26 aprile 2024

ADDIO AL PATTO DI STABILITA’ STUPIDO di Antonio Laurenzano


ADDIO AL PATTO DI STABILITA’ STUPIDO

di Antonio Laurenzano

Addio al “Patto di stupidità”. A distanza di oltre vent’anni da quando nel 2002 Romano Prodi, allora Presidente della Commissione europea, definì “stupido” il Patto di stabilità varato nel 1997, l’Europarlamento di Strasburgo, dopo un lungo e acceso negoziato tra i Paesi membri, ha approvato la riforma del Patto di stabilità e crescita per la governance economica dell’Europa del futuro. Di fronte a sfide e priorità economiche diverse rispetto al passato, regole più credibili e più efficaci, associando al necessario risanamento delle finanze pubbliche un altrettanto necessario sostegno agli investimenti. Un mix di flessibilità e rigore per poter puntare su una crescita economica fondata sulla stabilità finanziaria.

Obiettivo del Patto di stabilità e crescita (Stability and Growth Pact), secondo i “parametri” fissati con il Trattato di Maastricht del 1992, era quello di garantire la disciplina di bilancio degli Stati dell’Ue per evitare disavanzi di bilancio o livelli del debito pubblico eccessivi e contribuire così alla stabilità monetaria. Il Patto divenne …di ferro nel 2012 con la firma del “Fiscal compact”, che prevede il pareggio di bilancio di ciascuno Stato, con l’obbligo per i Paesi con debito superiore al 60% del Pil di ridurre il rapporto di almeno un ventesimo all’anno per non mettere a rischio la tenuta monetaria dell’Ue. Nel marzo 2020 la Commissione Von der Leyen, per limitare l’impatto socio-economico della pandemia, aveva attivato la clausola di salvaguardia del Patto di stabilità, autorizzando i singoli Paesi membri a elargire contributi senza il rischio di sanzioni in caso di sforamento del deficit e del debito pubblico. Maggiore flessibilità della finanza pubblica fino al 2023 per sostenere l’economia durante la crisi. Espansività della spesa secondo i canoni Keynesiani.

Per scongiurare il rischio autolesionistico di un ritorno al passato con le ferree misure dell’ortodossia rigorista, e quindi con un Patto realisticamente inapplicabile, la riforma del Patto prevede una riduzione concordata del debito per i Paesi più indebitati e la possibilità di percorsi di recupero più graduali in caso di riforme e investimenti. Sarà la Commissione Ue a “tracciare la traiettoria di riferimento” specifica per singolo Paese entro il 21 giugno con gli obiettivi di aggiustamento dei conti pubblici a medio termine preparatori ai piani pluriennali di spesa (fiscali e strutturali), finalizzati a garantire la riduzione del debito o livelli prudenti. La riforma del Patto punta ad attribuire una forte titolarità nazionale nell’impegno alla riduzione del debito pubblico. Ogni Stato membro sarà chiamato a preparare piani di spesa sostenibili e conformi al nuovo quadro comune europeo basati sulla spesa primaria al netto degli interessi (per investimenti e sovvenzioni Pnrr), nei quali dovranno definirsi gli obiettivi di bilancio, le misure per affrontare gli squilibri macroeconomici, le riforme e gli investimenti prioritari. Questi Piani, della durata di quattro anni estendibile a sette anni, dovranno garantire il rientro del debito pubblico con una riduzione media annua dell’1% del rapporto debito/Pil per i Paesi con rapporto superiore al 90% (Italia e Francia), dello 0,5% per gli altri Paesi con indebitamento compreso fra il 60 e il 90% del Pil: un vincolo meno restrittivo di quello attuale di 1/20 all’anno.

“La riforma, ha dichiarato il commissario all’Economia Paolo Gentiloni, intende semplificare la governance economica, sviluppare la responsabilità nazionale, rafforzando l’applicazione delle norme all’interno di un quadro comune trasparente.” Attraverso nuove regole, adattabili alle esigenze dei singoli Paesi, si vuole evitare che la riduzione forzata del debito, priva di flessibilità, porti a una contrazione degli investimenti e della crescita, mettendo a rischio il modello sociale e la sicurezza del continente. Si volta pagina per un Patto più…intelligente, nel segno di una responsabile politica di bilancio.

Cosa cambia per l’Italia? L’entusiasmo italiano è scarso, come dimostra, per opposte ragioni di partito, alcune palesemente contraddittorie, l’astensione quasi corale all’Europarlamento (con il “no” di M5S). “Abbiamo unito la politica italiana”, ha ironizzato Gentiloni che però ha osservato: “Il nostro Paese ha di fronte una doppia sfida, la sfida di politiche di bilancio prudenti, ma al tempo stesso la sfida a continuare con riforme e investimenti pubblici che sostengano la crescita”. Il ritorno ai vincoli comunitari dopo cinque anni di pausa segna per l’Italia un nuovo percorso: si presenta stretta e difficile la strada per la preparazione della prossima legge di bilancio. Servono 20 miliardi di euro per gli interventi bandiera del governo (taglio del cuneo fiscale e conferma dell’Irpef a tre aliquote) ai quali va sommato “il prezzo da pagare” per l’aggiustamento dei conti che sarà richiesto da Bruxelles per rispettare la procedura per deficit eccessivo. Con una bassa crescita della produttività e la zavorra dei crediti d’imposta del superbonus sarà forte l’impatto delle nuove regole del Patto sul quadro programmatico della politica economica del Paese. Austerity e taglio della spesa?


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