24 ottobre 2019

UNA DONNA DEI NOSTRI TEMPI: ALESSANDRA DE SANTIS a cura di Vincenzo Capodiferro

UNA DONNA DEI NOSTRI TEMPI: ALESSANDRA DE SANTIS
Tra “Il bianco, il nero, e un po’… di rosso” e il grigio della piazza che riflette antiche emozioni

Alessandra De Santis ha vissuto la sua infanzia nel paese di Castelsaraceno. Come tutti i giovani del suo tempo ha avuto l’onore di assistere al tramonto della scomparente civiltà contadina, tanto celebrata da Carlo Levi e da tutti coloro che ci ebbero a che fare. Consegua la laurea in storia contemporanea all’Università di Firenze, prosegue gli studi con il master di dirigente dei servizi culturali. Finita l’esperienza a Firenze si traferisce a Roma, dove collabora con il partito dei DS. Lavora poi come funzionario politico del PD. Segue vari corsi di formazione. Nel 2007 si candida alle amministrative con il sindaco Domenico Muscolino e ricopre l’incarico di assessore. Rientra poi a Roma ove continua a lavorare nel partito. In “Il bianco, il nero … e un po’ di rosso”, sua raccolta poetica curata dall’associazione culturale Lucaniart, vi troviamo una strepitosa effusione di un’anima che canta. La realtà è sempre o bianca, o nera, almeno come la vede Alessandra e dentro vi emerge qualche sfumatura di rosso, che indica quella vena, battagliera e rivoluzionaria. Non vi sono gli spazi grigi, ma anche questi si possono ricavare dalle sfumature, dalle zone d’ombra, o di confine, che lo sguardo d’insieme ci offre. Teresa Armenti, la nostra poetessa e cultrice, è stata anche sua insegnante, e così la descrive nel ricordo: «Fin dai tempi della scuola media scorreva in Alessandra De Santis la vena poetica, che si manifestava nei suoi elaborati, sempre originali e creativi, nella contemplazione del paesaggio davanti alla finestra, mentre sorseggiava la tazzina di caffè, nella corrispondenza epistolare con l’artista lucana Maria Padula, che le inviò alcuni scritti inediti di Rocco Scotellaro». Forse proprio la lettura di Scotellaro, il poeta contadino che muore di crepacuore giovanissimo, una delle poche anime rivoluzionarie della nostra terra, dovette incutere nella giovane Alessandra un sentimento arcano di sacra riverenza e una penetrante influenza. Si sente nei suoi versi quello stesso atteggiamento popolare che si notava nelle raccolte di Scotellaro. E lei risponde alla sua maestra, Teresa, nel “Canto di una discente” con un verso che si ripete sempre: «Sento la tua voce in me». «Nei sorrisi che regalo. / Nei dolci che spartisco. / Nelle poesie che narro … / Sento la mia voce in me.». È bello questo sentir la voce della propria maestra in sé. Come non ricordare Agostino? Il “De Magistro”. Il maestro interiore è il Maestro, che ci guida in ogni nostro passo. Comunque la bellezza e la sublimità dell’insegnamento, che è fatto di carne ed ossa, prima che di libri e nozioni, sta proprio in questo sottile e penetrante riconoscimento: sento la tua voce in me! Io ricordo sempre con affetto la mia maestra, Angela Lauletta, la chiamavano “pizzicotta”, perché pizzicava con affetto quando facevamo gli sbagli, i “giovenili errori” di Petrarca. Eppure ho sempre stimato questa donna, anche quando era in pensione, nella sua anzianità. Ed anche ella ha sempre nutrito per noi allievi un riguardo, nel ricordo del rapporto di grandiosa umanità che si celebra tra l’alunno e il maestro. Il tema caro della poesia socialista, che guarda ai deboli della storia, agli ultimi, in Alessandra, la troviamo, ad esempio, in “Naufragi”: «Sepoltura senza nome avranno. / in terra straniera riposeranno / nel silenzio, nell’assenza della misericordia». Il “mare nostrum” diventa la tomba delle genti, diviene di nuovo il mare ostile, come lo era inteso nella storiografia di Henri Pirenne. Il tema sociale è teso, centrale nella denuncia poetica. Alessandra vive fin dall’infanzia una forte esperienza politica nell’ambito del socialismo. Vive in una famiglia numerosa, di ragazzi vivaci. Le battaglie che si facevano nei nostri paesi non erano quelle degli operai e degli industriali dei grossi plessi nordici, ma erano ancora il retaggio delle lotte antiche tra cafoni e galantuomini, tra briganti e borghesi. C’è stata la stagione del socialismo agrario, che ricorda la fulgida esperienza dei Fasci siciliani di inizio secolo, da Crispi, mazziniano, democratico, subito fatti reprimere nel sangue. Forse il giovane Benito Mussolini, che proveniva dall’esperienza intensa del socialismo fu così ammaliato da quella lotta dei Fasci di Sicilia, da riprenderne il nome per il partito fascista. Alessandra è stata sempre una giovane intelligente ed attiva, pur essendo stata portata via fin dalla più tenera età, come tanti giovanissimi, per necessità, a Roma, a Firenze. Così ricorda il paese, la piazza, ove prevale, invece, proprio quel grigio: «Nella piazza grigia, c’è tutta la mia vita: / i miei passi, i miei sorrisi, le mie giornate grigie… Danze sulle pietre grigie … c’è luce che luccica tra le pietre grigie». La luce rifulge anche nel grigio, in un mondo opaco, più senza speranze d’altri tempi, nella società liquida dove l’utopia, come dice Zygmunt Bauman, diventa retrotopia: un guardare indietro. «Non una goccia di sangue versato, / per fare la rivoluzione / si è fatto largo nei miei libri facendo rumore». La rivoluzione sui libri, del socialismo cattedratico, esangue, esanime, non ha più fatto rumore. Non si può fare la rivoluzione sui libri, nel ricordo, la rivoluzione deve diventare un fatto permanente, così come l’avevano, in qualche modo, sognata Lenin e Trockij. Questa è la nostalgia che scorre nel sangue dei giovani e delle donne dei nostri tempi, che sono sempre, ed anche donne di altri tempi.

Vincenzo Capodiferro

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