30 dicembre 2006

"La strada che non presi" di Robert Frost


La strada che non presi

Due strade divergevano in un bosco giallo
e mi dispiaceva non poterle percorrere entrambe
ed essendo un solo viaggiatore, rimasi a lungo
a guardarne una fino a che potei

Poi presi l'altra, perché era altrettanto bella,
e aveva forse l’ aspetto migliore,
perché era erbosa e meno consumata;
Sebbene il passaggio le avesse rese
quasi simili

ed entrambe quella mattina erano lì uguali
con foglie che nessun passo aveva annerito.
Oh, misi da parte la prima per un altro giorno!
Pur sapendo come una strada porti ad un'altra,
dubitavo se mai sarei tornato indietro.

Lo racconterò con un sospiro
da qualche parte tra anni e anni:
due strade divergevano in un bosco, e io -
io presi la meno percorsa,
e quello ha fatto tutta la differenza.
Robert Frost (1916)


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29 dicembre 2006

FILM – Anplagghed al cinema – di Bruna Alasia

ANPLAGGHED AL CINEMA
Con Aldo, Giovanni, Giacomo, Silvana Fallisi
Regia di Rinaldo Gaspari e Arturo Brachetti



L’ultimo film di Aldo, Giovanni e Giacomo “Anplagghed” rappresenta un caso unico in Italia. “Anplagghed” è stato infatti per molto tempo uno spettacolo teatrale che ha calcato i palcoscenici della penisola, soprattutto al nord, sotto la regia sapiente del famoso trasformista Arturo Brachetti, con grande divertimento di grandi e piccini. Ed è stato poi ripreso per il cinema con telecamere ad alta definizione e registrato con il sistema Dolby digitale, per garantire immagini e suoni in grado di riprodurre la stessa atmosfera che l’evento aveva avuto dal vivo, con la regia di Rinaldo Gaspari.
La storia è semplice. Tre astronauti atterrano insieme a un robottino un po’ secchione con la loro Enterprise sul nostro pianeta abitato da alieni, vale a dire spettatori, e qui trovandosi alle prese con il quotidiano e con i suoi personaggi – teppistelli, vicini di casa litigiosi, vecchietti strampalati, signorine improbabili, figure ciniche e tontolone - restituiscono del terrestre tran-tran un ritratto tragicomico, scoppiettante di gags grazie anche a Silavana Fallisi, efficacissima spalla.
La commistione di cinema e teatro e delle due regie si rivela pagante e lo spettacolo è originale.
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23 dicembre 2006

Il canto d'amore di Tagore


Il canto d'amore di Tagore

Dammi il supremo conforto dell'amore,
questa è la mia preghiera.
Il conforto che mi permetterà di parlare,
agire, soffrire secondo la tua volontà,
e di abbandonare ogni cosa per non essere
lasciato a me stesso.
Fortificami nei pericoli, onorami con la tua sofferenza
aiutami a percorrere i cammini difficili
del sacrificio quotidiano.
Dammi la suprema confidenza dell'amore,
questa è la mia preghiera.
La confidenza nella vita che sfida la morte,
che cambia la debolezza in forza,
la sconfitta in vittoria.
Innalzami, perché la mia dignità, accettando l'offesa,
disdegni di renderla.


R. Tagore
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19 dicembre 2006

Intervista a Bruna Alasia

Intervista a
Bruna Alasia, autrice dei Racconti di Versailles di Andrea Curiat (Universita' Luiss di Roma)


Maria Antonietta, la sfortunata regina di Francia finita sulla ghigliottina nel 1793, ha oggi la sua metaforica vendetta: stavolta, è il popolo del web ad aver perso la testa per lei. Perché questo improvviso interesse? Lo abbiamo chiesto a Bruna Alasia, autrice dei Racconti di Versailles, novello romanzo d’appendice, pubblicato esclusivamente online su moltissimi siti traboccanti di appassionati.
Quand’è che ha deciso di iniziare a scrivere i Racconti di Versailles?
Il progetto è nato quando ho letto alcuni testi sull’argomento. Ho voluto narrare alcune vicende di un’epoca straordinaria, affascinante, di grandi rivoluzioni e cambiamenti. Se la reggia di Versailles è stata un centro di fervente attività artistica, la Francia del Diciottesimo secolo è stata la culla del mondo moderno.

Dal suo lavoro traspare un’accurata ricostruzione storica dell’epoca.
Sì: mi sono documentata accuratamente prima di iniziare a scrivere, leggendo numerosissime analisi storiografiche e biografie. La bibliografia di riferimento conta centinaia di volumi, perlopiù in francese. È sorprendente come in Italia sia stato pubblicato pochissimo materiale in merito.

Perché ha deciso di raccontare proprio la vita di Maria Antonietta?
È un personaggio affascinante, nel quale i lettori possono facilmente immedesimarsi, osservando degli eventi straordinari attraverso gli occhi di una ragazza tutto sommato ordinaria.
E perché dare al suo progetto una struttura episodica?
Quando si scrive online, bisogna dare al lettore una sensazione di compiutezza: non si può troncare a metà una narrazione. In questo senso, i Racconti potrebbero essere paragonati ai vecchi romanzi d’appendice: una reinvenzione del feuilleton per i tempi moderni, per internet.

Come mai ha optato per l’online?
Ho già pubblicato su carta e ho constatato di persona quanto sia difficile accedere al mondo dell’editoria tradizionale. Per veder pubblicato un proprio volume occorre spesso pagare gli editori, qualcosa che non ho intenzione di fare. Per questo ho scelto di ricorrere al web: non ne trarrò benefici economici, ma perlomeno ho la soddisfazione del riscontro immediato del pubblico.
Che sinora è stato più che positivo.
Ne sono rimasta stupita io stessa: ho ricevuto moltissimi messaggi d’apprezzamento, e adesso i Racconti di Versailles si possono trovare su ben sedici differenti siti web.

L’interesse del pubblico per Maria Antonietta va oltre i Racconti. A cosa pensa sia dovuta l’improvvisa popolarità della sfortunata reginetta di Francia?
Penso che il fascino di Maria Antonietta sia inscindibile da quello del periodo nel quale è vissuta. Conoscere meglio quell’epoca è tanto più importante oggi in quanto, con l’Europa unita, la Francia non è più uno dei tanti Paesi stranieri, ma un nostro stretto vicino di casa. Credo che, per questo, il pubblico sia più interessato alla storia francese adesso di quanto non lo fosse prima.

Ha visto il recente film di Sofia Coppola?
Sì, e mi è piaciuto. Peccato non mostrare la prigionia e l’esecuzione di Maria Antonietta! Bisogna aggiungere che nel film è Maria Antonietta la protagonista assoluta, anche a scapito della ricostruzione storica; nei Racconti, al contrario, la descrizione dell’epoca ha altrettanta importanza, e la Francia di Versailles è a tutti gli effetti la co-protagonista.

In quanti episodi si svolgeranno le vicende dei Racconti? Ha già progetti per il futuro?
Il materiale che ho raccolto per i Racconti non può essere sintetizzato in meno di 350, 400 pagine. Sinora ho pubblicato sette episodi, e ne ho scritti quindici. Non saprei dire quanti ne mancano con esattezza, ma potrebbero essere in tutto fra i trenta e i quaranta. Quando avrò finito, si vedrà.


Tutti i siti di Antoinette
Gli appassionati di Maria Antonietta hanno vita facile sul web: basta digitarne il nome su un qualsiasi motore di ricerca ed ecco che compaiono migliaia di risultati. E, per una volta, non è necessario essere anglofili: esistono ottimi siti gestiti e curati da italiani. La comunità nostrana si è dimostrata particolarmente affezionata a Maria Antonietta: molti dei siti made in Italy sono realizzati interamente da studenti e appassionati. Fra questi, una risorsa importantissima è www.ladyreading.net di Claudia Solacini, giovane neo-laureata con il pallino del Settecento. Il sito presenta una grafica elegante e raffinata e contenuti ricchissimi: fra biografie, articoli, links e download, ce n’è veramente per tutte le esigenze. Per chi ancora non conoscesse i Racconti di Versailles di Bruna Alasia, gli indirizzi migliori fra i tanti per tuffarsi nella lettura sono senz’altro www.racconti.it e www.larchivio.com.


Sofia Coppola a Versailles
Il “fenomeno” Maria Antonietta non si limita al web. È uscito recentemente il nuovo film della figlia d’arte Sofia Coppola, dedicato proprio alla vita dell’ultima regina di Francia prima della Rivoluzione francese. La pellicola racconta le vicende della giovane principessa austriaca che, appena quattordicenne, venne data in sposa per ragioni di Stato al re di Francia Luigi XVI, più grande di lei di appena un anno. Sofia Coppola si concentra sulle vicissitudini private di Maria Antonietta e descrive accuratamente e con dovizia di particolari la vita dissoluta e volitiva dei nobili di Versailles. Tra difficoltà matrimoniali, rivalità di corte, feste e “shopping” con le amiche, la regista ci presenta Maria Antonietta come una ragazzina quasi comune, viziata ma infelice, abbandonata a se stessa e a vicende più grandi di lei in una nazione estranea e, tutto sommato, ostile. Difficile non immedesimarsi nelle vicende della giovane regina, forse più per merito del fascino del personaggio che non della regia, a tratti leziosa e pedante. In questo senso, la scelta di non mostrare gli ultimissimi giorni di vita della regina si dimostra ben ragionata: l’esecuzione di Maria Antonietta, un finale ben noto a tutti, avrebbe forse reso eccessivamente pesante lo svolgimento senza aggiungere alcunché di nuovo. Nel complesso, comunque, si tratta certamente di un buon film, in grado di soddisfare gli appassionati e di incuriosire tutti gli altri.
Nella foto la giornalista e scrittrice Bruna Alasia, dell'ufficio stampa della Camera dei Deputati.
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17 dicembre 2006

"Favole di Natale" di Gabriele D'Annunzio

Gabriele D'Annunzio
FAVOLE DI NATALE
Presentazione di Lucio D'Arcangelo

Non c'è stato movimento letterario che D'Annunzio non abbia toccato o precorso, a cominciare dal verismo per finire con la prosa d'arte. E non si può neppure trascurare ciò che di romantico in senso nazional-popolare persiste in lui. Il contatto con le tradizioni popolari e con la poesia dialettale, maestro Cesare De Titta, segna in modo indelebile gli esordi del D'Annunzio narratore, come testimoniano "Terra Vergine" e le"Novelle della Pescara", dove, al di là dell'impianto naturalistico, l'autore solidarizza intimamente con quell'immaginario collettivo svelato da Antonio De Nino e Gennaro Finamore nelle sue "Tradizioni popolari abruzzesi". Rare volte questo D'Annunzio ha toccato le corde del fantastico o, per meglio dire, del meraviglioso puro, e perciò queste "Favoledi Natale", tratte da "Parabole e novelle", edite nel 1916 dall'editore Bideri di Napoli, rappresentano un unicum nella sua produzione. Se si fa eccezione per "Un albero in Russia", tutte le favole della raccolta attingono a quel patrimonio di fiabe popolari che dopo tanti anni e in un clima letterario tanto mutato furono sottratte all'oblio da Italo Calvino. Si tratta, in particolare, di leggende popolari abruzzesi o rielaborate in terra d'Abruzzi, alcune delle quali conosciute di prima mano. Ma la trascrizione che ne fa D'Annunzio è una ri-creazione. Le sue favole recepiscono pienamente la vaghezza della fonte (orale) e sono nello stesso tempo inconfondibilmente dannunziane.

[ISBN-88-89756-21-7]Pag. 80 - euro 7,50
Edizioni Solfanelli
www.edizionisolfanelli.it

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13 dicembre 2006

Madame du Barry, detta l'angelo

I racconti di Versailles n. 2
Madame du Barry, detta l'angelo
di Bruna Alasia


Luigi XV, detto il Beneamato, non si era mai posto il problema di cosa fosse nella sua essenza la regalità, viveva nella certezza che il sovrano fosse un essere superiore e del tutto diverso dai comuni mortali, come i suoi precettori gli avevano inculcato. Asceso all’età di cinque anni al trono di Francia, si sentiva investito da Dio per elezione con la missione di difendere la religione cattolica. Credendosi una emanazione della divina provvidenza fu sempre sicuro che il padreterno non lo avrebbe mai punito, fossero pure i suoi peccati gravissimi. Senza preoccuparsene, dunque, tutta la vita si crogiolò nella tentazione. A sessant’anni aveva già regnato per più di mezzo secolo ma, indolente e poco amante del mestiere di re, lo aveva fatto delegando ad altri gli spinosi affari della politica per dedicarsi a ciò che gli premeva: le donne belle, la buona tavola e la caccia al cervo.

Come marito e come padre il Beneamato non si era impegnato molto, così non si impegnò come nonno. Suo nipote, il futuro Luigi XVI, evitava di incontrarlo perché ne aveva soggezione ma, pur credendolo un eletto, in fondo biasimava la sua esistenza libertina. Lo stesso faceva sua moglie Maria Antonietta che, appena arrivata a Versailles, era rimasta fortemente scioccata dall’incontro con la sua favorita, Madame du Barry.

Al tempo in cui il delfino Luigi Augusto festeggiava le nozze con l’ arciduchessa Antonietta, una quarantina di membri della famiglia reale si erano riuniti per cenare nel grazioso castello di La Muette, situato nel Bois de Boulogne. Tra gli invitati Maria Antonietta era stata colpita dall’avvenenza di una donna alta, dallo sguardo tenero incorniciato di riccioli color grano, dal seno candido e prorompente evidenziato da un abito sontuoso. Invidiandone l’ eccezionale bellezza si domandò perché nessuno si fosse preoccupato di presentargliela.

- Chi è quella signora? – chiese a Madame de Noailles, sua dama di compagnia.

- Madame su Barry è incaricata di far divertire il re… – rispose l’altra a metà tra l’ imbarazzo e il disappunto.

-Che bella occupazione! Vorrei essere al posto suo – ciarlò la ragazzina.

Madame de Noailles alzò un ciglio:

- Cosa ? Maestà, sapete quel che dite?

Maria Antonietta, dopo un attimo di esitazione, all’improvviso capì che si trattava dell’amante ufficiale del nonno. Non lo avrebbe detto in quel luogo e in quella occasione: pensò che doveva avere un grande ascendente sul re visto che le era permesso, malgrado facesse scandalo, sedere a tavola con tutta la crema dell’aristocratica parentela e degli ospiti illustri. Com’era bella quella donna! Com’era sfrontata, com’ era potente senza titolo alcuno. Da quel momento la delfina entrò in competizione con lei dichiarandole guerra. La detestava perché di fronte a quel fascino primitivo e sensuale, persino il lignaggio veniva sminuito e per una futura regina, titolo a cui Maria Antonietta aspirava, questo rappresentava una minaccia, tanto più grande quando scoprì che la du Barry veniva dai bassifondi, come in seguito seppe dalle zie che la odiavano senza pudore.

Era il 1768. Sulla soglia dei sessant’anni, il sovrano si ammalò di depressione per la scomparsa di madame Pompadour, sua amante per un ventennio e stimata consigliera. La dolorosa perdita si sommava inoltre a gravi lutti familiari: a distanza ravvicinata gli erano mancati la figlia, il figlio e il nipote delfino. L’interesse del re per la vita sembrò essersene andato, la cattiva salute della regina peggiorò la situazione. Ma inspiegabilmente, proprio negli ultimi mesi della malattia della moglie, Luigi XV di colpo era sembrato risorgere. Non si trattava però di un miracolo: presto si scoprì che la guarigione si doveva a l’Ange, cioè all’ “Angelo”, come era chiamata Jeanne Béçu, una signorina molto nota negli ambienti più libertini di Parigi.

Luigi XV l’aveva incontrata durante una delle solite uscite di palazzo.

La carrozza reale attraversava due ali di folla quando una giovanetta procace, vestita in maniera vistosa, ritta sul suo percorso, si era lanciata verso di lui tentando di prendergli la mano:

- Maestà, vi adoro… – e liberò da nastri e spilloni, con gesto inconsueto e trasgressivo, la sua chioma di seta.

Sedotto da tanta leggiadria, il vecchio sovrano aveva sorriso e in seguito si era affrettato a domandare chi fosse a Le Bel, il valletto di camera che con lei aveva scambiato due parole.

- Si chiama Jeanne – aveva risposto Le Bel - ma per tutti è l’Ange… giovane signora che ha contratto un matrimonio in bianco.

Sul volto del re apparve un sorriso molto soddisfatto:

- E’ il caso che io la conosca, Le Bel, datti da fare per portarla a corte.

Ciò che Luigi XV non sapeva era che l’Ange era una prostituta che con le sue arti aveva convinto lo stesso valletto affinché la ponesse bene in vista sul percorso regale, facendolo contravvenire con grande rischio alla norma che ne vietava l’ accesso alle cortigiane professioniste.

La vita di Jeanne era stata avventurosa: nata nel 1743 a Vaucouleurs da un frate francescano, chiamato fratello Ange, e da una donna di umili origini, cresciuta a Parigi, aveva ricevuto un minimo di educazione nel convento delle Adoratrici del Sacro Cuore di Gesù. A quindici anni, tornata in famiglia, le era toccato pensare al proprio mantenimento. Sua madre, sarta e cuoca, spesso aveva contato sulla generosità di amanti occasionali e d’istinto Jeanne la prese ad esempio. Domestica prima, commessa poi in un negozio di moda, quindi aiuto parrucchiera, si era data senza risparmiarsi a numerosi ammiratori ma, a causa di un’ avvenenza folgorante unita alla fragilità di donna sola, spesso era finita nei guai. Ambiva come tutti a una vita piacevole, a indossare bei vestiti, a possedere gioielli. Era disposta a investire molto: suo capitale una grande sensualità che voleva far fruttare. Quando a ventuno anni conobbe il sedicente conte Jean Baptiste du Barry pensò che questo avventuriero scaltro le sarebbe stato di aiuto. Divenne sua amante e di li a poco lui fece di Jeanne quella che oggi chiameremmo “una squillo di alto bordo”.

Jean Baptiste du Barry discendeva da una famiglia di notabili provinciali che possedevano a Levignac sulla Save alcuni appezzamenti di terreno. A Tolosa, dopo aver cercato di farsi strada come avvocato sposando una moglie ad hoc, si era ricoperto di debiti rischiando la rovina. Megalomane e ambizioso, aveva cercato la rivincita nella grande capitale dove trasformò il suo amore per la dissolutezza in una redditizia professione. Energico, temerario sino alla violenza e alla sopraffazione, possedeva ciò che anche oggi distingue molti uomini di potere: il gusto della provocazione fine a se stessa e un’assoluta mancanza di scrupoli. Lo chiamavano roué, ruotato, meritevole cioè del supplizio della ruota, come Filippo d’Orleans definiva i compagni di bagordi. Con il danaro si permetteva una vita da gran signore: nella sua fastosa casa attirava libertini, scrittori di successo, curiosi. In compagnia delle giovanissime e graziose protette frequentava i luoghi alla moda ma, pur vendendo bene i favori delle fanciulle, era ancora in attesa dell’occasione che avrebbe definitivamente cambiato la sua vita.

Questa occasione gliela offrì l’Ange.

Incontratala nel 1764, il sedicente conte capì subito come possedesse qualità eccezionali, dovute non solo alla bellezza. La portò a vivere con sé, guidò il suo tirocinio erotico. Quando arrivarono i clienti fu un successo tale che l’ispettore di polizia Mathieu Marais, il 27 settembre 1765, classificò come “esistenza infame” il numero quotidiano di appuntamenti con uomini di tutte le età. L’Ange, mise a verbale Marais scandalizzato, veniva “affittata a chiunque purché nobile e facoltoso”.

Tra i tanti signori a cui era stata offerta, c’era anche il duca di Richelieu. Costui, grande gaudente e libertino, apprezzava molto i favori sessuali dell’Angelo e dopo l’amore qualche volta si fermava da du Barry a cenare. Una sera, nel salotto ricco di broccati, alla fine di un pasticcio di selvaggina generosamente accompagnato da un vino delle Borgogna, Richelieu sciolse la lingua con più convinzione e allegria del solito:

- Sapeste… sua maestà si sta spegnendo, pensare che era un tombeur des femmes! Tutti si danno da fare per trovargli una sostituta della Pompadour, ma finora non c’è riuscito nessuno… farebbe un bel colpo chi potesse…

- E perché pensate abbiano fallito? – chiese du Barry

- Ci vuole carne fresca e di prima scelta. Con l’età il re è diventato molto esigente! – rise allusivo Richelieu.

Il ruotato si accodò, ma non osò confessare l’intuizione che improvvisa lo aveva folgorato: Jeanne era l’amante perfetta da proporre a Luigi XV! Il giorno dopo era già corso a cercare l’ onnipotente valletto di sua Maestà.

La sera che Jeanne Bécu fu introdotta alla presenza del re indossava una veste immacolata, elegante e virginale, adatta alla parte di “sposa in bianco”. Si era lavata con molta acqua calda e il suo sesso aveva ricevuto il battesimo d’ambra, quel rito di profumazione per cui era famosa. Al tempo in cui gli aristocratici si pulivano pochissimo, pisciavano a ogni angolo della reggia, indossavano parrucche intrise di sudore, Jeanne si lasciava dietro una scia di primavera, si muoveva con passi seducenti, avviluppava nelle sue spire amorose. Luigi XV, malgrado la vita da gaudente e le molte esperienze amatorie, non aveva mai conosciuto un’autentica professionista. Nemmeno al Parco dei cervi, ritiro di Versailles dove aveva messo al mondo una dozzina di bastardi, gli era capitato di provare ciò che sperimentò quella notte. Jeanne Beçu, istruita dal du Barry e per nulla intimidita dal regale cliente che sentiva disarmato nella nudità, compì il suo capolavoro.

Alcuni giorni dopo passeggiando per il parco con il bigotto duca di Noailles il re confidò estatico:

- Quella donna possiede l’arte di rianimare i miei desideri.

- Sua Maestà non è mai stato in un bordello – rispose con sincerità il duca.

Ma Luigi XV, trasognato e con la mente altrove, non afferrò.

Il monarca e l’Ange si incontrarono ancora e poi ancora e presto divenne chiaro a tutti che la loro frequentazione stava passando da saltuaria a stabile. Preoccupato per lo scandalo che ne sarebbe derivato, assalito dai rimorsi, Le Bel decise, non senza angoscia, di rivelare al re la verità. Con pazienza lo sorvegliò dall’ occhio di bue, sala attigua a quella del sovrano così chiamata per la finestra tonda, dove i visitatori illanguidivano lusingati di fare anticamera per ore sotto una volta di stucchi e putti d’oro. Nel momento in cui fu solo, fattosi coraggio, il valletto chiese di parlargli. Il Beneamato , stupito e temendo noie, lo guardò diffidente.

- E’ per via di madame… - lasciò cadere Le Bel.

- Madame?

- Maestà perdonatemi…

- Dimmi Le Bel…

L’altro deglutì sibilando:

- Si dice che Madame abbia avuto molti amanti, addirittura che sia una professionista…

Attimi di panico e silenzio.

- E chi lo dice?

- Tutti… la corte, Maestà… il passato di madame…

Il sovrano lo bloccò:

- Quale passato? Il passato non esiste…

- Maestà…

- Chi ti dice che non siano panzane?

- L’intera Parigi è testimone…

A quelle parole il re si adirò davvero:

- Calunnie! Non ci credo… se anche fosse non me ne importa!

- Maestà…

- Lasciatemi in pace!

- Maestà...

- Vattene! Voglio stare solo…

Superati lo sconcerto e il dolore, l’ansia per un problema che non si era posto e che non voleva sentirsi porre, Luigi XV si ritirò nelle sue stanze rifiutando di incontrare chicchessia, ma dopo qualche giorno capì con disperazione che a Jeanne Béçu mai avrebbe rinunciato, fosse pure uscita da un bordello. Quella donna era l’ emanazione giovane delle sue vecchie carni: un fiore da non recidere! Col tempo, però, maturò l’idea che le offese alla morale non dovevano essere sottovalutate perché alla lunga avrebbero minato il suo potere divino e, proprio per vivere quella relazione in libertà, stabili di far qualcosa per salvare l’onore e per zittire cortigiani e sudditi.

Fu Jean Baptiste du Barry a trovargli la soluzione, un escamotage soddisfacente per il reciproco tornaconto. Nell’impossibilità di sposare Jeanne lui stesso, in cambio di una lauta ricompensa propose un matrimonio di facciata con il proprio fratello scapolo, e poiché la famiglia du Barry millantava titoli nobiliari Jeanne sarebbe divenuta contessa e le sorelle del du Barry sue dame di compagnie. Il ruotato trafficò con così pochi scrupoli e tanta abilità che quando ritornò a Levignac sulla Save, il paese natio della Guascogna disteso accanto a un corso d’acqua, lo fece dotato di un capitale invidiabile e della promozione a Conte dell’isola di Jourdain.

L’Ange nell’autunno del 1768 si trasferì definitivamente a Versailles dove divenne la contessa du Barry. Luigi XV, mai largo di manica con le favorite precedenti, per assecondare i suoi desideri attinse alle casse dell’erario come fossero senza fondo: nei cinque anni che li videro insieme il sovrano le regalò vestiti, gioielli, residenze lussuose. Anche se Madame du Barry, istintiva, generosa e semplice, unica a trattare la servitù con cameratismo, all’inizio si sistemò volentieri col piccolo seguito nell’appartamento lasciato libero da Le Bel. Il povero valletto, infatti, poco tempo prima, era morto a causa di una crisi epatica. A Versailles si malignava che se ne fosse andato per il dispiacere di aver contribuito alla disfatta morale del suo signore, per non essere riuscito a impedirgli di esporsi al ridicolo della corte e alla perdita di stima dei sudditi.

Erano infatti molti i denigratori dell’Ange. Il duca di Choiseul primo tra questi: aizzato dalla sorella, livida per aver visto sfumare la possibilità di diventare a sua volta favorita, le fece una tale guerra che gli costò l’esilio. Madame du Barry non si curava troppo delle maldicenze, grata del potere che aveva ricevuto partecipando alle nozze dei tre nipoti del re. Girava per il Trianon con abiti che fluttuavano sulle sue forme armoniose: una moda nuova e un modo per restituire al sovrano il giusto lustro. Via stecche e panier, via ogni forma di trucco, annodati con nonchalance i riccioli biondi, l’Ange era splendida!

La stella di madame du Barry declinò il giorno che Luigi XV scomparve. Dopo la sua morte, Luigi XVI con una lettera le ordinava il confino a molte miglia da Parigi, nel monastero di Pont aux Dames. Partì piangendo in una fredda alba primaverile e la sera si ritrovò nella cella lugubre di un edificio in rovina. Difficile prova, giorni interminabili e senza futuro, ma col tempo si fece benvolere dalle suore e in capo a un anno il principe di Ligne, uno dei più grandi signori dell’epoca, mosso a pietà, si decise a chiedere udienza a Maria Antonietta:

Madame – disse dopo un profondo inchino – Iddio vi ricompenserà per la vostra indulgenza… permette che Madame du Barry ritorni a essere libera.

Signore come potete chiedermi questo?

Madame, lassù la carità è riconosciuta…. – e guardò il cielo - non dubito che voi siate caritatevole…

Il labbro inferiore della regina fremette, sul volto un’ombra sprezzante e un lungo silenzio.
Pensò alla rivale come a un idolo infranto. Deglutì.
-
E va bene, purché abiti a non meno di dieci miglia da Parigi e da Versailles…

La nuova residenza di Madame du Barry fu il castello di Louveciennes, prezioso regalo del defunto re di Francia. A soli trentatre anni, bellissima, di nuovo in possesso di ricchezze notevoli, non volle cercarsi un marito. Divenne seguace delle idee di Jean Jacques Rousseau scoprendo le gioie della natura, passeggiando nel parco all’inglese, godendosi i quadri, i mobili e gli oggetti preziosi, ricevendo la crema della società, partecipando alla vita di Louveciennes e facendo molta carità ai suoi paesani. Ma nel 1789 neanche quel ritiro di campagna si salvò dalla tempesta della rivoluzione. In quel periodo Madame du Barry con generosità e coraggio aiutò gli amici nascondendoli nella sua residenza e riallacciò i rapporti con la famiglia reale, superando l’ antica asprezza e prodigandosi per loro. Nel 1791, dopo un malaugurato furto di diamanti preziosissimi, dovette recarsi più volte a Londra per recuperarli. I suoi viaggi insospettirono le autorità francesi e al ritorno di uno di questi fu arrestata e imprigionata alla Conciergerie dove subì un processo. Testimoni d’accusa non pochi ingrati abitanti di Louveciennes e la servitù che pure aveva beneficiato della sua generosità. I suoi concittadini, gli amici e i conoscenti, le rivolgevano sguardi inquisitori, perversi e ottusi, mentre Fouquier-Tinville, implacabile esecutore degli ordini del comitato di salute pubblica durante il terrore, camminando avanti e indietro sottolineava la requisitoria con enfasi ieratica: - Colpendo una Messalina colpevole di cospirazione contro la patria, non soltanto vendicherete la repubblica delle sue offese!... ma sradicherete uno scandalo pubblico e affermerete il dominio della morale!...

Povera madame du Barry! Quando la condussero al patibolo pareva un vitello al mattatoio: urlò, pianse, implorò clemenza. La folla si commosse. Il boia, toccato nel profondo, si affrettò a concluderne il supplizio. Stessa sorte toccò al vecchio pigmalione: era un freddo giorno di gennaio del 1794 quando Jean Baptiste du Barry pose il capo sul ceppo e incrociando con lo sguardo il cielo livido si sentì trafiggere dall’inutilità della posta per cui aveva tanto combattuto.

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07 dicembre 2006

Nostalgia del latino

Nostalgia del latino motore nostro di Francesco Ogliari (tratto da "La Prealpina" del 3 dicembre 2006)

Torna agli onori delle cronache il richiamo in occasione di scadenze legate al calendario scolastico o sondaggi dai quali si evince che il livello medio di istruzione non accenna ad aumentare. In queste circostanze si nota il fuoco sotto la cenere di una lingua morta che si vorrebbe riabilitare, rilanciare, riscattare quasi fosse la bella addormentata nel bosco alla quale basta il bacio d'un (bellissimo) principe per rientrare nell'inferno dei vivi. Il latino insomma è come il sole : torna ad ogni alba, al cadere delle lunghe interminabili notti. E' un argomento con il quale il Borges confessò d'aver attraversato l'Atlantico meridionale , da Buenos Aires a Casablanca, occupando il tempo dell'intera traversata in una discussione con un compagno di viaggio, un professore di materie umanistiche al liceo francese di Costantina, frequentatore di tutte le Accademie internazionali dove s'incontrano gli amici del latino. Si dichiara guerra alla lingua di Roma perché " non è più indispensabile". Dovremmo accordarci prima sul significato della parola indispensabile:, cioè di cui non si può fare a meno. Al mondo, salvo l'osso del collo e poche altre contiguità di natura metafisica, non c'è davvero molto di cui si soffra penuria fino a perdere il respiro. Anche un'automobile si può guidare benissimo senza conoscere ingranaggi , valvole, cilindri, giunto cardanico , farfalla, differenziale, spinterogeno: però si ha il bisogno del meccanico, del garagista. Il latino è stato il motore dell'italiano (dello spagnolo, del portoghese, del romeno, del francese, del romancio). Ne è anche la radice. Lo si studia per imparare l'italiano. Giova ai matematici dei quali il nostro tempo non potrebbe fare a meno. Non è sempre essenziale la ginnastica. Per secoli si sono abbuffati di consecutio temporum senza curare muscoli, linea,scatto,ritmo cardiaco. Ciò non toglie che la ginnastica sviluppi sull'organismo possibilità che giovano alla salute fisica, a quella morale permettendo forse più della filosofia e delle scienze esatte - di salvare la vita. Cos'è più necessario per il povero, si chiede quell'umanista finissimo che è stato don Giuseppe De Luca , amico dei migliori letterati e letterato di eccelso ingegno? Il povero vuole sì il pezzo di pane che lo sfama , che gli è indispensabile, ma questo tozzo di pane non lo rallegra, anzi lo umilia;vorrebbe piuttosto un bicchiere di vino -che non è indispensabile -, una sigaretta e meglio di tutto, un sorriso. Noi uomini in realtà non abbiamo bisogno che del superfluo ;eppure solo gli animali s'accontentano del necessario. Una lingua per restare vivente non può rinunciare al freno e allo sperone. Senza lo sperone - le novità, i neologismi, i prestiti,le invenzioni del linguaggio parlato - diventa presto una lingua morta. Senza freno - le grammatiche, i puristi , gli ortodossi,gli accademici della Crusca - cambierebbe con tale rapidità che in pochi anni sarebbe più compresa da nessuno nell'originale. L'umanità passerebbe il suo tempo a ricoprire l'America. Ma è proprio a questo che mirano , ingenui o sornioni, certi riformatori che sognano di eliminare dalle menti il ricordo di ciò che conobbe in passato , lasciando solo il brodino dietetico di qualche filosofo da tribuna televisiva. Invece di presentare Platone, Seneca,Tommaso d'Aquino, Cartesio , Pascal, Voltaire,Rosmini, si offre al candidato la lettura e l'interpretazione di Marx o Marcuse o il testo indigente di qualche redattore illetterato. Cosi impregnato , si rinuncerà a ogni istinto critico e si diverrà maturi per tutti i fanatismi. Lo scolaro insegnerà al maestro (come nel Paese di Cuccagna);gli studenti in piazza suggeriranno la strategia di insegnamento che crederanno la migliore. Una civiltà tuttavia non sopravvive soltanto per i propri monumenti, arti o letterature bensì con il genio e col mestiere. Genio letterario che consiste nel buonsenso di ritrovare le stesse cose da millenni - tutto è stato detto, da diecimila anni: tutto essenziale, e il contrario di tutto - illuminandolo di luce nuova. Mestiere che è basilare da conoscere, apprezzare, usare con intelligenza. Picasso poteva permettersi di dipingere dei mostri con tre occhi e il naso di traverso perché conosceva il disegno, suo mestiere. Il Rousseau in una celebre pagina sostiene che se non fosse per via dei bisogni fisici, avremmo potuto benissimo fare a meno di parlare , limitandoci al linguaggio gestuale con il quale ci si intenderebbe. A maggior ragione dunque visitiamo il latino, che non cositituisce un'ostacolo all'inarrestabile progresso della lingua (neolatina). Diffidiamo da quelli che proclamano la necessità di rinnovare la lingua -scriveva Prezzolini- perché costoro con le parole cercano di produrre gli effetti che non sanno produrre con le idee. Si può essere certo chiari, comprensibili, perfino spiritosi ed eleganti senza occuparsi troppo dell'etimologia, delle declinazioni , delle subordinate relative. La persona che evita di fare per qualche giorno shopping afferma, fieramente, che sta raffredando l'inflazione domestica. La lingua rimane umida, tiepida, dolce. Non è il latino, naturalmente. Non è neppure la lingua parlata: è l'organo muscoloso e mobile dell'uomo e dell'animale che sta nella bocca. Così la vede il Chaucer nei Racconti di Canterbury. Dovremo accontentarci di questa?
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04 dicembre 2006

Ricordo di Armando Pellizzone

L'uomo dalle due arti di Miriam Ballerini
Armando Pellizzone è nato a Canzo(CO) nel 1937. Appianese d’adozione, lo ricordo nella sua piccola bottega di pasticcere di fianco alla chiesa. Col grembiule bianco a sfornare dolci, gioia dei miei vari compleanni o occasioni speciali. Allora, bambina, non sapevo che quell’uomo gentile fosse sia un valido artigiano, sia un grande artista.

Ad ottobre 2006, a 15 anni dalla sua prematura scomparsa, in Villa Rosnati ad Appiano Gentile si è tenuta una mostra di quadri in suo ricordo. Pellizzone ha saputo unire sapientemente il proprio lavoro alla passione pittorica, coltivata fin dalla giovane età. Ha frequentato la Scuola d’Arte di Canzo e l’Accademia delle Belle Arti di Brera.

Le sue opere sono state esposte in Italia e all’estero e numerosi sono gli articoli che lo riguardano, usciti su vari giornali e sulle reti televisive.

Ha ottenuto un largo consenso dalla critica, attirando l’attenzione anche di Salvatore Fiume che di lui scrisse: “Tutta la sua opera sembra suggerita dal desiderio di volare e di vedere volare uomini e cose…”.

Molti altri critici si sono espressi sulle sue opere. Vediamone alcuni:

Giannino Cascardo: “Pellizzone ha una valida predisposizione ad interpretare le masse: la folla che invade la tela nasconde, sotto la varietà degli atteggiamenti, l’ansia del mondo attuale, la sua vacuità …”

Germano Campione: “Nelle composizioni di Pellizzone si nota una sintesi formale fondata su accordi di valori geometrici e di colore, che è risolta con grande leggerezza…”

E di sé e della sua pittura Pellizzone scriveva: “Spazio è una delle parole più usate del XX secolo; personalmente , da un quarto di secolo, è stata una costante, dei temi della mia pittura, l’uso da me fatto di questa parola, non è la rappresentazione oggettiva di uno spazio fisico o metafisico, ma, come ebbi a scrivere nel volume di Dino Villani “800 Pittori allo specchio”, lo spazio da me inteso è uno spazio libero ove immergere: pensieri, persone, cose; ma soprattutto quella parte dell’inconscio che sfugge al mio controllo, ma di cui sento la presenza nelle mie opere”.

03 dicembre 2006

L'attivita intellettuale di Carlo Cattaneo

di Eros Barone (tratto dalla rubrica "Con rispetto parlando" de "La Prealpina" del 2 dicembre 2006)

L'attività intellettuale e politica di Carlo Cattaneo si dispiega nel corso dell'Ottocento (1801-1869) e spazia dal campo giuridico a quello scientifico, da quello storico a quello politico, da quello letterario a quello linguistico.
Fin dal suo primo articolo, pubblicato nel 1822 sulla rivista fiorentina "Antologia", il giovane pubblicista rivela il suo interesse per Giandomenico Romagnosi, uno studioso che fu il maggior continuatore della tradizione illuministica nell'Italia della Restaurazione, un maestro di cui Cattaneo si considerò sempre allievo e che non esitò a difendere dalle accuse che gli aveva mosso il filosofo cattolico Antonio Rosmini nel volume "Il rinnovamento della filosofia in Italia" (1830). Cattaneo, recensendo nel 1836 tale volume sugli "Annali universali di statistica", la rivista fondata da Romagnosi, morto l'anno precedente, difese il maestro dall'accusa più pesante con vigore polemico: "E quest'uomo, appena disceso nella tomba, viene al cospetto del mondo gridato 'ateo'. E per gridarlo ateo, basta un compilatorello di ràncide controversie scolàstiche...". Ma l'evento chiave, che segna una svolta nella vita e nello stesso itinerario intellettuale del pensatore milanese, fu il 1848, ossia le Cinque Giornate, quando egli si trovò a capo di quell'insurrezione che gli offrì l'occasione storica, nel conflitto con i moderati filosabaudi e con l'unitarismo di Mazzini, per la maturazione della sua ideologia federalista. Dopo questa fondamentale esperienza, prima di trasferirsi nel Canton Ticino, dove risiederà sino alla morte, ebbe ancora un guizzo di passione politica al momento della spedizione dei Mille, quando raggiungerà Garibaldi a Napoli nel settembre del 1860. Tuttavia, l'esperienza che rivela pienamente la forza di questo intellettuale lombardo, la vastità, la ricchezza e la profondità dei suoi interessi, tali da farne non solo una figura centrale del nostro Risorgimento politico e culturale, ma una personalità di rilievo e di respiro europei, è la rivista "Politecnico", "Repertorio mensile - come recita il sottotitolo - degli studi applicati alla prosperità e alla cultura sociale" (prima serie: 1839-1844), su cui si può dire che sia stato pubblicato quasi tutto quello che il Cattaneo ha scritto. In questa rivista, che lo consacrerà come uno tra i maggiori scrittori di prosa scientifica dell'Ottocento, si incontrano, dando vita ad un dialogo interdisciplinare e pluridisciplinare costantemente alimentato da specifiche indagini della realtà economica, civile e culturale del nostro paese e fecondamente tradotto in concreti progetti di riforme sociali, storici, linguisti e filosofi, ma soprattutto ingegneri, economisti, sociologi, giuristi, medici, agronomi, geografi, fisici e naturalisti. Vale la pena di segnalare, a tale proposito, una scelta originale che caratterizza la linea editoriale e linguistica della rivista fondata e diretta da Cattaneo: una scelta che anche chi scrive condivide, pur astenendosi dal praticarla con la necessaria sistematicità. Si tratta della proposta, divenuta norma tassativa per lui e imposta anche ai recalcitranti collaboratori, enunciata nell'articolo del 1843, "Dell'accento sulle voci sdrùcciole per agevolare agli stranieri l'uso della lingua italiana". In realtà, dopo il primo "Politecnico", egli fu l'unico a rispettare questa decisione, che di fatto si ispirava al progetto di riforma grafica avanzato dal letterato e lessicografo milanese Giovanni Gherardini. Sennonché, anche in questo campo, non mancarono gli eredi più imprevedibili, fra i quali merita di essere ricordato, per la stravaganza tipografica delle sue pagine, il lombardissimo Carlo Dossi, autore di quello zibaldone, non meno divertente che affascinante, che ha il titolo di "Note azzurre" e, come risulta dal giudizio che segue, ammiratore incondizionato del grande intellettuale milanese: "Cattaneo direttore del "Politecnico" correggendo, col tocco magico della sua penna, i più scadenti articoli degli altri autori, li rendeva attraenti".

02 dicembre 2006

"L'Inviato del Dio" di Gianluigi Zuddas

Edizioni Tabula Fati
Chieti 2006
[ISBN-88-7475-101-X] - Pagg. 48 - € 4,50

Diecimila anni or sono, com'è ben noto, il Mediterraneo si riduceva all'enorme lago noto come Mare Interno, e sulle sue coste vivevano popoli di cui si è conservato solo un ricordo trasfigurato dal tempo. Fra essi le avventurose amazzoni e i loro feroci nemici, le Teste Nere di Sumer.
Nel suo Ciclo delle Amazzoni, ricco di quattro romanzi e vari racconti, Gianluigi Zuddas ricostruisce questo mondo affascinante con una fantasia che sembra inesauribile. L'ironia e un umorismo dissacrante sono sempre presenti nelle sue opere, oltre all'originalità delle sue trame avvincenti.
L'amazzone Ilsabet, che qui si trova alle prese con un bislacco sacerdote e un extraterrestre cinico e maschilista che si finge una divinità per farsi ubbidire da costui, è una dura soldataccia con la quale simili individui non possono scherzare. Lei ha una missione da compiere nella pericolosa terra di Sumer, e sa solo che la sua Regina le ha ordinato di portarla a termine.

Copertina di Luca Casalanguida
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Livornese, nato nel 1943, Gianluigi Zuddas si è dedicato alla fantasy nel 1978. Ha subito conquistato grande popolarità vincendo nel 1979 il Premio Italia e nel 1980 il Premio Europa con Amazon, il suo primo romanzo. Nella sua ormai copiosa produzione spicca il Ciclo delle Amazzoni, composto da altri tre romanzi (Il Volo dell'Angelo, Stella di Gondwana e Le Amazzoni del Sud) e alcuni racconti con le stesse protagoniste. Fra i numerosi racconti ricordiamo "Per cercare Aurade", col quale ha ottenuto il Premio Tolkien nel 1980, e il completamento del "Ciclo di Solomon Kane" lasciato incompiuto da R.E. Howard. Altri suoi romanzi sono Balthis l'Avventuriera grazie al quale ha vinto di nuovo il Premio Italia nel 1983 e ancora il Premio Europa nello stesso anno, I Pirati del Tempo, Le Armi della Lupa, e C'era una volta un Computer, di prossima pubblicazione.

ADDIO AL PATTO DI STABILITA’ STUPIDO di Antonio Laurenzano

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