31 ottobre 2019

Super Mario, la difesa della moneta unica e la stabilità dell’Eurozona di Antonio Laurenzano

Super Mario, la difesa della moneta unica e la stabilità dell’Eurozona
di Antonio Laurenzano

Dopo otto anni Mario Draghi lascia la Banca centrale europea, la massima autorità di politica monetaria dell’Ue, unica istituzione sovranazionale. Nell’Eurotower di Francoforte, alla presidenza della Bce siederà la francese Christine Lagarde, già ai vertici del Fondo monetario internazionale. Esce di scena il difensore dell’Euro la cui politica monetaria espansiva alla guida della Bce ha rappresentato un’ancora di salvezza per la stabilità dell’Eurozona. E questo nonostante l’handicap di partenza, una moneta unica priva della governance politica di un’Europa unita.
Mario Draghi sarà ricordato per il suo forte impegno nel gestire la crisi economica e finanziaria più profonda del dopoguerra, la stessa che ha sconvolto gli equilibri mondiali, generata dallo shock finanziario dei mutui sub-prime scoppiata negli USA nell’autunno del 2008. Una leadership che ha garantito fiducia nella tenuta del sistema, superando non pochi rapporti conflittuali. Sono stati anni particolarmente difficili per l’euro. Sin dai primi mesi del suo insediamento a Francoforte, ”super Mario” si trovò ad affrontare momenti delicatissimi. Negli anni a cavallo tra il 2011 e il 2013 si parlò apertamente di possibile fallimento dell’euro, del crollo dell’Eurozona: 19 Paesi, un Pil di 11mila miliardi di euro, 350 milioni di abitanti. A rischio il progetto politico dell’Unione europea, l’azzeramento di oltre 60 anni di vita comunitaria.
La globalizzazione, l’incertezza della politica economica di Bruxelles e la  speculazione dei mercati sui debiti sovrani di Grecia, Portogallo, Irlanda , Spagna e Italia minarono la stabilità e l’esistenza della moneta unica. In quegli anni si parlava di contagio, di “PIIGS”, di uscita dall’euro dei Paesi in dissesto finanziario, di default di Eurolandia. Il 26 luglio 2012, nel pieno delle turbolenze finanziarie, con Grecia, Irlanda e Portogallo già sottoposte a “bailout” (piano di salvataggio finanziario), Draghi pronuncia il famoso discorso del “whaterver it takes”, l’impegno della Bce a sostenere l’euro “ad ogni costo”, con l’obiettivo di mettere fine all’ondata speculativa sulla tenuta dell’Unione monetaria che rischiava di travolgere i Paesi più deboli, a cominciare dall’Italia. E le sue parole sulla irreversibilità dell’euro contribuirono a proteggere l’Eurozona dalla speculazione e da una drammatica implosione, evitando la marginalizzazione dell’Ue.
In questa ottica, l’azione di Mario Draghi, pur nella consapevolezza che la politica monetaria non può supplire alle incertezze dei governi nazionali sulle politiche fiscali, è legata al taglio dei tassi di interesse fino a portarli in negativo, al piano di rifinanziamento a lungo termine (LTRO) per sostenere la liquidità delle banche in un periodo di sofferenze e di stretta creditizia, allo sblocco del Meccanismo europeo di stabilità (ESM), il Fondo salva-Stati studiato per porre rimedio a crisi debitorie dei Paesi in crisi. Ma la carta vincente della politica monetaria dell’ex Governatore di Bankitalia è stata il “Quantitative easing” con il quale l’Eurotower acquista i titoli di Stato dalle banche, immettendo sul mercato liquidità da destinare al finanziamento di famiglie e imprese, a supporto dei consumi e della crescita. Un’operazione che dal 2015 è quantificabile in oltre 2600 miliardi di euro, pari a quasi il 20% del Pil dell’Ue. Una scelta coraggiosa in un contesto negativo dell’economia europea, il bazooka della Bce aspramente contestato dai Paesi rigoristi del Nord Europa, nonostante le sollecitazioni di riforme strutturali di Draghi ai governi nazionali per mettere in sicurezza i conti pubblici e il futuro delle nuove generazioni.
La sua (pesante) eredità è racchiusa nel messaggio finale lanciato in occasione dell’ultimo direttivo della Bce: “non mollare mai”, in coerenza con quello che è stato il suo dogma di sempre: «Operare con conoscenza, coraggio, umiltà». Una lezione per una idea nuova di Europa, per un salto di qualità delle istituzioni comunitarie a sostegno di un progetto europeo condiviso e di un’adeguata capacità di bilancio dell’Eurozona. A Christine Lagarde il compito di “non disperdere l’azione di un uomo che ha portato molto in alto il sogno europeo, un degno erede dei padri fondatori dell’Europa”. E’ l’appello del Presidente francese Macron alla cerimonia di addio di Draghi, a Francoforte. Per il Presidente Mattarella, il sigillo dello «straordinario impegno al servizio dell’Europa di un grande italiano».

30 ottobre 2019

IN MORTE DELL’ERGASTOLANO MARIO TRUDU a cura di Carmelo Musumeci

IN MORTE DELL’ERGASTOLANO MARIO TRUDU

E Dio s’intenerì e abolì l’ergastolo ostativo creando la morte.

Dopo 41 anni di carcere ostativo Mario è morto senza mai tornare a casa, eppure nel mio cuore e nella mia testa è ancora vivo. Siamo stati insieme 4 anni nel carcere di Spoleto, facevamo insieme l’ora d’aria e mi ricordo ancora le nostre chiacchierate:

Mario: L’ergastolo ostativo va persino contro la matematica e l’italiano. La pena perpetua non ti toglie solo la libertà, ti strappa pure il futuro. Ti potrebbero togliere tutto ma non la tua intera vita. Lo Stato si può prendere una parte di futuro, ma non tutto, se vuole essere migliore di un criminale. Questa maledetta pena è disumana perché l’uomo per vivere e morire ha bisogno della speranza che la sua vita un giorno forse sarà diversa. La pena perpetua è un sacrilegio perché anticipa l’inferno sulla terra e la pena eterna senza possibilità di essere modificata è competenza solo di Dio (per chi crede). L’uomo non dovrebbe mai essere considerato cattivo e colpevole per sempre. La giustizia potrebbe, anche se non sono d’accordo, ammazzare un criminale quando è ancora cattivo, ma non dovrebbe più tenerlo in carcere quando è diventato buono. O farlo uscire solo quando baratta la sua libertà con quella di qualcun altro collaborando e usando la giustizia. Se la pena è solo vendetta, sofferenza e odio, come può fare bene o guarire?



Carmelo: Il perdono fa più male della vendetta, il perdono sociale ci costringerebbe a non trovare dentro di noi nessuna giustificazione per quello che abbiamo fatto. Ecco perché converrebbe combattere il male con il bene, col perdono, con una pena equa e rieducativa. La pena dell’ergastolo ostativo ci lascia la vita, ma ci divora la mente, il cuore e l’anima.



Mario: La società italiana non vuole conoscere la verità sulle sue prigioni e ai politici italiani non interessa sapere che le prigioni scoppiano, che i detenuti muoiono, che alcuni si tolgono la vita e che altri crepano psicologicamente. Tutti gli anni in estate i giornali e la televisione ci ricordano di non abbandonare i cani in autostrada, ma non una parola e non una riga dei 64.000 detenuti abbandonati a se stessi e che vivono accatastati uno sopra l’altro. Vivere in questo modo toglie ogni rimorso per quello che si è fatto fuori. I “muri” sono abbastanza alti da permettere di poter far finta di non vedere e udire la disperazione e le grida d’aiuto che vengono da dentro. La Corte dei diritti umani ha da poco condannato il nostro paese, stabilendo che il sovraffollamento in Italia è tortura, ma l’Italia è un paese fuorilegge ed a nessuno importa delle condanne della Corte europea. A nessuno importa sapere che nelle carceri italiani non c’è più spazio per vivere, che vivere uno sopra l’altro è una condanna aggiuntiva, una condanna moltiplicata dal punto di vista fisico, psichico, morale e sanitario, che il carcere in Italia non è solo il luogo dove vanno i delinquenti (anche se quelli veri stanno fuori), ma è soprattutto il rifugio dei ribelli sociali, degli emarginati, dei diseredati, degli emigrati, dei tossicodipendenti, dei figli di un Dio minore.



Carmelo: La pena dell’ergastolo ostativo -senza benefici- opprime la vita, senza ammazzarti, ma negandoti persino una pietosa uccisione. Questa terribile condanna ti toglie tutto, persino la possibilità di morire una volta sola, perché si muore un po’ tutti i giorni. È una morte civile che ti tiene in uno stato di sofferenza insopportabile, perché è crudele fare coincidere la fine della pena con la fine della vita. Una pena che non finisce mai, è una pena disumana.



Mario: Si vive in uno stato d’angoscia tale che molti di noi ormai soffrono di patologie mentali croniche. Dopo anni e anni in costante attesa del nulla e nell’incertezza le nostre menti sono diventate deboli e infantili. Questa condanna è una pena troppo crudele e inumana per non distruggere il migliore, o il peggiore, degli uomini. Molti ergastolani non sono più quelli che erano una volta. Per questo alcuni di noi non capiscono perché devono continuare a scontare una pena che non finisce mai, per reati che non commetterebbero più. Sì, è vero, siamo anche il nostro passato, ma non più solo quello, perché molti di noi non sono più gli stessi. Vivendo per decenni in un tunnel di oscurità e di disperazione gli ergastolani più deboli diventano dei relitti umani e quelli più forti delle bestie feroci.



Carmelo: La pena dell’ergastolo ad un ragazzo di 19 anni serve solo a soddisfare la reazione vendicativa della comunità e delle vittime verso gli autori dei delitti. Questa condanna senza fine è un crimine più crudele di quello che si vuole punire, con la differenza che il primo è un crimine commesso da un adolescente, l’altro è un crimine della giustizia.



Mario: La pena dell’ergastolo è peggio della pena di morte perché è anche più crudele: ammazza una persona tenendola viva chiusa in una cella per sempre. La pena di morte ti toglie solo la vita, la pena dell’ergastolo ti toglie anche l’anima. La pena dell’ergastolo tradisce Dio, le vittime del reato, l’uomo e le sue leggi, in particolare modo l’articolo 27 della Costituzione: “ La pena deve tendere alla rieducazione”, invece la pena dell’ergastolo ti lacera, ti spezza e ti tortura lasciandoti vivo. È la pena più disumana che l’uomo abbia mai creato: né morti, né vivi, solo ergastolani.



Carmelo Musumeci

Ottobre 2019

29 ottobre 2019

Mutatio tempore Mostra di Pietro Campagnoli a cura di Marco Salvario

Mutatio tempore
Mostra di Pietro Campagnoli
a cura di Marco Salvario

Weber & Weber – Via San Tommaso 7, Torino
20 settembre – 26 ottobre 2019


Per ammirare le opere di Pietro Campagnoli, talentuoso artista venticinquenne per il quale la scultura è un mezzo importante per comunicare col prossimo e cercare di condividere sensazioni ed emozioni, sono tornato volentieri a fare visita alle eleganti sale della galleria Weber & Weber.
La mostra “Mutatio tempore” presentava tre statue realizzate in resina epossidica, in pratica modellando coperte bagnate di tale sostanza su corpi o strutture e lasciandole quindi indurire come un calco funebre, e otto opere da parete realizzate in gesso e legno.




Le statue, credo sia corretto descriverle così, malgrado sia rivestimenti aperti e vuoti all’interno, sembrano affrontare senza esserne vinte un vento terribile e tempestoso. Una tempesta di sabbia oppure un uragano, figlio di questo tempo in cui il meteo è impazzito per nostra colpa. “Mutatio tempore”, infatti. Vento che quasi strappa i vestiti dal corpo di queste figure, i cui drappi forse sono una difesa dalla polvere e dall’inquinamento. Sarà questo il nostro futuro? Mummie orgogliosamente dritte e in piedi, tese in una resistenza coraggiosa che però le fa chiudere in se stesse, sole e impossibilitate al dialogo, avvolte in un bianco sudario che solo i giochi di luci e ombre rendono vivo.
Nei locali molto ben illuminati della galleria, il bianco delle statue e i giochi di luci erano valorizzati dal rosso intenso del pavimento mentre le ombre si disegnavano suggestive sulle pareti chiare.



Discorso parallelo si può fare per le opere appese, che tanto ricordano finestre aperte con il vento che, con raffiche violente, sembra volere strappare le tende gonfiandole come le vele di una barca. Attenzione tuttavia, non si tratta di finestre ma di quadri dalla cornice elegante e a volte molto elaborata; quindi non è un evento atmosferico ad agitare l’opera, ma un’energia interna rabbiosa e disperata, che sta scaturendo dall’opera e la apre verso il visitatore. Viene da pensare che l’immagine offerta sia senza colore, proprio perché ogni tinta è stata strappata da questa eruttiva esplosione lasciando solo, dietro di sé, una traccia bloccata nello sguardo dell’artista.


28 ottobre 2019

GORDOLA di Oswaldo Codiga a cura di Miriam Ballerini

GORDOLA di Oswaldo Codiga

Venerdì 25 ottobre, mio marito Aldo Colnago e io, siamo stati invitati come ospiti alla presentazione del libro “Gordola” di Oswaldo Codiga.
Gordola, il paese dove è stato presentato il testo e al quale il libro si riferisce, è un paesino della Valle Verzasca, vicino a Locarno, in Svizzera.
Conosco Oswaldo da parecchi anni, ci siamo incontrati a diversi concorsi di poesia, dove lui, immancabilmente, era sempre tra i premiati per la poesia in dialetto ticinese.
In un'occasione ha tradotto un mio racconto in un testo teatrale che è andato in scena due volte ed è stato registrato come audio dramma. Infatti, Oswaldo, ha dedicato buona parte della sua vita al teatro, altra sua grande passione.
Questa sua ultima fatica è un libro di 311 pagine nel quale ci presenta il suo paese. Lo fa tramite ricerche storiche fatte su libri, internet e, quelle più importanti, attraverso la voce della persone che hanno vissuto momenti particolari e cambiamenti.
Ne esce un ritratto di storia naturale, del com'era e del com'è. Ma troviamo anche i monumenti del paese, le chiese. Il fiume Verzasca e i vari torrenti.
Troviamo ritratti dei vari artisti ancora viventi o che, purtroppo, non ci sono più, ma che in cambio hanno lasciato le loro opere.
Oswaldo non si tira indietro nemmeno quando c'è da criticare pesantemente alcune azioni scriteriate avvenute negli anni. Ad esempio la distruzione di due cappelle del 1700, semplicemente abbattute dalla mano crudele delle ruspe.
A vedere quelle riprese, io che nulla ho a che fare con quel paese, ho avvertito un brivido; non si può abbattere la storia, per nessun fine, tanto meno se questo è solo un fine economico.
Il malessere non deriva dal fatto che siano monumenti religiosi, ma per la loro età, per la memoria che esse mostravano al mondo.
Capisco che si possa pensare che questo saggio sia limitato al territorio per il quale è stato scritto. Anche questo è vero, ma penso possa interessare anche gli amanti della storia, quelle persone che hanno ancora la curiosità di sapere cosa ci fosse prima, chi sia passato da un tal luogo, cosa è accaduto lì, proprio lì dove ora si posano altre mani.
Inoltre ho trovato questa iniziativa un esempio che sia da sprone: tutti i paesi dovrebbero avere qualcuno che si impegni a scriverne, a lasciare ai posteri, non solo l'ardua sentenza, ma soprattutto la testimonianza di cosa sia stato fatto prima di loro.
La copertina è una foto di Aldo Colnago, raffigurante una vecchia sequoia, un po' il simbolo del paese.

© Miriam Ballerini

MARCO ANTONETTI: DA “LUCHINO MIO” A “INSIEME” a cura di Vincenzo Capodiferro

MARCO ANTONETTI: DA “LUCHINO MIO” A “INSIEME”
Una forte esperienza sulla morte nell’espressione letteraria ed amorosa di un padre di famiglia

Marco Antonetti raccoglie in due volumi la testimonianza del cuore per la tragica perdita del figlio Luca, di 26 anni: “Luchino mio”, Varese febbraio 2018, ristampa, e “Insieme”, Varese ottobre 2018. Marco insegna scienze motorie presso il Liceo Artistico di Varese. È un appassionato di arrampicata sportiva. Marco è un uomo profondo. Ancor più profondo è in questa mistica espressione del dolore per la perdita del figlio. Qual dolore più grande può provare un uomo? E una madre? Non sarebbe il caso di discuterne in questa presentazione. Ma noi l’abbiamo voluto fare per partecipare anche noi, in qualche modo, alla croce che l’umanità deve portare. L’umanità deve portare la croce, o vuole o non vuole: è necessaria per la sua salvezza. In questo cammino Dio l’aiuta: perché egli per primo l’ha portata per tutti. E Dio è anche il Cireneo, le pie donne che troviamo sul nostro cammino: è la Veronica che ci asciuga le lacrime. E conserva il velo coi nostri volti sofferenti. Se Leopardi per superare il dolore cosmico, nella “Ginestra”, additava l’alleanza sociale degli uomini contro la madre, l’inesorabile Natura, noi cristiani dobbiamo volentieri metterci a disposizione nel portare sulle spalle, tutti insieme, la grande croce che ci porta al Calvario ed alla resurrezione. Questa croce immensa se portata da tutti, non pesa. Marco esprime la profondità del dolore: De profundis clamavi ad te, Domine; Domine exaudi vocem meam. Fiant aures tuae intendendes in vocem deprecationis meae. Siano le tue orecchie attente alla voce della mia supplica… Emanuela Sonzini così commenta a principio del “Luchino”: «Subito dopo la morte del figlio Luca, marco Antonetti ha sentito la necessità di scrivere ciò che il suo cuore gli dettava… Grazie Marco, “bastardo nella fede” che ci testimoni la ragionevolezza della fede in Dio…».
«Ti hanno già composto nella bara che attende la chiusura… Vorremmo ritardarla, vorremmo starti vicino, vorremmo … ma troppi amici ti attendono in chiesa…». Ecco alcune immagini, molto realistiche, crude, che si ritrovano nel testo. Marco non usa mezzi termini, ecco perché il testo è toccante, è coinvolgente: non puoi fare a meno di provare anche tu il dolore esistenziale, di piangere o ridere, nel ricordo dei momenti brutti, o belli di vita passati. È la pura espressione del sentimento, dell’angoscia della vita. Diremmo: di quella angoscia esistenziale che ha tormentato tanti…: perché viviamo, perché moriamo…? La morte è lo scacco matto, è il paradosso più assoluto. Paradossalmente sia Heidegger che un Sant’Alfonso, nel mirabile libro, che forse oggi si legge poco, o non si legge più - “L’apparecchio alla morte” -, si pongono il lancinante problema dell’essere-per-la-morte. Tutta la vita è una preparazione alla morte, perché la morte non è uno scherzo, ma segna l’ingresso nell’eternità per chi crede e per chi non crede l’ingresso nel “nulla eterno”, come lo definisce il Foscolo nel carme: Forse perché della fatal quiete/ tu sei l’imago… La sera prefigura la morte. La notte però aspetta il giorno: ci sarà un’alba?
«Mi sono posto una domanda: ma io sono veramente certo di Dio e di te in Dio, oppure mi convinco che sia così, nella forzata illusione che altro non potrebbe essere?».
Ecco una domanda sconvolgente che ci pone Marco. Il problema che ci pone è lo stesso che Dio rivolge a Se Stesso: Mio Dio, mio Dio perché mi hai abbandonato? Perché io, Dio, mi sono abbandonato alla morte? Era proprio necessario? Io che sono un Dio eterno, onnipotente, immortale nei secoli dei secoli? Gesù piange per la morte di Lazzaro. Se fossi stato con noi Lazzaro non sarebbe morto! Anche Dio si commuove della morte dei suoi figli, dei suoi amici… Si commuove della morte di Se Stesso: alle tre del pomeriggio il velo del tempio si squarcia, il cielo si oscura… la terra trema. Dio lo fa capire benissimo… il cielo piange la morte del Cristo. Lazzaro viene resuscitato: prefigurazione della morte del Cristo. Ma Lazzaro poi morrà di nuovo… La morte fisica non è un problema, è la morte secunda, il vero problema: saremo vivi o morti per l’eternità? Però a parole è facile: anche la morte prima è difficile da comprendere, è uno scandalo che mette in croce lo stesso Dio! Dio vuole sperimentare questa atroce sofferenza della morte. Marco trova una risposta nella fede: “Luchino mio” è l’immagine della morte, “Insieme” è l’immagine della resurrezione. Forte come la morte è l’amore, tenace come gli inferi è la gelosia, canta il Cantico dei Cantici. Solo l’amore può sconfiggere l’eterna sterminatrice. Anche il Foscolo, che tanto cristiano non era, deve riconoscerlo: Celeste è questa corrispondenza d’amorosi sensi. Amore è a-mors: ciò che è senza morte, ciò che resiste alla morte. Bella è l’immagine del Cristo velato che riporta Marco; nel Cristo velato ricorda il figlio velato: «Obitorio… piano 2 … stanza 7. Sei lì, abbiamo due minuti di tempo, non di più. Il regolamento non prevede visite prima dell’autopsia. La porta si apre, ti vedo, un lenzuolo sul corpo: dalla strada al lettino … così … intoccabile fino a dopo l’esito medico. Il capo girato verso sinistra, ma io entro dalla parte opposta e con il cuore che sembra fermarsi o forse batte all’impazzata, ti vedo e … credo di morire … non è possibile. Il volto pieno di sangue …,» etc. È il volto di Cristo. Siamo tutti dei Cristi … velati. Ma non lo sappiamo. Siamo tutti dei morti viventi e diventeremo dopo la morte dei viventi morti, ma non lo sappiamo ancora. La fede di Marco non è tanto manzoniana. Dinanzi alla morte, umanamente parlando, non c’è nulla da fare. Renzo e Lucia confidavano nella Provvidenza, erano dei vinti che confidavano in Dio. Ma questo, in effetti è un esperimento letterario. In letteratura tutto è possibile, ma nella realtà? Le cose cambiano. Anche Manzoni è passato attraverso il dramma della conversione. E, secondo me, l’Innominato che si converte rappresenta la trasposizione del giovane Alessandro che passa dai Lumi e Cristo, ma questa è solo una mia opinione. I vinti di Verga erano gli sconfitti dalla vita e dalla storia, ma dinanzi a sorella nostra morte corporale, come la declamava Francesco, tutti siamo vinti. Anche i ricchi, i potenti, i re della terra sono impotenti, poveri dinanzi alla morte. Ade è ricco di vite strappate alla Vita. Satana ha scelto l’eterna morte, la tenebra impenetrabile pur di non vedere il Volto dell’Assoluto. La luce venne nelle tenebre, ma le tenebre non l’hanno capita. Il mistero della morte è incomprensibile, è un assurdo stroncante, indicibile. Non ci sono delle risposte, ci sono solo delle domande senza risposta. È l’eterna domanda di Agostino e di Leibniz: si deus est unde malum? Si non est unde bonum? Berdjaev dà una certa risposta: proprio il male è la dimostrazione dell’esistenza di Dio. Quella di Marco non è una fede data per scontato, è una fede critica, coraggiosa, bastarda, come la definisce la Sonzini. È una fede però autentica, perché passa attraverso la ferita della perdita: a te una spada trapasserà il cuore! Anche Maria passa questo momento incomprensibile. È facile credere quando tutto va bene, quando abbiamo la benedizione del Signore, come diceva Calvino: la ricchezza è segno della benedizione del Signore. Ma quando le cose vanno male? È il dramma di Giobbe! È la sfida di Satana: metti alla prova Giobbe! Adesso crede, ma poi vedremo se crederà. Nudo uscii dal seno di mia madre e nudo vi ritornerò. Il Signore ha dato e il Signore ha tolto. La sfida continua sempre: Giobbe è l’umanità. Continua ancor oggi. Nella visione di Leone XIII, il 13 ottobre 1884, Satana ancora sfida Dio su Giobbe. 100 anni: due guerre mondiali, totalitarismi, stermini di massa, bombe atomiche: forse la fede è crollata? Ripetiamo con Agostino: i defunti non sono morti, ma abitano prima di noi nella luce di Dio. La morte è la porta d’ingresso nell’Essere vero. Marco si chiede ancora il senso della felicità: «Se credessi che l’essere felice è realizzare i propri sogni, mi sentirei nell’illusione più grande perché, un secondo dopo aver provato l’esaltazione di questo stato interiore, avrei bisogno di buttarmi su altre realizzazioni per finire nel circolo perverso di un bisogno adrenalinico che va sempre alimentato». Non cadiamo nella logica del pendolo di Schopenhauer: dolore e noia, dolore e noia… tic tac… all’infinito. «La tua morte, Luca non è stata l’ultima opzione per la mia vita; ogni grammo di questa mia sofferenza è dentro il peso di questa croce che non mi abbandona ma che, nell’apparente contraddizione del Mistero che così ha voluto, mi regala l’esperienza della letizia in Dio con cui stai già condividendo il tempo che verrà». La vera felicità non è la soddisfazione momentanea, ma è il riposo in Dio: inquietum est cor nostrum donec requiescat in te (Conf. I,1). Abbiamo ripreso alcuni passi di “Luchino mio” per testimoniare questa autenticità profonda che si respira leggendo questo testo. La vita è un dramma, ma non in senso letterario. La vita è sogno, ma è un sogno un po’ complicato, è un sogno reale, a volte è un incubo. La realtà purtroppo non è fatta sempre solo di rose, ma di spine: sono più spine che rose. La vita è durezza, asperità. È come quelle rocce scoscese che Marco deve scalare, ma ogni uomo è scalatore. Se non si sale nell’alto, si muore. Se ci si ferma a guardare in giù, si è perduti. Non progredi, regredi est. La tua grazia, Signore, vale più della vita. Così ripeteva don Tommaso Latronico, sacerdote di Comunione e Liberazione, morto nel 1993 per una terribile leucemia. E scriveva: «Nell’esperienza dell’uomo tutto passa e finisce. Soprattutto le cose belle (l’infanzia, l’amore …) sono destinate a finire nel rimpianto, nella nostalgia e nel ricordo. C’è solo un’esperienza, che inizia e non finisce, e con il tempo cresce: è l’incontro con Cristo». E ricordiamo Carducci: Pianto antico. Qual è l’… albero a cui tendevi/ la pargoletta mano, se non la croce santa? Anche Carducci si converte … segretamente a quella croce … prima di morire… riceve i sacramenti da un sacerdote travestito da barbiere. È quella croce che ci ricorda ancora Marco, nel discorso d’addio al funerale, richiamando il classico “muor giovane colui che al ciel è caro”: «Sappiamo che se Dio prende con sé un giovane è perché ha bisogno di un angelo che lo aiuti a portare il peso del mondo e tu, Luca, ora sei il nostro angelo. Ti abbiamo ricordato con una foto che ti simboleggia. Sei ritratto con le braccia aperte, e in quell’abbraccio noi ci sentiamo tutti accolti». Luca con le braccia aperte simboleggia una croce vivente. Ogni uomo è croce che vive e se distende le braccia si accorge di essere aperto all’Assoluto, all’Infinito.

Vincenzo Capodiferro

L'ISTITUTO di Stephen King a cura di Miriam Ballerini

L'ISTITUTO di Stephen King
© 2019 Sperling & Kupfer
ISBN 978-88-200-6828-8 Pag. 565 € 21,90

Sulla quarta di copertina troviamo: “King travolge il lettore con una storia di bambini che trionfano sul male come non ne scriveva dai tempi di “IT”. Entrando nella mente dei suoi giovani personaggi, crea un senso di minaccia e di intimità magici … Non c'è nessuna parola di troppo in questo romanzo perfetto, che dimostra ancora una volta perché King è il Re”. Publishers Weekly.
King ha diversi precedenti in fatto di romanzi che trattano di telepatia e telecinesi, mi vengono in mente “Carrie” e“L'incendiaria”. Ma anche “Shining” e “Doctor Sleep”.
Come accenna il P. Weekly, King, spesso, ha trattato anche storie di grandi amicizie, soprattutto tra giovani. Una sorta di “L'unione fa la forza” adolescenziale.
Il suo nuovo lavoro è piuttosto interessante. Tratta di ragazzini che vengono prelevati dalleloro famiglie e introdotti in questo istituto. Qui, medici e operatori senza scrupoli, fanno esperimenti su di loro, trattandoli come vere e proprie cavie da laboratorio.
Laddove ci sia un minimo cenno di rifiuto, ecco che arrivano le percosse, le scariche elettriche, i tentativi di affogamento in una vasca.
Luke Ellis, un ragazzino con un'intelligenza superiore alla norma, dotato di scarse capacità telecinetiche, viene sequestrato. I suoi genitori uccisi.
Si sveglia in una camera assolutamente identica alla sua, solo che, fuori dalla porta, c'è un corridoio, una mensa, dei ragazzini che non conosce.
Comincia a parlare con loro, inevitabile che fra loro nasca l'amicizia, sono tutte vittime della stessa mano.
Qui viene a conoscenza del fatto che loro sono solo nella prima casa. Dopo qualche tempo verranno trasferiti nella seconda casa e poi … chi lo sa cosa succede dopo.
Grazie a un rigurgito di coscienza di una donna delle pulizie, Luke riesce a fuggire; ma non basta per andare a chiedere aiuto e a svelare cosa stia accadendo in quel luogo di cui nessuno sa l'esistenza. I paese limitrofi sono pieni di persone che collaborano con l'istituto. Ci sono spie, delatori veri e propri.
Allora Luke riesce a spingersi più in là e ad arrivare alla stazione di polizia di un piccolo paesino.
Qui trova dei poliziotti che credono alla sua incredibile storia.
Ma per liberare tutti gli altri, saranno i ragazzini ancora prigionieri a dare una mano. Perché, la direttrice dell'istituto, che tanto ambiva ad acuire le loro capacità psichiche, ha davvero fatto un buon lavoro. E sarà proprio tramite la loro forze telepatiche e psicocinetiche che riusciranno nel loro intento.
A tratti tremendo da leggere, quando parla delle punizioni, a tratti claustrofobico, proprio perché King riesce a entrare nella storia e a sviscelarla come deve essere. Una storia ben congegnata.
© Miriam Ballerini

24 ottobre 2019

CONFERENZA EUROPEA SUL FUTURO DELL’EUROPA di Antonio Laurenzano

CONFERENZA EUROPEA SUL FUTURO DELL’EUROPA
                                                      
 di Antonio Laurenzano

In attesa dell’insediamento a Bruxelles della Commissione di Ursula von der Leyen, slittato al 1° dicembre, l’Ue prova a uscire dalla impasse in cui è finita per le molteplici sfide esterne generate dal contesto internazionale (dazi americani, ingerenza russa, pressioni cinesi, flussi migratori, Brexit) e per le forti tensioni interne legate alla conflittualità presente nel Consiglio europeo fra governi “sovranisti” e  governi “unionisti”. Una situazione di grande criticità, un quadro politico incerto all’interno del quale si colloca la proposta di una “Conferenza europea sul futuro dell’Europa” avanzata dal Presidente francese Emmanuel Macron nella sua “Lettera ai cittadini europei” del 4 marzo scorso, da convocarsi entro la fine del 2019. Obiettivo ambizioso: la rifondazione del sistema europeo in linea con le aspettative di partecipazione dei cittadini al cambiamento delle istituzioni per gettare le basi di un consenso condiviso sul progetto europeo.
La Conferenza sarà l’occasione per affrontare alcuni dei problemi sul tappeto: governance, ripartizione delle competenze fra i livelli nazionali ed europeo, creazione di un’autonomia fiscale dell’Uem nel quadro del suo completamento (bilancio federale), piano di sviluppo sostenibile, creazione di un mercato del lavoro europeo(contro il dunping salariale), ruolo dell’Ue nel mondo globalizzato. Uno spazio pubblico da riservare all’incontro fra democrazia rappresentativa (sistemi parlamentari) e democrazia partecipativa (società civile e cittadini) per un dialogo finalizzato al rafforzamento del processo di formazione di una comune identità europea. Sulla base di una dichiarazione interistituzionale (Parlamento, Commissione, Consiglio), la Conferenza, senza sostituirsi al ruolo delle istituzioni, servirà da stimolo al dibattito sul futuro dell’Europa nella prospettiva di un generale consenso sulle scelte politiche. Una costituente per sciogliere i nodi delle debolezze dell’Ue attraverso la riforma dei Trattati e cancellare prerogative e regole (diritto di veto) che bloccano l’integrazione dell’Unione.
Un passaggio particolarmente delicato per il futuro dell’Europa. Lo rileva con puntuali argomentazioni Luisa Trumellini, Segretaria nazionale del Movimento Federalista Europeo (MFE), nell’ultimo numero della rivista politica “Il Federalista”. “Il primo confronto che dovrà aprirsi all’interno della Conferenza sarà innanzitutto politico-culturale, tra le due visioni diverse del mondo e della politica, e quindi dell’Europa. L’Europeismo del XXI secolo ha una visione molto più politica, e punta a superare la limitata prospettiva europea del XX secolo che si è costruita dopo Maastricht e dopo la riunificazione tedesca.” In discussione, secondo la Trumellini, “il concetto del modello che teorizza una politica, intesa in termini decisionali, confinata all’interno dello Stato nazionale per accompagnare il gioco delle forze della libera competizione economica e commerciale sui mercati globali, pur in un quadro di cooperazione tra partner a livello europeo”.
In un mondo globalizzato, in cui arretrano le democrazie e l’apertura dei mercati è messa sotto pressione dalla politica di potenza, l’Europeismo del XXI secolo rivendica un’Europa che diventi un vero soggetto politico, un’istituzione sovrana capace di fare politica, di decidere e di agire. “In questa visione l’Europa rappresenta il solo livello di governo con il quale sarà possibile per i cittadini europei  recuperare il controllo dei processi storici, economici e tecnologici in atto e rilanciare il ruolo della politica, dello Stato e quello dell’identità, propedeutica alla coesione sociale.” Il punto dirimente prioritario da affrontare, secondo il MFE, dovrà essere quello della rifondazione dell’Unione europea su due livelli di integrazione, fondati sulla diversa volontà degli Stati membri di partecipare a un’unione politica sovranazionale che emergerà dal dibattito (“Europa a più velocità”). Un’Unione più stretta tra gli Stati a un centro di gravità politico di natura federale che la rafforzi e la stabilizzi.    
La sovranità europea condivisa e l’interdipendenza delle politiche, economiche e sociali,  devono costituire i pilastri di una governance responsabile e competente, presupposto di ogni progetto unitario di una equilibrata integrazione politica. Dalla Conferenza europea si attende un sussulto di coscienza per evitare che il sogno di un’Europa unita si trasformi miseramente nell’incubo del XXI secolo.


UNA DONNA DEI NOSTRI TEMPI: ALESSANDRA DE SANTIS a cura di Vincenzo Capodiferro

UNA DONNA DEI NOSTRI TEMPI: ALESSANDRA DE SANTIS
Tra “Il bianco, il nero, e un po’… di rosso” e il grigio della piazza che riflette antiche emozioni

Alessandra De Santis ha vissuto la sua infanzia nel paese di Castelsaraceno. Come tutti i giovani del suo tempo ha avuto l’onore di assistere al tramonto della scomparente civiltà contadina, tanto celebrata da Carlo Levi e da tutti coloro che ci ebbero a che fare. Consegua la laurea in storia contemporanea all’Università di Firenze, prosegue gli studi con il master di dirigente dei servizi culturali. Finita l’esperienza a Firenze si traferisce a Roma, dove collabora con il partito dei DS. Lavora poi come funzionario politico del PD. Segue vari corsi di formazione. Nel 2007 si candida alle amministrative con il sindaco Domenico Muscolino e ricopre l’incarico di assessore. Rientra poi a Roma ove continua a lavorare nel partito. In “Il bianco, il nero … e un po’ di rosso”, sua raccolta poetica curata dall’associazione culturale Lucaniart, vi troviamo una strepitosa effusione di un’anima che canta. La realtà è sempre o bianca, o nera, almeno come la vede Alessandra e dentro vi emerge qualche sfumatura di rosso, che indica quella vena, battagliera e rivoluzionaria. Non vi sono gli spazi grigi, ma anche questi si possono ricavare dalle sfumature, dalle zone d’ombra, o di confine, che lo sguardo d’insieme ci offre. Teresa Armenti, la nostra poetessa e cultrice, è stata anche sua insegnante, e così la descrive nel ricordo: «Fin dai tempi della scuola media scorreva in Alessandra De Santis la vena poetica, che si manifestava nei suoi elaborati, sempre originali e creativi, nella contemplazione del paesaggio davanti alla finestra, mentre sorseggiava la tazzina di caffè, nella corrispondenza epistolare con l’artista lucana Maria Padula, che le inviò alcuni scritti inediti di Rocco Scotellaro». Forse proprio la lettura di Scotellaro, il poeta contadino che muore di crepacuore giovanissimo, una delle poche anime rivoluzionarie della nostra terra, dovette incutere nella giovane Alessandra un sentimento arcano di sacra riverenza e una penetrante influenza. Si sente nei suoi versi quello stesso atteggiamento popolare che si notava nelle raccolte di Scotellaro. E lei risponde alla sua maestra, Teresa, nel “Canto di una discente” con un verso che si ripete sempre: «Sento la tua voce in me». «Nei sorrisi che regalo. / Nei dolci che spartisco. / Nelle poesie che narro … / Sento la mia voce in me.». È bello questo sentir la voce della propria maestra in sé. Come non ricordare Agostino? Il “De Magistro”. Il maestro interiore è il Maestro, che ci guida in ogni nostro passo. Comunque la bellezza e la sublimità dell’insegnamento, che è fatto di carne ed ossa, prima che di libri e nozioni, sta proprio in questo sottile e penetrante riconoscimento: sento la tua voce in me! Io ricordo sempre con affetto la mia maestra, Angela Lauletta, la chiamavano “pizzicotta”, perché pizzicava con affetto quando facevamo gli sbagli, i “giovenili errori” di Petrarca. Eppure ho sempre stimato questa donna, anche quando era in pensione, nella sua anzianità. Ed anche ella ha sempre nutrito per noi allievi un riguardo, nel ricordo del rapporto di grandiosa umanità che si celebra tra l’alunno e il maestro. Il tema caro della poesia socialista, che guarda ai deboli della storia, agli ultimi, in Alessandra, la troviamo, ad esempio, in “Naufragi”: «Sepoltura senza nome avranno. / in terra straniera riposeranno / nel silenzio, nell’assenza della misericordia». Il “mare nostrum” diventa la tomba delle genti, diviene di nuovo il mare ostile, come lo era inteso nella storiografia di Henri Pirenne. Il tema sociale è teso, centrale nella denuncia poetica. Alessandra vive fin dall’infanzia una forte esperienza politica nell’ambito del socialismo. Vive in una famiglia numerosa, di ragazzi vivaci. Le battaglie che si facevano nei nostri paesi non erano quelle degli operai e degli industriali dei grossi plessi nordici, ma erano ancora il retaggio delle lotte antiche tra cafoni e galantuomini, tra briganti e borghesi. C’è stata la stagione del socialismo agrario, che ricorda la fulgida esperienza dei Fasci siciliani di inizio secolo, da Crispi, mazziniano, democratico, subito fatti reprimere nel sangue. Forse il giovane Benito Mussolini, che proveniva dall’esperienza intensa del socialismo fu così ammaliato da quella lotta dei Fasci di Sicilia, da riprenderne il nome per il partito fascista. Alessandra è stata sempre una giovane intelligente ed attiva, pur essendo stata portata via fin dalla più tenera età, come tanti giovanissimi, per necessità, a Roma, a Firenze. Così ricorda il paese, la piazza, ove prevale, invece, proprio quel grigio: «Nella piazza grigia, c’è tutta la mia vita: / i miei passi, i miei sorrisi, le mie giornate grigie… Danze sulle pietre grigie … c’è luce che luccica tra le pietre grigie». La luce rifulge anche nel grigio, in un mondo opaco, più senza speranze d’altri tempi, nella società liquida dove l’utopia, come dice Zygmunt Bauman, diventa retrotopia: un guardare indietro. «Non una goccia di sangue versato, / per fare la rivoluzione / si è fatto largo nei miei libri facendo rumore». La rivoluzione sui libri, del socialismo cattedratico, esangue, esanime, non ha più fatto rumore. Non si può fare la rivoluzione sui libri, nel ricordo, la rivoluzione deve diventare un fatto permanente, così come l’avevano, in qualche modo, sognata Lenin e Trockij. Questa è la nostalgia che scorre nel sangue dei giovani e delle donne dei nostri tempi, che sono sempre, ed anche donne di altri tempi.

Vincenzo Capodiferro

23 ottobre 2019

STEFANO GIANNOTTI E' UN GIORNO A PIOMBINO


 
STEFANO GIANNOTTI
 
E' UN GIORNO A PIOMBINO 

Pagine 180 - Euro 12


Dopo PIOMBINO - MEMORIA DI FERRO, una storia di forti emozioni, arriva in libreria E' UN GIORNO A PIOMBINO, un romanzo d'amore sui generis, un antico amore per una donna ma soprattutto l'amore per una città, per un luogo ... Stefano Giannotti con pennellate liriche struggenti vi conduce alla scoperta dei vicoli d'una città di mare, negli angoli più reconditi delle scogliere, alla scoperta del primo amore, alla ricerca di se stesso e di certezze in un mondo che sa solo correre (Gordiano Lupi).
 
IL ROMANZO AGGIUNGE UN NUOVO TASSELLO NARRATIVO AL GRANDE AFFRESCO CHE IL FOGLIO LETTERARIO DA ANNI STA COMPONENDO SU PIOMBINO, ISOLA D'ELBA E VAL DI CORNIA. NONOSTANTE I TENTATIVI DI IMITAZIONE, CHE VENGONO PERSINO DALLA CAPITALE, RESISTIAMO NELLA NOSTRA SPECIFICA VOCAZIONE. QUALCUNO RITIENE CHE OCCUPARSI DEL PROPRIO TERRITORIO E DI UN MONDO PICCOLO (Guareschi docet) CHE CI RIGUARDA SIA SINONIMO DI GUARDARSI L'OMBELICO. NIENTE DI PIU' SBAGLIATO E DI PIU' LONTANO DA QUEL CHE CI PROPONIAMO DI FARE. IL FOGLIO LETTERARIO PORTA PIOMBINO FUORI DALLE SUE MURA, FA CONOSCERE LA CITTA' A TURISTI E OSPITI. E PRESTO FAREMO IL PISA BOOK FESTIVAL, UNA RASSEGNA INTERNAZIONALE CHE CI VEDE PROTAGONISTI DA 17 ANNI. IL NOSTRO CATALOGO ANNOVERA MOLTI TITOLI DI ROMANZI AMBIENTATI A PIOMBINO E DIVERSE OPERE DI STORIA, CUCINA, LEGGENDE ...
Pensò di correre per le strade di Piombino come fosse una tigre, osservando le case nei minimi dettagli, annusando ogni pianta per via, sperando di sentire un vagito simbolo di un neonato che stava per scoprire le bellezze della città. Si rese conto di quanti fossero i portoni o gli angoli che gli ricordavano qualcosa, fosse una donna o un amico, fosse un banale conoscente. Erano strade che andavano dagli occhi al cuore senza passare per la testa, si lasciavano gustare soltanto con i sentimenti.
È un giorno a Piombino che ti nascono desideri troppo spesso sedati, il mare è un ottimo strumento per creare rapporti e amicizie, forse perché ti dà sempre l’impressione di poter fuggire o forse perché pensandolo in tempesta l’unione fa la forza.
  
Stefano Giannotti è nato a Piombino, luogo mai dimenticaro. Ama il mare, leggere Borges e Proust, ascoltare i Beatles e i Genesis, vedere i film di Nolan e Lynch. Ha pubblicato Alla ricerca dell'isola perduta, La biblioteca di Sabbia, Fermento di Falesia e Piombino - memoria di ferro.


22 ottobre 2019

Cile: un incubo venuto dal passato. Di Angelo Ivan Leone

Cile: un incubo venuto dal passato. Di Angelo Ivan Leone


Cosa accade in Cile? Frastornati come siamo dalla misera politica italiana che ci avvolge e si avviluppa nei suoi infinito giochi di potere, strane alchimie e stanche litanie spesso ci pervengono dal resto del mondo solo rumori di sottofondo. Ebbene è giusto che si apri lo squarcio che da l'idea di quanto sta accadendo nel nostro sfortunato Paese fratello sudamericano. Questa è la testimonianza diretta di chi in Cile ci vive "Oggi sono andato in marcia con la mia figlia maggiore e i suoi amici insegnanti, è stato orribile scappare con le pompe per gas lacrimogeni, hanno distrutto i supermercati e ora il Banco Estado, il mio posto di lavoro che è stato per generazioni il sostentamento del Cile non rispetta più nulla .. ... dopo che i capitalisti sono criminali ..."
Se a tutto questo ci aggiungiamo le misure prese dal governo cileno che includono lo stato d'assedio e il coprifuoco, che non si vedevano dai tempi del, certamente non rimpianto, Augusto Pinochet dittatore e macellaio della sua gente, sembra che in Cile si stia iniziando a rivedere in incubo venuto dal passato. Ma a questo incubo i cileni rispondono all'unisono: "No Pasaran!"

NON SVEGLIARTI di Liz Lawler a cura di Miriam Ballerini

NON SVEGLIARTI di Liz Lawler
© 2019 Newton e compton editori – Gli insuperabili gold
ISBN 978-88-227-3073-2 Pag. 320 € 9,90

Un thriller interessante e insolito. Parte, infatti, dal presupposto che nessuno creda a quanto accaduto alla vittima!
La dottoressa Alex Taylor si sveglia in una sala operatoria. Sopra di lei incombe un chirurgo da incubo. Ha le gambe aperte, non può muoversi.
Svenuta, viene trovata all'esterno dell'ospedale nel quale lavora e soccorsa dai suoi colleghi.
Alex fa chiamare la polizia e racconta quanto le è accaduto: è stata tramortita, violentata, le sono state fatte delle flebo … accidenti! Tutto il suo corpo deve narrare quanto le è accaduto.
Invece … nulla. Nessuna prova. Pare solo che la pioggia l'abbia sorpresa e sia stata colpita alla nuca da un ramo caduto, laddove è stata rinvenuta.
Il suo fidanzato non le crede, la polizia nemmeno, i colleghi dubitano fortemente …
Intorno a lei cominciano ad accadere fatti orribili: altre morti con persone che le accennano le stesse vicende che l'hanno vista coinvolta.
Trova una scritta sulla sua auto … ma tutto quanto la fa apparire solo come una povera pazza che racconta presa dal delirio.
Una detective arriva a pensare che sia lei stessa a causare tutto quanto, per attirare l'attenzione.
Ripensando al suo passato, tutti pensano che quanto sta accadendo debba essere imputato a un altro fatto successo qualche tempo prima: un attore venuto in ospedale per apprendere il comportamento dei medici, che lei seguiva, aveva tentato di stuprarla.
Ecco che, fatto due più due, Alex si convince che possa essere proprio lui la persona che l'ha sequestrata. Forse vuole vendicarsi …
Nel frattempo lascia il fidanzato, un uomo che non la comprende, pieno di sé. Inizia una relazione col patologo, un uomo molto dolce e complessato per una macchia gli sfigura il viso.
Ancora una volta Alex scompare, di nuovo rapita dal misterioso chirurgo.
La polizia la ritrova di nuovo in condizioni folli e, nuovamente, nessuno le crede.
Ma la forza della verità è quella di venire sempre prepotentemente a galla.
Ben congegnato, incuriosisce, attrae. Buona scrittura, un buon libro.

© Miriam Ballerini

21 ottobre 2019

NOETICA: USCITA LA SECONDA EDIZIONE! Un testo filosofico a cura di V. Capodiferro

NOETICA: USCITA LA SECONDA EDIZIONE!
Un testo filosofico a cura di V. Capodiferro

È uscita la seconda edizione del testo “Noetica. Ricerca sull’infinita mente”, presso l’editore Cristian Cavinato di Brescia. Il testo si proponeva fin dall’inizio (ed. Bibliotheka, Roma 2014) di rintracciare le orme del Nous fin dalle prime apparizioni presso i primi filosofi. In maniera trasversale si ripropone la classificazione delle facoltà, tenendo presente la profonda distinzione tra la coscienza empirica e la coscienza universale. La coscienza universale appare in vari modi, ad esempio: il Nous anassagoreo, l’ente noetico di Parmenide, fino a giungere al Cogito cartesiano ed husserliano, con tutte le dovute differenze, all’Io kantiano, e poi fichtiano, allo Spirito di Hegel, che si dissolve in vario modo, nel singolo kierkegaardiano, come nell’io collettivo marxiano, nell’io freudiano e nella volontà schopenhaueriana ed in altre ostentazioni: dall’esserci heideggeriano alle ultime frontiere dei post-chicchessia, perché no? La coscienza empirica è come un tralcio che si innesta in quella universale, pur essendone distinta, così si spiega il traducianesimo mentalista che risolve anche le attitudini innatistiche, o aprioristiche della ragion d’essere. I problemi irrisolti sono tanti, ma soprattutto due, in particolare: il primo è il rapporto tra Nous e Res, cioè tra soggetto e oggetto, io e non-io, un problema solito ma nello stesso tempo inconsueto, perché dobbiamo capire che in fondo nell’universo ci sono due termini inconciliabili tra di loro: uno è il Chi, cioè il soggetto pensante, l’altro è il Cosa, cioè il soggetto pensato, che poi diviene oggetto. Sappiamo benissimo che nell’antica accezione scolastica il subjectum indica sempre la sostanza, non tanto il soggetto pensante, mentre l’objectum – ciò che sta di fronte – indica l’oggetto mentale. Il rapporto tra chi e cosa è un rapporto tra due soggetti, o sostanzialità diverse. La prima può essere definita una sostanzialità processualistica o insostanzialistica - cioè non sostanziale nel senso della metafisica tradizionale -, come l’Idea romantichese, la seconda come una sostanzialità essenzialistica. La prima può essere sintetizzata come il “Panta rei” e la seconda come l’Essere di Parmenide. Res deriva infatti da ρέω: scorrere perennemente. Queste due sostanzialità “scorrenti” derivano in fin dei conti da un unico principio, che è l’Intelletto divino, oggetto di pura fede. Per chi non ha fede si può risalire comunque all’intelletto universale immanente all’universo. E qui subentra il secondo problema, che è più prettamente teologico: questo intelletto universale, che Bruno definiva come “mundano”, riprendendolo dalla tradizione stoica, in che rapporto sta con il supremo Intelletto divino che è completamente trascendente? Questo è un problema che tocca soprattutto il credente. Il non credente non ha difficolta ad ammettere un’intelligenza suprema dell’universo, o per lo meno una macchina perfettamente organizzata alla Cartesio (od anche il mostro alla Nietzsche: l’eterno ritorno), ma il credente come deve porsi dinanzi a questo Nous, che sarebbe il primo Intelletto creato? Il primo Intelletto è anche il legislatore della Natura di kantiana reminiscenza, cioè colui che dà ordine all’universo con le pure categorie, o forme formanti, diverse dalle forme formate, o materiali, o “cosali” o “reali”, nel senso che sono strettamente legate alla Res, con l’unica differenza che nessun intelletto può essere impersonale, altrimenti sarebbe una macchina, o un computer, e questo a sua volta presupporrebbe un ingegnere universale che l’avrebbe posto in essere. Quindi l’Io Penso di Kant, o di Cartesio, o di Fichte, o dello stesso Freud è una Persona, anche se universale. L’opera lascia aperte alla riflessione queste problematiche senza pretendere di dare delle risposte assolutistiche. Ringraziamo veramente di cuore l’editore Cristian Cavinato, per aver preso a cuore tutti questi nostri deboli sforzi intellettuali, per la sua sensibilità verso i giovani autori, anche sconosciuti e molto spesso incompetenti come noi, che si presentano in qualche modo al pubblico, anche se senza alcuna pretesa.

V. Capodiferro

ADDIO AL PATTO DI STABILITA’ STUPIDO di Antonio Laurenzano

ADDIO AL PATTO DI STABILITA’ STUPIDO di Antonio Laurenzano Addio al “Patto di stu...