24 dicembre 2023

Buone feste

Insubria chiude per una settimana. In attesa di rileggerci vi auguriamo buone feste! Che sono gioiose e spensierate.


BIANCO

Adoro l'assenza di tinta

della neve, della nebbia.

A occhi bambini, colmare le pupille

seguendone la discesa,

il delicato appoggio.

Il fiato trattenuto quasi e non volerne

disturbare il deposito.

Vorrei che tutto fosse così semplice.

Così puro, così velato e candido.

Che la prima neve zittisse sotto

il suo peso, le voci della guerra;

delle corazze per tener distanti gli altri.

Vorrei che uno spazzaneve

a sbuffo spavaldo,

sotterrasse fino al disgelo

chi shakera le folle

per mantenere quel gradino

di folle potere.

Vorrei uno schermo che celi fra la nebbia

le pantomime patetiche di chi sui social

lotta per difendere idee non sue,

ma inculcate da abili registi.

O forse vorrei solamente restare

seduta, dietro a un vetro.

A guardare il film senza interruzione

della neve che impatta

sulle nostre mostruosità.

 

© Miriam Ballerini

22 dicembre 2023

"GIUSEPPE SOMMARUGA. IL GRANDE PROGETTO DEL LIBERTY DI VARESE" a cura di Vincenzo Capodiferro


"GIUSEPPE SOMMARUGA. IL GRANDE PROGETTO DEL LIBERTY DI VARESE"

Uscito il catalogo con 40 tavole inedite


È fresco di stampa il catalogo "Giuseppe Sommaruga. Il grande progetto del Liberty di Varese. Il corpus delle tavole con 40 inediti. A cura di Alberto Bertoni", edito da Pietro Macchione a Varese. Si tratta di un'opera monumentale, che intende celebrare i capolavori in stile Liberty, progettati dall'architetto milanese Giuseppe Sommaruga (1867-1917) sul territorio della provincia di Varese: dal Grand Hotel Campo dei Fiori alle stazioni dell'antica tranvia, oramai in disuso, che collegava il centro lombardo a Lavena Ponte Tresa. Il catalogo raccoglie tutte le tavole attribuibili a Giuseppe Sommaruga, sia quelle edite, già in possesso, per la maggior parte, dell'Archivio Storico Comunale, sia quelle inedite. È stato curato da Alberto Bertoni, docente di storia dell'arte del Liceo Artistico "Angelo Frattini" di Varese. L'idea di rivalutare Sommaruga era nata cinque anni fa, quando il prof. Gabriele Scazzosi, preso da grande spirito di amore per le arti, affida ad Alberto Bertoni, storico dell'arte, delle tavole progettuali inedite del Sommaruga sul territorio varesino. Le tavole inedite erano state difatti riprese in eliografia dal prof. Gabriele Scazzosi dall'archivio dell'ex ditta De Grandi, curatrice di gran parte dei lavori progettati dal Sommaruga in loco. Il prof. Scazzosi aveva avuto la grande accortezza di ripigliare questo prezioso materiale, che ha dato la possibilità anche di attribuire con certezza molti progetti che erano solo ipoteticamente accordati al grande architetto. Il prof. Bertoni si è fatto carico di curare questo ambizioso piano di lavoro, che ha visto un notevole impegno di ricerca per più di cinque anni. Il volume, per la sua redazione, ha potuto contare su di un valido comitato scientifico, composto da: coordinamento editoriale Renata Castelli, già docente di materie letterarie presso il Liceo Artistico Varesino, la quale tra l'altro è stata Presidente del Museo della Ceramica di Laveno Mombello, nonché Conservatore dei Musei Civici Viggiutesi "E. Butti", direttore scientifico del Museo Flaminio Bertoni, quando l'ente era ancora a Varese, e da anni si è occupata di storia dell'arte, di storia del territorio e dell'industria; dall'architetto Angelo Del Corso; dai docenti Alberto Bertoni e Vincenzo Capodiferro. Il comitato scientifico si è fortemente adoprato non solo per dare al corpus un contributo in termini testuali, ma anche e soprattutto nella ricerca dei fondi necessari alla pubblicazione del lavoro. Molti sono stati gli enti pubblici che hanno sostenuto l'iniziativa, a partire, naturalmente dal Comune di Varese, con il supporto dell'assessore alla cultura, prof. Enzo Laforgia e del sindaco, dott. Davide Galimberti; dall'Ordine degli Architetti della Provincia di Varese, con il supporto del Presidente dott.ssa Elena Brusa Pasquè, dal Comune di Valganna, con il supporto del sindaco dott.ssa Bruna Jardini ed a seguire da altri enti: ANCE Varese; Fondazione del Varesotto; Parco Campo dei Fiori; Italia Nostra, sez. Varese; Associazione Amici Campo dei Fiori.

La prima parte del catalogo contiene una serie di saggi di notevole spessore, redatti da vari autori: Michela Barzi, Pierfrancesco Sacerdoti, Angelo Del Corso, Renata Castelli, A. Bertoni e V. Capodiferro, Piero Mondini, già direttore dell'Archivio Storico Comunale di Varese.

La seconda parte contiene le tavole di tutti i progetti, col commento dell'architetto Valerio Parola, docente di architettura presso il Liceo Artistico di Varese, coadiuvato naturalmente dal prof. Bertoni. Il progetto grafico e la copertina sono stati ideati dalla prof.ssa Rosalia Azzarello. Nel testo sussiste, inoltre, un'interessante antologia fotografica di Marco Introini, che riprende i luoghi Sommarughiani.

Il Liceo Artistico, indirizzo architettura, con alcune classi, tra l'altro, si era interessato ad avviare un PCTO sui capolavori sommarughiani custoditi nel territorio varesino: progetto curato dai docenti di architettura Valerio Parola e Maria Claudia Laratta. Alcuni di questi progetti sono stati riportati nel mio saggio: "Giuseppe Sommaruga (1867-1917). Sublime esegeta dello stile Liberty", uscito quest'estate. In quest'ultimo è riportata anche la relazione su di un'esperienza di PCTO di una classe - indirizzo di architettura - del Liceo Artistico "Angelo Frattini" di Varese, redatta dall'Arch. Prof. Valerio Parola. La classe aveva lavorato sulla progettazione di recupero della stazione di Ghirla, in Valganna, progettata da Sommaruga. I progetti di valorizzazione del sito erano stati resi disponibili dalla prof.ssa Maria Claudia Laratta, che ha collaborato attivamente e con dedizione a quella notevole esperienza.

Tornando indietro al catalogo edito da Macchione, possiamo concludere che veramente si tratta di un'opera bellissima ed importantissima, la quale dà valore all'opera di un nostro grandioso artista ed architetto, uno dei più sublimi interpreti dello stile Liberty italiano. Il presente catalogo si ricollega idealmente all'altro, curato da A. Speziali: "Giuseppe Sommaruga (1867-1917). Un protagonista del liberty. Catalogo della mostra (Varese, 28 maggio-31 luglio 2017. Milano, 22 giugno-25 luglio 2017)", edito da CartaCanta nel 2017, in occasione del centenario della morte di Giuseppe Sommaruga.

Il volume sarà presentato per la prima volta a Valganna, presso il centro Pro Loco, sabato 23 dicembre alle ore 18.00. seguiranno altre presentazioni, in primavera a Varese e presso importanti musei ed istituzioni.

V. C.

20 dicembre 2023

Sherwood Anderson Bottiglie di latte a cura di Marcello Sgarbi


Sherwood Anderson

Bottiglie di latte – (Editore Elliot)


Collana: Lampi

Formato: Brossura

EAN: 9788869936555

Pagine: 61


Di scrittori “prestati” alla pubblicità il panorama mondiale della letteratura ne annovera parecchi. Si va da Francis Scott Fitzgerald – un classico intramontabile – a Don De Lillo, da Salman Rushdie a Kressmann Taylor, di cui vi consiglio la lettura di Destinatario sconosciuto, un autentico gioiellino. Sono tutti autori che prima del loro esordio hanno lavorato come copywriter nelle agenzie di pubblicità.

Se poi vogliamo scomodare un pilastro della prosa e della poesia italiane, c’è da ricordare che il nome dei grandi magazzini La Rinascente è stato creato nientemeno che dal vate Gabriele D’Annunzio.

Fra i tanti scrittori ex pubblicitari merita un richiamo l’americano Sherwood Anderson, un esponente della corrente del modernismo, forse un po’ trascurato rispetto ad altre firme più autorevoli.

Un maestro del racconto breve, che con il suo stile ha influenzato le opere di conterranei della caratura di Hemingway, Faulkner, Steinbeck.

Breve e nello stesso tempo delizioso è Bottiglie di latte, contenuto nell’antologia “L’uomo che diventò donna”, pubblicata nel 1923. Ambientato in un torrido agosto a Chicago, la stessa città in cui Anderson lavorò come copywriter, il racconto ha una doppia valenza autobiografica perché Ed, il suo protagonista, è appunto – per dirlo con una traduzione in italiano – un redattore di testi pubblicitari diviso fra il lavoro in agenzia e l’ambizione di scrittore. Del resto, non è un caso che l’autore abbia scelto di scriverlo in prima persona.

Angustiato dal caldo opprimente, una sera un uomo esce dal suo appartamento e scende per la strada, in cerca di un po’ di frescura. Da quel momento tutto il racconto si colora di bianco latte, lascio a voi lo scoprire il perché.

Il pezzo di Ed che avevo letto raccontava di una bottiglia a metà piena di latte inacidito, appoggiata su un davanzale alla fioca luce della luna. C’era stata la luna al principio di quella serata d’agosto, una luna nuova, un segno d’oro sottile e curvo nel cielo. Ed ecco quanto era successo al mio amico, il copywriter; me ne resi conto perfettamente, mentre giacevo a letto senza poter dormire, dopo la nostra conversazione.



© Marcello Sgarbi



Premio letterario dedicato a Sergio Belvisi

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19 dicembre 2023

IL PROBLEMA DEL REALISMO IN GUGLIELMO DI CHAMPEAUX (1070-1121) a cura di Vincenzo Capodiferro

 


IL PROBLEMA DEL REALISMO IN GUGLIELMO DI CHAMPEAUX (1070-1121)


Il problema del realismo in Guglielmo di Champeaux (1070-1121) non è un problema banale. Già era stato posto dai Greci ed ha animato la filosofia medievale e poi oltre è stato più volte ridestato. Eppure quella posizione, ante rem, fu bollata come assurda ed eretica. Fu accettata per tutto il clou del medioevo l’in re, trasposizione dell’aristotelismo di Tommaso d’Aquino, cioè una via di mezzo, fino a finire al post rem, con un altro Guglielmo, di Occam, il quale liquidò tutto il problema abbattendo la metafisica col rasoio.

Le idee sono reali o no? Questo è il grave problema, ripreso dai logicisti dell’Ottocento e del Novecento, da Frege a Russel, da Husserl a Wittgenstein. Le posizioni estremiste (ante rem e post rem) furono in qualche modo escluse in quanto eretiche. La prima conduceva al panteismo dell’ubiquità della sostanza e la seconda al triteismo di Roscellino.

La critica di Abelardo non coglie in pieno però il problema, perché apre la via al concettualismo. Abelardo era stato discepolo sia di Roscellino che di Guglielmo e cercò una via di mezzo trai due, riducendo gli universali a segni linguistici cum fundamento in re. Ma aprì indirettamente quella via che poi porterà pian piano all’atomismo logico neopositivistico e peggio: all’atomismo ontico. La conoscenza viene ridotta solo al particolare: il generale è relegato nella sfera dei limbi celebrali. Nulla di strano che Kant, seguendo questa scia, recluderà gli universali nelle carceri apriori dell’Intelletto puro, un altro fantasma dell’Opera, che non si capisce cosa è effettivamente: né sostanza, né atto, né persona. Un deus ex machina irrisolto che condurrà Fichte all’Egolatria (Tutto è Io). L’inversione della metafisica oggettiva in metafisica soggettiva comincia già agli arbori medievali. Las scienza moderna nasce sul fondamento del nominalismo medievale. Newton applica il rasoio occamista ai fenomeni scientifici. L’atomismo logico era stato previsto già da Platone: le idee atomiche. Ma si può spezzettare la materia logica in atomi e molecole senza considerare la forza, o energia che unisce queste particelle?

L’ente comune viene escluso dalla cognizione già dai tempi di Parmenide, che ebbe tutti contro. Perché non possiamo conoscere l’ente comune? La visione sinottica, o d’insieme, o del tutto, non precede forse quella della parte? Invece ci si ferma a una visione da talpa, miope, che guarda solo le virgole, i punti, i punti e virgola. Alla fine la visione analitica prevale su quella sintetica. Husserl ha dedicato al problema del Tutto e della parte la Terza Ricerca logica. Precisiamo qualche punto: innanzitutto l’ente comune è oggetto di intuizione intellettuale. È un dato assoluto e certo, un dato di senso intellettuale inconfutabile. Perciò Parmenide osservava che essere e pensare coincidono.

Ora se ammettiamo che l’ente comune, cioè generale, e quello comunissimo, o generalissimo, sia solo una nozione intellettuale e non corrisponda a reale è un’assurdità. Questa è una prova ontologica ma rivolta all’ente stesso. L’ente esiste o non esiste. E se non esiste, allora esiste il nulla? Ma in tal caso, cioè se il nulla esiste, allora è già ente.

Ammettere che l’intelletto possa cogliere solo il parziale o la somma di parzialità, o che il generale, o l’universale sia dato dalla somma matematica delle parti è un’assurdità. Gli psicologi della Gestalt stessi ci hanno dimostrato che il tutto è più della somma delle parti. La melodia non è data dalla somma delle singole note, ma da un tutt’uno che non coincide con il particolare. Se suoniamo le note di una melodia ad una certa distanza l’una dall’altra non ci dicono nulla. L’empirismo classico coglie solo un aspetto parziale. Tutta la scienza si è mossa su questa scia. Basta guardare ai paradigmi del mondo kuhniani. La teoria della relatività, ad esempio, è una visione d’insieme. Teoria significa visione. Tale è anche il senso comune di Aristotele e di Reid. La visione sinottica, o generale, o olistica precede sempre quella particolare. Da ciò deriva che la visione sintetica precede sempre quella analitica. Così si imposta il problema dell’intelletto agente di Aristotele, variamente risolto dall’illuminazione agostiniana alla sintesi apriori kantiana. L’intelletto non è cieco, non ha bisogno dei paraocchi sensibili o dei fantasmini dell’immaginazione. C’è l’occhio della mente, capace anche di vedere nel sensibile, di cogliere l’ecceità (Scoto). Leibniz (les petits perceptions) e Herbart avevano intuito la visione metacognitiva (subconscio). L’occhio mentale vede il particolare nell’universale e non l’universale dal particolare. Non scinde, non prescinde, cioè non divide dall’insieme. La nozione primissima che l’intelletto generale coglie è proprio l’ente purissimo, o ens communis di Guglielmo di Champeaux. Gioberti e Rosmini avevano riconfermato l’ontologia classica. L’ente generalissimo precede tutte le altre nozioni. Enrico di Gand, superando la divisione netta di matrice tomista ed araba (Avicenna) di essenza ed esistenza, aveva riconosciuto anche l’esistenza dell’essenza (ens essentiae). L’ente comune, o latissimus è un reale, non solo un mentale (aprioristico kantiano o aposterioristico che fosse). I generi e le specie sono già in mente Dei. Pur ammettendo l’evoluzionismo, questo in quanto superamento del fissismo delle specie naturali, deve già essere rapportato all’ente comune. Proprio perché c’è un’area di comunanza nell’ente è possibile il passaggio da una specie all’altra. L’ente comune è come l’aria, un’aria spirituale che respiriamo. D'altronde Spirito significa soffio. L’aria non si vede eppure c’è. Il pensiero non si vede, eppure c’è, si sente. Qualcosa o qualcuno per esistere deve prima essere. La scissione o rottura tra essenza ed esistenza ha portato poi a dualismi fuorvianti, come quello kantiano.

Tra l’intelletto e il senso c’è una mente comune che mette insieme i dati di entrambi (come se avessimo due cervelli in uno). Poi c’è la volontà e c’è una facoltà intermedia tra ragione e volontà. Poi c’è il cuore, o intelligenza estetica, o sentimento. Sono istanze non separate. E così è nel mondo dell’essere: non c’è una precisa separazione tra ente comune e ente specifico. L’umanità esiste negli individui, la giustizia nei giusti, la bontà nei buoni, etc. l’ubiquità è un’argomentazione riduttiva. Come dire: l’aria non esiste in ogni posto dove respiriamo? O l’acqua non esiste in tutto l’oceano, o solo in una parte? Come dire: a Venezia esiste l’acqua del mare e non a Napoli. C’è un ente indistinto dall’intelletto stesso, si fonde con esso. Tutto è collegato. Le menti non sono monadi autorecluse in sé. Gli stessi atomi sono collegati dall’energia. Le particelle atomiche sono legate da una forza invisibile. Altrimenti andrebbero per fatti loro. L’antimateria esiste anche se non la vediamo direttamente. Cogito ergo sum: posso partire dall’autocoscienza per giungere all’essere, o partire dall’essere per arrivare alla coscienza assoluta.

Se si ammette un mondo matematico-geometrico perfetto ideale alla husserliana maniera, si deve ammettere una Coscienza assoluta, cosmica, dotata essa stessa di inconscio (Jung). Spesso anche in psicologia si è trascurato l’Io collettivo e come questo influisca su quello singolare. Ci si è fermato solo al singolo, come se il singolo fosse tutto (“malattia mortale” di Kierkegaard). Il singolo è superiore alla specie. Ma da dove avremmo l’idea di singolo se non vi fosse il totum in cui il singolo vive? I socialisti, tra cui Marx avevano evidenziato il ruolo della Società. La Società crea il singolo. La società è un ego comune, cioè un ente comune. La società precede il singolo, come la Polis precede il cittadino e lo Stato precede ogni singolo individuo, da Aristotele ad Hegel.

Essenza ed esistenza sono distinte, ma non separate. C’è stato un salto dall’essere all’avere: ciò che è l’essere e ciò che ha, o possiede l’essere. Ma un essere che sia stato dotato di esistenza, già possiede in sé un ente che potenzialmente può suscitarsi in esistente. Questo è un ente nascosto, ancora latente, che poi, coma dall’oscurità alla luce, spunta, diventa essere pienamente. La ragioni seminali degli Stoici, riprese da Agostino forse ci danno l’idea di questo ens latus. Ciò che è nascosto viene alla luce: questa è anche l’”aletheia” greca, l’uscita fuori, o estasi. L’esistente è un’estasi, un uscir fuori dell’ente da sé. Hegel aveva individuato il processo dialettico ontico originario. Ogni ente è potenza diveniente atto, cioè attualizzantesi. Si è confusa l’esistenzialità con l’attualità, ciò che esiste solo hic et nunc. Il nascondimento è un processo necessario all’ente. Tutte le prove di esistenza non tengono conto così dell’essere generale, ciò che esiste prima. Il principio logico, storico, il fondamento su cui si costruiscono le strutture del reale. Il campo è un ente generalissimo, il seminatore è un ente personale che eccede l’ente stesso, un Is, o Quis (come in Bruno). I semi sono gli enti potenziali che si possono sviluppare secondo il loro modus operandi, o essendi. Così come quidquid percipitur admodum percipienti percipitur, così ogni ente è al suo modo di essere. Secondo Rosmini l’idea di essere fonda ogni nostra conoscenza: «Pigliate qualunque oggetto vi piaccia, cavate da lui coll’astrazione tutte le qualità proprie, le qualità meno comuni e via via le più comuni, ciò che vi rimarrà come ultima qualità di tutte sarà l’esistenza: e voi per essa potrete ancora pensare qualche cosa, penserete un ente». Il principio di intenzionalità originario si rivolge all’ente comune (inintentionaliter) e poi all’essere proprio (secunde intentionaliter). La prima intenzionalità si rivolge sempre all’essere generalissimo, la seconda intenzionalità all’essere finito, o proprio. Il problema russelliano dell’insieme di tutti gli insiemi che non è insieme di sé, che riprende poi il paradosso zenoniano dello spazio dello spazio rimanda all’ente infinito che è un ente problematico (infinito in potenza ed infinito in atto), cioè a Dio stesso, il primo ente. Per Rosmini l’essere ideale è la forma universale e non può derivare dalle sensazioni, né dall’io, né dall’astrazione, né dalla riflessione, né dall’ente finito, né dalla creazione, cioè è increata, quindi connaturata alla Deità, cioè co-originaria. Le stesse categorie apriori kantiane sono idee di Dio, non si spiegano diversamente, forme logiche ed ontiche pure: se fossero solo logiche non fonderebbero nessuna realtà. La prima formola ideale di Gioberti è: l’Ente è necessariamente. Questa è la prima pura tautologia che costituisce il fondamento dell’Identità, il principio di identità di Aristotele, primo principio della logica. Questo principio si applica solo all’ente in sé, ma è inapplicabile al tempo (principio di ragion sufficiente di Leibniz): «è la semplice ripetizione del giudizio intuitivo, che lo precede, lo fonda, lo autorizza». L’essere è la rivelazione di Dio, da cui anche l’ultimo Heidegger, seppur implicitamente fu folgorato. L’Essere chiama. Tutto ciò che esiste è una risposta all’ente. Altrimenti non si spiega nulla. La prima forma, la Forma formarum è l’ente comunissimo: esso è la sintesi di tutte le categorie, logiche ed ontiche. Questo ente comunissimo non può essere ricavato per via analogica. L’analogia entis vale solo per gli enti finiti, non può essere applicata all’ente infinito. Tutta l’ontoteologia si fonda sull’equivocità tra ente infinito, o comunissimo, ed ente finito. L’ente generalissimo non è né può essere un ente finito. È ciò che è, ciò che fonda ogni ente, ciò per cui, in cui ogni ente è ciò che è: l’id assoluto, il principio di equivalenza, di eguaglianza univoca che risiede nell’essere puro. Questo essere è idealissimo, ma è anche realissimo: se non esistesse, nulla potrebbe sussistere. O bisognerebbe ammettere il nulla come essere assoluto. Ma anche in questo caso il nulla sarebbe il pre-ente assoluto. Un non-ente può darsi solo in via negativa, non positiva, o apofatica. Cioè è impossibile il nulla catafatico, non quello apofatico: questo è il vero senso del paradosso di Parmenide. Per queste ragioni la posizione del realismo detto esagerato del maestro Gugliemo di Champeaux andrebbe seriamente ripresa in considerazione.

V. C.

Concerto di Natale a Gallarate (VA)

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18 dicembre 2023

IL REBUS DEL PATTO DI STABILITA’ UE di Antonio Laurenzano


IL REBUS DEL PATTO DI STABILITA’ UE

di Antonio Laurenzano

Alle battute finali il difficile accordo sulla riforma del Patto di stabilità. Si decidono in settimana con un Ecofin straordinario (in videoconferenza) le future regole di bilancio dei Paesi Ue. Una vicenda tormentata che sta segnando fortemente i rapporti fra i 27 Stati membri dell’Unione europea. Ai ministri finanziari, il compito gravoso di trovare una intesa sulla bozza di riforma proposta il 26 aprile scorso dalla Commissione europea con l’obiettivo di evitare che la riduzione del debito pubblico nei Paesi porti a una contrazione degli investimenti e della crescita. E’ un negoziato molto importante: dalla definizione delle nuove regole dipenderà infatti quanto e come i vari Stati potranno spendere in funzione di debito e deficit di bilancio.

Obiettivo del Patto di stabilità e crescita (Stability and Growth Pact), secondo i principi fissati con il Trattato di Maastricht del 1992, era quello di garantire la disciplina di bilancio degli Stati dell’Ue per evitare disavanzi di bilancio o livelli del debito pubblico eccessivi e contribuire così alla stabilità monetaria. Il Patto divenne …di ferro nel 2012 con la firma del “Fiscal compact”, che prevede il pareggio di bilancio di ciascuno Stato, con l’obbligo per i Paesi con debito superiore al 60% del Pil di ridurre il rapporto di almeno un ventesimo all’anno.

A distanza di oltre vent’anni da quando nel 2002 Romano Prodi, allora Presidente della Commissione europea, definì “stupido” il Patto di stabilità varato nel 1997, la Commissione della Presidente Ursula von der Leyen, dopo la sospensione nel marzo 2020 a causa della crisi economica scatenata dalla pandemia con l’attivazione della clausola di salvaguardia, propone per il ripristino del Patto dal primo gennaio 2024 una riforma delle regole di bilancio dell’Ue. Di fronte a sfide e priorità economiche diverse rispetto al passato, regole più credibili e più efficaci, associando al necessario risanamento delle finanze pubbliche un altrettanto necessario sostegno agli investimenti. Un mix di flessibilità e rigore per poter puntare su una crescita economica sostenibile e duratura dell’economia fondata sulla stabilità finanziaria. Per scongiurare il rischio autolesionistico di un ritorno al passato con i vincoli e le ferree misure dell’ortodossia rigorista, con un Patto realisticamente inapplicabile, la proposta di riforma della Commissione europea prevede una riduzione concordata del debito per i Paesi più indebitati e la possibilità di percorsi di recupero più graduali in caso di riforme. Attraverso nuove regole, adattabili alle esigenze dei singoli Paesi, si vuole quindi evitare che la riduzione forzata del debito, priva di flessibilità, porti a una contrazione degli investimenti e della crescita.

La riforma del Patto (da negoziare con il Parlamento europeo) punta ad attribuire una forte titolarità nazionale nell’impegno alla riduzione del debito pubblico. Ogni Stato membro sarà chiamato a preparare piani di aggiustamento credibili e conformi a un nuovo quadro comune europeo basati sulla spesa pubblica netta, nei quali dovranno definirsi gli obiettivi di bilancio, le misure per affrontare gli squilibri macroeconomici, le riforme e gli investimenti prioritari. Questi Piani, concordati con la Commissione Ue, della durata di quattro anni estendibile a sette anni, dovranno garantire un aggiustamento annuo di bilancio dello 0,5% del Pil, fino a che il deficit non andrà sotto il 3%, oltre ad assicurare la sostenibilità del debito attraverso un percorso in discesa in modo stabile per almeno dieci anni.

La novità sostanziale del nuovo Patto disegnato a Bruxelles sta dunque nel fatto che non saranno più previste regole fisse valide per tutti gli Stati membri. Sul debito la proposta di riforma prevede la cancellazione della contestatissima regola precedente relativa al taglio del debito di un ventesimo all’anno per i Paesi fuori dai parametri nel rapporto debito/Pil. Dovrebbe invece restare il vincolo del rapporto deficit/Pil al 3%. Una proposta di riforma che, nel promuovere un approccio più politico e di mediazione e meno vessatorio, è considerata un compromesso abbastanza favorevole per i Paesi “cicala”, quelli più indebitati (Italia, Francia, Spagna). I paesi “rigoristi” (Austria, Germania e Olanda) invocano regole più rigide contro la spesa e il debito pubblico per tenere il bilancio europeo al livello più basso possibile e per una stretta disciplina di bilancio. Una trattativa complessa per una difficile intesa, fra spiragli evocati e scetticismi sbandierati. Un rebus.



Al tavolo del negoziato particolarmente articolata la posizione dell’Italia. La Presidente Meloni, nel ribadire la “logica del pacchetto”, ovvero il legame tra la ratifica del Mes (l’Italia è l’unico Paese dei 27 a non averlo ancora fatto) e le nuove regole di bilancio che governeranno l’Unione, ha chiesto che “gli investimenti incentivati dall’Ue, legati a transizione verde, digitale e difesa, vengano riconosciuti nelle regole della governance”, fuori da ogni valutazione di bilancio. Scorporo degli investimenti relativi al Pnrr da associare allo scorporo degli interessi nel triennio 2025-2027 dal computo del rapporto deficit/Pil. Un macigno quello degli interessi che impatta sul debito (oltre 2800 miliardi di euro) a causa del Superbonus e dello scostamento di bilancio per finanziare le misure antiinflazione sui redditi medio-bassi. “Sul Patto, ha dichiarato la Premier, dobbiamo trovare un equilibrio, dobbiamo tenere aperte tutte le strade finchè non sappiamo qual è il punto di caduta, non possiamo dare l’ok a un Patto che nessun governo potrebbe rispettare”.

La partita è aperta. Auspicabile che falchi e cicale mettano da parte contrasti e pregiudizi per un consenso generale sulla riforma del Patto di stabilità in grado di rafforzare la politica di bilancio e legittimare, attraverso una politica fiscale comune, la governance economica dell’Ue, il suo ruolo nell’economia globale per uno sviluppo sostenibile. “Un Patto, secondo il pensiero di Mario Monti, che sia all’altezza delle grandi sfide che l’Ue deve affrontare: investire nel proprio futuro economico e istituzionale, allestire una politica estera comune e una difesa comune con un adeguato bilancio comunitario”.


15 dicembre 2023

Galleria d'Arte “La Conchiglia” Collettiva di Natale “La Terra” A cura di Marco Salvario

Galleria d'Arte “La Conchiglia”

Collettiva di Natale “La Terra”

A cura di Marco Salvario

La galleria d'arte torinese La Conchiglia festeggerà nel 2024 il proprio sessantesimo compleanno, dimostrandosi sempre ricca di iniziative e attività, ospitando sia opere di artisti affermati, sia dando spazio a giovani scalpitanti.

Nata in via Vanchiglia, trasferitasi nella prestigiosa via Garibaldi, nel 2009 riapre in via Zumaglia, a pochi passi da piazza Rivoli, comodissima per chi, come me, sceglie di raggiungerla usando la metropolitana.

Dal 5 al 21 dicembre 2023, La Conchiglia ospita una mostra collettiva dal tema “La Terra”, una proposta quasi obbligata dopo che in passato erano stati scelti come temi “L'Acqua” e “Il Fuoco”, e che rende probabile in futuro una quarta mostra intitolata “L'Aria”.

L'argomento suggerisce una serie di riflessioni e interpretazioni, che i trenta artisti che hanno deciso di partecipare, hanno saputo affrontare con le proprie diverse sensibilità.

Non posso citare tutti, ma ognuno ha saputo dare un contributo intelligente e prezioso.



Comincio da due personaggi che ho già avuto occasione di segnalare in passato e che ho rincontrato con piacere:

Albino Caramazza utilizza con sempre maggiore abilità per i suoi collage le bustine delle zucchero; la sua opera Mama Africa è una dedica al continente dove è nata l'umanità e alle donne africane, coi loro volti fieri, vigorosi, e i vestiti vivaci e lussuosi.

L'Africa è anche l'anima delle tele di Guido Mannini. Per lui la terra sono gli spazi e la sabbia del deserto, dove l'uomo è una presenza estrema e straniera, ridotta quasi all'ombra che il sole disegna sulle dune infuocate e senza confini. La carovana diventa allegoria del viaggio dell'uomo in una natura di cui è solo un minimo granello.



Poche parole su cinque degli altri partecipanti alla mostra e mi scuso con quelli non citati:

Graffiano i due lavori in tecnica mista su tela della triestina Paola Bradamante, Terra verde e Terra bruciata. L'artista non dipinge l'aspetto esteriore dei propri soggetti, ma ne cerca l'anima, il fluido vitale, la vita. Nella contrapposizione delle due opere, l'agonia del nostro pianeta che noi stessi stiamo uccidendo.

Sotto la neve il pane”, dicevano i nostri vecchi; o il vino, come nei Vigneti imbiancati di Alfredo Ciocca. Una tela che ben si adatta a un concorso natalizio e che dimostra uno guardo attento e sensibile nel catturare in una semplicità solo apparente, il respiro di un mondo addormentato ma che promette un risveglio fecondo.



Nino Sgobba percepisce la terra come il mondo contadino. Terra sono le zolle, il campo arato, l'antica sofferenza del lavoro dei campi. Con Contadini al lavoro e soprattutto con Madre terra, rivive l'amara poesia di un'umanità che si nutre della avara generosità della natura e della fatica degli uomini.

Passi di danza nella luce, agili e leggeri. La figura femminile è sottile e sensuale. Un sogno, forse, oppure un ricordo felice. La vita è bella, ci spiega Elena Ninni, però in quel titolo, lo stesso del film di Benigni, resta sotto inteso un inganno, l'amarezza di un gioco, che si concluderà nella tragedia della realtà.

Fiorella Corte ci presenta La ragazza nel bosco innevato. Ancora la neve e una donna di spalle, che da sola entra nel bosco. Slanciata, la borsetta e gli stivaletti neri, nude le braccia e il polpaccio, una pelliccia bianca sul corsetto rosso, la figura raccoglie in sé suggestioni diversissime. Chi è la donna? Dove conduce il sentiero? Una mia interpretazione è che rappresenti l'umanità che, in allegria e incoscienza, senza guardarsi indietro, sotto l'illusoria difesa di un ombrello giallo, segue una strada pericolosa e forse mortale.


PAROLA DI SCRITTRICE a cura di Miriam Ballerini


PAROLA DI SCRITTRICE

Sono ventuno anni che mi occupo di scrittura.

In tutto questo tempo, come si suol dire, ne ho viste di tutti i colori!

In questi giorni ho avuto modo di ripensare a eventi passati, proprio in seguito a un'ennesima stranezza che mi è capitata di recente.

Siete di certo abituati agli scrittori e giornalisti che passano da un programma televisivo all'altro per pubblicizzare il proprio libro. Non voglio giudicare il metodo che altri usano per fare carriera, semplicemente non lo ritengo adatto a me.

Ho provato anni fa ad andare in tv, almeno quattro volte. In una di queste occasioni ricordo la conduttrice del programma che, fuori onda, litigava con me dandomi addosso, per poi sorridermi amabilmente alla riaccesa della lucina della telecamera! Non è da me riuscire a fingere che non stesse accadendo niente.

Inoltre non condivido l'idea dello scrittore tuttologo che passa il suo tempo alle varie tavole rotonde.

Io preferisco l'approccio più tradizionale: cioè presentare il proprio lavoro al pubblico, rispondendo alle domande e alle curiosità della gente che viene per conoscermi di persona. La stessa che deciderà se il libro possa piacergli abbastanza tanto da acquistarlo, oppure no.

Per fare questo si inviano molteplici richieste alle biblioteche, ai comuni e alle associazioni letterarie, che organizzano questo tipo di eventi.

La maggior parte delle volte ho incontrato persone capaci, volenterose e ben disposte; consapevoli che, qualora accettino di ospitarti, dovranno fare del loro meglio per invogliare il pubblico a partecipare.

Poi ci sono quelli che … boh! Credetemi: è la parola più appropriata che riesco a spremermi!

Per farvi capire vi racconto qualche episodio: Cesano Maderno, un'associazione mi indica giorno e ora della presentazione. Mi presento e trovo un tizio che mi lascia in mano le chiavi, dicendo di chiudere una volta che fossi andata via! Cioè: mi avevano dato la sala, senza fare inviti, pubblicità, il nulla! Anzi, non si erano presentati nemmeno quelli dell'associazione!

A Muggiò è stato anche meglio: m'invitano al ristorante dove tengono le presentazioni e, una volta arrivata, mi concedono solo dieci minuti per parlare del libro. Quindi fanno dire due parole a una pittrice, e poi ci consegnano il conto della pizza che abbiamo pagato a tutti i presenti!

L'ultima esperienza è di pochi giorni fa, a Novara. Dove, mi hanno concesso una sala per la quale ho dovuto firmare un regolamento che manco stessi acquistando un appartamento! Dopodiché il tutto è stato lasciato al caso col risultato che nessuno è venuto alla presentazione, semplicemente perché nessuno lo sapeva.

La domanda che mi nasce spontanea e che mi lampeggia nella testa è: perché?

Perché accettare di ospitare una persona senza avere un minimo rispetto per quest'ultima? Come individuo, ma anche come professionista?

Io mi espongo in prima persona, mi sobbarco il viaggio e tutto quanto ne consegue, senza chiedere nulla. Raramente in Italia mi è stato pagato il gettone che, invece, ad esempio in Svizzera, mi viene sempre versato regolarmente.

Non sarebbe più onesto rispondere alla mia richiesta: non facciamo presentazioni perché non viene nessuno. Oppure: non facciamo presentazioni perché non voglio sprecarmi più di tanto?

È deprimente assistere a delle manifestazioni di superficialità nei confronti di quello che per molti, me compresa, è un lavoro.

Di come la cultura venga sempre relegata in un angolo, presa sotto gamba e come basti, per alcuni, aver concesso una sedia e una scrivania al relatore di turno, pensando che tanto basta.

Non voglio parlare solo per me, ma anche per chi è agli inizi, lo siamo stati tutti, no? O chi è al mio livello, o chi di più.

Per fortuna questi episodi non sono così tanti da farmi desistere, grazie anche a tutti gli amanti della cultura; quelli che non hanno paura di rimboccarsi le maniche per creare eventi ed occasioni di incontro.

Perché sono scambi dove tutti si impara qualcosa e, uscendo dalla biblioteca o da una sala, si possa tornare a casa con tanti spunti di riflessione, contenti di esserci conosciuti.

© Miriam Ballerini

11 dicembre 2023

I CUGINI CASCINI A VIGGIANO CON UNA NUOVA SILLOGE a cura di Vincenzo Capodiferro


I CUGINI CASCINI A VIGGIANO CON UNA NUOVA SILLOGE

L’unicità della Lucania: un approccio fotografico e poetico”


Fresca di stampa è la nuova silloge dei cugini Cascini, Prospero, Preside in pensione, residente a Castelsaraceno, paese del ponte tibetano più lungo del mondo, che collega i due parchi nazionali del Pollino e della Val d’Agri e Valerio, avvocato, residente a Torino, ma originario della Lucania, edita da Monetti, scrittore ed editore di Battipaglia, in prov. di Salerno, il titolo è: “L’unicità della Lucania: un approccio fotografico e poetico”. Come la precedente “Lucanità Saracena”, questa silloge ci offre un condensato di forti momenti emotivi, che si intrecciano in immagini che colgono attimi inattuali, ma eterni, intensi versi in vernacolo, che sgorgano dalla sublime penna di Valerio e in italiano, locus in cui il Preside riporta ai nostri giorni i vivi sentimenti che ci legano a questa terra ancestrale, la Lucania. Come sottolinea il Presidente Cicala: «Gli autori hanno il merito di identificare il territorio col suo linguaggio, alternando, non a caso, italiano e vernacolo… una identità che può essere espressa sulla base del patrimonio culturale che come istituzioni, siamo tenuti a custodire e a valorizzare». L’opera infatti è stata cofinanziata dal Consiglio Regionale di Basilicata. Sarà presentata il 15 dicembre nell’aula magna del Liceo Classico di Viggiano. La scelta di Viggiano è emblematica: centro fiorente della Val d’Agri per le attività estrattive petrolifere, sede antichissima del Santuario regionale di Maria SS. Del Sacro Monte, patrona delle genti lucane. Interverranno le istituzioni: regionali nella persona di Pierluigi Maulella, Amedeo Cicala, sindaco di Viggiano, Serafina Rotondaro, preside del Liceo Classico di Viggiano, Antonietta Pugliese, rappresentante dell’Associazione Planula di Castelsaraceno, l’umanista Michele Mario Grande, il preside Cascini e lo scrittore-editore Salvatore Monetti. Saranno recitate le poesie dagli allievi del Liceo, accompagnate dal maestro Giulio Dammiano, che ha composto anche la sigla della silloge. I cugini Cascini hanno vissuto la primina nel fatidico Cinquantasei, anno della nevicata straordinaria. Anche il cupolone di Roma s’era imbiancato. Ma la neve nel nostro paesello di Castelsaraceno, a circa mille metri di altitudine, incastonato come una perla sull’Appennino Lucano, non mancava mai. I cugini Cascini ci riportano sempre in un tuffo nella loro infanzia, nella Basilicata degli anni Cinquanta. Ogni poeta reca in sé invariabilmente quello che Giovanni Pascoli chiamava il “fanciullino”. È il fanciullino, l’Es di Freud, che parla nella poesia, nell’arte, col suo linguaggio speciale, unico. La tipicità della Lucania si ravvisa soprattutto nelle tradizioni popolari, nelle tracce indelebili dei costumi, della religiosità, ma in maniera sublime e raffinata nel linguaggio, quel linguaggio ricco di cultura orale, che oggi purtroppo si sta man mano perdendo. Ogni paese ha un dialetto diverso, tradizioni diverse. Che ricchezza! Nei paesi del Nord, ove tutto è omologato, non esiste più il dialetto, lo parlano solo gli anziani, che noia! Che tristezza! E poi ogni paese era un teatro a cielo aperto, come la Napoli dei De Filippo e di Totò. C’erano personaggi unici, speciali, anche se analfabeti, genuini, che solo nel dialetto potevano esprimere tutta una ricchezza di espressioni, di risus festaiolo collettivo. Ricordiamo il “De Risu” di Aristotele, cui Eco fa eco in “Il nome della rosa”. Sarà un momento sicuramente importante, indimenticabile per la Lucania.



Prospero Antonio Cascini, dirigente scolastico in pensione da settembre 2016, dopo sessant’anni dalla sua primina (1956), laureato in psicologia, inizia la sua carriera come preside a Oppido Mamertina (RC), successivamente in Basilicata matura esperienze di direzione in vari ordini di scuole. Operatore ed animatore culturale, ha organizzato varie iniziative, tra cui “La giornata del trekking”, le “Saraceniadi”, “Il concerto di Natale”. Tra l’altro in collaborazione con la Scuola Media “Ciro Fontana”, ha curato la mostra e l’annesso opuscolo su “Giovanni Iacovino. Tra pittura e fotografia”, ed. della Cometa, Roma 1996. Ha pubblicato con Monetti, di Battipaglia, “Il Girotondo. Tra primina e buona scuola in Basilicata”; “Lucanità saracena tra poesia e fotografia” nel 2022. Ha ricevuto vari riconoscimenti in Premi e Concorsi culturali.

Valerio Cascini, avvocato, ha lasciato il suo paese d’origine, Castelsaraceno, per trasferirsi a Torino per motivi di lavoro. È autore di diverse sillogi poetiche. Ha ricevuto vari riconoscimenti in Premi e Concorsi culturali, anche in vernacolo, linguaggio che di solito l’autore utilizza nella sua versificazione. Opere: “ U’ pruf’ssore” (2009); “Ereva curaggio” (2010); “Mangiaparole” (2012); “Ti racconterò. Filastrocche per una crescita felice” (2023).


Vincenzo Capodiferro

09 dicembre 2023

Le fotografie di Dorothea Lange testimonianza dei mali interni dell'America. A cura di Marco Salvario

Le fotografie di Dorothea Lange testimonianza dei mali interni dell'America.

A cura di Marco Salvario


La fotografa americana Dorothea Lange nasce in New Jersey nel 1895, figlia di immigrati di origini tedesche. Benché menomata alle gambe da una forma di poliomielite, riesce a farsi notare già giovanissima nel mondo della fotografia e, nel 1918, apre uno studio di ritrattistica a San Francisco. Nel 1920 sposa il pittore Maynard Dixon, di vent'anni più anziano, e da lui ha due figli; divorzia nel 1935 e si risposa con Paul Taylor, che l'accompagnerà nella sua attività, supportandola e condividendone pensieri e iniziative. Nel mondo della fotografia, Dorothea mantiene però il cognome di suo madre, Lange.

Nel 1947 collabora con la nascente agenzia Magnum; nel 1952 è tra i fondatori della rivista Aperture, ancora oggi pubblicata e non solo negli Stati Uniti.

Dopo una lunga malattia, Dorothea muore a San Francisco nel 1965.


Dorothea Lange fa parte del gruppo di fotografi selezionati dal programma governativo degli Stati Uniti F.S.A. (Farm Security Administration), con il compito di documentare la vita delle popolazioni americane colpite da calamità atmosferiche e costrette per sopravvivere ad abbandonare le proprie case e a migrare in altri territori; Dorothea Lange sarà coinvolta dal 1935 fino allo scoppio della seconda guerra mondiale.

La fotografa sarà chiamata successivamente nel 1941 da un altro programma governativo, il W.R.A. (War Relocation Autority), per seguire la deportazione forzata in campi di detenzione di più di centomila cittadini americani di discendenza giapponese, ritenuti dalle autorità una possibile minaccia dopo l'attacco a Pearl Harbor.



Camera, Centro Italiano per la Fotografia, ha organizzato la mostra Dorothea Lange – Racconti di vita e di lavoro, ospitandola nei propri spazi espositivi in Via delle Rosine a Torino, dal 19 Luglio all'8 Ottobre 2023. La mostra comprende circa 200 fotografie dalle esaurienti didascalie, arricchite di pannelli e documenti. Sono immagini che vanno molto oltre la lucida e oggettiva testimonianza, perché sanno esprimere una profonda vicinanza ed empatia con le persone che hanno perso le proprie case, il proprio lavoro, le proprie sicurezze, e sono costrette a cercare, spostandosi altrove, una possibilità di vita e riscatto.

Il fenomeno delle migrazioni è antico quanto la storia dell'umanità ed è spesso causa di problemi come di opportunità.



Nel nostro immaginario di italiani, l'America è stata la Terra promessa che ha spinto molti dei nostri avi a imbarcarsi alla ricerca di un futuro migliore, e ancora lo è, soprattutto per molti sudamericani provenienti da paesi che sono sprofondati in profonde crisi politiche ed economiche. Per troppi, la disillusione è stata ed è grande, ma altri hanno raggiunto una vita dignitosa, qualcuno ha avuto fortuna e oggi quasi tutti fanno parte a pieno di diritto di una nazione, che è ancora la più potente e ricca del mondo.

Da anni l'Italia è, a sua volta, una piccola America per migranti che fuggono dalla povertà, dalle violenze e dalle troppe guerre, ma questo è un altro discorso.

Restando alla mostra, disorienta pensare ad americani che migrano essi stessi all'interno del loro paese, che è nazione di grandi opportunità, ma anche di sfruttamento feroce.

La Lange sa mostrare, senza enfatizzare, rispettandone sempre la dignità, individui che, pur nel dolore, nella fatica, nello scoramento, non si umiliano o arrendono.



Dove la fotografa dà il meglio di sé, è nei ritratti, nei volti dei ragazzi vestiti di stracci, smagriti, che pure trovano un sorriso timido davanti alla novità di essere inquadrati da un obiettivo fotografico; delle madri affrante, stremate, circondate da bambini che non sanno come nutrire o come curare; degli uomini che cercano di mantenere decoro pur attendendo in coda un sussidio governativo o svolgendo duri lavori nei campi come braccianti.

Prima per una lunga, interminabile siccità, che trasformò in deserto milioni di chilometri quadrati di campi coltivati, e dopo per le devastanti alluvioni, sono centinaia di migliaia coloro costretti a spostarsi con le loro famiglie dagli stati aridi come il Kansas, verso terre ricche come la California, ma non per questo ospitali. Molte foto documentano con crudezza il divario enorme tra i ricchi proprietari e i migranti, ridotti a vivere dentro baracche ammucchiate in accampamenti cadenti, umidi, malsani e senza servizi. Allora come oggi.

I più sfruttati, soprattutto negli stati meridionali e nonostante gli sforzi del governo di combattere la discriminazione razziale, sono i lavoratori neri.

Negli scritti della fotografa, si legge non la tristezza per le situazioni di cui è testimone, quanto la sicurezza di potere aiutare queste persone, documentando e facendo conoscere senza retorica la loro condizione. Il lavoro svolto per conto del governo americano, diventa per lei una missione rivolta ad aprire gli occhi e a raggiungere le coscienze di chi, vedendo la realtà stampata su carta, dovrà fare le proprie scelte, sia egli un burocrate, un politico oppure un semplice cittadino.



Ancora più complesso, spesso sgradevole e sgradito, è il lavoro che Dorothea Lange deve svolgere, quando è incaricata di documentare le condizioni dei cittadini di origine giapponese, anche se di cittadinanza americana, deportati in isolati campi di detenzione.

La fotografa dimostra la sua grande tenacia e onestà, lottando contro una burocrazia militare che vuole impedirle di svolgere liberamente il suo lavoro, le impone cosa può e cosa non può fotografare, la boicotta sistematicamente una volta preso atto dei suoi giudizi personali. Le è proibito conservare negativi o copie delle proprie fotografie e dovranno passare molti decenni prima che il suo lavoro, chiuso e sigillato negli archivi governativi, possa diventare di dominio pubblico.

Più che segreti militari, sono sensi profondi di colpa e vergogna, quelli che si è cercato di nascondere e si sarebbe voluto dimenticare.

La Lange mostra ragazzi dagli occhi mandorla che vestono e si comportano come tutti i ragazzi americani: giocano a baseball, leggono fumetti americani, si mettono la mano sul cuore davanti alla bandiera a stelle e strisce. Si sentono americani. Sono americani. Gli anziani, invece, hanno negli occhi la triste rassegnazione orientale, un'eleganza passiva ma non ostile; non giudicano, non si ribellano, non cercano di protestare o capire le assurdità e le ingiustizie che ogni guerra, sempre, porta con sé.

Aspettano che il tempo faccia giustizia del passato, che la nazione che prima li ha accolti e poi emarginati, li accolga nuovamente.


FONTE: "Dorothea Lange: lo sguardo partecipe sui migranti dell’America - OUBLIETTE MAGAZINE"

06 dicembre 2023

City of Gold – Molly Tuttle & The Golden Highway a cura di Claudio Giuffrida


City of Gold – Molly Tuttle & The Golden Highway

21 luglio 2023 – Nonesuch Records


Ancora affascinato dall’ascolto di Crooked tree dello scorso anno che mi fece apprezzare moltissimo l’ensemble di questa bluegrass band, The Golden Highway, con cui Molly ha realizzato più di 100 concerti in un anno, questo secondo loro disco mi sorprende per essere ancora più accattivante e sorprendente: una miscela esplosiva di energia, creatività e virtuosismo che portano nuova freschezza nel linguaggio del bluegrass. 13 brani composti da Molly Tuttle and Ketch Secor, come in gran parte successe per l’album precedente, che spaziano nello stile classico di questo genere musicale ma con canzoni che risultano essere molto efficaci. Croocked tree contribuì molto a lanciare Molly nelle alte sfere del Bluegrass, infatti il disco vinse nella categoria di miglior Bluegrass album al 65° Grammy Award di questo febbraio 2023. Apprezzo molto la formula del loro modo di vestire queste canzoni con i contributi straordinari dei singoli musicisti che si prendono un loro spazio sempre misurato ma di grande gusto ed efficacia, sapendo dosare il loro virtuosismo, in quanto strumentisti di altissimo livello, con la precisa attenzione a non strafare e di essere sempre funzionali alla giusta atmosfera del pezzo. E ci riescono davvero così bene da trasmettere tutto questo grande affiatamento ben visibile soprattutto nei loro concerti live davvero spettacolari. Fa parte di questo stile il suonare “in cerchio”, non a caso molti si ricorderanno il titolo di un classico del country: will the circle be unbroken- il cerchio non sarà interrotto.

La bravissima Molly Tuttle alla voce e alla chitarra acustica (Pre-War vintage replica herringbone dreadnought) è accompagnata da questa band affiatatissima composta da: Bronwyn Keith-Hynes al violino, Dominick Leslie al mandolino, Shelby Means al contrabbasso, e Kyle Tuttle al banjo. Insieme sono un unicum perfetto di armonie vocali, lanciati a turno in efficaci piccoli assoli strumentali con grande sintonia musicale.

Il disco registrato a Nashville è stato prodottto dal grandissimo dobro player Jerry Douglas che partecipa anche in tre brani.

Rispetto all’album precedente Molly ha sviluppato degli arrangiamenti più complessi rispetto agli standard delle jam di bluegrass con sezioni che spesso vanno oltre la tonalità del brano e questo senza nulla togliere all’aspetto attrattivo e seduttivo della loro musica.

Altro aspetto di pregio la grande varietà di atmosfere in questi 13 brani ognuno con una sua precisa anima a partire da El Dorado (city of gold-la città dell’oro) che riferisce degli anni sconvolti dalla corsa all’oro in California, un confronto con l’arricchirsi dei nostri tempi, ognuno con la sua piccola personale corsa all’oro.

”Sono Kate della corsa all’oro dallo Stato Dorato/ con una pepita al collo/ tengo le luci rosse belle accese da qui all’inferno e ritorno/Ho scavato l’argento e l’oro da Boulder fino a Haines/ Ma quando raggiungo i ragazzi di Coloma ho ottenuto il mio pieno appagamento.” (Coloma era la città in California del primo ritrovamento dell’oro). E’ il brano dove tutti i musicisti trovano un loro spazio per spiccare il volo e in particolare il violino di Keith-Hynes sa prendersi tutta la scena.

https://youtu.be/Sn2CHFpksfI?si=NBv0y_xuhzqmCLfF

In alcune canzoni in particolare c’è la precisa volontà da parte degli autori di affrontare temi di impegno come in Down Home Dispensary: una lettera aperta per la legalizzazione della Marijuana che nel Tennessee è ancora illegale e anche San Joaquin che si riferisce alla libera vendita della “Maria” in Californa, con un tributo alla libertà del suo consumo.

“Lasciami nel bagagliaio della macchina, metti quello spinello nella mia bocca, fumiamocene un po' e facciamoci portare a sud, facciamoci un giro a San Jaoquin.” Una train song in perfetto stile bluegrass con violino, banjo e mandolino che producono una cascata di melodie imitando la cadenza del treno.

Goodbye Mary affronta anche in modo tagliente il tema dell’aborto prendendo posizione contro i politici e i movimenti che si oppongono al diritto delle donne di decidere nei riguardi del loro corpo, soprattutto perché nello stato dove Tuttle abita (Tennessee) l’aborto è ancora illegale. La canzone è una storia vera raccontatagli dalla nonna e accaduta ad una sua amica che a seguito di una relazione di violenze rimase incinta.

Alice in the Bluegrass ha a che fare con riferimenti all’Alice nel paese delle meraviglie come gia Molly aveva fatto egregiamente con la sua versione di White rabbit dei Jefferson Airplane.

“E danza tutta la notte con una bottiglia nella sua mano/ persa nel bosco del paese delle meraviglie/ con un violino a forma di fungo velenoso e un mozzicone di sigaretta/Da dove vieni Alice? Perchè te ne vai?.” Anche in questo brano il mandolino, il violino e il banjo si rincorrono in vorticose corse.

https://youtu.be/C90Cyiiz0kw?si=4_3AgzB7xwSRDzTk

Commovente in Yosemite il racconto di un matrimonio finito e ben supportato dalla collaborazione vocale di Dave Matthews.

“Quando ciò che rimane è solo il gas nella bombola, il battistrada sui pneumatici e quello che viene lasciato in banca. Qualche volta la strada (nel senso di un viaggio) è il miglior rimedio, per un amore diventato vecchio prova un nuovo panorama, così quanti altri chilometri per Yosemite?”

Stranger Things mette in pieno risalto la voce cristallina di Molly ed è una canzone raffinata in piena tradizione folk-psichedelico.

https://youtu.be/Ijb23T8GNlo?si=2e_Im7NpgnwLc5f8

Con Where Did All the Wild Things Go (Dove sono finite tutte le creature selvagge?) Molly si schiera contro l’imborghesimento: “Adesso questa città si è addomesticata come un orso nella sua gabbia.” Ottima l’interpretazione vocale di Molly.

Next Rodeo nasce come metafora della vita del musicista dove ogni nuova tappa corrisponde ad una nuova sfida.

When My Race Is Run è una ballata riflessiva sul bisogno umano di appartenere ad una comunità, di rilievo il dialogo fra ta chitarra di Molly e il dobro di Douglas.

Evergreen, OK canzone dal pieno sapore bluegrass e preziosa performance della capacità di dialogo strumentale della band.

Poichè noi siamo selvaggi come una storia del west, noi saltiamo in sella, non cerchiamo di sistemarci, cresciuti forti come gli abeti trasformiamo questo rosso sporco in un sempreverde.”

The First Time I Fell in Love racchiude un potente messaggio per ogni giovane donna che si sente insicura di essere sincera con se stessa e di apprezzarsi per quello che è.

Spesso durante i concerti Molly si toglie la sua parrucca con un gesto, non solo per sensibilizzare nei confronti dell’alopecia areata che l’ha colpita all’età di tre anni, ma per contrastare la diffusa paura irrazionale legata al pensiero di essere giudicati in base a come si appare, un grande insegnamento che le fa molto onore. Infatti ha sempre voluto sostenere la bellezza dell’unicità delle persone e il loro modo di essere diversi indipendentemente dalle apparenze, contro gli stereotipi e la creazione di stigmi, convinta che condividere la sua storia e il dolore di crescere con questa visibile differenza possa aiutare le persone ad accettare se stessi, a comprendere che non c’è niente di sbagliato ad essere un “crooked tree” (un albero storto).

More Like a River,” è una bellissima ballata che rallenta in velocità rispetto agli altri brani e che qui appunto interpreta coraggiosamente senza la sua abituale parrucca.

https://youtu.be/Ow_jqvdC8aA?si=mWfeRga7IWG2zdJV


https://www.giannizuretti.com/articoli/city-of-gold-molly-tuttle-the-golden-highway/


© Claudio Giuffrida

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