IL
PROBLEMA DEL REALISMO IN GUGLIELMO DI CHAMPEAUX (1070-1121)
Il
problema del realismo in Guglielmo di Champeaux (1070-1121) non è un
problema banale. Già era stato posto dai Greci ed ha animato la
filosofia medievale e poi oltre è stato più volte ridestato. Eppure
quella posizione, ante
rem, fu
bollata come assurda ed eretica. Fu accettata per tutto il clou del
medioevo l’in
re,
trasposizione dell’aristotelismo di Tommaso d’Aquino, cioè una
via di mezzo, fino a finire al post
rem, con un
altro Guglielmo, di Occam, il quale liquidò tutto il problema
abbattendo la metafisica col rasoio.
Le
idee sono reali o no? Questo è il grave problema, ripreso dai
logicisti dell’Ottocento e del Novecento, da Frege a Russel, da
Husserl a Wittgenstein. Le posizioni estremiste (ante
rem e post
rem) furono
in qualche modo escluse in quanto eretiche. La prima conduceva al
panteismo dell’ubiquità della sostanza e la seconda al triteismo
di Roscellino.
La
critica di Abelardo non coglie in pieno però il problema, perché
apre la via al concettualismo. Abelardo era stato discepolo sia di
Roscellino che di Guglielmo e cercò una via di mezzo trai due,
riducendo gli universali a segni linguistici cum
fundamento in re.
Ma aprì indirettamente quella via che poi porterà pian piano
all’atomismo logico neopositivistico e peggio: all’atomismo
ontico. La conoscenza viene ridotta solo al particolare: il generale
è relegato nella sfera dei limbi celebrali. Nulla di strano che
Kant, seguendo questa scia, recluderà gli universali nelle carceri
apriori dell’Intelletto puro, un altro fantasma dell’Opera, che
non si capisce cosa è effettivamente: né sostanza, né atto, né
persona. Un deus
ex machina
irrisolto che condurrà Fichte all’Egolatria (Tutto
è Io).
L’inversione della metafisica oggettiva in metafisica soggettiva
comincia già agli arbori medievali. Las scienza moderna nasce sul
fondamento del nominalismo medievale. Newton applica il rasoio
occamista ai fenomeni scientifici. L’atomismo logico era stato
previsto già da Platone: le idee atomiche. Ma si può spezzettare la
materia logica in atomi e molecole senza considerare la forza, o
energia che unisce queste particelle?
L’ente
comune viene escluso dalla cognizione già dai tempi di Parmenide,
che ebbe tutti contro. Perché non possiamo conoscere l’ente
comune? La visione sinottica, o d’insieme, o del tutto, non precede
forse quella della parte? Invece ci si ferma a una visione da talpa,
miope, che guarda solo le virgole, i punti, i punti e virgola. Alla
fine la visione analitica prevale su quella sintetica. Husserl ha
dedicato al problema del Tutto e della parte la Terza
Ricerca logica.
Precisiamo qualche punto: innanzitutto l’ente comune è oggetto di
intuizione intellettuale. È un dato assoluto e certo, un dato di
senso intellettuale inconfutabile. Perciò Parmenide osservava che
essere e pensare coincidono.
Ora
se ammettiamo che l’ente comune, cioè generale, e quello
comunissimo, o generalissimo, sia solo una nozione intellettuale e
non corrisponda a reale è un’assurdità. Questa è una prova
ontologica ma rivolta all’ente stesso. L’ente esiste o non
esiste. E se non esiste, allora esiste il nulla? Ma in tal caso, cioè
se il nulla esiste, allora è già ente.
Ammettere
che l’intelletto possa cogliere solo il parziale o la somma di
parzialità, o che il generale, o l’universale sia dato dalla somma
matematica delle parti è un’assurdità. Gli psicologi della
Gestalt stessi ci hanno dimostrato che il tutto è più della somma
delle parti. La melodia non è data dalla somma delle singole note,
ma da un tutt’uno che non coincide con il particolare. Se suoniamo
le note di una melodia ad una certa distanza l’una dall’altra non
ci dicono nulla. L’empirismo classico coglie solo un aspetto
parziale. Tutta la scienza si è mossa su questa scia. Basta guardare
ai paradigmi del mondo kuhniani. La teoria della relatività, ad
esempio, è una visione d’insieme. Teoria significa visione. Tale è
anche il senso comune di Aristotele e di Reid. La visione sinottica,
o generale, o olistica precede sempre quella particolare. Da ciò
deriva che la visione sintetica precede sempre quella analitica. Così
si imposta il problema dell’intelletto agente di Aristotele,
variamente risolto dall’illuminazione agostiniana alla sintesi
apriori kantiana. L’intelletto non è cieco, non ha bisogno dei
paraocchi sensibili o dei fantasmini dell’immaginazione. C’è
l’occhio della mente, capace anche di vedere nel sensibile, di
cogliere l’ecceità (Scoto). Leibniz (les
petits perceptions)
e Herbart avevano intuito la visione metacognitiva (subconscio).
L’occhio mentale vede il particolare nell’universale e non
l’universale dal particolare. Non scinde, non prescinde, cioè non
divide dall’insieme. La nozione primissima che l’intelletto
generale coglie è proprio l’ente purissimo, o ens
communis di
Guglielmo di Champeaux. Gioberti e Rosmini avevano riconfermato
l’ontologia classica. L’ente generalissimo precede tutte le altre
nozioni. Enrico di Gand, superando la divisione netta di matrice
tomista ed araba (Avicenna) di essenza ed esistenza, aveva
riconosciuto anche l’esistenza dell’essenza (ens
essentiae).
L’ente comune, o latissimus
è un reale, non solo un mentale (aprioristico kantiano o
aposterioristico che fosse). I generi e le specie sono già in
mente Dei.
Pur ammettendo l’evoluzionismo, questo in quanto superamento del
fissismo delle specie naturali, deve già essere rapportato all’ente
comune. Proprio perché c’è un’area di comunanza nell’ente è
possibile il passaggio da una specie all’altra. L’ente comune è
come l’aria, un’aria spirituale che respiriamo. D'altronde
Spirito significa soffio. L’aria non si vede eppure c’è. Il
pensiero non si vede, eppure c’è, si sente. Qualcosa o qualcuno
per esistere deve prima essere. La scissione o rottura tra essenza ed
esistenza ha portato poi a dualismi fuorvianti, come quello kantiano.
Tra
l’intelletto e il senso c’è una mente comune che mette insieme i
dati di entrambi (come se avessimo due cervelli in uno). Poi c’è
la volontà e c’è una facoltà intermedia tra ragione e volontà.
Poi c’è il cuore, o intelligenza estetica, o sentimento. Sono
istanze non separate. E così è nel mondo dell’essere: non c’è
una precisa separazione tra ente comune e ente specifico. L’umanità
esiste negli individui, la giustizia nei giusti, la bontà nei buoni,
etc. l’ubiquità è un’argomentazione riduttiva. Come dire:
l’aria non esiste in ogni posto dove respiriamo? O l’acqua non
esiste in tutto l’oceano, o solo in una parte? Come dire: a Venezia
esiste l’acqua del mare e non a Napoli. C’è un ente indistinto
dall’intelletto stesso, si fonde con esso. Tutto è collegato. Le
menti non sono monadi autorecluse in sé. Gli stessi atomi sono
collegati dall’energia. Le particelle atomiche sono legate da una
forza invisibile. Altrimenti andrebbero per fatti loro. L’antimateria
esiste anche se non la vediamo direttamente. Cogito
ergo sum:
posso partire dall’autocoscienza per giungere all’essere, o
partire dall’essere per arrivare alla coscienza assoluta.
Se
si ammette un mondo matematico-geometrico perfetto ideale alla
husserliana maniera, si deve ammettere una Coscienza assoluta,
cosmica, dotata essa stessa di inconscio (Jung). Spesso anche in
psicologia si è trascurato l’Io collettivo e come questo influisca
su quello singolare. Ci si è fermato solo al singolo, come se il
singolo fosse tutto (“malattia mortale” di Kierkegaard). Il
singolo è superiore alla specie. Ma da dove avremmo l’idea di
singolo se non vi fosse il totum
in cui il singolo vive? I socialisti, tra cui Marx avevano
evidenziato il ruolo della Società. La Società crea il singolo. La
società è un ego comune, cioè un ente comune. La società precede
il singolo, come la Polis precede il cittadino e lo Stato precede
ogni singolo individuo, da Aristotele ad Hegel.
Essenza
ed esistenza sono distinte, ma non separate. C’è stato un salto
dall’essere all’avere: ciò che è l’essere e ciò che ha, o
possiede l’essere. Ma un essere che sia stato dotato di esistenza,
già possiede in sé un ente che potenzialmente può suscitarsi in
esistente. Questo è un ente nascosto, ancora latente, che poi, coma
dall’oscurità alla luce, spunta, diventa essere pienamente. La
ragioni seminali degli Stoici, riprese da Agostino forse ci danno
l’idea di questo ens
latus. Ciò
che è nascosto viene alla luce: questa è anche l’”aletheia”
greca, l’uscita fuori, o estasi. L’esistente è un’estasi, un
uscir fuori dell’ente da sé. Hegel aveva individuato il processo
dialettico ontico originario. Ogni ente è potenza diveniente atto,
cioè attualizzantesi. Si è confusa l’esistenzialità
con
l’attualità, ciò che esiste solo hic
et nunc. Il
nascondimento è un processo necessario all’ente. Tutte le prove di
esistenza non tengono conto così dell’essere generale, ciò che
esiste prima. Il principio logico, storico, il fondamento su cui si
costruiscono le strutture del reale. Il campo è un ente
generalissimo, il seminatore è un ente personale che eccede l’ente
stesso, un Is,
o Quis (come
in Bruno). I semi sono gli enti potenziali che si possono sviluppare
secondo il loro modus
operandi, o
essendi.
Così come quidquid
percipitur admodum percipienti percipitur,
così ogni ente è al suo modo di essere. Secondo Rosmini l’idea di
essere fonda ogni nostra conoscenza: «Pigliate qualunque oggetto vi
piaccia, cavate da lui coll’astrazione tutte le qualità proprie,
le qualità meno comuni e via via le più comuni, ciò che vi rimarrà
come ultima qualità di tutte sarà l’esistenza: e voi per essa
potrete ancora pensare qualche cosa, penserete un ente». Il
principio di intenzionalità originario si rivolge all’ente comune
(inintentionaliter)
e poi all’essere proprio (secunde
intentionaliter).
La prima intenzionalità si rivolge sempre all’essere
generalissimo, la seconda intenzionalità all’essere finito, o
proprio. Il problema russelliano dell’insieme di tutti gli insiemi
che non è insieme di sé, che riprende poi il paradosso zenoniano
dello spazio dello spazio rimanda all’ente infinito che è un ente
problematico (infinito in potenza ed infinito in atto), cioè a Dio
stesso, il primo ente. Per Rosmini l’essere ideale è la forma
universale e non può derivare dalle sensazioni, né dall’io, né
dall’astrazione, né dalla riflessione, né dall’ente finito, né
dalla creazione, cioè è increata, quindi connaturata alla Deità,
cioè co-originaria. Le stesse categorie apriori kantiane sono idee
di Dio, non si spiegano diversamente, forme logiche ed ontiche pure:
se fossero solo logiche non fonderebbero nessuna realtà. La prima
formola ideale di Gioberti è: l’Ente è necessariamente. Questa è
la prima pura tautologia che costituisce il fondamento dell’Identità,
il principio di identità di Aristotele, primo principio della
logica. Questo principio si applica solo all’ente in sé, ma è
inapplicabile al tempo (principio di ragion sufficiente di Leibniz):
«è la semplice ripetizione del giudizio intuitivo, che lo precede,
lo fonda, lo autorizza». L’essere è la rivelazione di Dio, da cui
anche l’ultimo Heidegger, seppur implicitamente fu folgorato.
L’Essere chiama. Tutto ciò che esiste è una risposta all’ente.
Altrimenti non si spiega nulla. La prima forma, la Forma
formarum è
l’ente comunissimo: esso è la sintesi di tutte le categorie,
logiche ed ontiche. Questo ente comunissimo non può essere ricavato
per via analogica. L’analogia
entis
vale solo per gli enti finiti, non può essere applicata all’ente
infinito. Tutta l’ontoteologia si fonda sull’equivocità tra ente
infinito, o comunissimo, ed ente finito. L’ente generalissimo non è
né può essere un ente finito. È ciò che è, ciò che fonda ogni
ente, ciò per cui, in cui ogni ente è ciò che è: l’id assoluto,
il principio di equivalenza, di eguaglianza univoca che risiede
nell’essere puro. Questo essere è idealissimo, ma è anche
realissimo: se non esistesse, nulla potrebbe sussistere. O
bisognerebbe ammettere il nulla come essere assoluto. Ma anche in
questo caso il nulla sarebbe il pre-ente assoluto. Un non-ente può
darsi solo in via negativa, non positiva, o apofatica. Cioè è
impossibile il nulla catafatico, non quello apofatico: questo è il
vero senso del paradosso di Parmenide. Per queste ragioni la
posizione del realismo detto esagerato del maestro Gugliemo di
Champeaux andrebbe seriamente ripresa in considerazione.
V.
C.