28 novembre 2020

William Golding – Il Signore delle Mosche – a cura di Marcello Sgarbi

 


William Golding – Il Signore delle Mosche (Edizioni Mondadori)


Collana: Oscar junior 

Pagine: 282

Formato: Tascabile

EAN: 9788804663065


L’idea alla base di questo romanzo di formazione parte da un precedente curioso: un esperimento dell’autore, premio Nobel nel 1983, nel periodo in cui era insegnante nella zona di Salisbury.                                                                                         La storia descrive una vera e propria iniziazione alla vita adulta di un gruppo di ragazzi inglesi, finiti su un’isola dopo essere scampati ad un atterraggio sventurato. Il racconto si carica di significati simbolici e insieme estremamente reali sulla condizione umana, impersonati dai protagonisti: Ralph e Jack.                     Il primo, rappresentazione del vivere civile e in un certo senso del bene, cerca di assumersi la responsabilità del gruppo entrando ben presto in conflitto con il secondo, personificazione dell’atavica e ancestrale attrazione dell’uomo verso la competizione, la guerra, il male.                                                                                             E il titolo stesso del romanzo è metafora del Male, inteso come supremo, con l’iniziale maiuscola perché si riferisce a Satana.                                                             Nella lotta per la sopravvivenza, senza cibo né altro genere di conforto, i due si scontreranno e saranno costretti a diventare uomini malgrado siano solo ragazzi.     La conchiglia, simbolo della dignità, o la saggezza di Piggy, personaggio solo apparentemente secondario, non serviranno a frenare l’impeto del gruppo che, trasformatosi in una selvaggia tribù capitanata da Jack, arriverà a non comprendere più il confine tra bene e male.

“‘Io ho continuato’ disse Jack. ‘Li ho lasciati andare. Io dovevo continuare. Io…’ Cercava di far capire il bisogno che aveva d’inseguire e di uccidere, un bisogno irresistibile’”.

Mentre diceva questo, Jack si raddrizzò con il coltello insanguinato in mano. I due ragazzi erano uno di fronte all’altro e si guardavano. Da una parte c’era il mondo brillante della caccia, della tattica, dei giochi feroci e pieni di destrezza; dall’altra il mondo del senso comune, con le sue aspirazioni e le sue delusioni. Jack si passò il coltello dalla destra alla sinistra, e nel buttarsi indietro i capelli appiccicati si sporcò di sangue la fronte”.

Il silenzio accettò il dono e li impaurì. La testa rimase lì, con gli occhi velati, con una specie di ghigno, con il sangue che diventava nero tra i denti. Tutto d’un tratto si misero a correre, più in fretta che potevano, per la foresta, verso la spiaggia aperta”.

Si levarono di nuovo i boati di scherno, e cessarono quando Piggy sollevò la bianca, la magica conchiglia. Che cosa è meglio: essere una banda di negri dipinti come voi, o essere ragionevoli come Ralph?’ Tra i selvaggi si sollevò un gran clamore. Piggy gridò di nuovo: Che cosa è meglio: avere delle leggi e andare d’accordo, o andare a caccia e uccidere?’ Di nuovo il clamore, e di nuovo il sibilo di un sasso. Ralph gridò con tutte le sue forze, per superare il clamore: Che cosa è meglio: la legge e la salvezza o la caccia e la barbarie?’”


© Marcello Sgarbi



25 novembre 2020

DONNE : BASTA ALLA VIOLENZA! di Antonio Laurenzano

 


DONNE : BASTA ALLA VIOLENZA!

di Antonio Laurenzano

Si celebra il 25 novembre la Giornata internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne, una ricorrenza istituita dall’Assemblea generale delle Nazioni Unite per sensibilizzare l’opinione pubblica su un tema ancora oggi di stringente attualità. Una giornata di mobilitazione per denunciare diritti negati e discriminazioni subite, ma soprattutto per dire basta alla violenza! Violenza sulle donne, una strage senza fine! Non c’è giorno in cui non si registri dal Nord al Sud del Paese un fatto di cronaca che riaccende i riflettori su questa drammatica emergenza sociale. Gelosia, incapacità di gestire la rottura di un rapporto, un morboso sentimento di possesso sono i motivi che scatenano l’impeto di una mano omicida, di una mente malata. In Italia, ogni tre giorni si registrano almeno due casi di “omicidi di prossimità”, commessi cioè tra persone legate da vincoli affettivi, per rabbia distruttiva. Un’escalation di violenza impressionante, violenza domestica: gli autori dei delitti, infatti, sono per lo più mariti, fidanzati, conviventi ed ex partner in crisi di identità al cospetto di donne sempre più autonome ed emancipate. Sono dati allarmanti quelli relativi agli omicidi delle donne nel nostro Paese: circa 150 casi all’anno, nonostante la legge dell’ottobre 2013 contro “la violenza di genere”, votata dal Parlamento italiano (peraltro con colpevole ritardo) sulla base delle “prescrizioni” della Convenzione del Consiglio d’Europa di Istanbul del maggio 2011 sulla “prevenzione e la lotta alla violenza contro le donne”.

Per combattere la violenza, per farla uscire dalla normalità occorre riconoscerla, occorre combattere il silenzio. La prevenzione cioè quale strumento efficace per rompere il muro dell’indifferenza che sostiene il femminicidio. Ma in Italia manca una cultura della prevenzione e della risposta nei confronti della violenza sulle donne. Sembra prevalere una cultura della rimozione e della negazione. E adottare l’atteggiamento di chi non vede, non sente e non parla serve a “tacitare” la propria coscienza e a solidificare il muro di omertà! E il silenzio è il migliore alleato dei predatori di sogni. Questo inquietante fenomeno sociale matura infatti lentamente nel silenzio più assordante, con la debolezza di chi subisce e con la complicità di chi non vede, non vuole vedere maltrattamenti che negano alla vittima ogni dignità, derubandola di diritti e desideri. Svaniscono miseramente nella paura le illusioni, i colori di una vita in rosa, muore nella violenza ogni sogno d’amore. Una vita spezzata! Una vita segnata da mani criminali in nome di un amore malato. Un vero omicidio dell’anima!

Dalle violenze domestiche allo stalking, dall’insulto verbale alla pubblicazione in rete di immagini intime, la vita femminile è costellata di violazioni della propria sfera personale. Spesso un tentativo di cancellarne l’identità, di minarne profondamente l’indipendenza, la libertà di scelta e, in extremis, il diritto alla vita. Non basta dunque una legge ad affermare il diritto ad essere amate e rispettate: occorre una risposta d’amore alla rabbia distruttiva dei “perdenti”, occorre una “rivoluzione culturale” per sconfiggere la sopraffazione e la posizione di dominanza e di potere di chi confonde l’amore con il possesso!

E’ fondamentale aiutare la società a “vedere” il fenomeno della violenza per creare uno spazio di libertà e rifuggire dalla paura della solitudine. L’amore si nutre di rispetto, dialogo, coraggio: non invochiamolo più per coprire abusi e violenze! E gettiamo nel cestino della cattiva cronaca gli sconti di pena per “tempesta emotiva”!

20 novembre 2020

Intervista di Alessia Mocci ad Uccia Paone: vi presentiamo Fu al suono di un’arpa eolica


Intervista di Alessia Mocci ad Uccia Paone: vi presentiamo Fu al suono di un’arpa eolica




Da quel giorno aveva ammirato la preghiera di Hayat fatta di silenzioso rapporto con la natura e la vita. Aveva capito solo in quel giorno la presenza di Dio in ogni cosa, Dio che si rivela sotto occhi attenti e nel silenzio. Dio non vuole voci e preghiere, Dio si incontra nell’intimità del cuore, si palesa nell’anima dell’uomo e nella contemplazione di ogni cosa, sì!

Fu al suono di un’arpa eolica” di Uccia Paone è stato pubblicato a luglio 2020 dalla casa editrice Rupe Mutevole nella collana “Letteratura di Confine”. La grafica di copertina è stata curata da Gianluca Serratore.

“Cocci e brillanti”, “Gocce di schiuma”, “Ricordi di una conchiglia” sono i titoli dei libri precedentemente pubblicati dalla nostra autrice che come ella stessa dichiara: “scrivendo dialoga con persone immaginate davanti a un panorama sempre mutevole”.

E non poteva che essere Rupe Mutevole la casa editrice adatta ad Uccia Paone, quel mutevole che come il colore su una rupe risveglia nell’essere umano fantasie arcaiche e, perciò, degne di essere raccontate.

L’editrice Cristina Del Torchio scrive nella sua nota: “Una storia ammaliante. I margini di ogni pagina saranno mistero, come fragranze magiche. L’autrice rimescola le regole e la narrazione diventa un gioco di verità silenziose. Sono mito e storia, fiaba e dramma, oscurità e bagliore. E sul palcoscenico di questa esistenza, nelle notti più buie e silenziose, si alza forte il verso di un uccello che interpreta, sempre uguale, l’annuncio di sventure. Gli elementi si dispongono sulla scacchiera della vita e ogni pedina recita bene i suoi passi. Una solitudine muta non dimentica inganni e le chiusure antiche non sanno illuminarsi, mentre occhi nascosti tramano imbrogli.”


A.M.: “Fu al suono di un’arpa eolica” è stato pubblicato qualche mese fa e più precisamente a luglio, le vorrei chiedere di far un ulteriore salto indietro nel tempo per raccontare ai nostri lettori la genesi di questo romanzo.

Uccia Paone: Il persistente ricordo del giardino della mia infanzia mi spinse un giorno a riviverlo scrivendone. Un ricordo dietro l’altro, pensiero dopo pensiero, mi accorsi che in una ventina di pagine avevo iniziato un racconto, nebbioso e vago, nel quale un personaggio singolare, un orientale dell’India, passeggiava pensoso. Pagina dopo pagina accadeva qualcosa sempre più distintamente ma mancava lo scenario nel quale inquadrare le vicende iniziali. Amo la storia e feci un volo tra secoli e luoghi per scegliere la scenografia adeguata, convincendomi infine a considerare quella dell’Impero Ottomano. Il racconto cominciò a consolidarsi in una trama romanzesca e dopo un centinaio di pagine mi sentivo coinvolta alle vicende narrate. MI appassionai e quando fui alle ultime pagine cominciai a smaniare per trovare un editore che credesse in me. Fui fortunata: spedii il classico file, gli piacque e ora eccomi qui!



A.M.: Il titolo rievoca uno strumento musicale abbastanza particolare ed inusuale, l’arpa eolica infatti è un tipo particolare di arpa le cui corde sono fatte vibrare dal vento, così che le melodie siano sempre casuali e diverse. Che cosa rappresenta per lei questo strumento?

Uccia Paone: La mia attrazione per l’arpa eolica nacque quando alla scuola media incontrai Omero, gli aedi e i citaredi e da alcune illustrazioni mi sedussero Apollo e altri dèi con la cetra tra le braccia. Conosco e ammiro l’arpa moderna che primeggia per eleganza nelle orchestre, ma nessuno strumento musicale supera l’arpa eolica col suo fascino misterioso. L’arpa eolica ha un suono confidenziale, romantico, toccante, che può dirsi anche canto. Per suonare l’arpa eolica rifugge dal pentagramma e dal rigore matematico di un rigo musicale: è lo strumento libero per eccellenza, che suona col vento di cui esprime la provvisorietà e gli improvvisi eccessi. D’impulso l’ho voluta nel titolo del mio libro, lei sola a raccontarci tutto, tra soffi, folate e raffiche.


A.M.: Nubicucula è descritto come “un paese sonnolento, dove non erano stati mai eretti monumenti, né statue, e nemmeno steli commemorative; sì, rispecchiava proprio il paese dell’«Io non mi impiccio». […] il paese era stato colpito da una stregoneria legata a strani uccelli che volavano invisibili sotto il suo cielo e nidificavano in dirupati anfratti di burroni bui e inaccessibili.” e, sin da subito, ho ricollegato il nome ad una nota commedia di Aristofane “Gli uccelli” nella quale due uomini e gli uccelli fondano una città denominata Nubicuculìa. In che modo il suo paese sonnolento è collegato alla città fondata nel cielo a metà strada tra gli uomini e gli dèi?

Uccia Paone: Oh! Io sono ladra di Aristofane, e rea confessa: gli ho letteralmente rubato il nome di Nubicucula, città che già nel nome si palesa sospesa tra terra e regno di nuvole e di dèi. Ma tanto Nubicucula è in Aristofane città ideale, quanto in me è paese materiale abitato da gente ignorante e tamarra. Entrata in casa di Aristofane, gli ho sottratto anche un uccello dal becco singolare, ma lo raffiguro nel romanzo come uccello preso dall’ornitologia conosciuta, il tarabuso, che imbruttisco chiamandolo turubuzzu e che ha del vero uccello la capacità mimetica e il verso lugubre e tanto alto da non trovarne di uguale tra gli uccelli reali.


A.M.: Ne “Fu al suono di un’arpa eolica” troviamo un personaggio particolare, don Chicco che “Consapevole della paura che coinvolgeva i cristiani del suo gregge, abbattuto dalla caduta di fede causa di quella paura, egli volle dir messa anche il giorno dopo, divulgando la voce, casa per casa, che la paura non era degna dei Cristiani, che aver fede in Dio rende il cristiano sicuro contro ogni violenza esercitata da Allah, che è il diavolo che insidia i cuori pompandoli di paura, e dunque tornassero alla messa senza alcun timore!”. Fede e paura sono spesso collegati, ad esempio nel Cattolicesimo si ha paura della morte e della pena che l’anima dovrà subire per ciò che si è fatto in vita, così da trasmettere paura per qualsiasi azione si compia, o perlomeno questo accadeva.

Uccia Paone: Non è semplice cercare quale sia la scaturigine che nella vita degli uomini lega spesso insieme paura e fede. Forse dovremmo cercarla nei primi assembramenti tribali dei diversi popoli del mondo, senza dimenticare qualche traccia dell’antropologia. Presi insieme, paura-fede sono un binomio dissociativo e squilibrante, tuttavia presente nei secoli e ancora ai giorni di don Chicco, prete e predicatore legato alla pedanteria dottrinale nella quale è stato formato. Il binomio sconcerta quando pensiamo alla morte, all’enigma dell’evento definitivo e spesso improvviso che la morte è, e che porta con sé la paura del “dopo”. Allora cerchiamo di esorcizzare la paura abbracciando la fede cui spinge don Chicco, dicendoci che Dio promette la salvezza del paradiso a chi vince quella paura entrando in chiesa con fede (e con la frequenza che la fede esige). Ma la paura atavica cova sempre silenziosa nel cuore degli uomini. Malgrado l’apertura di papa Francesco che invita a sostituire col sorriso la paura (della morte e del Covid 19), l’enigma della morte fa vacillare gli uomini; penso che quella spinta alla fede che anima il credo di don Chicco possa essere in quel caso una valvola di sicurezza che frena gli uomini da un’esplosione emotiva che potrebbe risolversi anche tragicamente. Allora, in questo caso e solo in questo senso, nel binomio squilibrante di paura-fede l’esortazione di don Chicco, positiva, rende vittoriosa la fede, giungendo ad equilibrare il binomio.


A.M.:Nell’alba che sopraggiunse, come nel risveglio in un eden segretamente cercato, cominciarono a conoscersi, a cercarsi. Nel perdersi e conoscersi, Adele sentì che fino a quel giorno era vissuta come un essere a metà, come un frutto dimezzato: ora sapeva che senza Hayat sarebbe tornata a essere la metà di sempre, e sarebbe morta in una notte, nel tempo sufficiente a un fiore di gelsomino di perdere il profumo e avvizzire senza più vita.” Chi sono Adele ed Hayat?

Uccia Paone: Adele e Hayat sono i protagonisti del romanzo. Si amano di un amore che al lettore appare forse inconcepibile, sono un corpo e un’anima sola ed è Adele che ne avverte subito la magica realtà. Dei personaggi accenno solo con un particolare, essi emergono in quel che dicono e fanno. Lascio sempre immaginare ogni mio personaggio al lettore: deve essere solo suo, un unicum solo suo.


A.M.: L’immobilismo ottomano è contrapposto ai capovolgimenti dell’Europa. Perché è importante continuare a riportare in luce gli eventi del passato?

Uccia Paone: Historia magistra vitae”: non l’aveva già detto Cicerone? La storia dovrebbe quindi ammaestrare chi vive il presente e guarda al futuro. Ogni nazione ha la sua storia, detta e ridetta, ma spesso isolata in grandi libri pieni di date e nomi che vengono studiati in maniera asettica, senza soffermarsi sui “perché” che la Storia (quella con la s maiuscola) esigerebbe invece per essere compresa. La Storia si forma a piccoli passi attraverso i secoli, ma non per tutti è stato così. L’Impero Ottomano è ricordato per il suo immobilismo, l’Europa per la sua dinamicità. Il primo si è formato in sei sette secoli, dal 1300 circa, con la discendenza, spesso combattuta, di sultanati. Il sultano amministrava in tutto e per tutto con diritto di vita e di morte sui sudditi. Nei secoli il sultano governò di volta in volta appoggiando una comunità o l’altra, aiutato da ministri fantocci assolutamente soggetti alla sua volontà. A questa staticità politica corrispose un forte immobilismo sociale per cui tra queste comunità, fortemente gelose della propria individualità, non sorse mai quel confronto politico che invece colmava di esperienza l’Europa. Organismo di politica e di forte bellicosità, l’Impero non poteva competere con le potenze europee, avide per tradizione dei beni oltre i propri confini. L’Europa aveva vissuto millenni di confronti socio-culturali e di espansionismo: nei secoli dell’immobilità ottomana aveva respirato il Medio Evo con le sue accademie competitive anche oltre i propri confini, era passata da Martin Lutero, dalla Riforma e dalla Controriforma, dall’Illuminismo e dalla Rivoluzione Francese e in tutto questo e in altro generando scienza, lettere, arte, filosofia, patriottismo e sangue di eroi. L’Italia contribuì e arricchì l’Europa con la sua arte e la sua cultura, ma anch’essa ebbe interesse ad abbattere l’Impero Ottomano; lo fece alleandosi con la Spagna, la Francia e anche con lo Stato Pontificio… L’Impero ottomano dovette accettare una umiliante agonia, perdendo un pezzo dopo l’altro: si sfaldò, si dissolse e perì per le ragioni, sempre uguali, scritte nei libri di storia.

Dell’Unità d’Italia ho detto nel romanzo.


A.M.: Causa pandemia le presentazioni letterarie non sono praticabili ma ho notato che in tanti hanno ben pensato di utilizzare i social network ed il video come alternativa.

Uccia Paone: Con i libri precedenti ho sempre avuto presentazioni fatte fisicamente. Con questo mio romanzo sono in grande difficoltà per la pandemia e per la mia totale ignoranza a qualsiasi livello di digitazione e social network.


A.M.: Salutiamoci con una citazione…

Uccia Paone: “… ci sono storie irreali che non sono false.” – Bruno Bettelheim


A.M.: A risposta dello psicoanalista austriaco che lei ha citato lascio la parola a Luigi Pirandello, lo scrittore di Girgenti, l’attuale Agrigento: “La realtà che ho io per voi è nella forma che voi mi date; ma è realtà per voi e non per me; la realtà che voi avete per me è nella forma che io vi do; ma è realtà per me e non per voi; e per me stesso io non ho altra realtà se non nella forma che riesco a darmi. E come? Ma costruendomi, appunto.”



Written by Alessia Mocci


Info

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https://www.reteimprese.it/pro_A40124B393845


Fonte

https://oubliettemagazine.com/2020/11/06/intervista-di-alessia-mocci-ad-uccia-paone-vi-presentiamo-fu-al-suono-di-unarpa-eolica/


 

15 novembre 2020

L’UNIONE EUROPEA E IL VOTO AMERICANO di Antonio Laurenzano

 


L’UNIONE EUROPEA E IL VOTO AMERICANO

di Antonio Laurenzano

In attesa che la parola fine venga scritta sullo psicodramma delle elezioni presidenziali americane, l’Europa s’interroga sul futuro rapporto con il 46esimo presidente degli Stati Uniti, il democratico Joe Biden. Sta per iniziare una nuova stagione politica dopo la presidenza Trump caratterizzata da un unilateralismo conflittuale senza precedenti che ha segnato le relazioni internazionali con politiche incerte e aggressive, insofferenti al dialogo multilaterale. Negli ultimi quattro anni, per la prima volta dalla fine della seconda guerra mondiale un presidente degli Stati Uniti ha messo in dubbio il suo supporto, non solo militare, al sistema di difesa collettiva della Nato, ha trattato l’Unione europea come un avversario in ambito commerciale con la “guerra dei dazi”, ha indebolito le istituzioni e gli accordi multilaterali che sono la colonna portante del diritto internazionale. Con l’uscita di scena di Donald Trump e la sconfitta del populismo nazionalista, quale alba sta spuntando su Washington? Quale sarà il futuro corso della storia fra Stati Uniti e Vecchio Continente?

Da qui al 20 gennaio, quando il presidente eletto presterà giuramento e si insedierà ufficialmente alla Casa Bianca, ci sarà spazio per approfondire i temi della campagna elettorale e capire in concreto il ruolo strategico che gli Stati Uniti intendono svolgere nei prossimi anni sullo scacchiere mondiale. Gli analisti si aspettano una riaffermazione delle alleanze tradizionali, ma in una versione al passo con i tempi, di modo che siano “un po’ meno reliquie della guerra fredda del passato, e più strumenti internazionali da difendere contro l’intero spettro delle sfide in materia di sicurezza del XXI secolo”. E la pandemia da coronavirus dovrebbe insegnare qualcosa. Joe Biden ha più volte chiarito nei suoi interventi elettorali di voler rovesciare quattro anni di politica estera isolazionista degli Stati Uniti sotto un nuovo slogan: “Ripristinare la leadership americana”, nel tentativo di ricucire strappi e rapporti anche con l’Europa lacerati dal nazionalismo trumpiano. Rapporti che plausibilmente non avranno più i caratteri di un tempo.

Ristabilire multilateralismo e internazionalismo e accantonare il protezionismo non sarà impresa facile, anche se si percepisce qualche elemento positivo. Nell’impostazione programmatica dell’ex vice di Barack Obama c’è l’idea che l’Occidente debba affrontare unito le sfide globali, dai problemi legati al riscaldamento alle tante criticità nella gestione più ordinata dell’economia e della globalizzazione, oltre ai problemi di sempre: migrazioni e terrorismo internazionale. Dovrà dunque cambiare la strategia americana verso i tradizionali alleati europei per rilanciare con forza una leadership mondiale in termini di credibilità offuscata dal trampismo. “America First” ha reso l’America sola, isolata, non ascoltata. Un’eredità difficile quella lasciata da Trump al futuro inquilino della Casa Bianca: il recupero dei rapporti con l’Ue e con la Nato, il rientro negli accordi internazionali come quello di Parigi sul clima e quello sul nucleare iraniano, il rientro nelle Agenzie dell’Onu (l’Organizzazione mondiale della Sanità, l’Unesco, la Commissione sui diritti umani), oltre ai temi caldi della politica mediorientale (processo di pace fra Israele e Palestina), i focolai di guerra in Iran e Arabia Saudita, la questione libica e, dulcis in fundo, la crisi della Turchia di Erdogan.

La storia dei rapporti tra Stati Uniti ed Europa è una storia articolata e complessa, lunga di secoli, iniziata con un protagonismo europeo cui si è progressivamente sostituito quello americano nel secolo scorso con l’intervento militare nelle due guerre mondiali per ristabilire la pace e la democrazia, sostenendo con il Piano Marshall degli Anni 50 la ricostruzione del Vecchio Continente finito in macerie e il suo processo di pacifica integrazione quale argine occidentale alle minacce sovietiche. Dopo le tensioni e le oscillazioni isolazioniste dello “zio matto d’America”, si tratta ora di riprendere il dialogo interrotto per un comune cammino partendo da una cooperazione economica che vada oltre la normalizzazione dei rapporti commerciali. Per l’Unione europea un’occasione per progredire verso l’assunzione di maggiori responsabilità, in particolare nel quadro della Nato, con un’accelerazione al suo interno sul piano della politica di difesa e sicurezza comune. “L’Unione deve prendere il destino nelle sue mani senza contare più sull’ombrello americano per la difesa”, ha dichiarato Josep Borrell, Alto rappresentante dell’Unione per gli affari esteri. “Puntare su un’autonomia strategica per difendere al meglio i nostri interessi nei settori chiave: tecnologia, commercio internazionale, moneta, industria, telecomunicazioni.” E la ricerca di una imprescindibile autonomia europea non è incompatibile con un più forte legame transatlantico, ne è piuttosto la condizione preliminare per rilanciare il multilateralismo e rafforzare una partnership dalle grandi prospettive per frenare l’espansionismo economico, tecnologico e geopolitico della Cina.

La ricucitura dei legami interatlantici serve alla proiezione internazionale degli Stati Uniti, alla sicurezza dell’Europa e anche alla buona salute della società liberale occidentale”, ha commentato sulle colonne del Corriere Angelo Panebianco. Un appello a un sano realismo per scongiurare il rischio di una illusione storica e di un inesorabile declino di ogni progetto di equilibrato sviluppo socio-economico nel mondo.


14 novembre 2020

Jonathan Coe La casa del sonno a cura di Marcello Sgarbi

 


Jonathan Coe

La casa del sonno – (Edizioni Feltrinelli)


Collana: I Narratori

Pagine: 312

Formato: Tascabile

ISBN 9788807015373


A discapito del titolo, dopo la splendida saga dallasiana della famiglia Winshaw tratteggiata sullo sfondo dell’Inghilterra thatcheriana, ecco un altro libro di Coe su cui tenere gli occhi ben aperti. Innanzitutto per la cifra stilistica che tiene alto il ritmo narrativo, giocato di capitolo in capitolo in un continuo scambio fra presente e passato prossimo, fra l’estate del 1996 e il periodo 1983-’84.

Poi per la straordinaria abilità dell’autore nell’intrecciare e riannodare le storie e i destini dei protagonisti, vissuti e rivissuti nello stesso luogo: prima come studenti universitari e poi, a distanza di un decennio, come adulti alla ricerca di sé stessi e della propria identità fra professioni, ideali e delusioni in quella che è diventata una clinica per la cura del sonno.

Infine, perché credo che in almeno uno dei tanti personaggi che affollano il romanzo di Coe, fra cui svettano Sarah e Robert, ritroveremo qualcosa di noi che si è realizzato o che forse abbiamo soltanto sognato. Volendo fare della facile ironia, potrei dire che mi sento di consigliarlo a chi convive con l’insonnia senza farne una malattia.

Il modo migliore di concludere, però, mi sembra sia riportare (con una piccola punta di invidia) un commento perfettamente appropriato dell’autore, rilasciato durante un’intervista di qualche anno fa:

Molti pensano che io abbia, appesi alle pareti del mio studio, diagrammi precisissimi della trama. In realtà, per scrivere questo libro io ho vissuto per due anni in un delizioso stato di dormiveglia, in cui tutti i pezzi del puzzle si combinavano magicamente, come in un sogno. Poter vivere così, immersi in un universo parallelo, è uno dei privilegi di essere uno scrittore”.

Raccontami i tuoi sogni”, aveva detto una volta Gregory a Sarah; erano seduti sullo stesso terrazzo in una luminosa mattina di novembre di molti anni prima. “Dimmi da quanto tempo ti capita”. Sarah si era scaldata le mani intorno alla tazza, era rabbrividita leggermente alla brezza dell’oceano e lo aveva guardato con passione. Erano i primi mesi della loro relazione, molto prima che si allontanassero.                                                                Sarah lo pensava ancora capace di grandi gentilezze. Ancora lo considerava saggio e comprensivo. Era seduta su quel terrazzo, istintivamente protesa verso di lui tanto che le loro ginocchia si toccavano, e sentiva che le sue ansie cominciavano a sciogliersi. Quasi dimenticava che negli ultimi tempi avevano preso a litigare spesso, e per motivi sempre più stupidi. Quanto al sesso, cercava di convincersi che sarebbe migliorato, col tempo.                   Si sforzava d’ignorare che mentre lei gli parlava, Gregory riportava i suoi discorsi in un quaderno intestato: ‘SARAH: PROBLEMI PSICOLOGICI’”.

La mattina dopo Terry si svegliò. Un evento, si dirà, piuttosto comune nella vita di tantissimi: ma non nella sua. La sensazione del passaggio dal sonno alla veglia eludeva Terry da più di un decennio; e malgrado oggi non avesse elementi concreti per riconoscerla come tale, ebbe quantomeno la consapevolezza, non appena il barbaglio dell’alba cominciò a contornare la piccola finestra carica di tende della sua stanza notturna, che gli era accaduto un fatto nuovo, eccezionale. Si sentiva profondamente rinvigorito e ne trasse la convinzione di essere rimasto nell’incoscienza molto più del solito”.


© Marcello Sgarbi


11 novembre 2020

L'ombra dello scorpione a cura di Miriam Ballerini

 


L'OMBRA DELLO SCORPIONE

Ho scritto questo articolo non per fare una recensione di un libro ormai datato e che, sicuramente, molti, hanno già letto.                                Credo di aver letto “L'ombra dello scorpione” di Stephen King almeno quattro volte: è un romanzo che si ama e che, di tanto in tanto, fa piacere rileggere.                                                                             Ho desiderato rivederlo in questo periodo, proprio per le analogie che stiamo vivendo con la presenza di Covid 19.                                                        Il romanzo è stato pubblicato nel 1978 e tratta di una pandemia da influenza chiamata Captains Trips. Creata in laboratorio e sfuggita al controllo dell'uomo, altamente contagiosa. Appena il guardiano del laboratorio dove avviene l'incidente, fugge con la sua famiglia, di fatto portando con sé il virus, questo inizia a seminare la morte.                                                                 Ed ecco la prima somiglianza: il covid 19 è un virus che si presenta con i sintomi di una influenza, nei casi più gravi come polmonite, per molti è letale.                                                 King, nel suo romanzo dotato di una lungimiranza spaventosa, immagina che il virus uccida la maggior parte dell'umanità, risparmiandone alcuni, stranamente immuni.                             Covid ha una particolarità unica: a differenza dei virus che lo hanno preceduto, presenta degli asintomatici; cioè persone che, seppur contagiate, non presentano alcun sintomo.                 Molti hanno creduto alla storia del complotto mondiale, di un virus creato in laboratorio; King mette questa teoria nel suo romanzo d'invenzione.                                                                     Lo scrittore, però, va anche molto più in là: immagina queste due fazioni di persone sopravvissute che, dopo un primo istante di smarrimento, devono riprendere in mano le sorti della propria esistenza. Ecco che entrano in gioco due personaggi soprannaturali: Mother Abigail, una centenaria di colore che appare nei loro sogni, attirandoli verso il bene, verso Dio. Randall Flagg, l'uomo nero, la controparte, che richiama a sé le anime traviate, o quelle disposte a diventarlo.                                                                                                                             Anche nel nostro caso, pur non avendo fra noi l'identificazione del bene e del male in modo così netto, le persone si sono divise in due gruppi: quelle di buona volontà che rispettano le regole e i negazionisti.                                                                                                                         L'altro aspetto interessante del romanzo è il notare cosa faranno questi due gruppi superstiti della sorte del mondo. Lo ricostruiranno da capo, oppure cercheranno di evitare gli errori del passato che hanno condotto alla sua distruzione?                                                                         Anche a noi è stata servita su un vassoio d'argento la possibilità di migliorarci. Ognuno, nel nostro piccolo, possiamo fare la differenza. Eppure, se ci guardiamo intorno, questo cambiamento tanto agognato, non lo si nota. Anzi, alcuni sono riusciti a dimostrare solo il peggio di sé.                                                                                                                                             Tutto ciò dimostra che King, come al solito, ha fatto centro, addentrandosi nella psicologia dei suoi personaggi, come uno scrittore empatico e geniale nella sua disamina dell'umanità.     Dall'altra parte vediamo che, messi alla prova a un tavolo abbastanza simile a quello da lui inventato, anche se non così tragico, abbiamo risposto esattamente come lui aveva previsto.

È mai possibile che l'essere umano riesce sempre a deludere?


© Miriam Ballerini

07 novembre 2020

Fulvio Ervas – Se ti abbraccio non aver paura – a cura di Marcello Sgarbi

 


Fulvio Ervas – Se ti abbraccio non aver paura(Marcos y Marcos)

Collana: Gli Alianti

Genere: Narrativa
Pagine: 320
EAN: 9788871686141

Uno dei più riusciti esempi di connubio fra letteratura e disabilità a mio avviso resta tutt’oggi Nati due volte, di Giuseppe Pontiggia. Quanto al tema del romanzo di Ervas, dedicato ad Andrea Antonello, anche per quanto riguarda l’autismo gli esempi sono vari. Solo per citarne alcuni, si va da Lo strano caso del cane ucciso a mezzanotte di Mark Haddon a George e Sam di Charlotte Moore, da 31 canzoni di Nick Hornby a Figlio del silenzio di Cheri L. Florance e Marin Gazzaniga.                Così, la narrativa sembra seguire di pari passo l’incremento della sindrome: i dati dell’Osservatorio Mondiale della Sanità riferiti al 2020 dicono che in Italia colpisce un bambino su sessantanove.

Ben venga, quindi, un libro come Se ti abbraccio non aver pauraPubblicato per la prima volta nel 2012, racconta dell’avventuroso viaggio in moto di Andrea e di suo padre Franco attraverso gli Stati Uniti, da Miami al Brasile. Un lungo racconto di incontri e situazioni dove, sul filo del registro ironico, si scoprono molte cose sull’autismo ma soprattutto su uno straordinario rapporto padre-figlio. Tanto speciale da far nascere a Treviso la fondazione I bambini delle fateche finanzia progetti sociali, gestiti da associazioni di genitori, enti o strutture ospedaliere, rivolti a bambini e giovani con autismo e disabilità.

E, sulla scia del successo di questo romanzo, i sequel Sono graditi visi sorridenti e Baci a tutti nonché il film diretto da Gabriele Salvatores e interpretato da un cast d’eccezione: Claudio Santamaria, Valeria Golino, Diego Abatantuono e lo straordinario Vincenzo Panno nella parte dell’autistico Vincent.

Dopo la diagnosi, sono uscito, sono entrato in un bar e ho chiesto un bicchiere d’acqua, naturale.                                                                        

Vuole dell’altro? La barista deve aver notato la mia immobilità.

Lei sa qualcosa dell’autismo?’

No’.

Nemmeno io’.

Scrutavo il liquido, bevevo lentamente, come se l’acqua avesse potuto lavare i pensieri, trascinare ai reni il problema e dai reni fuori, via, lontano da me”.


C’è chi dice che vivere con un figlio autistico significa sottostare a una specie di tirannia. Mi viene da ridere al pensiero di cosa accadrebbe al mondo se cadesse sotto il controllo di Andrea”.


Stare con Andrea mi porta lontano.

Da dove veniamo Andre?’

Di là in fondo, papà’.

Lui è un viaggio nella vita.

Ci ha iscritti alle olimpiadi di salto in lungo dal problema alla soluzione.

Non abbiamo vinto molte medaglie, ma perlomeno non ci siamo fatti corrodere dalla tristezza, dalla rassegnazione, schiacciare dal peso delle difficoltà.

Muoversi, anche quando può sembrare un’illusione”.


Il mondo di Andrea non si può comprendere con un unico sguardo, con una sola vita. Dovrò rinascere e seguire Andrea altre mille volte prima di capire i suoi gesti eleganti, il loro mistero”.


© Marcello Sgarbi

06 novembre 2020

IL BAMBINO DELL'ACETO di Marcello Sgarbi a cura di Miriam Ballerini

 


IL BAMBINO DELL'ACETO di Marcello Sgarbi

“Se “oso” presentartelo tu sei pronto ad accoglierlo?”

© 2020 bookabook

ISBN 978-88-3323-302-4

Pag. 137 € 11,00

Il bambino dell'aceto nasce da un diario scritto negli anni dall'autore, Marcello Sgarbi. Un diario a cui ha confidato i suoi pensieri quotidiani che riguardano la sua famiglia e, in particolare, Umberto, suo figlio. Umberto è affetto da autismo.                                                    Dice nella prefazione Ferdinando S. Berio: “Il bambino dell'aceto entra dentro a poco a poco e lì si sedimenta”.                                                                                                                                       Sono d'accordo con questa frase solo a metà, cioè la seconda parte. Perché, leggendo questo libro, che, fra parentesi, lo si legge rapidamente in poco tempo, non si ha il tempo di questo gocciolare lento di informazioni; ma si viene travolti fin da subito.                                        Conosco Marcello, lo conosco da poco. Abita nel mio paese e ci siamo incontrati quando lui ha voluto coinvolgermi in una iniziativa che riguardava, per l'appunto, il suo libro.                Leggendo il suo scritto ho avuto modo di conoscerlo meglio, di vedermelo davanti: disarmato e nudo.                                                                                                                                                                Ho ammirato fin da subito il coraggio dimostrato nello scrivere tutto di sé, della sua famiglia, dei suoi pensieri. Non è da tutti porsi così alla mercé dell'altro.                                            Marcello ha voluto farlo per far avvicinare le persone che poco o niente sanno di questa sindrome, ma anche per dare un aiuto, una parola d'incoraggiamento a quei genitori che si troveranno nella loro stessa situazione.                                                                                                    Il libro è suddiviso in titoli, ad esempio: Nascita – Diagnosi … a segnare il percorso a tappe che hanno dovuto affrontare e che ancora affrontano lui, la moglie e la figlia.                            Marcello, dopo un primo momento di negazione, ha dovuto anche lui imparare molte cose: cosa fosse l'autismo, come comportarsi, cosa fare …                                                                Marcello è una persona dolce, sensibile; per fortuna è anche intelligente e preparato.     Scrive della loro quotidianità con semplicità, facendo capire proprio a tutti di cosa stia parlando, senza pudori, senza remore, senza false ipocrisie. Attaccato a una forte fede: “... pensavo che, se non avessi fede, avrei le stesse prospettive di un binario morto”.                                                C'è stato solo un istante in cui, leggendo, ho provato una sorta di imbarazzo: mi sembrava di essere piombata all'interno di una famiglia che non conosco, a osservarne ogni lato della loro quotidianità; ma poi, proseguendo, è stato quasi come se conoscessi bene tutti loro, come se, in qualche modo, l'autore mi stesse permettendo di venire accolta all'interno del loro gruppo, senza alcuna timidezza. Così, il suo ripetermi i vari nomi, faceva in modo che li potessi conoscere bene: come persone e come azioni.                                                                                        Per me che abito nello stesso paese, poi, è stato piacevole trovare nomi di persone che conosco molto bene. Bello, soprattutto, vederne esaltate le gesta.                                                 Con alcuni di loro Marcello ha fondato un gruppo che si chiama “IncredAbili”, e che raccoglie diverse patologie; un gruppo che parte dal presupposto che trovo assolutamente condivisibile: non ci sono persone diverse o disabili, ma speciali. Ed è proprio questo che fermamente Marcello ricalca per tutto il libro, dando prova della grande forza di un padre. Forse un padre che è anche lui, come il proprio figlio, speciale.                                                                                     Ci parla delle difficoltà, dell'indifferenza di tante persone che non solo non comprendono, ma nemmeno vogliono fare uno sforzo per conoscere, e questo è ancora peggio. Ci sono istanti di riflessione, dove la sua situazione spazia altrove, confrontandosi con l'indifferenza che è una vera e propria malattia, un virus che spinge le persone a inaridirsi e a perdere il concetto di umanità.                                                                                                                                                             A un certo punto del libro scrive: “Vorrei raccontarvele una a una, quelle cicatrici”. Forse non accorgendosi che, quelle cicatrici, ce le ha mostrate, eccome!     Anzi, ci ha proprio insegnato, attraverso esempi e parole, cosa sia l'autismo: “Perché essere autistici è lo stesso: avere tante cose da dire e, prigionieri di se stessi, non riuscire a farlo”.                                     Per fortuna invece, Umberto ha avuto dei genitori che hanno fatto di tutto per permettergli di vivere, anche se prigioniero della sua malattia, esperienze e di avere delle possibilità.     Umberto, infatti, è ora un ragazzo che ha potuto frequentare la scuola, che fa diverse attività, che ha una vita molto impegnata.                                                                                                             Ne è passato di tempo da quando era il bambino dell'aceto … cioè, da gran mangione quale è, da quando leccava fino all'ultima goccia l'aceto rimasto nell'insalatiera, con grande soddisfazione! I suoi genitori ne sono rimasti così colpiti da trarne il titolo del libro; inoltre, in copertina, il ritratto di Umberto è stato disegnato da suo padre proprio con l'aceto!                    Un libro veloce da leggere, che tanto fa pensare, che tanto dona. Raccontato tramite scene, ricordi, emozioni. Che fa ridere, fa piangere, fa trattenere il respiro per l'ansia. Ma, soprattutto, strilla da ogni pagina l'amore.                                                                                         Spero che vogliate leggerlo così come spiega lo stesso Marcello: “Se “oso” presentartelo tu sei pronto ad accoglierlo? Perché accettarlo equivale ad affrontare una sfida, prima di tutto con te stesso”.

Pronti alla sfida?


© Miriam Ballerini


fonte: https://oubliettemagazine.com/2020/10/26/il-bambino-dellaceto-di-marcello-sgarbi-se-oso-presentartelo-tu-sei-pronto-ad-accoglierlo/


05 novembre 2020

MARIA MAURI IN “PONTI INTRECCIATI” a cura di Vincenzo Capodiferro

 


MARIA MAURI IN “PONTI INTRECCIATI”

Una raccolta poetica suggestiva che ricorda le esperienze del dopoguerra


Ponti intrecciati” è un libro di poesie di Maria Mauri, edito da Cavinato Editore, Brescia 2020. Maria Mauri nasce a Barzio, comune e principale centro della Valsassina - allora in Provincia di Como - il 16 agosto del 1935. Franco Malinverno è stato l’amore della sua vita. Lo sposa nel 1970 a Piona dei Frati. Dal 1974 vive ad Olgiate Comasco. Mariuccia abitava a Barzio, in via Sant’Eustachio, vicino al cimitero: «Quando faceva caldo venivano fuori i fuochi fatui e avevamo paura. Passavamo dalla strada di sotto per non vedere». Mariuccia è stata testimone dell’uccisione di 11 partigiani sotto casa sua. Ancora c’è una lapide: «Abbiamo sentito le raffiche. Siamo andati subito a dormire nel lettone, perché avevamo paura. Uno dei partigiani non è morto, si è salvato, però dopo 5 anni è annegato. Destino crudele! È venuto il prete per dare la benedizione, ma non gliel’hanno permesso. Era il 31 dicembre del 1944». Il padre, Carlo, infatti, era brianzolo, era infatti nato ad Arcore, ed era giunto a Barzio per fare il fattore in questa tenuta, dove Mariuccia era cresciuta. La villa era prima appartenuta ad Ugo Marchi, poi è stata venduta ed è passata ad Alessandro Castelli. Carlo, durante la guerra, aiutava i partigiani, li proteggeva e spesso portava loro cibarie. I partigiani, infatti, erano gente di Barzio e li conoscevano, anche se gli 11 fucilati erano provenuti da posti lontani, tutti per combattere per la libertà. Dopo l’eccidio degli undici vennero i parenti a ritirare le salme: solo una rimase là. Era di un siciliano e non avevano i soldi per venire a ritirarla. Allora i barzesi presero quella salma e vi fecero un monumento al milite ignoto, per sommo riconoscimento. Poi volevano mettere in giardino un cannone per colpire i partigiani, ma in quella villa vi erano 11 bambini e le famiglie si ribellarono. Allora misero una mitraglia e un cannone al cimitero per colpire i partigiani. Sono anni difficili. Mariuccia ricorda nelle sue intense poesie i luoghi dell’anima. A tal proposito, sui luoghi del cuore, Mariuccia ci racconta un fatto simpatico, avvenuto proprio in piazza Garibaldi a Barzio, ove sorge il monumento ai caduti: un leone di bronzo, molto pesante. Sotto il leone di Barzio v'è scolpita una terzina: - Ruggi non domo ed eco fa il Pioverna, forte nell'ugne il Tricolore serri, simbol che nostra fè nel bronzo eterna. Durante la guerra i soldati tedeschi ed i repubblichini fascisti volevano prendere le campane della chiesa ed il leone di bronzo per farne dei cannoni. Hanno tolto il leone dal piedistallo e l'hanno poggiato a terra nell'intento poi di venirlo a prendere. Poi non vennero più. I concittadini han detto: - Cosa l'è che fa il leon lì in terra? L'hanno preso sette o otto persone, perché era pesante, e l'hanno rimesso sul piedistallo, però l'hanno messo al contrario, cioè di coda verso la frontiera della Svizzera. Allora i barziesi reclamavano: - Ma nui non scapon miha de front ai Todesch! Ma noi non scappiamo di fronte ai tedeschi! Allora a guerra finita l'hanno ripreso e l'hanno messo al posto giusto, con le fauci rivolte verso la frontiera svizzera. I barzesi toccano per scaramanzia quel possente bronzeo leone: il mì leoo! “Ponti intrecciati” sono preghiere che accomunano persone, anche distanti tra di loro. Ognuno prega per l’altro: così uno prega per uno e si fa un ponte, poi questo prega per un altro e si fa un altro ponte, poi codesto prega per un altro ancora e si fa un altro ponte ancora, poi quello… e così via. Alla fine capitava che alcuni ponti si intrecciavano, per cui ti trovavi che una persona lontana da te pregava per te, riallacciandosi allo stesso ponte che avevi lanciato tu. È un’esperienza di fede e di solidarietà bellissima. Mariuccia ci lascia un quaderno di poesie che abbiamo riportato: è una testimonianza autentica di una poetica del “vissuto”, che con genuinità e spontaneità riporta tratti di vita quotidiana. La maggior parte dei componimenti appartengono proprio a quel tempo bellissimo (1954-1958) in cui ella vive gli anni della formazione tra le suore di Maria Ausiliatrice. E ricorda le sue maestre, come Suor Radegonda Alberti e la dedicataria del testo, Suor Claudia Vigo, insegnante di lettere, sepolta a Varese. Ricorda le compagne, morte giovani, come Giuliana Ramponi e Silvana Ongania. La protagonista spesso è la natura, una natura incontaminata ed innocente che fa da spettatrice alle vicende umane di gente semplice, pia. Riemergono a tratti i segni dell’ancestrale civiltà montana. Nei suoi versi ricompaiono riflessi di simbolismo, decadentismo, tematiche che l’avvicinano al nido pascoliano ed ai temi cari del “fanciullino”. La sua è una poesia spontanea, è la pura voce del cuore.


Vincenzo Capodiferro

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