15 novembre 2020

L’UNIONE EUROPEA E IL VOTO AMERICANO di Antonio Laurenzano

 


L’UNIONE EUROPEA E IL VOTO AMERICANO

di Antonio Laurenzano

In attesa che la parola fine venga scritta sullo psicodramma delle elezioni presidenziali americane, l’Europa s’interroga sul futuro rapporto con il 46esimo presidente degli Stati Uniti, il democratico Joe Biden. Sta per iniziare una nuova stagione politica dopo la presidenza Trump caratterizzata da un unilateralismo conflittuale senza precedenti che ha segnato le relazioni internazionali con politiche incerte e aggressive, insofferenti al dialogo multilaterale. Negli ultimi quattro anni, per la prima volta dalla fine della seconda guerra mondiale un presidente degli Stati Uniti ha messo in dubbio il suo supporto, non solo militare, al sistema di difesa collettiva della Nato, ha trattato l’Unione europea come un avversario in ambito commerciale con la “guerra dei dazi”, ha indebolito le istituzioni e gli accordi multilaterali che sono la colonna portante del diritto internazionale. Con l’uscita di scena di Donald Trump e la sconfitta del populismo nazionalista, quale alba sta spuntando su Washington? Quale sarà il futuro corso della storia fra Stati Uniti e Vecchio Continente?

Da qui al 20 gennaio, quando il presidente eletto presterà giuramento e si insedierà ufficialmente alla Casa Bianca, ci sarà spazio per approfondire i temi della campagna elettorale e capire in concreto il ruolo strategico che gli Stati Uniti intendono svolgere nei prossimi anni sullo scacchiere mondiale. Gli analisti si aspettano una riaffermazione delle alleanze tradizionali, ma in una versione al passo con i tempi, di modo che siano “un po’ meno reliquie della guerra fredda del passato, e più strumenti internazionali da difendere contro l’intero spettro delle sfide in materia di sicurezza del XXI secolo”. E la pandemia da coronavirus dovrebbe insegnare qualcosa. Joe Biden ha più volte chiarito nei suoi interventi elettorali di voler rovesciare quattro anni di politica estera isolazionista degli Stati Uniti sotto un nuovo slogan: “Ripristinare la leadership americana”, nel tentativo di ricucire strappi e rapporti anche con l’Europa lacerati dal nazionalismo trumpiano. Rapporti che plausibilmente non avranno più i caratteri di un tempo.

Ristabilire multilateralismo e internazionalismo e accantonare il protezionismo non sarà impresa facile, anche se si percepisce qualche elemento positivo. Nell’impostazione programmatica dell’ex vice di Barack Obama c’è l’idea che l’Occidente debba affrontare unito le sfide globali, dai problemi legati al riscaldamento alle tante criticità nella gestione più ordinata dell’economia e della globalizzazione, oltre ai problemi di sempre: migrazioni e terrorismo internazionale. Dovrà dunque cambiare la strategia americana verso i tradizionali alleati europei per rilanciare con forza una leadership mondiale in termini di credibilità offuscata dal trampismo. “America First” ha reso l’America sola, isolata, non ascoltata. Un’eredità difficile quella lasciata da Trump al futuro inquilino della Casa Bianca: il recupero dei rapporti con l’Ue e con la Nato, il rientro negli accordi internazionali come quello di Parigi sul clima e quello sul nucleare iraniano, il rientro nelle Agenzie dell’Onu (l’Organizzazione mondiale della Sanità, l’Unesco, la Commissione sui diritti umani), oltre ai temi caldi della politica mediorientale (processo di pace fra Israele e Palestina), i focolai di guerra in Iran e Arabia Saudita, la questione libica e, dulcis in fundo, la crisi della Turchia di Erdogan.

La storia dei rapporti tra Stati Uniti ed Europa è una storia articolata e complessa, lunga di secoli, iniziata con un protagonismo europeo cui si è progressivamente sostituito quello americano nel secolo scorso con l’intervento militare nelle due guerre mondiali per ristabilire la pace e la democrazia, sostenendo con il Piano Marshall degli Anni 50 la ricostruzione del Vecchio Continente finito in macerie e il suo processo di pacifica integrazione quale argine occidentale alle minacce sovietiche. Dopo le tensioni e le oscillazioni isolazioniste dello “zio matto d’America”, si tratta ora di riprendere il dialogo interrotto per un comune cammino partendo da una cooperazione economica che vada oltre la normalizzazione dei rapporti commerciali. Per l’Unione europea un’occasione per progredire verso l’assunzione di maggiori responsabilità, in particolare nel quadro della Nato, con un’accelerazione al suo interno sul piano della politica di difesa e sicurezza comune. “L’Unione deve prendere il destino nelle sue mani senza contare più sull’ombrello americano per la difesa”, ha dichiarato Josep Borrell, Alto rappresentante dell’Unione per gli affari esteri. “Puntare su un’autonomia strategica per difendere al meglio i nostri interessi nei settori chiave: tecnologia, commercio internazionale, moneta, industria, telecomunicazioni.” E la ricerca di una imprescindibile autonomia europea non è incompatibile con un più forte legame transatlantico, ne è piuttosto la condizione preliminare per rilanciare il multilateralismo e rafforzare una partnership dalle grandi prospettive per frenare l’espansionismo economico, tecnologico e geopolitico della Cina.

La ricucitura dei legami interatlantici serve alla proiezione internazionale degli Stati Uniti, alla sicurezza dell’Europa e anche alla buona salute della società liberale occidentale”, ha commentato sulle colonne del Corriere Angelo Panebianco. Un appello a un sano realismo per scongiurare il rischio di una illusione storica e di un inesorabile declino di ogni progetto di equilibrato sviluppo socio-economico nel mondo.


1 commento:

  1. Ottima analisi, bravo Antonio chiaro e obiettivo come sempre!

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