27 gennaio 2008

"EDUCAZIONE CINICA" di Lodovico Ellena

A confezionare un ritratto quasi brutale del nostro popolo fu Giacomo Leopardi che nel "Discorso sopra lo stato presente del costume degl’Italiani", tratteggiò un catalogo amaro delle nostre qualità, o meglio dei nostri vizi, visto che, secondo lui, la nostra identità nazionale è costituita soprattutto da “assenze”, cioè da elementi che mancano a noi, ma che sono ben presenti e radicati in altre popolazioni. Scarso è il nostro senso morale; assente è la nostra classe dirigente; fiacca la nostra vita interiore: il clima mite del nostro paese, infatti, favorisce la vita all’aperto e la conseguente attenzione agli aspetti esteriori dell’esistenza, a scapito dell’indagine interiore, e soprattutto della conversazione. Sarà proprio vero che gli italiani sparsi nel mondo sono fracassoni, incivili, beceri e maleducati? O si tratta di vecchi, ormai superati luoghi comuni? Secondo l'ironica, spesso sarcastica indagine etologica sui comportamenti della bestia italica svolta in questo libro, il quadro che ne emerge è spietato, addirittura patologico. Il rimedio? Uno sconcertante, inattuale quanto originale suggerimento al legislatore: la tortura e la pena di morte. Davvero controcorrente, se non fosse uno scherzo.
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Lodovico Ellena
EDUCAZIONE CINICA
Presentazione di Silvia Spandre
[ISBN-978-88-7475-141-9]
Pagg. 112 - € 8,00
Edizioni Tabula fati
www.edizionitabulafati.it
edizionitabulafati@yahoo.it
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26 gennaio 2008

Femmine da conio


Appresso ciò lo duca «Fa che pinghe»,
mi disse «il viso un poco più avante,
sì che la faccia ben con l'occhio attinghe
di quella sozza e scapigliata fante
che là si graffia con l'unghie merdose,
e or s'accoscia e ora è in piedi stante.
(Inferno XVIII - 127, 132)


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25 gennaio 2008

Mezzanotte presto arriva

MEZZANOTTE PRESTO ARRIVA di Edio Vassalli
© 2007 Edizioni Ulivo – Collana Sorriso del gatto – poesia

Raccolte in questo libro troviamo le poesie di Edio Vassalli, autore ticinese, alla sua seconda silloge.
La frase “mezzanotte presto arriva” compare in una poesia – ninna nanna dedicata alla figlia Sibilla; una tenera filastrocca esorcizzante le paure dei bambini.
Vassalli fa della notte il suo momento di riflessione, la sua ora di pace nella quale ritrovarsi o, magari, perdersi.

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IL FERVORE
La notte è un sogno discosto
un abisso profondo
un’immagine fantastica
dell’infinito.
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Le sue poesie, quasi racconti poetici, sono composte da termini semplici, e sono costruzioni scorrevoli dove, in poche righe, riconosciamo un’ambientazione e l’emozione.
…………………………………


SPLENDI ANCORA
Quest’anima pigra
e insolente
passeggia astuta
tra le vie spente della notte

Ma le mani intorpidite
dal freddo inverno
scrivono ancora.
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Vassalli ricostruisce nei suoi brani, come un abile artigiano, i momenti da lui osservati e raccolti nella natura, nella strada, nell’amore.
E non manca di guardare anche verso i più poveri, siano essi lontani dalla nostra realtà, come in “Cuba” e in “Africa”; oppure vicini come in “Figlia della miseria”.
Fino a tornare indietro nel tempo e dedicare il suo scrivere a eventi che non si devono dimenticare. Senza usare inutili eufemismi.
…………………………………..


BIRKENAU: ULTIMA FERMATA
Avevamo perso la fede
e portavamo solo quattro stracci addosso
ma ci spogliarono anche dell’anima.
…………………………………….

Di quest’ultima poesia citata è rilevante il fatto che l’autore l’abbia scritta in prima persona, come se fosse un suo vissuto, avvicinandosi così, ancora di più al dolore subito.
Nel libro troviamo anche alcuni ritratti a matita, sempre scaturiti dalla mano di Vassalli, il quale dice: “Mezzanotte presto arriva, una piccola silloge di liriche ispirate dalle tante sfaccettature della vita, dai brevi momenti quotidiani che si fondono fino a formare un mosaico di sensazioni in cui ognuno si può identificare. Il mio pensiero ha vagato tra i ricordi dell’infanzia e tra i temi che più mi stanno a cuore come l’amore e la natura”.
Vassalli ha creato dei momenti di riflessione e di atmosfera. Quel momento di pausa che giunge alla fine della giornata e dove, guardando il cielo nero, in un così ampio nulla, ci si possa riscoprire un po’ più uomini.

© Miriam Ballerini

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Tristano e Isotta: amore, musica e morte

di Augusto da San Buono
1. Mare amaro
Gli ultimi istanti della “Santina di Gallipoli”, al secolo Lucia Solidoro, portata sulla scena dall’attrice Anita Boellis, vengono accompagnati dalla musica della morte di Isotta nell’opera di Wagner “Tristano e Isotta”. Ed è una cosa davvero struggente, che ti prende alle “frattaglie” come diceva il mio amico loggionista Angelino Amendolagine da Terlizzi. Donne e uomini si commuovono fino alle lacrime, fino a star male. Ricordo, a Sannicola, quindici anni fa, presso il piccolo teatro del “Centro Insieme”, una signora, che dovette uscire dal teatro ed essere assistita da un medico (il dottor Schirinzi, cardiologo) che si trovava lì da spettatore. A Gallipoli, una ragazza cominciò ad avere crisi isteriche per gli effetti combinatori della musica (l’amore stregone di De Falla), della voce demoniaca fuori campo (per la cronaca era la mia), e della luce stroboscopica. Abbiamo dovuto tagliare la scena, per non creare una situazione di panico. Come qualcuno sa, la Santina muore guardando il mare, “l’Jonio che ha la forma del vento”, dalla finestra della sua casa di calce e salnitro di poveri pescatori, sita sulla Riviera Bartolomeo Diaz, muore invocando il suo Dio crocifisso (“Gesù mio, ti amo, ti amo…”). Anche Isotta la bionda muore su un alto pianoro che guarda il mare, anche lei muore d’amore davanti al mare amaro del Nord, ma non ha nessun Dio da invocare. Muore per il suo Tristano, muore adagiata sul corpo caro dell’amato, che l’ha preceduta nel lungo viaggio nella tenebra. Quella di Wagner non è l’Isotta cristiana della leggenda di Chretien dei Troyes, con il sentimento del peccato e della espiazione per un amore proibito, ma tutto il contrario. Nell’opera di Wagner – scrive Th. Mann - non c’è cielo né inferno, non c’è nessuna religione, non vi è Dio. Nessuno lo nomina, nessuno lo invoca, vi è soltanto una filosofia erotica, una metafisica atea, il mito cosmogonico nel quale il motivo del desiderio fa nascere il mondo”. E’ un poema filosofico d’amore e morte, dove Wagner, il rivoluzionario del teatro, il grande dilettante della musica (non imparerà mai a suonare decentemente il pianoforte) , l’anti-italiano, l’antisemita, a quel tempo innamorato folle della contessa Mathilde Wesendonck (la sua Isotta), più che mai nietzschiano e dominato dalla più alta concezione di sé, dice che è ora di cambiare musica, e trasmette il suo messaggio messianico:“ Solo nella morte, estrema rinuncia all’Io, l’amore trova la propria compiutezza”.
Il suo “Tristano e Isotta” è il massimo del romanticismo, l’infinito lunare, l’inconoscibile, la notte, l’amore assoluto, l’ebbrezza di annullarsi, la morte come momento erotico più alto e assoluto. “Il nostro amore è ogni tempo / e oltre il tempo… Oh dolce morte/ fuga le nostre angosce/ oh morte d’amore/ tra le tue braccia / riscaldati da te / liberati dal pericolo di svegliarsi”.

2. Barenboim
Ma è anche la fine del romanticismo, dice Daniel Barenboim, grande pianista e grande direttore d’orchestra argentino, di origine ebraica, che ha preso la cittadinanza israeliana, e ora sta scompaginando tutti gli “equilibri” dell’odio atavico tra palestinesi ed ebrei, accettando anche la cittadinanza palestinese. «È un grande onore ricevere l’offerta di un passaporto», ha detto dopo un recital di piano dedicato a Beethoven, a Ramallah, città della Cisgiordania dove è attivo da qualche anno nel promuovere i contatti tra giovani musicisti arabi e israeliani. «Ho accettato anche perché credo che i destini del popolo israeliano e del popolo palestinese siano collegati in modo inestricabile Abbiamo la benedizione, o maledizione, di dover vivere assieme. E preferisco la prima delle due. Il fatto che un cittadino possa essere premiato col passaporto palestinese sia un segno che ciò è possibile… La mia convinzione è che tramite la musica noi possiamo imparare molte cose su noi stessi, sulla nostra società, sulla politica – in breve, sull´essere umano. La musica non come luogo di dorata ed edulcorata quiescenza, ma di fondamentali verità e quindi di ineludibili responsabilità. La musica è la cornice comune; è un linguaggio astratto di armonia. In musica nulla è indipendente. Richiede un perfetto equilibrio tra intelletto, emozione e temperamento. Quindi, tramite la musica possiamo immaginare un modello sociale alternativo, dove l'utopia e la praticità uniscono le forze, permettendoci di esprimere noi stessi liberamente e di ascoltare ciascuno le preoccupazioni dell'altro. Questo processo ci offre un importante insight sul modo attraverso il quale il mondo può e deve funzionare, e talvolta in effetti funziona».

3. Wagner
Ma oggi, purtroppo, non si sente altro che sirene o spari, e la tristezza che siamo diventati, dice ancora Barenboim, grande artista, ma anche grande uomo, un sessantenne alto, grosso, pieno di energia, di passione, di umanità, che parla benissimo l’italiano, è veloce, è perfetto, è cantilenante, come i sudamericani, è tutto un bzzz bzz da insetto ronzante, - oggi la musica che si ascolta per le strade è un insulto all’orecchio… e l’orecchio è l’organo più intelligente del corpo umano… l’orecchio registra la memoria … bisogna educare a sentire… invece oggi è tutto visuale … bzz bzz, Bar è uno che ha diretto il Tristano un centinaio di volte, opera con cui il 7 dicembre scorso è stata inaugurata l’apertura della stagione della Scala di Milano, di cui è direttore. Gli mettono il microfono sotto il naso. “Maestro, è vero che lei aveva sempre sognato fin da bambino di dirigere il Tristano alla Scala di
Milano?” Assolutamente no. Io veramente sognavo di fare il marinaio, o il pescatore, oppure il presidente degli Stati Uniti, a seconda di come mi alzavo dal letto al mattino. Lei sa come sono fatti i bambini… Poi un giorno mi sveglio, mi alzo e dico …bzzz…bzzz…bzzz, oggi voglio fare il musicista, voglio dirigere il Don Giovanni di Mozart, o magari l’Otello di Verdi, o la Carmen di Bizet . E tante altre opere ancora. Ma al Tristano non ci avevo mai pensato. Non solo quando ho cominciato a suonare nelle orchestre (avevo appena sette anni), ma anche dopo, da direttore, non pensavo al Tristano, anche perché onestamente non lo conoscevo affatto. Sa, noi argentini conosciamo solo i tanghi e le mazurche, bzz bzz. Ma un giorno che suonavo il pianoforte nella buca con Wilhelm Furtwängler, lui mi fa, Senti Bar perché non vieni con me che ti faccio suonare il Don Giovanni, e così ti levi la voglia. E così mi rimetto nella buca, seduto al clavicembalo e mi faccio una ventina d’anni di Mozart. Ora pero fai il Tristano, mi disse il mio maestro e mentore Furtwängler. Ed io, no, Furt, ora c’è Verdi, c’è l’Otello, ma devo ammettere che alla fine non è che mi entusiasmasse molto fare l’Otello. Ho subito invece il fascino di Anton Brckner e me lo sono fatto tutto, ma proprio tutto. Mi piaceva assai uno come lui, un romantico convinto. Mi piaceva conoscerlo musicalmente, ma mi resi conto che non aveva praticamente scritto nulla per pianoforte, e io avevo bisogno di pezzi forte al piano, allora mi sono buttato a capofitto su Lizst, e l’ho suonato come un pazzo, e si sa che chi suona Liszt stabilisce un vincolo, un contatto con Wagner, anche se non mi spiego come facesse un grande come Lizst a sopportare l’arroganza e l’atteggiamento da superuomo di un genero come Wagner, che stava sempre a rimirare il proprio genio, come Narciso la sua immagine, sempre pronto a servirsi con cinismo dei propri ammiratori per ottenere prestiti in danaro e favori di ogni genere. Lui – diceva - era venuto al mondo per una missione da compiere. Doveva avere splendore, bellezza, luce , ricchezza, e il mondo gli doveva tutto ciò di cui aveva bisogno. “Io non posso vivere con una miserabile elemosina da organista come il vostro Bach”.

Ma se l’uomo è discutibile, l’artista è davvero grande, mostruoso, titanico, inventore della nuova opera lirica, del grande teatro, dell’opera d’arte totale, colui che più di altri ha segnato un’epoca e ha costituito un punto di partenza per le ricerche successive.

4. Il Tristano

Poi forse venne il tempo in cui ero pronto anche per il Tristano, ma mi trovavo a Parigi e ritenni che fosse il caso di omaggiare Hector Berlioz , anche lui è uno che ruota intorno a Wagner. Arriviamo così al 1977 , ho trentaquattro anni e mi trovo a Berlino Ovest per dirigere la Carmen, io adoravo la Carmen , soprattutto con la regia di Ponnelle. Si doveva fare la Carmen con dialoghi cantati secondo l’originale , ma la cantante francese s’ammalò e non ce n’era un’altra . Di cantanti che conoscono la lingua italiana ne trovi quante ne vuoi, di lingua tedesca ne trovi ancora , ma che cantino il francese trovi solo i francesi. Ponnelle era uno che comunque sapeva sempre trovare il rimedio, e mi disse, non ti preoccupare Bar, ho anche la versione in tedesco , e una Carmen tedesca la troviamo di certo. Ma la produzione non so perché decise di cancellare il progetto, con gran discorno di Ponnelle che se ne andò superincazzato. Non c’erano altri titoli liberi in programma se non il Tristano . Ma chi lo dirige? , chiesi a Palmhorststein , che aveva diretto Wagner un miliardo di volte. Lo fai tu, vero? . E lui di rimando, No , fallo tu, Bar, è una buona occasione, disse, e mi sembrò che avesse un risolino ironico sulle labbra. Accettati la sfida. Minchia!, dissi dentro di me , questa è una provocazione bella e buona. E fu così che ebbe inizio la mia vera e propria carriera di direttore d’orchestra, fino allora occasionale ( facevo più il pianista) con il mio primo Tristano, a Berlino , nella madre patria. Poi lo feci anche a Bayreuth , nel 1981, e fui il primo direttore ebreo a farlo lì, nel tempio di Wagner. Ma poi feci anche di peggio. Portai la musica dell’antisemita Wagner in Israele , e mi feci un mucchio di nemici. Sai quante pietre da parte dei buoni ebrei!, metaforiche e no. Ma grazie a Dio ho avuto la fortuna di prendere coscienza presto che fare musica non è un'affermazione dell'essere ma del divenire…Dicevamo del Tristano, vero? … Con la regia di Gotz ne ho fatti tanti , uno , due , sessanta , ottanta bzzz bzzz . Venticinque anni di Tristano e Isotta in ogni parte del mondo …bzzz…bzzz…. Tanti fans, dei veri e propri adoratori del Tristano, ma anche qualche nemico…Quando suoni Wagner è così… Del resto se nella vita non hai nemici significa che hai sbagliato tutto, significa che non hai fatto niente. E un’altra cosa vuol dire Tristano , che se uno vuole bene veramente , è disposto a morire per la persona amata. Ma il Tristano è anche altre cose. Questa musica di Wagner ha uno slancio sensuale, direi sessuale, in sé. Ascolti la musica ed è come se ti facessi una scopata, è un vera e propria sublimazione del coito. Per questo è inutile caricarla di pathos. E così ha fatto Patrice Chereau, che tiene una classe unica , è pulito e senza orpelli , fa le cose semplici, le cose essenziali, ha capito che Tristano non è solo, quando il suo re Marke lo manda con il vascello a prendere Isotta , principessa d’Irlanda, perché divenga sua sposa e regina di Cornovaglia , come pegno del trattato di riconciliazione fra la Cornovaglia e l’Irlanda. Non c’è solo l’equipaggio con lui , ma c’è tutto il pubblico che fa il viaggio con Tristano , che partecipa alla vicenda , che è storia pubblica, a cielo aperto, sul mare , come sempre capita quando si viaggia su una nave e non ci sono dei camerini singoli. La bella Isotta dalle trecce bionde, la maga Isotta, che ha già curato e guarito Tristano sotto mentite spoglie , nonostante questi avesse ucciso il suo fidanzato Morold , è ancora innamorata del suo eroico “traditore”, e la loro storia d’amore è irreversibile e tragica fin dalle prime battute. Ora dal vascello si vedono le coste della Cornovaglia , e Isotta è furente , maledice Tristano e tutti i suoi avi. (“Razza bastarda !”), e ha ordinato segretamente alla sua ancella Brangane di aprire il filtro magico della morte e versarlo nel vino, che offrirà a Tristano. Lo invita a bere nella coppa ( “Brinda con me , amato traditore!”) ma prima le deve chiedere perdono. E Tristano non si lascia pregare ( “Mia regina e donna adorata!”) . Il torneo , la schermaglia tra i due innamorati si apre già prima di bere entrambi nella stessa coppa. Musica e parole li legano pericolosamente. E l’ancella Brangane non ha versato il filtro di morte, ma quello d’amore. Restano in muto abbraccio. La nave arriva in porto. Suono di trombe. Urrah! Urrah per il re Marke!, gridano le voci, ma tutti sono attenti ai due innamorati fatali : “I nostri cuori traboccano d’ebbrezza/ i nostri sensi fremono di gioia/ fiore rigoglioso di ardente desiderio/ suprema fiamma di struggimento amoroso/…meravigliosa estasi d’amore”.
Una delizia piena di perfidia, una gioia votata alla menzogna, conclude Tristano, mentre l’atto si chiude con “Gloria al re!”, che è già tragicamente becco ancora prima di conoscere la sua sposa. Da quel momento della bevanda o filtro d’amore è tutto un annegare, affondare, nella catastrofe tragica del mito , fino al canto finale di Isotta accanto al cadavere di Tristano , con lievi invisibili affinità leopardiane dell’infinito : annegare nell’immensità , “dolcezza suprema”. E’ l’ultima parola cantata da Isotta che cade . come trasfigurata , sul cadavere di Tristano , con re Marke che sopraggiunge e benedice i cadaveri. E il sipario che cala lentamente. Voluttà , piacere, anche gioia, anche sensualità trasfigurata , ma soprattutto la voluttà intellettuale che filtra attraverso Schopenahuer e i lampi di poesia, è quello il piacere supremo di Wagner , veder coincidere, come in Novalis , la bellezza e la verità… e il Nulla.
«L'impossibile mi ha sempre attratto più del difficile, perché l'impossibile desta non solo un'impressione di avventura, ma un'impressione di attività che trovo altamente attraente. Ha il vantaggio aggiunto che il fallimento non solo è tollerato ma anche atteso».
Anche per Tristano quest’amore era impossibile. E così anche nel terzo atto Tristano non può essere solo, sotto un tiglio , sull’altura rocciosa affacciata sul mare , a morire. Ha intorno a sé tutta la gente possibile, gli stessi spettatori . E lui lo sa. Sta morendo per amore , ed è la morte perfetta. Nel duello contro Von Melot si e lasciato volutamente ferire , ed ora canta la sua totale appartenenza alla notte , attende Isotta . C’è un pastore, di vedetta, che scruta l’orizzonte in cerca della nave che porti la salvifica giovane . Vicino a lui c’è il fedele amico Kurwenal , che gli che dice, Tristano hai fatto la più dolce follia del mondo. Guarda cosa hai fatto di te…Un’opera morta. E Tristano, di rimando, Non è il massimo possibile per un mortale, morire d’amore?

5. Musica e morte
Maestro, ma il Tristano è solo una storia d’amore?
No, è una storia di musica e morte , soprattutto , e la morte si fonda sull’amore , anche sull’amore . Ma la morte è centrale in quest’opera , la morte influenza tutto, è come nel don Giovanni di Mozart , che inizia con una morte che segna poi tutta l’opera. La musica esce dal silenzio e va nel silenzio, come diceva Schopenhauer , tanto amato da Wagner, il grande genio rivoluzionario dell’arte che ha trovato la musica in età tardissima , pensi che fino a diciotto anni non conosceva una nota , grazie a Beethoven… Ma la musica ha sempre qualcosa in sé di sovversivo, che ti può incantare e travolgere….
Perchè i personaggi di Wagner hanno queste ferite, come Tristano, ferite che non guariscono mai?
E’ ovvio che le ferite non sono quelle della carne , ma soprattutto dell’anima , ma sono ferite anche delle civiltà , sono ferite della musica stessa. Dopo Tristano la musica non è più la stessa. Tristano è un’opera chiave per lo sviluppo della musica . Ci sono compositori grandi , dalla scrittura e dalla compositura perfetta, come ad esempio Mendelssohn , col suo ottetto , ma anche col concerto di violino, con le romanze senza parole, tutte cose eccezionali, che però non hanno cambiato il corso della musica . Anche senza questi capolavori la musica si sarebbe sviluppata lo stesso. Poi ci sono altri compositori magari meno perfetti di Mendelssohn , prendi Berlioz , o Lizst , ad esempio, compositori che non hanno lo stesso grado di arte , ma hanno radicalmente fatto svoltare il mondo.

Dopo di loro, solo tre o quattro hanno raggiunto l’apice , sommando la perfezione della scrittura con l’importanza della sostanza. Ma Bach e Wagner , loro hanno incarnato e insieme la conclusione del loro tempo simultaneamente hanno mostrato il cammino del futuro. Ma fra tutte le creature di Wagner , il Tristano è il pezzo chiave , perché qui il cromatismo è portato al massimo e il cromatismo significa ambiguità , per questo l’opera “Tristano e Isotta” , è perfetta , perché è pura e totale ambiguità , sia dei personaggi che della musica . Ed è per questo che la sentiamo così parte di noi e del nostro tempo.

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23 gennaio 2008

I racconti di Versailles – 13 – di Bruna Alasia

LA LEGGENDA DELLE BRIOCHES
Racconto tredicesimo


12 novembre 1774. La mattina presagiva pioggia e tirava una leggera tramontana. Con un cappello di piume bianche e un abito da cerimonia viola Luigi XVI, scortato dai fratelli e dagli ufficiali della corona, attraversò l’ Ile de la Cité e salì le scale del Louvre. Alla sua vista procuratori, avvocati, cancellieri, studenti, azzeccagarbugli, uscieri, spie, maestri di procedure, sospesero le faccende scoppiando in un applauso che lo accompagnò sino alla Sala grande quel giorno affollata. Entrato, il re prese posto su un seggio che dominava i principi del sangue e i pari della corona, assunse un’aria altezzosa ma provava disagio perché, miope com’era, non distingueva chi gli stava attorno. Percepì un silenzio di attesa, si raschiò la gola e vincendo la paura annunciò con voce ferma:
- Il parlamento sarà ristabilito nelle sue antiche forme!
Si volse verso il presidente in toga rossa ed ermellino, accanto ai consiglieri in zimarra nera:
- Signori prendete i vostri posti – dopo una pausa il suo tono crebbe sino a divenire vibrante, quasi minaccioso – signori, Luigi XV, mio signore e avo, forzato dalla vostra resistenza ai suoi ordini, ha fatto ciò che saggezza esigeva per il mantenimento dell’ autorità e della giustizia. Oggi io vi richiamo a funzioni che non avreste mai dovuto lasciare… Voglio seppellire il passato ma vedrò con grande malcontento qualsiasi divisione turbi il buon ordine e la tranquillità…
Quindi chiese di dare lettura agli editti che ristabilivano il parlamento di Parigi, il gran Consiglio, la Corte delle imposte indirette. Al termine, dopo una pausa, i presenti superarono l’esitazione lanciandosi in acclamazioni di gioia . Il re, sentendo la tensione allentarsi, sorrise. Guardò l’allegra baraonda improvvisamente stanco, sgravato e soddisfatto: era riuscito in una prova difficile, si era messo in gioco suo malgrado, ora desiderava tornare a casa. Il grande passo era compiuto.
Trascorsa l’estate tra dossiers di Opinioni favorevoli al ritorno dell’antico parlamento e dossier contrari, alla fine aveva dato retta al suo mentore, Maurepas, che aveva manovrato perché la nobiltà di toga, cacciata dal Beneamato, tornasse al potere.
“I parlamenti dirimono cause di principi e pari, intervengono sul clero, ma anche se si oppongono al sovrano, non possono mobilitare truppe”, si rassicurava Luigi, “ un governo energico li tiene a bada… e un re popolare non ha bisogno di difendersi”. Lui voleva essere soprattutto accettato dal suo popolo ed era convinto che la disponibilità verso i contestatori dell’ autorità divina gli avrebbe attirato simpatie. Quando Maurepas gli aveva raccontato che a Palazzo Reale vendevano cofanetti con sul fondo l’immagine di Luigi XII, di Enrico IV e la sua , con la scritta “ XII e IV fanno XVI”, era arrossito di piacere: “essere magnanimo procura amore e stima”, pensava, “cose senza le quali non si vive”.
***
Il salotto di madame de Geoffrin era stato per decenni, uno dei più raffinati e frequentati di Parigi, famosi i pranzi del mercoledì vietati alle donne. In casa sua erano passati Marivaux, Montesquieu, Marmontel, il pittore Van Loo, soltanto per citare i più famosi. Sua figlia Maria Teresa, che aveva con lei rapporti pessimi, diceva che la madre escludeva le signore per primeggiare. Ma le donne non mancavano alle cene per pochi intimi che continuava a dare anche in età avanzata.
Una sera davanti all’hotel di rue Saint Honoré, dove era di casa l’intellighentia, si fermò una carrozza dalla quale scesero due signori che entrando si fecero annunciare:
- Il conte di Maurepas e il barone Turgot.
Un servitore li accompagnò dove la de Geoffrin, mademoiselle de Lespinasse che abitava con lei, la figlia Maria Teresa, l’ enciclopedista D’Alembert, li attendevano con impazienza. La tappezzeria bordò, i candelabri in ottone, le grandi specchiere, davano un’aria opulenta alla sala dove si cenava e i due si sentirono a casa.
- Benvenuti – la padrona andò loro incontro.
- Siamo in ritardo…
- Accomodatevi…
La sera fredda aveva stuzzicato l’appetito di Maurepas e Turgot che presero posto volentieri.
Anne Robert Jacques Turgot, barone de l’Aulne, nell’agosto del 1774 era stato voluto da Maurepas al controllo generale delle finanze. Aveva quarantasette anni, come tradiva il viso appena appesantito ma, sotto la chioma naturalmente ondulata, la fronte ampia e gli occhi miti rivelavano intelligenza e animo illuminato. Entrato in magistratura, era stato consigliere al parlamento di Parigi, aveva collaborato all’Enciclopedia, scritto libri ispirati a principi liberali e fortemente riformatori come le Lettere sulla libertà del commercio del grano.
Fu dunque con un largo sorriso che il vecchio D’Alembert sedette a tavola di fronte a lui:
- Quando ho saputo della vostra nomina – disse il famoso matematico – ho subito pensato che il regno avrebbe conosciuto la prosperità.
Turgot alzò una mano:
- Lo spero e farò di tutto per attuare le riforme…
- Con voi – aggiunse d’Alembert – la filosofia è al potere…
- Oh no! – esclamò Maurepas – non l’abbiamo certo chiamato per questo! Diciamo che il re e io contiamo sulla sua competenza…
In quel momento la gracile mademoiselle de Lespinasse ebbe un accesso di tosse:
- Bevete – la soccorse madame de Geoffrin.
Julie deglutì. Prima di abitare con la de Geoffrin, mademoiselle de Lespinasse aveva vissuto con la marchesa du Deffand, grande libertina e salottiera, che divenuta cieca l’aveva presa come lettrice. Accortasi che Julie riceveva i suoi amici intellettuali anche da sola, in preda alla gelosia la du Deffand l’aveva cacciata, ma Turgot e d’Alembert l’aiutarono a ricostituire un suo circolo. Si insinuava che lei e d’Alembert fossero amanti, in realtà il suo cuore batteva altrove. Era convinta sostenitrice delle idee di Turgot.
Calmatasi, la Lespinasse guardò il controllore delle finanze:
- Raccontateci il vostro programma, siamo ansiosi di conoscerlo…
Il barone si umettò le labbra:
- Economia è la parola d’ordine! Niente prestiti, né bancarotta, ne nuove imposte… anzi sostituzione delle tasse con una sola da imporre a tutti i proprietari… libertà di industria e di commercio…
- Il commercio e la libera circolazione dei grani – assentì Julie - è un duro colpo al dirigismo e in favore della libertà…
Maria Teresa, figlia quasi coetanea della de Geoffrin, aveva ascoltato in silenzio. Fedele a monarchia, chiesa e parlamenti, trovava le idee del controllore pericolose, detestava d’Alembert e aveva fiducia soltanto in Maurepas, che sapeva legato alla tradizione. Sua madre, esperta intrattenitrice di quattordici anni più vecchia, l’aveva invitata per avere una sorta di “par condicio” nella conversazione.
Guardò con scetticismo il ministro:
- Il re e la regina sono d’accordo con una simile rivoluzione?
- Maria Antonietta mi adora – disse Turgot
- E come può?
- Le ho aumentato l’appannaggio.
Tutti scoppiarono a ridere, tranne la figlia di madame de Geoffrin.
“Quest’uomo” – pensò scandalizzata – “non ha nessun rispetto per la superiorità divina dei reali!”
La genitrice intervenne:
- Signori, champagne! Alla prosperità del nuovo regno!
***
Luigi XVI aveva accettato di non dichiarare bancarotta e ridurre le rendite, per non danneggiare i piccoli risparmiatori che avevano affidato le economie al tesoro: atteggiamento illuminato, in contrasto con quello sleale dell’Ancien regime che abitualmente mancava di parola alla mercé di ufficiali contabili, fattori generali e gruppi di pressione. Appoggiato dal re Turgot affrontava l’impresa con lo slancio di chi pensa di porre la prima pietra di una banca di Francia, felice che Maria Antonietta, recalcitrante a risparmiare, non si intromettesse. Impegnata a slittare sulla neve con il conte di Artois, a organizzare feste galanti, ricevimenti, gite, sfilate di moda, a ristrutturare la splendida tenuta del Petit Trianon, la giovane regina sembrava dimenticare persino l’incoronazione del marito.
Già in passato, quando era stato amministratore di Limoges, Turgot aveva abolito la tassa sul pane e i privilegi dei forni urbani: l’istituzione del libero scambio del grano nelle sue intenzioni, aveva lo scopo di far scendere il prezzo di quello che, più di oggi, era cibo per eccellenza. Però nel 1774, disgraziatamente, un raccolto molto cattivo permise agli speculatori di accaparrarsi le riserve di frumento e far salire il suo costo alle stelle: divenne introvabile e più prezioso dell’oro. Sopraggiunse la carestia, la situazione si aggravò sino a diventare vera “guerra della farina”: nella primavera del 1775 in tutta la Francia scoppiarono sommosse, assaltate le panetterie, i mulini invasi e saccheggiati da gente affamata, infuriata, esasperata, manipolata forse, ma sicuramente felice di scaricare finalmente il malcontento.
Fu allora che la regina venne coinvolta dai sostenitori di Choiseaul i quali, sapendo quanto si sentisse in debito con l’uomo a cui doveva il matrimonio, le sottoposero un memorandum contro Turgot chiedendole di intercedere perché il re richiamasse al suo posto l’ex ministro. Senza starci a pensare, Maria Antonietta stabilì di parlare a Luigi mentre era nello studio, calmo e concentrato sugli hobbies dai quali non amava essere disturbato.
Lo vide alla scrivania, intento a far girare un mappamondo:
- Che guardate?
- L’America… -
- Permettete che sieda?
- Accomodatevi.
- Cosa leggete?
La guardò seccato, immaginò che stesse per chiedergli dei soldi e tagliò corto.
- Avete deciso per il Trianon?
- Niente ananas, aloe, fichi, caffè… non mi interessano… - si infervorò Maria Antonietta – desidero un giardino anglo-americano copiato dalla natura…
- Lo avrete.
- Ma… non sono venuta per questo!
Rimase di stucco, la osservò interrogativo.
- Sono qui – sottolineò con calma la regina – per via della pericolosa situazione in cui siamo… la gente assalta i forni a Saint German, a Nanterre…
- E allora?
- Tutta colpa di quel Turgot! Ci vuole un uomo capace… un uomo come il duca di Choiseaul…
Luigi si alzò, percorse a passi lenti la stanza, la sua voce ora era fredda:
- Dite pure al vostro amico che da me non deve aspettarsi niente…
***
Il maresciallo Biron, colonnello delle guardie francesi, aveva settantacinque anni e ne aveva passati di momenti brutti: la notte dei fuochi d’artificio per il matrimonio dei delfini, era stato travolto dalla folla e, se i suoi uomini non lo avessero protetto, sarebbe morto. Biron era popolarissimo, non amava usare le maniere forti, si fidava dei suoi concittadini. Convocato da Turgot per concordare misure preventive insieme a Lenoir, luogotenente generale di polizia, lo ascoltava in piedi trovando le sue preoccupazioni esagerate.
- La rapidità con la quale i moti si diffondono – spiegava Turgot - mi ha convinto che non hanno niente di spontaneo ma sono manovrati, il re condivide il mio punto di vista…
- Manovrati da chi? – chiese Biron attento
- Dai nemici delle riforme… dallo stesso parlamento… Necker ha pubblicato un trattato contro la liberalizzazione del grano… pensare che gliel’ho concesso io!
- Quali sono gli ordini di sua maestà ?
- Difendere Parigi, arrestare tutte le teste calde! Da quando i rivoltosi hanno invaso Versailles i moschettieri sono allertati…
- A Parigi non succederà.
Si congedarono. Seguirono ore di attesa tranquilla. La vecchiaia aveva reso Biron saggio e distaccato, così la sua sorpresa fu enorme appena lo informarono che a Porta della Conferenza una moltitudine scarmigliata e lacera di uomini, donne, bambini, armati di bastoni, zappe, forconi, fionde, si stava ammassando. I cittadini, curiosi e solidali, affluivano per vederli sfilare come assistessero a una processione.
Accorse, senza merce, la venditrice ambulante Caroline Chevrier. Ai tempi in cui vendeva caffelatte e brioches guadagnava quattordici soldi al giorno, ora un pane di quattro libbre costava sedici. Per mezza pagnotta da dare ai figli era arrivata a prostituirsi con un cliente dei caffè per cui aveva lavorato. Stupita, arrabbiata, commossa davanti alla folla, Caroline batté le mani quando un gruppo di bambini prese a sprangate il portone di una panetteria, ruppe il catenaccio ed entrò. La gente si accalcò, spinse, si tuffò assatanata, facendosi male, ma che delusione scoprire che la farina non c’era! Allora iniziò a sfasciare ciò che capitava sottomano. Sul piazzale scandivano:
Maestà abbiamo fame
mandateci del pane
brioches dalla regina
fermate Jean Farina!
Però “Jean Farina”, come era soprannominato il maresciallo Biron, stava ancora riflettendo se inviare la guardia a cavallo e, quando controvoglia lo fece, ordinò di non spargere sangue. Caroline Chevrier temeva i gendarmi, gli zoccoli delle bestie, ma la rabbia era tale che appena uno di loro si parò davanti non pensò al pericolo e gli sputò contro.
L’altro la rincorse e l’afferrò per i capelli:
- A chi ?
- Lasciami!
Balzò a terra, la sbatté contro il muro.
- Cosa fai qui?
Caroline ora aveva paura:
– Sono una venditrice ambulante…
- Cosa vendi?
- Caffellatte e brioches…
- Non avete pane ma mangiate brioches?
Caroline abbassò gli occhi, l’ufficiale scoppiò a ridere:
- Sai cosa dice la regina?
Silenzio.
- Sai cosa dice?!
Allargò le orbite come un pazzo:
- …. se non hanno pane che mangino brioches!
Montò in sella e galoppò via.
***
L’autorità sospettò un piano per isolare i villaggi, intercettare le navi, impedire il trasporto del grano, affamare Parigi. Furono arrestate centoquarantacinque persone e quasi tutti operai. Per scoraggiare i tumulti il tribunale decise due condanne a morte: in piazza Greve finirono sulla forca un gasista di appena sedici anni e un parrucchiere di ventotto.
- Avresti dovuto evitarlo – disse Maria Antonietta al marito
- Avrei voluto, ma non ho potuto…
A causa di un sistema di produzione arcaico, dove i raccolti variavano da un anno all’altro, non c’erano regole di mercato, città e campagna non comunicavano, prevalevano intrighi di potere e interessi di parte, il tentativo generoso di liberalizzare il prezzo del pane era finito nel sangue. Maurepas si distinse per l’assoluto silenzio, abdicò per paura e opportunismo al suo ruolo e sperò che il buon Dio calmasse le acque con una messe abbondante.
Caroline Chevrier apprese delle esecuzioni da una vicina di casa che gliele descrisse con raccapriccio e rassegnazione.
- Quel povero ragazzo penzolava con la lingua di fuori – diceva l’anziana donna – però hanno fatto subito un’amnistia…
- Finiremo sgozzate da chi esce dalla Bastiglia… - rispose Caroline
- Magari per rubarci le brioches! – rise allusiva l’altra.
Poi, scavalcando immondizie e liquami che scorrevano lungo il vicolo, si avviarono per andare a prendere acqua a una fontana.
La frase sulle brioches, mai pronunciata da Maria Antonietta, corse di bocca in bocca e fu riportata in modi differenti: non si può dire sia nata così, si può supporlo. Gli storici, dal canto loro, non sanno nemmeno quando sia iniziata: di certo si tratta solo di una leggenda, alla quale però qualcuno ancora crede.

Libero circuito culturale, da e per l'Insubria. Scrivici a insubriacritica@alice.it

17 gennaio 2008

Il padre di Enrico


E un che d'una scrofa azzurra e grossa
segnato avea lo suo sacchetto bianco,
mi disse: «Che fai tu in questa fossa?
(Inferno XVII, 64-66)
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Edda Ciano: una donna in fuga


di Augusto da San Buono

1. Non fu battezzata.
Edda nasce a Forlì il primo settembre 1910, lo stesso giorno in cui si proclama la nascita dei “poeti crepuscolari “ , che esprimevano "la torpida e limacciosa malinconia di non aver nulla da dire e da fare". Anche i genitori di Edda , - Benito Mussolini, un ventisettenne facinoroso e perditempo , uno squinternato agitatore socialista , e la diciassettenne Rachele Guidi , l’arzdora , allora conviventi non sposati, - sembrava che non avessero nulla di meglio da fare che mettere al mondo quella creatura “illegittima” , registrata all'anagrafe solo dal padre e con un grosso N.N. al posto del nome materno (a lungo si insinuò che non fosse figlia di Rachele bensì di Angelica Balabanoff). In omaggio alle rigide convinzioni anticlericali dell’ambiente, Edda, che traeva il proprio nome dalla superdonna nietzschiana, protagonista di un dramma di Ibsen (Hedda Gabler), non fu battezzata. Lo sarebbe stata solo molti anni dopo alla vigilia del Concordato.
Edda nasce lo stesso giorno in cui Carlo Michelstaedter comincia a pensare che la vera gloria , la vera vita non è il vivere , ma la fuga dalla vita , il morire. La vita , comunemente intesa , è per chi “è già morto”: Ritornate alle case tranquille/alla pace del tetto sicuro,/che cercate un cammino più duro?
Ritornate alla via consueta/e godete di ciò che v'è dato: non v'è un fine, non v'è una meta/ per chi è preda del passato./Ritornate alle mani amorose/allo sguardo che trema per voi/ a coloro che il primo passo/vi mossero e il primo accento,/che vi diedero il nutrimento/che vi crebbe le membra e il cor”.
E anche Edda sarà una donna irrequieta e torpida , sfrenata e malinconica, una donna sempre in fuga. Ma come furono i suoi primi anni? Un lattaio che andava a portare ogni mattina il latte ai Mussolini, all’epoca in cui abitavano a Milano, dice che era bruttina, magrissima, un vero maschiaccio che faceva a cazzotti con tutti nei cortili e lungo le scale della casa "di ringhiera" dove abitavano. Giocava a biglie, correva e urlava, non sentiva i richiami della madre . Erano tempi duri, tempi di miseria e i Mussolini erano poverissimi ; vivevano praticamente del latte e spesso erano in arretrato con il pagamento dei conti, ma donna Rachele , ormai signora Mussolini – dice il lattaio - era molto affabile, molto umile , molto magra ( pesava trentotto chili) e molto disperata , un po’ per tutto , ma soprattutto per quella figlia discola, a cui non riusciva ad insegnare un minimo di disciplina ed educazione. Quando nacque il secondo figlio, Vittorio, la nonna Annina , a cui non lesinava degli scherzacci, disse a Edda:“Ora non sei più la dispotica figlia unica. Non le hai tutte vinte , hai finito di comandare a bacchetta tuo padre. Sei finalmente scesa di uno scalino, la festa è finita, per te, zingara!”. E la madre , che le imponeva di fare sciarpe di lana per i soldati in guerra, e non di sognare l’impossibile e stare dietro ai racconti degli zingari, la portò alla disperazione. Un giorno scappò di casa e pensò davvero di unirsi agli zingari coi quali aveva stretto amicizia, affascinata da un ragazzino della sua età che suonava il violino , ma arrivò tardi, trovò solo un mucchietto di cenere ancora calda, unico residuo di un accampamento misteriosamente scomparso, così com’era misteriosamente apparso.
“Quel giorno mi chiusi nel gabinetto per ore e ore, finché sfondarono la porta.. Mi sentivo sul confine della pazzia , avevo come una sbarra di fuoco dentro; stavo ore e ore affacciata a un davanzale sempre in bilico, in procinto di cadere, ero in una linea d’ombra ; vedevo le altre ragazze della mia età che erano felici, che sorridevano , che facevano progetti , avevano intorno a sé un territorio ampio di vita .Io stavo nella terra di nessuno. Dentro confini in cui non si può sfuggire , non avevo scampo. In me c’era solo la sofferenza, l’umiliazione e il dolore. Soffrivo terribilmente. Ecco perché volli andare in collegio, a Firenze. Ma non è che nel collegio si stava tanto meglio, era una specie di carcere…sì, carcere. Resistetti pochi mesi.”

2. Guarda gli uomini diritti negli occhi
Fu allora che capì, confusamente , che ognuno deve essere salvatore di se stesso, non può attendere la salvezza da altri: neanche da Dio. "Cristo ha salvato sé stesso poiché della sua vita mortale ha saputo creare il dio: l'individuo", ma "nessuno è salvato da lui", se non si ottiene la salvezza da se stesso.
Passano un po’ d’anni ed ecco che cambia scena, la ritroviamo figlia del Duce, diciottenne sulle spiagge di Riccione, scambiata quasi per una damigella dell’aristocrazia inglese , se non fosse stato per quell’espressione velata di profonda tristezza , e se gli occhi del padre non avessero conferito al suo viso qualcosa di demoniaco. Edda non è bellissima , ma in compenso mostra di avere una personalità spiccata , ostentava un atteggiamento sicuro , anzi spavaldo. Guarda gli uomini diritto negli occhi e mai abbassa i propri, magnetici , mefistofelici . E’ tra le prime ragazze italiane a guidare l’automobile , a indossare i pantaloni come facevano Lidya Borrelli e Isa Pola ,
va in bicicletta in Romagna come un’arrotina impazzita , con le gonne svolazzanti e le gambe scoperte , al mare indossa i primi costumi succinti , mentre tutte le altre ragazze si coprono fino alle caviglie , comincia a fumare le prime sigarette , con grande cruccio del padre, che le invia un ritaglio d’articolo: “ Per le donne che fumano , s’avverte che la nicotina imbruttisce e guasta la salute” Ma lei non se ne dà vinta , fuma due pacchetti al giorno.

3. Galeazzo Ciano, colpo di fulmine o una messa in scena?
La ragazza è fonte di preoccupazione per i genitori , in casa la chiamano la cavallina matta . E’ bizzarra, sventata, capace d’indicibili colpi di testa , sempre pronta ad innamorarsi ora di questo ora di quest’altro giovanotto , con la polizia che vigila sulle sue amicizie e su i suoi incontri , per ordine naturalmente del Duce. E di innamoramenti ce ne sarà uno pericoloso. Edda infatti si innamora di un ebreo che vuole assolutamente sposare . E il Duce sbotta con Rachele : “ L’Edda deve seriamente riflettere prima di arrivare ad un passo che se fosse compiuto riempirebbe di clamore il mondo, senza contare che il novanta per cento dei matrimoni misti non sono fortunati. Io ne ho molti esempi notevoli sotto gli occhi.”Edda fu costretta a rinunciare al suo amore ebreo e quasi subito si fidanzò - e si sposò. L’incontro con il suo futuro marito, il conte Ciano, sembrò del tutto casuale , il classico colpo di fulmine, amore a prima vista , ma in realtà fu tutta una messa in scena , a sua insaputa, orchestrata dall’entourage fascista. Un deputato siciliano segnalò allo zio Arnaldo la figura di un baldo giovanotto ventiseienne , un diplomatico alle prime armi , Gian Galeazzo Ciano , figlio di Costanzo , prima eroico ammiraglio e poi ministro delle comunicazioni, fedele seguace di Mussolini. Il padre di Costanzo Ciano era un venditore di saponette , ora lui era diventato un nobile , un conte , e la famiglia appariva potente, prepotente e danarosa.
Di Galeazzo si diceva che era distinto ma molle, screanzato ma intelligente , incolto ma simpatico , perdigiorno , ma dotato di un certo fascino.
In poche battute si fidanzarono , il 15 febbraio Gian Galeazzo era già a Villa Torlonia per chiedere a Mussolini la mano di Edda - e due mesi dopo erano marito e moglie, nonostante Rachele mettesse in guardia Galeazzo: “ Dovete sapete che mia figlia non sa nemmeno rifarsi il letto . Non sa fare niente . La casa è come se non esistesse per lei. Non sa cuocersi un uovo. E in quanto al carattere è meglio non parlarne”.
Ma il 24 aprile del 1930 si sposarono, con l’organo , il quartetto d’archi , il quartetto vocale e tutta la fastosità e la solennità possibile nella Basilica di San Pietro . Poi a Capri , con la neocontessa Ciano alla guida di un’Alfa Romeo ( Ciano non amava guidare), seguita da altre due macchine, una con gli agenti di scorta e l’altra con il padre e la madre. Ad un certo punto l’Edda, spazientita e irritata di quel morboso rigurgito di gelosia del padre , si fermò e gli gridò: “ Fin dove vuoi arrivare, papà? Sei ridicolo e mangi soltanto polvere”.

“Stavo per tornare indietro”, balbettò umiliato il Duce.
Ma con il marito “Gallo” le cose non funzionarono granchè, e fin dall’inizio. Dice Edda: “Al momento di andare a letto andai in bagno e mi chiusi dentro. Dopo un po’ Gallo bussò e allora gli dissi. “Non apro. E tu non fare niente , altrimenti vado sui faraglioni e mi butto di sotto. Da Capri andammo a Rodi, l’isola delle rose. Appena salii a bordo di uno yacht , dove ci avevano invitati, ci fu una scena comica. Incontrai un vecchio corteggiatore , a cui non volevo far sapere che ero sposata. Costui era un pazzo squinternato e drogato , mi propose una passeggiata sul ponte dell’imbarcazione e appena salimmo subito cominciò ad abbracciarmi e baciarmi. E proprio in quel momento venne Gallo. Lì per lì fece finta di niente. Ma poi quando rientrammo in albergo mi dette due ceffoni…Intendiamoci , niente di più…Ma da allora capii che il matrimonio non era una cosa piacevole…”

4. Crocerossina in Albania.
Dopo i due sposi si trasferirono a Shanghai dove Galeazzo Ciano era console. Ma nel 1932 rientrano in Italia con il figlio nato nel frattempo, Fabrizio detto Ciccino. Si può dire che sono "carichi di gloria", poiché non hanno abbandonato la città malgrado i tumulti interni e i giapponesi alle porte.

In realtà , Edda è in fuga perenne da se stessa, ama il gin e il tavolo da gioco (dove perde somme favolose per trovare le quali non esita a ricorrere al segretario del padre), predilige i quadri di De Chirico di cui addobba il suo salotto, e s’interessa di politica. L’ha respirata fin da piccola, la politica, è un’ammiratrice decisa di suo padre e può essere definita una fascista convinta.
Tornati, il genero del duce è sempre indaffarato con gli impegni inerenti la sua posizione di giovanissimo Ministro degli Esteri e di impenitente donnaiolo. (Gallo non è un soprannome che la moglie gli ha dato a caso) . Edda fa vita di società, svolge con piglio il suo ruolo di moglie del numero due italiano, oltre ad avere altri due figli: Raimonda detta Dindina nel dicembre del 1933, Marzio nel dicembre del 1937. Ciano fa la guerra d'Abissinia, Edda vive con i figli nella grande casa ai Parioli e la domenica a pranzo va dai genitori a Villa Torlonia, come qualsiasi sposa borghese. In famiglia l'educazione è rigida, militaresca, la madre che tutti, figli compresi, chiamano l'Edda, li fa filare con la voce, i suoi ordini non si discutono, il padre, quando c'è, è quello che impartisce sonori scapaccioni e non si deve piangere, altrimenti ne arriva un altro. Per i ragazzi le visite domenicali ai nonni Mussolini sono una boccata d'ossigeno, poiché l'etichetta è lasciata fuori dal cancello e: "Nonna Ele cucina come una dea".

Dopo lo scoppio della guerra, Edda parte con le crocerossine per l'Albania e la nave ospedale dove è imbarcata, la Po, è silurata dagli inglesi mentre è all'ancora nel porto di Valona, dove affonda in quattro e quattr'otto con un alto numero di morti. Edda si lancia in mare, nuota, si pone in salvo su una scialuppa. E continua la sua vita di crocerossina, lasciando i figli affidati alla governante tedesca dalle mani pesanti . Ai figli manda di tanto in tanto una cartolina già intestata , "quando si ricorda". In famiglia sono sempre stati poco espansivi, con le parole misurate, anzi avare. A Edda non importa più di tanto di morire, anzi sposa un po’ la teoria di Carlo Michelstaedter:“…la morte temuta dai figli della terra non è l'abbandono, ma il coraggio: "il coraggio di sopportare / tutto il peso del dolore", di navigare verso il mare libero, di non adeguarsi solo per non perdere comodità e affetti. Il porto, il rifugio dei figli del mare è la furia dello stesso mare in tempesta "quando libera ride la morte / a chi libero la sfidò".

5. Non sono Penelope
Dice Edda: “Ci sono momenti per ridere e scherzare e momenti per fare sul serio e rimboccarsi le maniche e lottare. Ho molto sofferto nel vedere lo sfacelo del nostro paese , nel toccare con mano, soprattutto in Sicilia , l’estrema sofferenza e l’estremo dolore della povera gente , che oltre ai bombardamenti e l’orrore pativa la fame cronica, la fame nera, paesi dove mancava tutto , acqua, medicinali, indumenti , mezzi di trasporto, telefoni, viveri ; i nostri soldati erano impotenti; da nessuno parte , neanche in Albania e in Russia , ho visto le cose che ho visto a Palermo , a Monreale : gente vivere lungo i margini delle strade o dentro le grotte, sotto le rocce Migliaia e migliaia di siciliani che ogni giorno morivano di fame e di freddo e non ho potuto fare niente.Io ero sola, mi sentivo sola. E tutte queste cose ho registrato nella mia mente. Ogni cosa che vedevo diventava memoria delle atrocità della guerra.La guerra continua, ma Edda non è più crocerossina, va in vacanza con i figli, finchè si arriva al 25 luglio del 1943. Lei è al mare con i ragazzi, quando il marito le fa sapere di rientrare subito a Roma. Galeazzo Ciano ha votato contro il suocero, il fascismo è caduto, mentre Ciano sta chiuso in casa, l'Edda cerca di patteggiare con i tedeschi l'espatrio della sua famiglia, dopo che il Vaticano ha rifiutato loro asilo. I tedeschi fingono di far espatriare la famiglia Ciano al completo, destinazione Spagna, invece li fanno prigionieri in Germania. Intanto , Mussolini viene liberato, si costituisce la Repubblica di Salò, Ciano è arrestato il 18 ottobre del 1943 e rispedito in Italia. L'Edda inizia la sua dura battaglia solitaria per salvare la vita del marito, cercando di barattarla con i diari del medesimo, critici verso la Germania. Con l'aiuto di qualche amico fidato mette al sicuro i figli in Svizzera, recupera i diari del marito, ricatta il padre facendo leva sui sentimenti, ricatta Hitler con i diari, ma l'11 gennaio del 1944 Galeazzo Ciano sarà fucilato a Verona.
“Non dovevo piangere , non avevo tempo per piangere. Dovevo salvare mio marito, il padre dei miei figli , salvarlo dalla morte. Ero sua moglie, ero la sua donna e non l’uomo che avrei desiderato magari essere in quel momento. E come donna dovevo farlo. Era il mio ruolo , il mio destino. Non ho fatto altro che assolverlo questi compiti, il resto non conta. Brava moglie, o cattiva moglie, sono parole, parole che non contano nulla”.

Io non sono certo una Penelope, né Antigone, né Elettra , né quell’indomabile donna come qualcuno mi ha descritto. Ma il mio corpo e il mio spirito sono stati duramente segnati, come tante altre donne forse. E porto ancora dentro di me le cicatrici , le ferite, che sanguinano ancora. Niente mi è stato risparmiato. Forse è giusto così , forse ciò era nel mio destino di donna , era il tributo che doveva dare , era il solo modo per ricuperare appieno il mio ruolo e la mia identità di donna...

6. Pazzi, pazzi, pazzi, la guerra è perduta.
Ho capito che il futuro dell’umanità può essere solo donna. Sono esse le eredi del destino dell’umanità e non solo perché fanno figli. Ad esse sono state sempre affidate le cose più ributtanti e rivoltanti: le donne assistono i moribondi , lavano e vestono i morti , le donne pregano per i morti , le donne sono guardiane dei morti…Le donne hanno pietà, mentre gli uomini continuano a fare la guerra, e sempre la faranno e sempre si scanneranno , gli uomini sono speciali per fare del mondo e della natura un ammazzatoio perenne. Ad esse ora viene affidato questo mondo infetto , questo semicadavere agonizzante e puzzolente , incancrenito che è oggi il mondo , e loro devono cercare di ridar vita a tutto ciò. Ormai è rimasta la donna , l’ultima donna quale ultima speranza di salvezza dell’umanità
Edda resta con i figli in Svizzera, anche se saranno spesso separati, la alloggiano per lo più in case di cura o manicomi, i soldi scarseggiano, l'aiuta il padre.
Fucilato Mussolini, dopo quattro mesi gli svizzeri la fanno sloggiare su richiesta degli italiani, ma hanno la pietà di consegnarla agli alleati per evitare che sia fatta giustizia sommaria. Condannata a due anni di confino con grotteschi capi d'accusa, è mandata a Lipari, dopo un anno beneficia di un'amnistia e si ricongiunge ai figli. Inizia la sua battaglia per il recupero della salma del padre, per riavere i beni di famiglia sequestrati. I decenni seguenti saranno spesi in lunghi viaggi che assomigliano a un vagabondare senza pace tra la piccola casa che ha conservato ai Parioli, la Romagna, Capri e il mondo. A farle compagnia solo i ricordi, che il tempo ingigantisce, ma di cui almeno tempera lo strazio. Dirà Edda, ormai ottuagenaria: “Scrissi e dissi delle cose terribili contro mio padre . Gli dissi che lo odiavo, lo disprezzavo, che non era più mio padre . Gli dissi che era un burattino in mano ai tedeschi Gli dissi che mi faceva schifo e lo disprezzavo con tutta me stessa. E cominciai a urlare: “Pazzi, pazzi, la guerra è perduta . Tu lo sai benissimo, e in queste condizioni lasci che uccidano Gallo… non c’è più niente da fare, te ne rendi conto? E tu vuoi condannare mio marito, solo per soddisfare la richiesta di quattro fascisti estremisti. Sei pazzo, pazzo, pazzo… Ero tentata di aggredirlo, saltargli addosso, graffiarlo , prenderlo a schiaffi, come avevo fatto una volta, da piccola, rifiutando una medicina. Invece me ne andai bestemmiando e sbattendo la porta.

7. Rimane il dolore
Avevo solo trentaquattro anni, ma ne sentivo addosso cento, ero come una spada spezzata , costretta ad affrontare un orribile futuro. Ero già stanca dell’esistenza , mi si era spenta la rabbia e il sorriso…ma dovevo continuare a vivere. E ci riuscii… Certo , dover dire ai miei figli che il loro nonno aveva fatto ammazzare il loro padre non è stata una cosa…facile.
Quello per mio padre è stato un amore-odio. Mi sono sentita tradita per quell’egoismo gretto , disumano , che non poteva essere di mio padre , ma soltanto dell’uomo di Stato. Solo i politici sono capaci di portare al parossismo estremo il loro egoismo. Ma io credo che l’uomo sia un vicolo cieco…non decide lui , sono gli dei che decidono, sono loro i padroni del nostro destino…E poi credo che mio padre sia stato amato anche da molti altri, che poi l’hanno odiato in modo furibondo , perché si odia particolarmente ciò che si è molto amato, e io sostengo che anche lo scempio di piazzale Loreto fosse ancora un gesto d’amore.


Che cosa mi rimane di tutto ciò a Edda, donna in fuga?
Il dolore , rimane il dolore che mi ha fatto ritrovare mia madre e anche mia suocera…Il dolore , la tragedia che ci ha colpiti ci ha anche riuniti…Il dolore, il senso della memoria del dolore ha dato un senso alla mia vita…Sa, il dolore se non ti uccide o ti fa uscire pazza … ti purifica.
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07 gennaio 2008

XIII edizione dell’Accademia Teatro Franzato


L'Accademia Teatro Franzato inizierà domani martedì 8 gennaio 2008 la Tredicesima edizione dei suoi Laboratori di Pedagogia Teatrale – anno 2008, presso l’Auditorium “Carolina De Giorgi” di Via Landro 1 a Varese. I primi corsi a partire sono quelli del Gruppo Ragazzi e del Gruppo Bambini. Il Laboratorio del Gruppo Adulti si svolgerà invece il giovedì sera a partire dal 10 gennaio 2008. Anche per questa edizione si conferma il consueto trionfo di iscrizioni, infatti le richieste superano le disponibilità dei laboratori. Un centinaio complessivamente le persone coinvolte tra gli allievi dei Gruppi Bambini, Ragazzi, Adulti, genitori, insegnanti delle scuole partecipi, artisti e docenti.

L’Accademia Teatro Franzato oltre ad essere LA PRIMA SCUOLA DI TEATRO ESISTENTE A VARESE (è arrivata con successo alla Tredicesima edizione), è anche la prima ad essere riconosciuta e sostenuta dal Comune di Varese (Assessorati alla Cultura, ai Servizi Educativi, ai Servizi Sociali e la Circoscrizione n° 5 che ha sempre promosso il progetto in tutti i tredici anni di attività) e dalla Regione Lombardia, che dalle parole del Presidente Prof. Avv. Ettore A. Albertoni rinnova “il riconoscimento a favore di un’iniziativa senz’altro lodevole, sia dal punto di vista culturale che della valorizzazione del Consiglio Regionale”. Di rilevante importanza è inoltre il riconoscimento e il patrocinio dell'Università degli Studi dell'Insubria e del Ministero della Pubblica Istruzione, “ritenendo particolarmente significativi, sul piano sociale, pedagogico e culturale, i contenuti del progetto ed apprezzandone le finalità formative e di prevenzione del disagio giovanile” (Dott. Paolo Franco Comensoli Dirigente dell’Ufficio Scolastico Regionale per la Lombardia). Infine tutto il Progetto dell’Accademia è parte integrante e qualificante del Piano dell’Offerta Formativa dell’Istituto Comprensivo Statale Varese 4.

Le proposte performative dell’Accademia comprendono oltre agli Spettacoli teatrali veri e propri, anche conferenze, pubbliche letture ed altri eventi collaterali sempre di alto livello culturale. Tutto questo grande impegno per la Cultura rende l’Accademia una delle principali istituzioni di Pedagogia Teatrale italiane. Al suo interno vengono studiati ed utilizzati stili e tecniche, artistiche e pedagogiche, tra le più importanti a livello internazionale.
L’intero Progetto risponde anche a importanti bisogni di natura sociopedagogica, quali la prevenzione di disagi comportamentali e psicoaffettivi, e una impegnativa crescita relazionale, laddove la Psicopedagogia Teatrale è un consolidato strumento d’intervento.
Gli iscritti ai corsi hanno sempre registrato richieste superiori rispetto alle disponibilità dei posti; gli spettatori molto numerosi, di tutte le estrazioni e fedelissimi, dimostrano continuamente grande interesse ed apprezzano le proposte anche ardite che ogni anno l’Accademia elabora in un calendario fitto di suggestioni e novità.
Tali proposte culturali ampliano l’offerta municipale, provinciale e regionale inerente le attività artistiche e teatrali, ma anche socio-educative, e ormai vengono vissute dai cittadini con un consolidato senso di appartenenza e creano un positivo clima di aspettative nella vita pubblica e sociale della Città di Varese.

Il TEATRO FRANZATO è dal 1995 l’Ente di Cultura Teatrale varesino, qualificato e riconosciuto, articolato in Associazione Culturale, Accademia di Pedagogia Teatrale, Produzione di Spettacoli, Sistema didattico-pedagogico che svolge innumerevoli programmi, interventi, conduzioni, consulenze, dalle Scuole dell’Infanzia alle Università. Il fondatore e direttore Paolo Franzato è regista, pedagogo e psicodrammatista, dal 1985 svolge professionalmente l’intensa attività e numerosi spettacoli, collaborando con i più grandi artisti dello spettacolo internazionale, quali Eugenio Barba, Pina Bausch, Maurice Béjart, Carolyn Carlson, Lindsay Kemp, Johann Kresnik, Yves Lebreton, Susanne Linke, Judith Malina, Marcel Marceau, Kazuo Ohno.

Le attività in corso nella Stagione 2007/08 sono:
· collaborazione artistica e pedagogica con la Scuola “Vivere Ballando” di Masnago-Varese;
· molteplici attività culturali e psicopedagogiche nelle scuole di ogni ordine e grado della Città e della Provincia di Varese, tra cui il Liceo Scientifico Statale “Galileo Ferraris” di Varese e l’Istituto Professionale di Stato “Pietro Verri” di Busto Arsizio;
· dodici Spettacoli Teatrali con le Scuole dell’Infanzia e Primaria di Cantello, svolti col sostegno dell’Assessorato ai Servizi alla Persona e all’Istruzione del Municipio di Cantello.

ACCADEMIA TEATRO FRANZATO
XIII edizione - Anno 2008
Laboratori di Pedagogia Teatrale per Bambini, Ragazzi, e Adulti

Martedì:
· ore 14. 00 - 16. 00 Gruppo Ragazzi
· ore 16.30 - 17.30 Gruppo Bambini
Inizio: 8 gennaio 2008.

Giovedì:
· ore 20.30-23.00 Gruppo Adulti
Inizio: 10 gennaio 2008.

Sede: Auditorium “Carolina De Giorgi, Via Landro 1, San Fermo - Varese


Per informazioni e iscrizioni rivolgersi a:
TEATRO FRANZATO tel. 347.4657358
Per altre informazioni si può consultare il sito web
www.franzato.it
Libero circuito culturale, da e per l'Insubria. Scrivici a insubriacritica@alice.it

04 gennaio 2008

Una corda nel baratro


Io avea una corda intorno cinta,
e con essa pensai alcuna volta
prender la lonza a la pelle dipinta.
Poscia ch'io l'ebbi tutta da me sciolta,
sì come 'l duca m'avea comandato,
porsila a lui aggroppata e ravvolta.
Ond'ei si volse inver' lo destro lato,
e alquanto di lunge da la sponda
la gittò giuso in quell'alto burrato.

(Inferno XVI - 106, 114)

Libero circuito culturale, da e per l'Insubria. Scrivici a insubriacritica@alice.it

La riverenza per il maestro


Io non osava scender de la strada
per andar par di lui; ma 'l capo chino
tenea com'uom che reverente vada.

(Inferno XV - 43, 45)
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ADDIO AL PATTO DI STABILITA’ STUPIDO di Antonio Laurenzano

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