29 novembre 2021

Angelo Brofferio, poeta e politico di Marco Salvario

 Angelo Brofferio, poeta e politico di Marco Salvario


L'interesse per la figura di Angelo Brofferio mi è stato suscitato da un simpatico pomeriggio organizzato in via Moretta dal Centro Studi Cultura e Società di Torino, durante il quale l'Alfatre Gruppo Teatro ha presentato due tempi brevi di Pier Giorgio Longo, “Angelo Brofferio e il Rinascimento italiano”. La voce narrante era quella di Elena Tondolo, Brofferio che recitava in lingua piemontese era interpretato da Giancarlo Biò e alla chitarra e voce si esibiva Massimo Tonti.

Molti bravi tutti gli interpreti.



Su internet, in particolare sul canale YouTube, è possibile ascoltare alcune delle canzoni scritte da Brofferio; in particolare si può apprezzare l'interpretazione di Gipo Farassino, che sceglie una chiave di lettura intensa, intima, drammatica, persino troppo seria, lasciando in secondo piano la vena amara, popolare e ironica, che invece è stata valorizzata nella rappresentazione dall'Alfatre.



Michelangelo Brofferio nasce nel 1802 a Castelnuovo Calcea (Asti), dove ancora oggi si possono seguire sentieri di meditazione noti come “percorsi brofferiani”; in quegli anni il Piemonte era occupato dalle truppe francesi di Napoleone Bonaparte. Figlio di medici, si fa chiamare Angelo dai primi anni di scuola, perché i compagni lo sbeffeggiavano per la sua poca attitudine al disegno.

Spirito ribelle, attratto giovanissimo dal teatro, studia a Torino filosofia e giurisprudenza. Diciottenne vede già rappresentate e applaudite le sue prime opere, ma si fa notare dalla polizia di Vittorio Emanuele I, che dopo la restaurazione controlla e reprime ogni attività sospetta.

Brofferio viene allontanato dall'università, però molto presto ritorna e si laurea in legge. Comincia a esercitare l'attività di avvocato, ma soprattutto segue la sua ispirazione, componendo nuove opere teatrali e poesie. Viaggia mettendosi in contatto con i vivaci salotti culturali di Milano e Parigi. Le sue opere sono applaudite in tutta Italia; quando però la sua produzione letteraria cerca di essere più impegnata, non sempre raccoglie il consenso sperato.

Antimonarchico e anticlericale, Brofferio aspira ad essere la voce del popolo e si lega agli ambienti massonici.

Nel 1831 è coinvolto in un maldestro tentativo insurrezionale, viene incarcerato e rischia la pena di morte. Il destino vuole che il re Carlo Felice muoia e il suo successore Carlo Alberto gli concede la grazia. Peserà su Brofferio per tutta la vita il sospetto che la clemenza sia legata alla sua denuncia degli altri componenti della congiura.

Il periodo in carcere gli ispira alcune canzoni struggenti come “Mè ritorn” (Il mio ritorno), in cui l'autore saluta le mura della prigione, le serrature, il proprio nome scritto a carbone in un angolo del muro, gli uccelli che cinguettano, il sole che splende dietro le sbarre. Risuona dolce e triste il ritornello: “Bondì, bondì, bondì, guardeme torna sì” (Buondì, buondì, buondì, eccomi di nuovo qui).

Liberato, Brofferio tiene per qualche anno un basso profilo, finché l'atmosfera meno cupa che si respira sotto Carlo Alberto, re che il nostro non ama, e il nascente spirito risorgimentale che si respira a Torino, lo fanno tornare alla vita letteraria, anche se più volte la censura interviene bloccando la pubblicazione o rappresentazione delle sue opere più polemiche.

Una fama crescente gli arriva dalle canzoni in lingua piemontese, vivaci e popolari, feroci contro i potenti e contro il potere, a volte irridenti o libertine come “La marmòta” (La marmotta), ballata della povera campagnola Carlotta, che viene a Torino portando una marmotta per chiedere la carità e finisce vittima di tutti, rimanendo alla fine in lacrime e senza più la sua bestiola.

Molte canzoni hanno al contrario atmosfere dolcissime di poesia e amore, come la romantica “La barchetta”, uno dei cavalli di battaglia del già citato Farassino: “Guarda che bianca luna, guarda che ciel seren” e qui la traduzione non serve.

Nel 1848, anno fondamentale per il risorgimento italiano, Brofferio è eletto deputato e lo resterà fino alla morte, tranne due brevi periodi.

Abile e trascinante oratore, si tiene fuori dai gruppi principali in cui non si riconosce e osteggerà la politica di Cavour, che accusa di volere unire l'Italia senza coinvolgere il popolo.

Gli entusiasmi del '48 sfociano nella prima guerra di indipendenza. Il ritiro dal campo di battaglia prima delle truppe pontificie e dopo di quelle borboniche, le esitazioni del re e dei suoi comandanti, portano i piemontesi alla sconfitta di Custoza e successivamente a quella di Novara.

Carlo Alberto abdica a favore del figlio Vittorio Emanuele II.

Il nuovo re si guadagna il favore dei movimenti patriotici mantenendo lo Statuto emesso dal padre e abolendo con le leggi Siccardi alcuni degli ingiusti privilegi ecclesiastici.

Comincia l'ascesa di Cavour che modernizza l'economia con la costruzione di ferrovie e di canali di irrigazione.

Al nostro Brofferio, Cavour proprio non piace e non capisce l'invio in Crimea di un corpo di spedizione per fare entrare il Piemonte nel grande gioco politico europeo. Attacca Cavour più volte in parlamento, dove le sedute si tengono in piemontese.

Quando però l'alleanza con la Francia di Napoleone III fa rinascere il fermento patriotico, Brofferio è in prima linea e esalta il popolo con canzoni che esprimono la fierezza del Piemonte, ostinato e caparbio, perché si metta alla testa del movimento di unificazione.

La seconda guerra d'indipendenza vede a San Martino e Solferino la vittoria dei franco-piemontesi, mentre in tutta Italia numerosi territori insorgono, chiedendo l'annessione al Piemonte.

Preoccupato, Napoleone III stipula un improvviso armistizio con l'Austria e Vittorio Emanuele lo segue, nonostante l'opposizione dello stesso Cavour, che lo esorta a continuare la guerra e che si dimette sdegnato.

Brofferio è sconfortato. L'Italia che vede nascere non è quella da lui sognata: sono escluse molte regioni come il Veneto e il Lazio mentre si cedono alla Francia Nizza e Savoia, soprattutto manca lo spirito di italianità nel popolo e molti, specialmente nel Sud liberato da Garibaldi, vedono i piemontesi non come liberatori quanto come nuovi occupanti sgraditi e stranieri.

I primi governi italiani non sono all'altezza delle sfide che aspettano il nuovo stato; viene richiamato Cavour, ma la malaria presa da ragazzo nelle risaie ne ha indebolito la salute e il grande politico muore nel 1861.

Brofferio gli sopravvive malinconicamente ancora cinque anni. La sua ultima battaglia è contro lo spostamento della capitale da Torino a Firenze, in un simbolico avvicinamento a Roma; la sua ultima battaglia e l'ultima sconfitta.




Torino dedica a Brofferio un monumento realizzato da Gabriele Ambrosio al lato di piazza Albarello e una via elegante ma molto corta, che unisce corso Re Umberto a via Confienza: meno di cento metri. Se chiedete in giro, nessuno la conosce.

Ad Angelo Brofferio sono dedicate vie in altre città: Milano, Novara, Asti, Moncalieri, Pallanza ecc.


LUNARIO DEI GIORNI DI QUIETE di Guido Davico Bonino a cura di Marcello Sgarbi

 LUNARIO DEI GIORNI DI QUIETE di Guido Davico Bonino


Collana: Einaudi Tascabili

Pagine: 256

Formato: Tascabile

EAN: 9788806147235


Per proporvi questa raccolta di 365 brani di diversi autori che ci accompagnano giorno per giorno con riflessioni su vizi, virtù, ideali e paure della nostra condizione umana, ad alcuni estratti aggiungo solamente due cose. La prima è il testo sul retro del libro: «Il “lunario”, parola cara a Leopardi, designa un itinerario particolare di letture, quelle più intime, che aiutano a ritrovare un equilibrio interiore, letture quindi “esemplari”». La seconda è la prefazione di Claudio Magris, un grande omaggio alla lettura: «La lettura, come l'amicizia, l'amore o anche un solo sguardo sul mare o sui colori della stagione, dovrebbe essere un momento privilegiato di questa possibilità di vivere, di accostarsi all'epifania della vita rivelata da una pagina, che si legge non perché quella pagina serva a un disegno da realizzare, ma perché essa ci fa guardare meglio in faccia il riso o la morte e in essa, sempre uguale e sempre nuova, si può sostare, senza essere febbrilmente assillati dalla smania di partire o di passare ad altro».

I dolori profondi e personali debbono essere silenziosi, perché diventando opere d’arte guariscono. L’esercizio di un talento consola.

(Henri Frédéric Amiel)

Non vedete come sia necessario che esista un mondo di preoccupazioni e di sofferenze, affinché l’intelligenza venga messa alla prova e di essa si faccia un’anima?

(John Keats)

Nelle avversità ci deve confortare moltissimo il pensiero che non si arriva a somme posizioni se non con grandi travagli e pericoli.

(Giovanni Pontano)

© Marcello Sgarbi

27 novembre 2021

I MURI DELL’ EUROPA, UN RITORNO AL PASSATO di Antonio Laurenzano

 


I MURI DELL’ EUROPA, UN RITORNO AL PASSATO

di Antonio Laurenzano

Un dramma umanitario quello che si sta consumando, in un clima di incredulità, al confine tra Bielorussia e Polonia, nel cuore dell’Europa. Da alcuni mesi il governo di Minsk spinge con sempre maggiore pressione migliaia di migranti verso la frontiera polacca, con il raccapricciante obiettivo di alimentare tensioni e pressioni non solo sulla vicina Polonia, ma sull’Unione europea. Un popolo di disperati provenienti dal Medio Oriente, dall’Afghanistan o dalla Siria, viene usato come un’arma, una barbara ritorsione, come risposta della Bielorussia alle sanzioni europee dovute al non riconoscimento della vittoria elettorale di Lukashenko nell’agosto 2020 e del suo regime autoritario, artefice di una dura repressione esercitata senza tregua nei confronti dell’opposizione.

E’ stata creata una rotta migratoria artificiale percorsa da migliaia di migranti che, scortati dalle guardie di frontiera bielorusse, raggiungono il confine con la Polonia, porta d’ingresso dell’Unione europea, con la speranza di una vita migliore. Ma la frontiera polacca è ermeticamente chiusa e protetta con una recinzione di filo spinato a difesa della quale sono stati schierati oltre 12.000 soldati, 4.500 guardie di frontiera, 2.000 agenti di polizia. Varsavia ha proclamato lo stato di emergenza, respingendo i migranti con pratiche contrarie al regolamento di Dublino e al diritto internazionale. In questa striscia di terra di frontiera si sta dipanando una profonda crisi umanitaria, si sta giocando una tragica partita sulla pelle di persone, uomini, donne e bambini, vittime di un gioco politico al massacro: prima illuse dalla Bielorussia e poi umiliate e scacciate da Varsavia. Unico loro torto quello di fuggire dai conflitti e dalla morte e di aver creduto in un futuro diverso. Una vicenda disumana, dai toni aberranti.

Il governo polacco sta di fatto cercando di utilizzare il flusso migratorio dalla Bielorussia in maniera strumentale, non solo per accrescere il consenso politico all’interno del gruppo di Visegrad, ma -erigendosi a paladina dei confini dell’Ue- anche per allentare le forti tensioni con Bruxelles sullo stato di diritto. Superare cioè il profondo solco giurisprudenziale causato dalla recente sentenza della Corte costituzionale polacca che, stabilendo che alcune disposizioni del Trattato sull’Unione europea (Teu) sono illegittime perché incompatibili con la Costituzione della Polonia, ha clamorosamente respinto il primato del diritto comunitario sulla legislazione nazionale. In particolare, secondo i giudici costituzionali polacchi, gli organi dell’Ue, in primis la Corte di giustizia, non dispongono del potere di stabilire come debba essere organizzato il potere giudiziario negli Stati membri dell’Unione. Varsavia ha voluto sfidare la visione sovranazionale dell’Ue che sta alla base del Trattato istitutivo: ”l’Unione è una comunità di valori e di diritto”, si fonda sulla condivisione da parte degli Stati membri degli stessi principi e assetti costituzionali. Lo ha ribadito con una dura presa di posizione la Presidente della Commissione Ue Ursula von der Leyen, sottolineando come lo stato di diritto sia “il collante della democrazia europea”. Per la Polonia, che non ha sospeso l’applicazione della riforma (politica) della magistratura, è stata attivata una procedura d’infrazione, oltre a gravose sanzioni e al congelamento dei fondi comunitari. E’ in atto una guerra istituzionale fra Bruxelles e Varsavia.

E a farne le spese in questa guerra sono i tanti migranti che bussano alle porte dell’Europa per trovare un rifugio sicuro. Ma è buio fondo. Mentre Minsk spinge a destabilizzare l’Ue con una strategia aggressiva ai suoi confini, Varsavia rilancia con particolare sprezzo dei diritti umani, sempre più calpestati e negati, una politica di rigida chiusura a ogni flusso migratorio. E invece di campi profughi costruisce muri. Un muro frontaliero di oltre 200 chilometri, alto quasi sei metri, per fermare, in nome del “superiore interesse nazionale”, tanti disperati. La costruzione del nuovo simbolo delle divisioni nel mondo avrà inizio entro fine anno, costerà 350 milioni di euro. Non è ancora chiaro se la spesa sarà finanziata anche con fondi europei. Sarebbe una vergogna, un segno di brutale solidarietà, indegna dei valori fondanti dell’Europa unita.

Questa crisi, nel mettere a nudo tutte le debolezze dell’Unione europea nell’affrontare il problema migratorio e la sua incapacità per soluzioni condivise, ripropone il problema di sempre: la revisione dei poteri dell’Ue, il suo status giuridico, i suoi rapporti con gli Stati membri. Riscoprire cioè il pensiero di Jean Monnet e il suo “funzionalismo europeista” per il futuro dell’Ue.

26 novembre 2021

Brain Friday di Giulio Marchetti: una provocazione per il Black Friday

 


Brain Friday di Giulio Marchetti: una provocazione per il Black Friday



Tu sei il consumista perfetto. Il sogno di ogni gerarca o funzionario della presente dittatura, che per tenere in piedi le sue mura deliranti ha bisogno che ognuno bruci più di quanto lo scalda, mangi più di quanto lo nutre, illumini più di quanto può vedere, fumi più di quanto può fumare, compri più di quanto lo soddisfa.” – Michele Serra

Lo scrittore e giornalista romano Michele Serra nel suo libro “Gli sdraiati” (Feltrinelli, 2013) ci racconta con l’ironia che lo contraddistingue una società nella quale il conflitto fra vecchi e giovani non esiste. La citazione tratta in apertura tratteggia il “consumista perfetto”: uno che compie più azioni rispetto a quelle necessarie.

Ed è con queste parole che si vuole presentare la nuova opera di digital art di Giulio Marchetti: “Brain Friday” dedicata alla ricorrenza di origine americana del Black Friday. Una sorta di celebrazione che seppur diventata celebre a livello mondiale negli ultimi anni ha le sue origini nel 1924 quando i grandi magazzini Macy’s, per dare avvio allo shopping di Natale, pensarono ad una giornata (l’ultimo venerdì di novembre) con sconti elevati che riuscì a convogliare l’interesse di migliaia di persone. Ci fu l’emulazione successivamente anche da parte di altri magazzini e negozi ma fu solo negli anni ’60 che il fenomeno ebbe un buon successo prima della completa affermazione come evento nazionale americano nel 1980.

Perché venerdì nero? Le ipotesi sono svariate, qualcuno lo associa alla tendenza dei dipendenti di fingere di essere malati per poter accedere agli sconti, oppure al traffico che si creava nelle strade, oppure alle file interminabili di persone davanti ai magazzini, od anche alle frequenti e violente liti per accaparrarsi i prodotti scontati.

Brain Friday”, così come le altre opere di Marchetti, colpisce con ironia ma esilia il sorriso in uno stato di profonda inquietudine. Mentre la maggioranza della popolazione aspetta una giornata di sconti per acquistare prodotti che il più delle volte sono inutili – semplici accessori il cui scopo pare sia colmare il vuoto che si sente nel profondo – l’artista, nel suo angolo di mondo, rimugina e crea, guarda il presente con occhio lucido e traccia in modo preciso ciò che accade: il cervello che si acquista con i saldi nella giornata del venerdì nero.

Giulio Marchetti, oltre ad artista visivo, è anche poeta e questa sua passione per il verso si palesa nelle didascalie che accompagnano ogni sua opera. Ed anche “Brain Friday” non fa eccezione:

Produci, consuma, crepa.

C’è una crepa in questo detto.

C’è una crepa in questo cielo.

È il venerdì nero.

Distingui il falso dal vero!”

Un’esortazione breve che vuole spostare l’attenzione dell’altro nella distinzione tra il falso ed il vero, tra ciò che ci rende realmente “felici” e ciò che invece ci illude di esserlo.

L’artista Giulio Marchetti descrive la sua opera:

L’opera Brain Friday intende sottolineare la nostra tendenza a celebrare supinamente tutte le festività del calendario, in maniera quasi acefala, secondo un flusso consumistico e mediatico che ci impone di mangiare il panettone a Natale e l’uovo di cioccolata a Pasqua, svuotando di significato le feste religiose, o ci impone altresì di mascherarci ad Halloween imparando tali usanze direttamente ad Hollywood.

Nella fattispecie, il Black Friday ci costringe a rincorrere pedissequamente gli sconti, al di là della loro veridicità e al di là dei nostri reali bisogni.

L’opera quindi ci invita a riacquisire il proprio senso critico (cervello), per vivere più consapevolmente i nostri tempi.”


L’autore, Giulio Marchetti, nasce nel 1982 a Roma, ha esordito con “Il sogno della vita” nel 2008. Con Puntoacapo pubblica nel 2010 “Energia del vuoto” con prefazione di Paolo Ruffilli, nel 2012 “La notte oscura”, nel 2014 “Apologia del sublime”. Con Giuliano Ladolfi editore pubblica nel 2015 la raccolta “Ghiaccio nero”.


Con la poesia “A metà”, è stato inoltre selezionato per “Il fiore della poesia italiana” (tomo II – i contemporanei), un ambizioso progetto antologico che raccoglie il meglio della poesia italiana sotto la curatela di autorevoli esperti (Puntoacapo, 2016). Nel 2020 pubblica con la casa editrice Puntoacapo la raccolta “Specchi ciechi” con prefazione di Maria Grazia Calandone, postfazione di Vincenzo Guarracino ed una nota di Riccardo Sinigallia. Diverse sue poesie sono edite in antologie collettive. Della sua poesia si è occupato, fra gli altri, il Prof. Gabriele La Porta, storico conduttore e direttore Rai.


A Natale 2020, Giulio Marchetti pubblica su la Repubblica la prima opera della sua trilogia “Dramazon”, segue per San Valentino 2021 “Modern Heart” ed “Easteria” dedicata alla Pasqua.



Info

Profilo Instagram

https://www.instagram.com/giuliomarchetti_art/

Landing Page Giulio Marchetti

http://giulio-marchettiart.it


Fonte

https://oubliettemagazine.com/2021/11/26/brain-friday-di-giulio-marchetti-una-provocazione-per-il-black-friday/


23 novembre 2021

Ne usciremo migliori di Miriam Ballerini

 


NE USCIREMO MIGLIORI

Mai nessuna frase fu più banale e falsa di questa.                                                                       Ricordate all'inizio della pandemia, proprio là, dietro l'angolo dell'anno 2020?                            Si sprecavano sui social frasi di questo tipo, arcobaleni, incoraggiamenti e vuote speranze. Ebbene, da qualche mese, ormai, sto lì a vedermi nei telegiornali le persone dare il peggio di sé, in manifestazioni violente e farcite di una ignoranza tale che si prova sconforto, così forte da pensare che non ci si risolleverà più da questo bruttissimo momento storico.        Non voglio parlare del resto d'Europa, ma soffermarmi solo sul nostro Paese: penso alla storia, ai momenti bui delle guerre, delle pandemie; o, meglio ancora, agli istanti dove gli italiani non ci pensano un attimo e, di fronte a terremoti e alluvioni, partono lancia in resta ad aiutarsi gli uni con gli altri. Tutto ciò mi riporta all'oggi: a questi due anni di morti, sofferenze, blocchi, lavoro perso. Tempo che se n'è andato e che nessuno ci restituirà.                Ora che stiamo riuscendo a vedere uno spiraglio di luce, dove basterebbe che tutti si sia un poco responsabili, altruisti, uniti; ecco che ci tocca assistere a queste manifestazioni piene di odio verso tutto e tutti. Non andavano bene i lookdown; ma nemmeno le mascherine, figuriamoci il vaccino, per non parlare del green pass.                                                                            Questi signori non fanno altro che scannare tutto e tutti, in nome di balle colossali sparse non su canali scientifici, su giornali accreditati; ma sui social, dove la torta di nonna papera vale quanto lo scritto di un medico che ha salvato tante vite. Ci troviamo di fronte a persone che pretendono di tutto, perché nella loro mente la società è una bella favola piena di diritti e nessun dovere. Dove la libertà, parola sconosciuta dal momento che l'ho sentita pronunciare e associare a ogni cosa; è solo loro. Loro sono gli unici detentori della libertà. Il fatto che anche gli altri debbano averla è un concetto che va al di là di ogni loro comprensione.                            Si sono viste scene disgustose, vergognose, come ad esempio il paragonare il green pass alla stella di David.                                                                                                                                                Di recente ho seguito una trasmissione dove alcuni “pentiti” ammettevano come si faccia a reclutare le persone per creare ad hoc questi teatrini. Aprendo innumerevoli profili e spargendo notizie assolutamente false, sapendo che ci sono molti pesci pronti ad abboccare. Queste persone che scendono in piazza non sanno che sono esche utilizzate per creare dissidi e spaccature. Vengono usate, plasmate, rigirate senza alcun ritegno. Proprio loro che chiedono libertà.                                                                                                                                         I numeri ci dicono che sono una minoranza, ma stanno davvero creando dei movimenti pericolosi e che possono ampliarsi solo in un Paese dove vige la democrazia. Tanto parlano di dittatura che davvero, noi tutti che rispettiamo le regole e gli altri, li vorremmo vedere almeno per una settimana in uno stato dove la democrazia manchi.                                                                 Consapevoli che gli italiani sono ben altro che questi facinorosi, perché chi fa il proprio dovere lo fa con sacrificio e in silenzio, senza urlare, minacciare, rompere, creando disagi; vorrei davvero che alla fine di questa lunga pandemia, che col loro aiuto finirebbe molto prima; ecco, solo allora vorrei poter pronunciare che, finalmente, ne siamo usciti. Se migliori o meno, lo si vedrà solo accanto alla parola fine.


© Miriam Ballerini

22 novembre 2021

TODAY IMAGE LA FUMEUS Stefano Nardi a cura di Maria Marchese

 

          TODAY IMAGE LA FUMEUS Stefano Nardi   

              a cura di Maria Marchese 

 (acrilico su carta intelata, 70x100, 2008)


Con" LA FUMEUSE" , Stefano Nardi approda alla sensatezza di un rigoroso atto vivificante: la sua severa mano infatti ne concreta, sulla terra del senso, un essenziale e celato "addivenire" . 


"Una testa seducente e bella, una testa di donna, voglio dire, è una testa che fa sognare, ma in modo confuso, di voluttà e tristezza insieme; e che implica un’idea di malinconia, di stanchezza, perfino di sazietà" 

(Inno alla bellezza, C. Baudelaire) 


Coinvolto da uno sguardo, rivolto ad un'immagine patinata, l'artista di Castiglione Delle Stiviere vi intuisce immediatamente un necessario abbandono del lieve pensiero e della morbidezza, che possono intridere l'essenza femminea, per dirimela invece addentro un'efficace crasi, sospesa tra "tenebre e luce" . 


"Beltà, il tuo sguardo, infernale e divino, versa, mischisndoli, beneficio e delitto... "


Nasce così la reale visione di un frame erratico di bellezza crudo, peculiare e altresì coinvolgente. 


L'artista ammannisce un diastema estetico, sul cui adombrato letto defigura segni e forma, lumeggiando, invece, decisi spazi, che assumono una forza iconica: lo sguardo viene ivi saziato dalla concezione di un'avvenenza distaccata e contraddistinta da riserbo, colta e espressa nella subitaneità, imposta dal pigmento acrilico. 

L'autore sembra imprimerla in una rada a sé stante, ma, nel contempo, infonderle fattezze che coinvolgono, in maniera corale, l'interesse dell'osservatore. 

Stefano Nardi ne contraddistingue la viva presenza, sposandole la sintesi di oscuri dinamismi, che procedono in maniera armoniosa seppure decisa;  altresì individua e concepisce poi dettagli, che ne sottolineano la natura distaccata e il "fascinoso vizio" . 


L'esperienza femminile acquisisce, tra le sue mani, una pienezza conturbante, la cui intensità si muove latente. 


STEFANO NARDI 

http://stefano-nardi.com/seiten_i/start_i.html


https://instagram.com/stefanonardi.arte?utm_medium=copy_link



"INTERVISTA A STEFANO NARDI" 

a cura di Maria Marchese 

https://www.artandinvestments.com/arte/maria-marchese/intervista-a-stefano-nardi-a-cura-di-maria-marchese/



www.mariamarchesescrittrice.com

Dopo l’ergastolo ostativo, la patente ostativa (ora non più!) a cura di Carmelo Musumeci

 


Dopo l’ergastolo ostativo, la patente ostativa (ora non più!)

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Liguria, definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo accoglie e per l’effetto annulla il diniego di nulla osta al rilascio della patente di guida per Carmelo Musumeci, rappresentato e difeso dagli avvocati Francesco Mazzoni e Daniel Monni

Un po' di storia:

Fui arrestato nel 1991. Nel 1992 fui deportato nell’isola dell’Asinara e sottoposto al regime di tortura del 41 bis. Per ventiquattro anni ho vissuto con la condanna all’ergastolo ostativo, o alla “Pena di Morte Viva” o “Nascosta” come la chiama Papa Francesco. Fino a quando, nel mese di dicembre del 2014, il Tribunale di Sorveglianza di Venezia ha modificato il mio ergastolo ostativo in quello ordinario e così ho iniziato a usufruire di permessi premio. Nel 2016 ho usufruito della semilibertà per svolgere attività di volontariato presso una struttura di accoglienza della Comunità Papa Giovanni XXIII a Bevagna (PG) e nel 2018 mi è stata concessa la liberazione condizionale.

Nel novembre 1990, a seguito dell’applicazione della misura di prevenzione della sorveglianza speciale di pubblica sicurezza, mi era stata revocata la patente di guida.

Nel 2018 il Tribunale di Lucca ha annullato questo provvedimento, con questa motivazione: “In fatto all’elemento ostativo per il rilascio della patente di guida necessaria al Musumeci per raggiungere la Comunità presso cui presta servizio di volontariato, il collegio ritiene che sussistano le condizioni per la revoca delle misure di prevenzione”.

La Comunità Papa Giovanni XXIII, fondata da Don Oreste Benzi, ha spesso fatto presente che l’eventuale rilascio della patente di guida mi darebbe la possibilità di poter prestare l’attività di volontariato in modo più proficuo: “Abbiamo dato disponibilità al suo inserimento nella nostra struttura soprattutto perché necessitiamo spesso di accompagnatori per le persone disabili e di una persona che svolga commissioni all’esterno della sede della comunità. A tutt’oggi non possiamo usufruire di questi servizi da parte di Musumeci perché non in possesso di patente di guida.”

Nonostante tutto questo, la Prefettura di La Spezia mi ha sempre rifiutato il nullaosta per conseguire una nuova patente.

In 27 anni di carcere ho imparato che spesso si vuole che il detenuto, in quanto prigioniero, debba accettare qualsiasi restrizione, anche quelle prive di ragionevolezza e chi non le accetta non può fare altro che soffrire.

Pensavo che fuori le cose sarebbero state diverse, invece poco è cambiato perché mi sto accorgendo che per alcune persone che rappresentano le istituzioni sono ancora, nonostante siano passati oramai 30 anni, l’uomo del reato. Credo che alcune restrizioni, quando non necessarie o datate nel tempo, producano rabbia verso le persone che rappresentano le istituzioni.

Sono sempre stato convinto che sia meglio soffrire e lottare che non fare nulla, perché ad accettare in silenzio qualsiasi tipo di restrizione non necessaria si rischia di diventare persone peggiori, per questo ho fatto ricorso al Tribunale Amministrativo Regionale per la Liguria, che finalmente mi ha dato ragione.

Un grazie di cuore e con il cuore ai bravi avvocati Daniel Monni e Francesco Mazzoni.

Carmelo Musumeci

Novembre 2021


19 novembre 2021

I CINQUE CADAVERI di Robert Bryndza a cura di Miriam Ballerini


 
I CINQUE CADAVERI di Robert Bryndza - Avrebbe tenuto a mente che la luce trionfava sempre sulle tenebre -

© 2020 Newton Compton Editori

ISBN 978-88-227-4776-1 Pag. 374 € 4,90

Bryndza è un autore ormai conosciuto, tradotto in trenta paesi. Ho già letto altri suoi thriller e mi piace molto come scrive e cosa scrive.                                                                                             Nei suoi primi romanzi la protagonista è stata Erika Foster, mentre “I cinque cadaveri”, è il primo capitolo di una serie.                                                                                                                         Il libro inizia dall'autunno del 1995, quando Kate Marshall, detective, sta indagando su alcuni omicidi che vedono coinvolte giovani donne. Torturate, stuprate, uccise e prese a morsi, non esattamente in questo ordine. Al suo fianco il collega Peter Conway con il quale ha avuto una breve relazione.                                                                                                                                         Una sera, dopo avere scoperto un altro cadavere, Peter l'accompagna a casa. Quando lei si trova sola, un indizio, le fa capire che è proprio il suo collega l'assassino.    Lui torna con una scusa nel suo appartamento e cerca di ucciderla. Ma sarà lui ad avere la peggio e ad essere arrestato. Col ventre tagliato, Kate si riprende, ma cambia mestiere.

La storia riprende quindici anni dopo. Da quell'incontro sessuale con Peter, Kate ha avuto un figlio, un ragazzino che sta tirando su sua madre, perché tutta quella storia l'ha fatta cadere nel vizio del bere. Kate è diventata una insegnante. Dapprima è stata assediata dai giornalisti, lei, un boccone troppo appetibile: è colei che ha fatto arrestare il cannibale e ci è pure andata a letto! Ora la sua vita pare tornata a una parvenza di normalità: insegna, ha una casa lontana da Londra, in una città costiera. Tutte le mattine, anche se il mare è freddo, si butta nell'acqua e nuota, quasi rinascendo ogni volta. Ha seguito le sedute degli alcolisti anonimi. Può vedere il figlio che, di tanto in tanto, viene a trovarla e resta un poco con lei. Ma ecco che, la sua vita, viene di nuovo sconvolta da Peter. Due genitori che hanno perso la loro figliola, sono convinti che sia una delle vittime di Conway e la pregano di indagare per trovare almeno il cadavere della loro figliola e darle una degna sepoltura.                                                                                     Kate si fa aiutare da un collaboratore della scuola, il giovane Tristan.

Iniziano degli omicidi fotocopia di quelli del passato. Un nuovo assassino che si firma come “l'ammiratore”, copia i crimini di Peter. Per niente “timido”, fa di tutto per mettersi in contatto con la polizia e con la stessa Kate. Intanto, Peter è in un ospedale psichiatrico, solo la madre può andare a trovarlo e, con lei, hanno escogitato un modo per far entrare e uscire dei bigliettini. Lui, la madre e l'ammiratore, pensano a un piano per farlo fuggire. E ci riescono!

L'atto finale vedrà coinvolta la povera Kate col figlio e, la verità, verrà stesa sulle ultime pagine in un crescendo di suspence. Il figlio di Kate viene a scoprire chi è suo padre, quanto tutto ciò inciderà nel suo futuro?

Kate annuì e sorrise. Era preoccupata per il futuro. Come avrebbe gestito Jake il trauma negli anni a venire? Per il momento era un ragazzino felice che voleva solo andare a mangiare delle patatine fritte. Promise a sé stessa che si sarebbe goduta quella felicità. E avrebbe tenuto a mente che la luce trionfava sempre sulle tenebre”.


© Miriam Ballerini


fonte: "I cinque cadaveri" di Robert Bryndza: la luce trionfa sempre sulle tenebre - OUBLIETTE MAGAZINE

16 novembre 2021

Flashback Edizione 2021 “the free zone / la zona franca” a cura di Marco Salvario

 Flashback

Edizione 2021 “the free zone / la zona franca”

4 - 7 novembre 2021

Ex Caserma Dogali, via Asti 22, Torino

a cura di Marco Salvario


L'elegante e austera caserma Dogali, edificata sul lato destro del fiume Po nel 1888, ha ospitato nel corso dei decenni reggimenti di fanteria, del genio, di bersaglieri ciclisti e, tristemente, nel 1943 della Guardia Nazionale Repubblicana, che la utilizzò per torturare e mandare a morte partigiani e oppositori al regime. Nel dopoguerra divenne sede della Scuola di Applicazione dell’Esercito, poi cadde in uno stato di progressivo abbandono. Ha ospitato nel 2009 i profughi provenienti dalle aree di conflitto dell'Africa e dal 2015 è saltuariamente sede di manifestazioni come Paratissima.

Flashback l’ha scelta per la sua nona edizione, dopo che il Pala Alpitour, sede delle edizioni precedenti, è stato assegnato a un importante evento tennistico.



Flashback si presenta come contenitore di importanti gallerie d’arte operanti in tutto il mondo; una fiera raffinata e preziosa, il cui scopo è presentare capolavori d’arte e fare mercato, offendo tesori unici ad amatori e investitori.

Ogni espositore ha un proprio spazio esclusivo e, attraversando le aree della mostra, il visitatore si trova a viaggiare avanti e indietro nei secoli, affrontando un caos elegante e denso, incontrando opere diverse degli stessi artisti in contesti differenti. Ogni collezione ha il proprio stile, i propri punti di forza, e ogni espositore il proprio gusto e temperamento: chi è professionale, chi estroso, chi emotivo, chi anticonformista, chi decisamente aggressivo e scortese. Per la prima volta in vita mia, mentre scattavo qualche foto, mi sono sentito rimproverare e accusare ad alta voce di “rubare” il lavoro esposto, come se fotografare un'opera le togliesse valore. Quando ho pagato il biglietto all’ingresso, mi ero informato e da nessuna parte c’erano cartelli di divieto.

Capisco che il mondo dell’arte è un mondo difficile, duro e speculativo, che ha sofferto la crisi pandemica non meno di molte altre realtà, dove ci si può arricchire e dove è facile fallire, però l'abitudine sempre più italiana di accusare sta spendendo il proprio tempo e le proprie risorse per dare visibilità e supporto a manifestazioni e iniziative di ogni genere, è un'iniziativa autolesionista.

Se non commenterò la futura edizione di Flashback, la colpa è di un ingiustificabile gallerista che ha screditato con il suo modo di comportarsi, il lavoro suo e di tutti i suoi colleghi.



Tra le tante opere esposte, posando lo sguardo nel passato meno prossimo, ho ammirato con particolare piacere le incisioni di Rembrandt, “Il disegnatore davanti a un busto” (1641) e di Dürer “Cinque lanzichenecchi e un orientale a cavallo” (1495), il bassorilievo di Giacomo del Maino “Natività con adorazione degli Angeli” (circa 1480) e l'olio su rame di Govaerts e van Avont, “Sacra Famiglia con Angeli” (circa 1630), ma questi capolavori sono solo un piccola scelta personale tra le opere presentate.

Ancora più ricca e di eccezionale valore l'offerta di opere del secolo scorso, tanto che mi dispiace non potere andare oltre ad un elenco veloce e incompleto.




Tra le opere di Giorgio de Chirico non posso non segnalare i famosi: “Ettore e Andromaca”, olio su tela; e due “Piazza d'Italia”, oli su tela degli anni 50.

Carlo Carrà: “Ritratto di bambino”, disegno con matita su carta;



Mario Sironi è uno degli artisti rappresentato con più opere. Ne segnalo due: “Ritratto”, disegno con matita su carta; “Pastore”, olio su tela.

Carlo Levi: “Qui nascono”, olio su tela. L'autore riesce a coniugare il valore artistico con quello sociale, denunciando il degrado e la sofferenza pur nella dura fierezza delle popolazioni della Basilicata; lo stesso tema è affrontato nel suo capolavoro letterario “Cristo si è fermato ad Eboli”.



Felice Casorati: “L'incontro con la musica”, bassorilievo in gesso. Un incontro importante quello con la musica per un artista che è stato scenografo di altissimo livello come i già citati de Chirico e Sironi.

Umberto Mastroianni: “Composizione n. 1”, scultura in bronzo.

Fillia (Luigi Colombo): “Valori plastici di oggetti”, olio su tela.

Fortunato Depero: “Tuberie newyorkesi”, matita su carta.



Alberto Savino: “Dea in riva al mare”, penna e pastelli su carta.

Achille Funi: “Studio di statue”, pastelli su cartone.

Medardo Rosso: “Bambino Ebreo”; “Ecce Puer”, cera. Coinvolge intimamente la pienezza esplosiva delle teste di bambino che palpitano di vita. Come non apprezzare la loro pesante solidità, in un mondo dove sempre più ci si precipita a seguire la stoltezza di tante teste piene solo d'aria?


Mi dispiace non dedicare spazio a decine di altre opere e autori come Giacomo Balla, Mario Broglio, Francesco Olivucci, Roberto Melli, Emilio Greco, Edmondo Poletti, Alberto Martini, Ettore Ferrari di cui mi ha entusiasmato la terracotta “Cum Spartaco pugnavit”, Emilio Scanavino, Ettore Tito, Stefano Di Stasio con il suo convincente “Il canto della sirena” realizzato proprio in quest'anno, Lucio Fontana nei cui lucidi ottoni mi sono riflesso, Umberto Boccioni, la fotografa Barbara Prost e tanti altri.


“VINCERE L’AFASIA” di Ercole Lauletta a cura di Vincenzo Capodiferro


VINCERE L’AFASIA”

Un testo avvincente che intreccia il tema delle intolleranze a quello dell’afasia, di Ercole Lauletta.

È uscito alle stampe il libro di Ercole Lauletta - Vincenzo Capodiferro “Vincere l’afasia”, edito da Cavinato di Brescia. Come scrive Giuseppe Domenico Nigro nella prefazione: «Questo libro vuole raccontare la storia di Ercole Lauletta. Ercole è un nostro concittadino, di Castelsaraceno, appartenente ad una storica famiglia, che ha dato i natali ad uno dei personaggi più illustri della nostra storia, che è il sindaco Lauletta Senatro, di cui è stata riportata nel testo una biografia. Ercole per anni ha lavorato nel campo della ricerca scientifica, ed in particolare dell’alimentazione, occupandosi prevalentemente del difficile ambito delle intolleranze alimentari. Ad un certo punto della sua esistenza si è trovato a dover affrontare una spinosa situazione: il 16 gennaio del 2014 si trova a Tirana, in Albania, per tenere un convegno sulle intolleranze alimentari. Si sente male, prende il primo volo per Roma e viene ricoverato al Gemelli. Gli viene diagnosticata una grave trombosi celebrale. È cominciato così il calvario dell’afasia, di cui il Nostro ci parla in questo libro, così toccante».

Il libro racconta la storia di Ercole Lauletta, parte dal suo erleben, dal vissuto originario. È un libro di esperienza che però si ricollega alla memoria storica. La memoria coinvolge i luoghi di appartenenza: i paesi (Castelsaraceno, Carbone); le città (Potenza, Roma). La seconda parte è dedicata al tema delle intolleranze alimentari, tema cui Ercole si è prodigato per tutta la vita, in collaborazione con insigni esperti medici, quali L. Businco e A. Pelliccia. I vari studi sono stati riportati in sintesi ed anche un riferimento a “Oltre l’evidenza”, testo curato appunto dal Lauletta, insieme a M. C. Ferri, sulle intolleranze alimentari (2007).

Il 16 gennaio del 2014 succede il fatto che stravolgerà tutta la vita di Ercole. Si trova a Tirana, in Albania, per tenere un convegno sulle intolleranze alimentari. Si sente malissimo: una gravissima trombosi celebrale. Viene portato di corsa al Gemelli. Comincia il dramma dell’afasia.

È una condizione subumana: «Parla se hai parole più forti del silenzio, o conserva il silenzio!» (Euripide). L’afasia è un ritorno forzato al silenzio pre-razionale, ma non a quello pre-emozionale. Rimane sempre il linguaggio universale, quello delle faccine darwiniane, che sui cellulari vediamo riprodotte, seppur in termini contemporanei. È da questo linguaggio pre-verbale e non-verbale che bisogna ripartire per recuperare, con la forza della volontà, il linguaggio perduto. È un esercizio di mnemotecnica: recuperare le facoltà che sono state interrotte. Vincere l’afasia è un viaggio bello ed affascinante. È come ritornare bambini e tornare ad apprendere, a capire. Nell’assurdità del dramma si possono cogliere così i germi della positività e del superamento. Vincere l’afasia è una sfida prima di tutto con se stessi. Questo libro vuole allora sensibilizzare su questo forte tema. È scritto da uno che ha subito sulla sua pelle certi traumi. Chi più di costui ne può parlare? I malati di afasia sono sempre più abbandonati a loro stessi. Ci vuole veramente un’opera di sensibilizzazione molto incisiva. A questo problema questo libro certamente, insieme ad altri, vuol concorrere.

C. V. 

IL VITTORIOSO SANDALO: ALESSANDRO PARISI CALCA LA GRANDE STORIA DEL SANNIO E LA DONA ALL’UMANITÀ a cura di Maria Marchese

 IL VITTORIOSO SANDALO: ALESSANDRO PARISI CALCA  LA GRANDE STORIA DEL SANNIO  E LA DONA ALL’UMANITÀ 

Una sfida coinvolge l’uomo, l'aspra terra e la vita: un “giovinetto” la affronta, secoli or sono, con caparbietà e gratitudine, assolvendo la fatica dal proprio greve letto per elevarla a vittorioso incipit esistenziale.

Indova allora in un ferreo e frugale involto la sensatezza del superamento di ogni limes umano e la dona al divino.

Il votivo atto plastico sembra foggiato in una fucina naturale, ove un Maestro ha attinto dal fuoco lavico del Roccamonfina e dalla vorticosa realtà del Volturno l’energia per dilavare la terrea e aspra materia, conferendole una fondamentale significanza: l’opera diviene indi il simbolo di un naturale manufatto artistico.

La piccola preziosità, alta poco più di 11 cm e databile intorno al 460 a.C., è stata ritrovata casualmente tra la fine del 1927 e l’inizio del 1928, e battezzata “IL CORRIDORE DEL MONTE CILA” .

Quel “bronzeo volto” abbraccia oggi le vicende che coinvolgono l’essenza del corridore, del Sannio e di Alessandro Parisi per dirimere un’ennesima impresa: dalla polvere sollevata, calpestando la medesima rada, fiorisce infatti il “sandalo del vincitore” .

Il Maestro di Alife eleva con la propria “penna” il suo amato Sannio: lo libera nello spazio ove l’elemento del senso addiviene dettaglio alchemico.

In tal modo bacia sulla carta un valore assoluto, che seduce la rada terraquea, la parola e le proprie radici, il segno, la storia, la società e il nucleo familiare, la ricerca e il sentimento…



Depone indi tra le umane mani una cifra spagirica (dal greco antico σπάω, spáō, «separare», «dividere», e ἀγείρω, ageiro, «riunire» ) pregevole, le cui trame sono intrise di ironia, competenza, senso civico e unicità.


Profumo di fiori di pruno:

sorge improvviso il sole 

sul sentiero della montagna 

(Basho) 


Con “LA GRANDE STORIA DEL SANNIO A FUMETTI” , Alessandro Parisi cesella la veridicità dei particolari che scandiscono, come necessari attimi addentro l’inesorabile scorrere del tempo, la presenza di quei selvatici fiori di pruno: tra le montagne del Matese, l’autore di Alife li umanizza e lumeggia la loro odorosa storia.



Una vita intera spesa adorando l’ancestrale “casa natìa” e 5 anni di certosino lavoro per delineare i tratti di quel caro volto: ne dirime i cambiamenti attraverso la realizzazione di 36 tavole e numerevoli altri testi, ove vivifica il grembo, i suoi figli e le loro azioni.

Alessandro Parisi compie questa compito con amore totale e totalizzante…

Esso si rivela infatti un atto artistico privilegiato e nel contempo altruistico per sceltezza e semplicità: il suo popolo ha modo infatti di riappropriarsi in maniera profonda della propria veste e poterla mostrare con orgoglio al mondo.

Nel 1946 nasceva Alessandro Parisi, un Hermes (Έρμής) i cui piedi erano carezzati da ali, sospinte da oltre 2500 anni di esperienza ma che, invero, aveva iniziato la propria corsa tra le evoluzioni del Sannio secoli prima…. e ora ci consegna un mirifico messaggio.


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