? “Dipende dal peso che si ha da perdere, indicativamente 10 kg. in due mesi li perdono tutti”.
Quando si è raggiunto il nostro peso ideale, come avviene il mantenimento? “Il mantenimento avviene dopo aver valutato tutti i pro e i contro dei cibi che utilizziamo, quelli più adatti a noi saranno riproposti anche nel mantenimento”.
Nella fase della dieta, Lei aggiunge pasti sostitutivi o integratori? “Pasti sostitutivi assolutamente no perché la nostra cultura alimentare è bella così com’è e non va sostituita, caso mai, organizzata meglio. Invece, gli integratori li introduco per aiutare nel percorso di correzione del peso”.
Quali sono i risultati che si ottengono con la sua dieta? “S’impara a mangiare correttamente per prima cosa, quindi, difficilmente si riprende il peso di prima. I risultati sono quelli che alcuni pazienti hanno perso anche 80 kg. in un anno, come, invece, ci sono quelli che hanno perso 4 – 5 kg. perché era quello che dovevano perdere”.
Ci può spiegare come buona alimentazione aiuti la salute? “Bisogna tenere presente due concetti indissolubili: la salute e l’alimentazione sono fortemente legati dal fatto che ogni cibo trasmette messaggi e funzioni che possono essere positività e negatività per l’organismo. Sta, quindi, a noi assemblare meglio questi aspetti positivi e ricavare da questi il miglioramento per tutte le funzioni vitali”.
Una buona salute si manifesta esteriormente alla nostra pelle? “Ovviamente, sì, perché dalla frutta alla verdura, per citare i più importanti, scendendo poi verso altri tipi di cibo, il rapporto diretto tra cibo e il miglioramento della qualità estetica è dato dai suoi componenti che svolgono un’azione, a volte diretta e a volte indiretta, proiettato sul miglioramento delle funzioni: l’azione che può avere la buccia dell’uva contro i radicali liberi e, quindi, contro l’invecchiamento, o l’azione del carciofo sul nostro fegato che lo disintossica da tutti gli agenti esterni e così via via”.
La nostra pelle è anche specchio delle intolleranze alimentari? “Sì, in quanto una delle manifestazioni cliniche delle intolleranze sono le dermatiti e le macchie, quasi a richiamarci ad avere maggiore attenzione sui cibi (lo lasciano scritto sulla pelle) ”.
L’abbiamo vista in numerose apparizioni televisive, quale di queste le ha dato più successo? “Tutte. Quella di Mara Venier, che è anche una mia carissima amica e che per molti anni ho sempre seguito, la conosciamo tutti, ma ho partecipato in tante trasmissioni in RAI e in Mediaset. Io partecipo in tutte le trasmissioni, ovunque si parli di argomenti riguardanti la medicina perché mi piace definire la mia professione in quanto Dio mi ha dato la capacità di esprimermi abbastanza bene e in maniera semplice, per cui posso essere utile nella comprensione agli altri”.
Professore, oltre alla scienza dell’alimentazione, qual è il suo prossimo obiettivo? “E’ quello di insegnare ai bambini una corretta alimentazione in quanto l’obesità infantile in Italia è la peggiore d’Europa e, purtroppo, va in crescendo di giorno in giorno”.
Alla luce di quanto sopra, ne deriva che non possiamo avventurarci in diete “fai da te”, purtroppo, anche da me tantissime volte sperimentate e, naturalmente, fallite, ma bisogna affidarci alla professionalità, alla conoscenza e alla competenza di professionisti seri come il Prof. Bugli .
Visto il mio costante aumento di peso, mi rendo conto che sto attraversando le porte dell’obesità e che non posso più derogare la dieta; ho deciso, quindi, di recarmi presso il suddetto Centro e di chiedere l’aiuto del Prof. Bugli. I risultati saranno senz’altro ottimi e dimostrati.
                                                                                Principia Bruna Rosco
                                                                                                              

27 settembre 2011

Petruzzelli, gli irrequieti


PETRUZZELLI, GLI IRREQUIETI
Successo del concerto con Daniel Oren e Mischa Maisky
di Antonio V. Gelormini


Gran bella serata! Emozione, rapimento, talento musicale e divertimento nel senso più puro e nobile del termine. Questo il cocktail prodotto dall’appuntamento sinfonico della Fondazione Petruzzelli in una “magica” serata d’inizio autunno, che a Bari veste ancora la tipica e piacevole atmosfera di fine estate.
In cartellone due “pezzi da novanta”: l’eccentrico e virtuoso Mischa Maisky, il violoncellista lettone allievo ed erede nientemeno che di Gregor Piatigorsky e Mstislav Rostropovich, e l’esuberante trascinatore Daniel Oren, il direttore d’orchestra con la kippà, fedelmente indossata per tenere a bada quel fuoco perenne e vivace della sua passione musicale. A unirli, la vena inesauribile del talento e il sentimento intimo ed orgoglioso delle comuni radici ebraiche. Ad esaltarli, la prova matura ed ineccepibile di un’Orchestra, quella della Fondazione barese, che ad ogni occasione raccoglie stima, apprezzamenti e riconoscimenti.
Accompagnato dall’inseparabile collana indiana e dal suo prezioso violoncello Montagnana del 1740, Mischa Maisky ha conquistato il pubblico del Petruzzelli. Complice il suggestivo Concerto per violoncello e orchestra in si minore, op. 104 di Antonin Dvoràk. Il più bel concerto per violoncello (forse assieme a quello di Schumann), che rappresenta anche una delle pagine più intense delle meravigliosa antologia del compositore boemo, passato alla storia per la Sinfonia “Dal Nuovo Mondo”.
La bellezza di un suono, a tratti ammaliante, ha abbracciato e rapito sin dalle prime note un Teatro pieno in ogni ordine di posto. Con l’argento nel crine e una “dinamica meno tesa e nervosa”, la tecnica e il fraseggio dell’eccentrico lettone si sono rivelate più attente al dettaglio, rendendo più dolci ed espressivi i contrasti. Fino a realizzare verosimilmente il “miracolo compositivo” di Antonin Dvoràk, che in questo Concerto arriva a far suonare il violoncello come un violino. Certo il vibrato di Maisky resta largo e generoso, ma va considerato come l’indelebile marchio di un artista dalla versatilità stilistica straordinaria.
Un carisma esercitato con l’umiltà che solo i grandi riescono a conservare. E Daniel Oren il suo carisma lo sprizza ad ogni salto, ad ogni colpo della bacchetta, ad ogni richiamo alle diverse sezioni dell’Orchestra. Il suo immedesimarsi nella partitura è una sorta di intensa preghiera, che rende apparentemente plateali i suoi movimenti ed estremamente liberatorio quel “Deo gratias” finale a braccia aperte. La Sinfonia n. 2 in re maggiore, op. 73 di Johannes Brahms sembrava tagliata su misura per rendere impeccabile una direzione appassionata, nonché la musicalità di una magnifica Orchestra.
Due spiriti irrequieti, alla ricerca incessante di libertà. Libertà interpretativa, evasione dai conformismi, allergia ai vincoli gerarchici. A meno che il rapporto con l’autorità non si conformi nell’intenso dialogo con un altro “spirito libero”. Emozionante la sintonia percepita sia tra i due Maestri, sia con l’insieme degli orchestrali. Applausi e chiamate meritatissimi per tutti. Era da tempo che al Petruzzelli non si assisteva ad un applauso accorato e corale lungo circa quindici minuti, col pubblico che non intende “schiodarsi” dalle poltrone. Sono momenti che ripagano e che fanno ben sperare. Soprattutto quando sono colti ed apprezzati da tanto entusiasmo giovanile.
Ben due i bis concessi da Mischa Maisky. Entrambi legati al ricordo del suo grande Maestro. Il secondo, la Sarabanda della 5^ Suite di Bach, è stato lo stesso bis concesso, a suo tempo, da Mstislav Rostropovich al pubblico barese. Mentre il primo bis, il Preludio della 1^ Suite di Bach, era stato suonato dallo stesso Rostropovich alla caduta del Muro di Berlino. 


(gelormini@katamail.com)

26 settembre 2011

Tra rito e mito della 'Ndenna - prima parte


Tra rito e mito della ‘Ndenna
     Gli usi arborei in un paese della
 Lucania




1. Riportiamo alcune testimonianze dell’uso: «Il rito pagano […] si compone di tre fasi: la ‘ndenna, la cunocchia e l’innalzamento. La ‘ndenna, attualmente, si svolge la prima domenica di Giugno, con grande concorso di popolo […]. Dopo la … S. Messa mattutina, ci si riunisce nella piazza principale e … ci si reca a Favino, noto per la maestà dei suoi faggi […]. Nel bosco si va alla ricerca del faggio più diritto e maestoso che supera sempre i 20 metri di altezza e pesa tra le 13 e le 15 tonnellate […]. Una volta individuato l’albero, tutta la gente si avvicina e si procede al taglio con una motosega (una volta si usava la scure); il tronco viene sfrondato e in parte decorticato; poi viene trasportato sulla strada a forza di braccia e con l’aiuto delle pannodde: grossi bastoni preparati appena giunti nel bosco, con le scuri; servono da appoggio e da leva per spingere e guidare la ‘ndenna e le proffiche. Contemporaneamente, si scelgono altri faggi più piccoli, che vengono privati dei rami e trasportati sulla strada da un mulo, da un asinello o dal trattore. Sono le cosiddette proffiche, di altezza variabile dai 6 ai 10 metri, che serviranno per alzare la ‘ndenna. Si esce dal bosco in ordine […]. C’è la sosta per il pranzo … si gustano prodotti locali […]. Il vino si beve per lo più con la cannedda: piccolo becco di cannuccia, applicato alla bocca del fiasco, dal quale ognuno beve a garganella. Nel primo pomeriggio inizia la discesa verso il paese; prima entrano le proffiche che vengono depositate nella piazzetta; per ultima è trasportata la ‘ndenna, che fa il suo ingresso trionfale circondata da numerosissima gente […]. Fino agli anni sessanta-settanta partecipavano … i bovari e gli uomini del popolo. Di buon mattino, essi si recavano a Manca Rotonda, una località ai piedi del monte Raparo […]. Dopo il taglio si consumava una frugale colazione e poi ci si affrettava per giungere in paese prima che annottasse. La ‘ndenna e le proffiche erano trainate dai buoi […]. Le donne, che avevano preparato un ottimo buffet casereccio, attendevano gli uomini nella piazzetta del Santo […]. Durante la prima e la seconda guerra mondiale, il rito fu interrotto per mancanza di forza maschile, chiamata alle armi. La cunocchia è la chioma di un pino di 6/10 metri, che viene tagliata la seconda domenica di giugno. Anche questa volta ci si riunisce in piazza … ci si avvia verso il monte Armizzone, al suono delle fisarmoniche e delle zampogne; in località «Vidente» si procede alla scelta dell’albero. Una volta individuato, ci si dispone in circolo ed ognuno assesta un colpo di scure al tronco fino a quando non cade a terra; si eliminano i rami più bassi e si taglia parte del fusto. Poi viene trasportato a forza di braccia, tra suoni e canti, in una radura, dove i più anziani … legano insieme i rami intorno a un lungo tronco sottile, facendolo rotolare e stringendo dei nodi ad ogni giro […]. Lungo l’estremità inferiore del tronco vengono decorticate ad anello 5 o 6 tacche, che serviranno a montare la chioma tramite zanche di ferro … sull’estremità superiore del faggio […]. Una volta che la chioma è stata impastoiata, si procede … ai sorteggi di chi deve precedere la cunocchia lungo le strade […]. Verso le 15.30 … si scende verso il paese […]. Al «Piano dell’Erba», la cunocchia viene presa dai giovani che la trasportano a spalla per il paese […]. Sul far della sera, si arriva alla piazzetta […]. Il luogo del taglio della cunocchia è stato più volte variato per mancanza di pini nel territorio di Castelsaraceno che, un tempo, nella località detta ‘Spiredda’, era coperto di abeti. La loro presenza è testimoniata da grossi tronchi trovati nel fosso ‘Salso’ e ‘Vaccarizzo’. È probabile che anticamente venissero utilizzate proprio le chiome degli abeti, ora scomparsi. Per alcuni anni si è andati nel bosco comunale ‘Vaccarizzo’ di Carbone, comunemente detto ‘ Vuddo’ dai castellani; in esso si tagliava la cime di un abete bianco […]. Un tempo, anche il taglio della cunocchia avveniva in modo più riservato: erano sempre solo gli uomini a recarsi sul luogo […]. La cunocchia veniva deposta a volte nella cappella del Santo, altre volte nella chiesa Madre […]. La terza domenica di giugno si procede all’unione della cunocchia con la ‘ndenna. Di buon mattino, alla presenza di poche persone … i due elementi vengono saldamente uniti […]. Di pomeriggio, verso le 17.30/18.00, dopo aver legato ai rami della chioma numerosi cartellini di legno, detti tacche, ognuno abbinato ad una offerta consistente in agnelli, polli, prosciutti, denaro ed altro, si inizia il sollevamento con le apposite proffiche disposte a cavalletto e con la guida delle corde […]. L’operazione ha fine quando il fusto risulta perfettamente verticale e le proffiche sono tutte a terra, mentre la base del tronco viene interrata nell’apposita buca, che viene riempita di pietre e terriccio. Arriva il turno dei cacciatori che, disposti in ordine secondo il sorteggio, sparano due colpi ciascuno verso le tacche appese alla chioma; chi fa cadere il cartellino ha diritto al premio. Da oltre trent’anni non si assiste più allo spettacolo straziante degli animali colpiti che, appesi vivi ai rami, tingevano di sangue il tronco […].

continua...

di Vincenzo Capodiferro

24 settembre 2011

Il colonnello dei bersaglieri Angelo Giacomino racconta il suo amore per l'esercito


IL COLONNELLO DEI BERSAGLIERI ANGELO GIACOMINO RACCONTA IL SUO AMORE PER L’ESERCITO
Due dei dieci Comandamenti del Corpo Bersaglieri sono la generosità e il rispetto

Avevo telefonato al Colonnello Angelo Giacomino per chiedergli se voleva parlarmi della sua vita militare. Mi risposto subito di no. Ho insistito e, finalmente, mi ha concesso l’intervista. Mentre guidavo l’automobile per raggiungere Palazzo Cusani dove lo avrei trovato, nella mia mente scorrevano una miriade di domande da fargli. Dove può spingersi la fantasia di una giornalista inesperta come me in materia militare quando affronta un argomento delicato come questo? Cosa si può chiedere a un alto Ufficiale di grande valore come il Colonnello Angelo Giacomino? Lo conoscevo bene, sapevo della sua rettitudine, della sua generosità sulla quale spesso ho potuto contare, del suo amore per l'Esercito che lui considerava sacro, delle sue virtù militari, che erano le migliori e che, da buon Bersagliere, amava la disciplina che praticava e pretendeva come un compimento del proprio dovere. Altri aspetti del suo carattere erano il carisma che determinava il bel modo saggio di agire, era un modo tattico e strategico che lui manifestava con la dovuta serenità e tranquillità, qualità apprezzate soprattutto quando le possiede un alto Ufficiale.
Ero arrivata al magnifico Palazzo Cusani sito in Via Brera n.15, edificato nei primi decenni del Seicento da Agostino Cusani. La facciata di concezione seicentesca, fu realizzata per l'omonima famiglia, che conta Agostino III, vescovo di Pavia. In realtà fu realizzata tra 1715 e 1717 dall'architetto Giovanni Ruggeri. Il Palazzo è caratterizzato da capitelli corinzi a grandi foglie, con balconi e finestre in pietra arenaria e ceppo, mentre la facciata sul giardino porta la firma del Piermarini. In passato, Palazzo Cusani ha ospitato il Ministero della Guerra del Regno Italico bonapartista, mentre ora accoglie il Comando Territoriale Esercito Militare Lombardia e il Circolo di Presidio dell'Esercito.
Un militare mi accompagnava all’Ufficio del Colonnello. Mentre salivo le scale, vidi un affresco sulla volta della Sala delle Allegorie con i simboli delle quattro stagioni e le allegorie sul pensiero umano che richiamano alle Muse delle arti e delle Scienze. Mentre percorrevo gli otto ambienti del piano nobile, la sensazione era quella d'addentrarmi nella storia: immaginavo i balli con dame vestite con grande sfarzo e cavalieri con divise impeccabili e decorate al valore militare.  Quel Palazzo era un tesoro che mi raccontava il suo passato: tre secoli della nostra storia impressi in decorazioni con antiche simbologie, opere pittoriche settecentesche e ottocentesche, affreschi attribuiti a Giovanni Angelo Borroni, quadri di Londonio, Prinetti e Villére, pregiate specchiere e dipinti ottocenteschi dell'Accademia di Brera. Nella Sala dell'Ingegno, dominavano otto allegorie sulla scoperta dei nuovi territori. Il susseguirsi di simboli mi aveva fatto dimenticare che avrei dovuto raggiungere l’Ufficio del Colonnello. A ricordarmelo è stato lui stesso che mi veniva incontro.
Mi aveva fatto accomodare nel suo splendido ufficio, presi il block notes e cominciai l’intervista:
Colonnello, Lei proviene da una famiglia militare? “Sì. Mio padre era Maresciallo della Polizia Penitenziaria”.
Quindi, è cresciuto con una mentalità militare? “Ho avuto un’educazione rigida, quella che rispecchiava la vita militare di un tempo e che mi piaceva, pertanto, a vent’anni sono entrato nell’Esercito dove ho fatto il Corso Ufficiali presso la Scuola di Fanteria di Cesano di Roma”.
Come si è svolta la Sua carriera? “I primi sei mesi sono stati di Allievo Ufficiale, al termine del sesto mese ho sostenuto un esame molto duro”.
In cosa consisteva questo esame? “Spaziava dalla cultura generale alle vere e proprie materie militari”.
Al termine di questo corso con quale grado è uscito? “Con il grado di sottotenente; ci tengo a precisare che sono stato il primo del corso”.
Dove è stato assegnato? “Al  Primo Reggimento Bersaglieri di Civitavecchia, dove è iniziata la mia carriera da Ufficiale”.
L’iter da Lei perseguito, rilascia una laurea? “No. La laurea può essere presa in un secondo momento dopo aver frequentato la Scuola di Applicazione di Torino che, però, io non ho frequentato per impegni addestrativi del Reggimento”.
Questo l’ha penalizzata? “No. Ho svolto l’iter di un Ufficiale normale che non prevede l’Accademia e che, comunque, sono arrivato lo stesso al più alto grado del Ruolo Speciale”.
Mi scusi Colonnello, vedo sul petto della Sua giacca molte mostrine di vari colori, cosa significano? “Sono i nastrini ricevuti al termine di operazioni per la pace in Italia e all'estero”.
E’ stato importante averle fatte? “Certamente sì, soprattutto per contribuire alla Pace nel Mondo”.
Queste operazioni per la pace hanno portato anche una svolta positiva alla Sua carriera? “La partecipazione alle Missioni per la Pace è sicuramente molto importante per un Ufficiale del mio Ruolo per arrivare ai vertici”.
Dove si sono svolte queste Sue Missioni? “Nel 1993, per sei mesi, ho fatto parte del Contingente IBIS2 in Somalia, nel 1999, per altri sei mesi, sono stato in Macedonia e nel 2000, sempre per altri sei mesi sono stato in Cossovo”.
Al termine di queste Missioni per la Pace, come si è svolto l’iter della Sua carriera? “Dopo circa un anno dal ritorno delle missioni, sono stato nominato Comandante del 3° Reggimento Bersaglieri di Stanza a Milano presso la Caserma Mameli di Viale Suzzani dove, per cinque anni, ho svolto il ruolo di Comandante di Reggimento. Al termine dei cinque anni sono stato trasferito al comando Militare Esercito Lombardia presso la Caserma di Via Vincenzo Monti in Milano, dove ho espletato l’incarico di Capo Ufficio Reclutamento e Pubblica Informazione. Infine, da tre anni sono giunto qua a Palazzo Cusani con l'incarico Direttore del Circolo Ufficiali di Presidio e Foresteria”.
Signor Colonnello, scusi la mia ignoranza, in cosa consistono questi incarichi? “Per quanto riguarda il Circolo Ufficiali consiste nel dirigere tutte quelle attività istituzionali e non, che vengono richieste sia a livello militare dalle famiglie degli Ufficiali e Sottouficiali e sia attività richiesteci da Enti tipo Comune, Provincia, Regione ecc. ecc., che riguardano attività istituzionali come conferenze, presentazione di libri, mostre di opere pittoriche promosse dai vari assessorati. Inoltre, il funzionamento del Ristorante dedicato ai soci e ai familiari degli Ufficiali e Sottufficiali. Invece, per quanto riguarda la Foresteria, come unità complessiva, abbiamo quindici stanze messe a disposizione su richiesta da Ufficiali e Sottufficiali provenienti da altre città, perché Milano, essendo un centro importante riguardante la Sanità, vengono per cure e visite mediche importanti”.
Siccome tutti noi abbiamo dei sogni, mi piacerebbe sapere qual è il Suo? “E’ quello che presto sarò collocato in Congedo per limiti di età e, quindi, poter vivere quel poco tempo che ci concede il Signore con la mia famiglia in assoluta tranquillità”.
Da chi è composta la Sua famiglia? “Da mia moglie e da due figli che vivono ancora con noi”.
Quindi, è contento di lasciare l’esercito? “No. Sicuramente No”.
Per quale ragione? “Perché, con l’esperienza che ho acquisito in questi circa quarant’anni di Servizio in qualità di Ufficiale, so di poter dare ancora e di più alle Istituzioni”.
Mi scusi, vorrei ritornare al Suo ruolo di Bersagliere. Come mai ha scelto di far parte del Corpo Bersaglieri? “All’inizio non si sceglie, pertanto, durante il corso, le mie qualità di atleta hanno fatto decidere ai miei superiori di destinarmi al Corpo dei Bersaglieri”.
E’ stato contento della scelta dei Suoi superiori? “Certamente! Sono stato felicemente onorato di entrare in tale Corpo!”.
Quali sono stati i rapporti con i Suoi colleghi? “Uno dei dieci Comandamenti del Corpo Bersaglieri è la generosità, l’altro è il rispetto. Quindi, ho rispettato i colleghi, poi, essendo anche generoso, ho avuto, e tuttora ho, un ottimo rapporto sia con i superiori e sia con gli inferiori”.
Infine, Signor Colonnello, cosa vorrebbe che i civili sapessero di questo sconosciuto Mondo Militare? “Che noi diamo tanto, soprattutto, in silenzio. La gente dovrebbe rispettarci, anche perché siamo una delle istituzioni più limpide esistenti in Italia. Ma non è colpa della gente, ma del Mondo dell’Informazione che non la informa adeguatamente. Ad ogni modo, da un po’ di tempo, precisamente da quando ci sono le Missioni Umanitarie nel Mondo, qualcosa si sta smuovendo”.

 Ringraziai il Colonnello Angelo Giacomino e uscii da Palazzo Cusani. Passai attraverso uno dei due enormi portoni, due ingressi uguali costruiti per due fratelli in lite tra loro, che non sopportavano di usare lo stesso ingresso.
“E' un magnifico Palazzo Barocco d’inizio Settecento situato in via Brera, una zona segnata dall’Arte, a due passi dalla famosa Pinacoteca di Brera” mi dissi mentre mi girai a guardare il Palazzo Brera sorto su di un antico Convento trecentesco dell'Ordine degli Umiliati, dove vi sono confluiti i dipinti requisiti da Chiese e Conventi lombardi e opere sottratte ai vari dipartimenti del Regno Italico.

“In questa via si respira l’arte” dissi ancora a me stessa. Tornavo a casa felice di quanto mi aveva trasmesso il Colonnello Angelo Giacomino, ricca anche di storia e di Arte che ho respirato a pieni polmoni.



 Principia Bruna Rosco


21 settembre 2011

Exit mundi, la poliritmia del tempo

EXIT MUNDI, LA POLIRITMIA DEL TEMPO
di Antonio V. Gelormini





Non è la fine del mondo. Quanto piuttosto lo sforzo di un cambiamento, che si fa “separazione”, e che prova a rivelarsi attraverso lo squarcio ritmico e inquieto di una Cantata corale, nel suo senso più largo: per soprano, tenore, baritono, voce bianca, pianoforti, percussioni, coro e orchestra.
“Exit Mundi” è la creazione commissionata dalla Fondazione Lirico Sinfonica Petruzzelli al compositore Giovanni Tamborrino, che si è avvalso delle liriche di Enzo Quarto liberamente ispirate al Vangelo e all’Apocalisse di Giovanni. Un’altra tappa nel percorso familiarizzante col Novecento e col contemporaneo, caparbiamente perseguito dalla Direzione Artistica della Fondazione barese. Lungo un itinerario teso a “raccontare il presente”, sui sentieri della cultura, della musica e della spiritualità. Una produzione interamente e intimamente pugliese, che abbraccia le radici comuni di autori, committenti, coro, orchestra e cantanti.
Liberare forza e leggerezza dalle voci di un’odierna inquietudine, alla quale spesso non si presta orecchio. Questo l’auspicio degli autori, che non a caso hanno scelto le testimonianze bibliche giovannee del Nuovo Testamento. Dove l’identità centrale e umana del Cristo diventa Logos divino. Extrema et sublime ratio a cui tendere, nel recupero della personale capacità di vivere l’emozione.
La poesia del Vangelo di Giovanni e la tensione inquietante dell’Apocalisse (Il Libro della Rivelazione) per cercare di rendere immediato il messaggio, recuperando la popolare tradizione melodica italiana e intessendola in una trama moderna e scomposta, capace di presentare e rappresentare il “Tutto nel frammento”. Una cultura che si alimenta di pratiche e patrimoni antichi, che vede nel dettaglio il tramite per collegare il particolare all’universale, ovverosia, il tramite per l’anelata emozione.
Giovanni Tamborrino è fermamente convinto che la sostenibilità del suo lavoro sia direttamente legata alla “godibilità” ed “ascoltabilità” della sua musica: “Perché l’opera deve recuperare in ciascuno la voglia di riflettere, attraverso la piacevolezza della musica”. Una sorta di catechesi melodica, che insiste sull’emotività del sentire, sulla predisposizione all’elevazione e, quindi, al paino alto della spiritualità. Perché la musica, come l’architettura, deve creare e diffondere emozione. La stessa da sempre emanata dalle grandi Cattedrali, che sembrerebbe invece essersi inaridita nelle linee architettoniche o nei pentagrammi senz’anima di un’appiattita ed anonima contemporaneità.
Come ogni opera prima “Exit Mundi” andrà riascoltata ancora, per coglierne appieno sfumature, complessità e punti di forza. Il primo impatto ha evidenziato i limiti di un pubblico che ha un grande bisogno di prendere più confidenza con tutta la musica del Novecento. Un repertorio per troppi anni assente da un palcoscenico che, per molto tempo, è stato esso stesso impraticabile. Gli unici applausi a scena aperta, infatti, sono stati tributati alla XXII sezione: Divenire, ed alla tenera voce di Ilaria Paolicelli, con tonalità e movenze un po’ fuori dal canone della classica “voce bianca”.
Grande prova del Coro della Fondazione Petruzzelli e del suo Maestro Franco Sebastiani, nonché della sempre più matura Orchestra della Fondazione, abilmente diretta in questa occasione dal Maestro Vito Clemente. Impeccabili le voci di Sarah Allegretta soprano, di Danilo Formaggio tenore e di Giuseppe Naviglio baritono. Piacevole, elegante ed innovativa la performance del Symbola Percussion Ensemble e delle pianiste Elisabetta Fusillo e Claudia Minieri.
L’impressione finale è che l’emozione ricercata possa essere ulteriormente esaltata da un adattamento della Cantata “Exit Mundi”, per una messa in scena delle sue sezioni in forma di Balletto. Per cui, è aperta la ricerca di un coreografo che sposi la leggerezza della spiritualità con la forza della poliritmia di un Giovanni Tamborrino: profeta della contemporaneità sostenibile.
(gelormini@katamail.com)

15 settembre 2011

Medea, l'ira di Dio


MEDEA, L’IRA DI DIO
di Antonio V. Gelormini


Il percorso verso il futuro del Nuovo Teatro Petruzzelli, tracciato dal suo nocchiero-Sovrintendente Giandomenico Vaccari, dopo le rotte contemporanee del Composer in residence Fabio Vacchi con “Lo stesso mare”, e la tappa scaramantica di una “Norma” rinata belliniana e leopardiana al tempo stesso, si spinge oggi nelle sinuose correnti del mito, per approdare coraggiosamente nella modernità antica di “Medea”.
Lo fa letteralmente “in punta di piedi”, potendo contare sull’estro artistico, sulla leggerezza coreografica e sul carisma eroico di una magnifica Eleonora Abbagnato, etoile dell’Opéra di Parigi e consulente artistico del Politeama barese. Ma anche con la trama innovativa di Euripide e le coreografie post-moderne di Davide Bombana. Nonché con le sonorità essenziali di un maestoso Arvo Part e le estensioni percettive ed elettroacustiche del compianto Fausto Romitelli. Che sotto la bacchetta del Maestro Giuseppe La Malfa, hanno ulteriormente esaltato duttilità e malleabilità armoniche dell’Orchestra della Fondazione Petruzzelli. Un complesso di talenti sempre più apprezzato, che trova la sintesi nella guida professionale del suo primo violino solista: Pacalin Zef Pavaci.
Una Medea quindi, quella di Euripide rivisitata da Davide Bombana, sacerdotessa leggera e generosa, tradita dall’amato, offesa e oltraggiata dagli uomini, che con la sua collera intende riportare in loro la giustizia e la bontà corrotte dal peccato. Una donna potente perché risoluta, la cui ira non uccide ma sacrifica! Attraverso le spire di una sorta di nemesi darwiniana, in cui la morte diventa passaggio necessario per preservare o assicurare altra vita.
Medea sacrifica il fratello Apsirto per amore di Giasone, al quale ha reso facile la conquista del Vello d’Oro. Sacrifica Creusa, con suo padre Creonte, per arrestare la nascita di una tirannia a Corinto. Sacrifica nientemeno gli stessi figli, avuti dall’amato Giasone, per non dare stirpe all’opportunismo, all’infedeltà ed alla cieca protervia.
Il piglio decisionale e lungimirante, funzionale a un progetto umano ad ampio spettro, le varrà l’accoglienza nell’Olimpo tra gli dei, a bordo del carro del Sole. Dopotutto il comportamento di Medea è in linea con i racconti mitologici di quelli degli dei, e non c’era all’epoca altro posto al mondo – se non l’Olimpo – dove la condizione femminile potesse godere di adeguata e paritetica dignità. Si dice “Nomen homen”, e infatti nel nome di Me-dea era racchiuso il suo destino. Per questo, i risvolti assunti dalla sua ira possono fortemente stigmatizzarsi in “un’ira di Dio”.
L’aggressività elegante di una Eleonora Abbagnato in “stato di grazia” (agile e frenetica nonostante il quarto mese di gravidanza), la sicurezza di un Giasone -partner scenico più che fidato- visto che Jean Sébastien Colau danza con lei da quando Eleonora aveva 14 anni, la disinvoltura intensamente coreografica di Shirley Esseboom nel non facile ruolo di Creusa, nonché la solida, plastica e regale performance di Bruno Milo nei panni di Creonte, con i guizzanti ed espressivi interventi di Percevale Perks (ancora un nomen homen) nell’atipico ruolo-ombra di “brillante” Messaggero di morte, hanno trovato una cornice decisamente suggestiva nelle scene e i costumi di Dorin Gal e nell’assistenza coreografica di Paola Belli.
Ancora una produzione voluta dalla Fondazione Petruzzelli, per proiettare sui palcoscenici internazionali il marchio e l’aura del Nuovo Teatro Petruzzelli di Bari. Il successo di pubblico nelle tre serate di repliche del balletto, oltre a premiare le scelte programmatiche di una direzione artistica coraggiosa, è da leggere quale buon viatico per la “prima mondiale” della versione contemporanea di un’opera intramontabile come Medea. Le cui radici continueranno ad essere saldamente ancorate nei tratti profondamente mediterranei dei suoi protagonisti.


(gelormini@katamail.com)

13 settembre 2011

Una santa dimenticata di Vincenzo Capodiferro




UNA SANTA DIMENTICATA

Spiride Savini, presidente di Azione Cattolica di Lagonegro (1909-1936)



Spiride Savini nasce il 1 agosto 1909 a Piangipane, un sobborgo di Ravenna. Come addita il detto antico: nomen omen, la casa Savini veniva allietata dal sorriso di una bimba, che venne chiamata Spiride, quasi a presagio della sua vita, improntata ai più elevati sentimenti di bontà e di carità. La famiglia di cattolici osservanti dà alla piccola una forte impronta educativa secondo i più sentiti precetti cristiani. Spiride a otto anni fa la prima comunione. Questa prima esperienza resterà fortemente impressa nell’anima della ragazza, tanto è che in tenera età, come si può rilevare dai suoi diari, già scrive ad un’amica: «Senti freddo all’anima? Ascolta la santa messa ed accostati al fuoco ardente della santa eucaristia. La vera pace nel cuore non si trova che nel ricevere Gesù: fuori di lui non vi sono che affanni ed ingratitudini». Si iscrive all’educandato Ghiselli di Ravenna, dove compie la sua prima formazione intellettuale. Subito si distingue per la sua indole docile e mite. Nelle letterine

che invia ai familiari ed alle amiche non manca di suggerire sani e sapienti consigli dai quali traspare tanto il candore della sua anima eletta: «La preghiera ben fatta è odoroso vapore che sale al cielo e discende in pioggia benefica di grazie! Pace non regna in chi è dedito alle umane cose ma sì bene in chi pensa e desidera acquistare i celesti beni». A quattordici anni esce dall’Educandato e per seguire la madre, passata a seconde nozze, a Lagonegro, in Provincia di Potenza. Nella nuova residenza Spiride appare come un’anima benefica, che ama prodigare il tesoro della sua squisita educazione e la piena dei suoi effetti gentili. Quanti la conoscono, la rispettano e amano la ragazza buona, seria e modesta, che col crescere negli anni progredisce notevolmente nella virtù, schivando con assidua diligenza qualsiasi mondanità. Alla madre che le prospetta talvolta la visione di un avvenire di felicità, alle amiche che le parlano dei loro sogni dorati, Spiride risponde sempre: «Io voglio essere sempre e solo di Dio, e voglio servire a lui solo!». Costituitasi l’associazione di gioventù femminile di Azione Cattolica è prescelta e nominata presidente dalla fiducia del suo parroco che ne ha apprezzato le rare doti di mente e di cuore. Nella delicata mansione di dirigente Spiride è la consigliera affettuosa, l’amica sincera delle socie e ne promuove con zelo intelligente e fattivo la cultura religiosa e la pratica della vita cristiana. All’apostolato della parola, avvalorata dall’esempio, è caro al suo cuore aggiungere quello non meno importante della carità, sia verso i poveri, ai quali è larga di soccorsi, sia verso gli infermi, le cui sofferenze procura di lenire col balsamo del conforto. Verso la fine di dicembre del 1935 si ammala di broncopolmonite. Alla madre ed alle amiche che la assistono ripete: «Tutto è predisposto da Dio per il nostro bene». Con ammirevole rassegnazione sopporta quanto dalla scienza si tenta per strapparla alla morte e sembra che nel dolore trovi la gioia per rendersi più somigliante al suo Gesù. Nel vedere la madre afflitta per le sue sofferenze, le dice «Mamma, non addolorarti, Gesù ha tanto sofferto per noi! Rassegniamoci alla sua volontà!». E sorridente parla con un senso di soprannaturale letizia del suo prossimo viaggio per l’eternità. Il giorno 8 febbraio del 1936 chiama a sé vicini la madre ed il patrigno. Elevata insieme una preghiera alla Madonna di Pompei, ottiene il consenso di farsi suora, qualora guarisca. Intanto di giorno in giorno le sue condizioni di salute precipitano. Spiride presagisce la fine imminente, dicendo: «Domenica, quanti fiori e quanti ceri vi saranno a casa mia!...». Ad una signora che la esortava a cacciare dalla mente quelle visioni, risponde, rassegnata e commossa, che le era apparsa la Vergine di Pompei, avvertendola che la prossima domenica l’avrebbe premiata, se ella fosse stata senza febbre. Giunse la domenica del 16 febbraio, fra lo stupore di quanti amorevolmente la circondavano, Spiride è completamente sfebbrata, per cui si spera in una benefica fase risolutiva della sua malattia, ma l’ammalata non si illude ed alla madre piangente per la commozione dice ancora: «Coraggio mamma! Dovresti piangere se lassù avessi una figlia che non pregasse per te, ma io pregherò … La madonnina mia mi ha premiata». Una signora amica le si avvicina per salutarla ed ella le raccomanda di non abbandonare sua madre perché «oggi,» soggiunge, «alle tre pomeridiane dovrò lasciarla». Alle 14,45 dello stesso giorno ancora una volta vuole che la madre le stia accanto e stringendole tre volte la mano le chiede: «Presto! Mamma, non hai niente da dirmi?». Dopo qualche istante si agita, mentre le pupille si dilatano e con accento di gioia: «Guarda, mamma! Non vedi che vicino a me è il vecchietto che mi ha aperto la porta?». E tenendo il braccio in alto dice: «Ecco! La mia porta è aperta …». Popi non parla più, gli occhi le si chiudono, il respiro si spegne ed il suo spirito vola in seno a Dio. Scompare così dall’effimera scena della vita terrena a 26 anni nel fiore della giovinezza, tutta grazia e giocondità, tutta bontà e dolcezza. Abbiamo tratto queste brevi note sulla vita dal “Panegirico di Spiride Savini”, un opuscolo edito a Policastro, l’8 novembre del 1940, proprio quando l’Italia si era appena imbarcata in quella nefanda avventura della Guerra. Forse anche per questo la figura di Spiride Savini fu dimenticata, ma è rimasta sempre viva nello spirito della gente che ancora la considera come santa e la prega. E le grazie non sono mancate in tutti questi anni. La tomba di Spiride a Lagonegro è in stato fatiscente, nessuno si occupa di lei, tranne i devoti fedeli che l’hanno mantenuta dall’intemperie del tempo. I fiori non mancano però mai da quel piccolo altare. E questa perla di santità lucana è stata trascurata. Eppure anche questo ingrato suolo ha dato i suoi fiori. Come Lauria ha il grande faro di Domenico Lentini, così Lagonegro potrebbe reclamare la sua santa. Ma niente ancora si muove.

Vincenzo Capodiferro

06 settembre 2011

Romero Britto, la mortificazione


ROMERO BRITTO, LA MORTIFICAZIONE
di Antonio V. Gelormini





Certo che, a pensarci bene, ci vuole arte anche nel riuscire a “mettere in ombra” l’esplosione di vivacità, di colori e di luminosità dell’estro creativo di un protagonista contemporaneo della cosiddetta “pop art”, di riconosciuto spessore e di prestigio internazionale come Romero Britto.
E’ l’impressione percepita per quanto accade a Margherita di Savoia, nel percorso verso l’appuntamento principe della stagione turistico-culturale: “Margherita meets Miami”. L’evento fortemente voluto dal Sindaco On. Gabriella Carlucci, che estende il gemellaggio all’insegna dei fenicotteri all’intera Puglia con la Florida. E che dal 1° agosto vanta una mostra dei capolavori del celebre artista brasiliano, nonché Ambasciatore delle Arti dello stesso Stato della Florida.
Location prescelta il Torrione, antica torre d’avvistamento e presidio doganale del centro “salinaro”, oggi Pinacoteca Comunale “Francesco Galante Civera”. Ovvio e naturale l’affidamento dell’evento alle competenze della Galleria romana, “Ca’ d’Oro” di Piazza di Spagna, curatrice della stessa mostra a Roma dal 24 giugno al 15 luglio scorsi. I cui segni più evidenti sono riscontrabili nella razionalizzazione degli spazi a disposizione, per l’allestimento nel comune pugliese, e nella predisposizione di accorgimenti tecnico-funzionali, utili a una sostenibilità organizzativa di base (per esempio: l’aria condizionata, la saletta proiezioni e l’assistenza hostess).
Operazioni di questo genere, però, dovrebbero essere finalizzate anche alla crescita ed alla formazione di risorse e competenze locali, capaci di cogliere l’opportunità per favorire evoluzione delle professionalità e arricchimento del bagaglio informativo. Sorprende, pertanto, alla luce dell’intervento di esperti, il senso colto di diffusa “mortificazione”, per il desolante approdo di un talento mondiale dell’arte contemporanea su questo tratto di Puglia, che pur ambisce ad essere il contro-canto mediterraneo della sirena atlantica Miami.
Incredibile come il Torrione rimanga poco illuminato, mentre accoglie le opere di un artista profeta della luce, della vivacità, dei colori e della felicità. Stupefacente come nessuno abbia pensato di sistemare analoghe copie delle sculture posizionate al suo ingresso (di sera quasi invisibili), nella centrale Piazza Libertà o Piazza Terme e dislocarle poi sul Lungomare, per comunicare e promuovere la mostra nelle zone più frequentate di Margherita di Savoia. Dopotutto è lo stesso Romero Britto a sostenere che: “E’ l’arte che va in strada, verso la gente e non rimane chiusa staticamente ed esclusivamente tra le mura di un museo”.
Arduo, su una piazza ancora poco incline alla frequentazione di mostre ed eventi artistici, prevedere un biglietto d’ingresso anche solo di tre euro. Inammissibile che lo sia, in particolare, per una mostra che prevede la vendita dei lavori, tanto da indicarne i prezzi accanto ad ogni opera esposta. Che non fornisca il visitatore di uno straccio di supporto cartaceo (nemmeno fotocopiato). E che presenti i filmati in lingua inglese senza traduzione o sottotitoli. A Margherita di Savoia!
A guardare il numero del mio biglietto (295), il timore che si sia persa, o meglio, che non sia stata colta appieno una straordinaria occasione di partecipazione e di crescita culturale dalla comunità locale è piuttosto forte. E il fatto che la mostra resti aperta fino al 30 settembre non offre grandi prospettive di speranza, soprattutto se la situazione dovesse perdurare.
L’intuizione del gemellaggio con Miami resta progetto apprezzabile, che merita riconoscenza ed allargato spirito di collaborazione. Ancor più, dal momento in cui è diventato sponda per il gioco più articolato tra Puglia e Penisola americana. C’è un’idea di collegialità che va recuperata e magari rilanciata verso mete altrettanto ambiziose. Così come è da recuperare l’umiltà di ciascuno nel riconoscere i limiti di ognuno e le potenzialità dell’insieme. I fenicotteri restano alti sui loro trampoli, anche quando dormono, ma Madre Natura li ha dotati di colli lunghissimi per potersi abbassare e cogliere facilmente anche l’altrimenti irraggiungibile.    (gelormini@katamail.com)

ADDIO AL PATTO DI STABILITA’ STUPIDO di Antonio Laurenzano

ADDIO AL PATTO DI STABILITA’ STUPIDO di Antonio Laurenzano Addio al “Patto di stu...