Geografia: il concetto di 'spazio vissuto'

  E' un concetto non facile da esprimere quello di 'spazio vissuto' perché comporta una relazione tra ciò che 'esiste' e ciò che viene percepito. Il geografo francese Frémont risolve in maniera brillante la questione riconducendo questa definizione al rapporto tra la geografia e l'arte. Lo spazio vissuto è in fondo, il paesaggio di ognuno, quello che ognuno di noi potrebbe dipingere su tela o scolpire nella pietra: non dunque la realtà oggettiva ma pù semplicemente quella che noi percepiamo e porteremmo a rappresentazione simbolica della nostra realtà se volessimo o se fossimo chiamati a farlo utilizzando gli strumenti a noi più congeniali. Lo spazio vissuto è diverso per ciascuno di noi, ma è condivisibile nell'espressione artistica perché il nostro spazio possiede elementi comuni a quello degli altri.
Non si tratta dunque di uno spazio costituito solo da elementi materiali o, per così dire, 'visibili', perché non è fatto solo di distanze, ma di spazi percepiti diversamente in base alle velocità di spostamento, al valore affettivo o ecologico, anche emotivo, di ciò che incontriamo.
Lo spazio geografico vissuto è dunque 'personale', legato all'immaginario di ognuno, un confine psicologico che noi stessi ci costruiamo fin da bambini a difesa del nostro mondo, diverso da ciò che, volontariamente o meno, ancora non conosciamo: numerosi studi hanno tuttavia messo in evidenza che le variazioni dello spazio vissuto sono, in generale, fortemente influenzate da quattro fattori principali.
L'età ha un rapporto ciclico con lo spazio vissuto, perché quest'ultimo tende ad ampliarsi nel bambino, fino all'età adulta, per poi restringersi in ambiti sempre più limitati nella III età, fino alla morte.
Il sesso è motivo di differenziazione dello spazio vissuto e anche se nelle società moderne questo tipo di differenze si sono di molto attutite, rimangono tuttavia evidenti tracce concrete, soprattutto nelle società più legate alle antiche tradizioni (come quella islamica) di questa differenziazione. Frèmont ne fa intelligentemente una questione di 'sessualità esterna' e quindi di una psicologia rivolta al di fuori nel caso dell'uomo, oppure di 'sessualità interna', femminile. Molto interessante.
Le classi sociali, in senso marxista, sono pure (secondo Frémont, ma non sono d'accordo) un fattore determinante nella possibilità data agli individui di ampliare il proprio spazio vissuto. Per i geografo francese una maggiore disponibilità economica ed esempio è in generale motivo di allargamento della propria percezione geografica.
La cultura, non è difficile ammetterlo, ha un suo ruolo nella questione, ma è stato anche dimostrato che addirittura culture collettive possono porcepire la realtà naturale come qualcosa di completamente diverso le une dalle altre. Interessanti sono stati a questo proposito gli studi condotti negli anni Sessanta da Jean Gallais, il quale ha dimostrato che popolazioni appartenenti a gruppi culturalmente molto distanti fra loro, come ad esempio quelli che abitano il Delta del fiume Niger, possono percepire il territorio da loro tutti abitato in maniera completamente diversa gli uni dagli altri. Il subtrato culturale al quale gli uomini appartengono è dunque fondamentale nella percezione della realtà geografica.
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C'è poi un problema, legato allo studio degli spazi vissuti, ed è quello della loro stabilità. Tanto più uno spazio geografico risulta stabile nel tempo, magari per secoli, tanto più facilmente è studiabile, perché il territorio fisico finisce per omogeneizzarsi con gli usi, i costumi, la psicologia degli individui e dei gruppi. Per questa ragione le società contadine, che hanno un loro lungo vissuto, sono molto più stabili e studiabili in maniera strutturata e semplificata rispetto ai grandi spazi della mobilità metropolitana, i quali non possono essere domati senza l'ausilio di tecniche sofisticate e della cosiddetta geografia quantitativa.
Più difficili ancora da studiare sono gli spazi della marginalità, della gente che non si è integrata nelle civiltà contadine, ma neppure in città: a questi spazi appartengono gli uomini che ancora vivono nelle foreste, o nel Grande Nord artico, ma anche quelli che quotidianamente si imbarcano tra una sponda e l'altra del Mediterraneo, i quali spingono verso un mondo nuovo e la creazione di un nuovo spazio vissuto e condiviso.
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Il concetto di spazio vissuto ha finito anche per riproporre quesiti antichi e mai risolti, fino alla nascita di geografie d'avanguadia come la Humanistic Geography, di origine statunitense, la quale mette l'uomo al centro dell'osservazione geografica. Non esisterebbe dunque una geografia davvero oggettiva, bensì sempre e solo una pecezione geografica da parte dell'individuo.

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Autore: A. di Biase
Fonte: Armand Frémont, "Vi piace le geografia?", Carocci editore
Fonte iconografica da Google: sorgente non più disponibile.
Rev: 31-01-13

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