25 settembre 2023

“EPPURE QUALCUNO MI DOVEVA ASCOLTARE” di Aurelio Pace a cura di Vincenzo Capodiferro


EPPURE QUALCUNO MI DOVEVA ASCOLTARE”

Storia di un’ordinaria ingiustizia della Giustizia italiana, di Aurelio Pace


Quello che il giovane avvocato Aurelio Pace ci racconta in questo libro, “Eppure qualcuno mi doveva ascoltare” - edizioni Osanna, Venosa -, è una storia drammatica, vera, anche se un po’ romanzata, accaduta nella Basilicata del Novecento. Aurelio parte da un tema agostiniano, riprendendo Epitteto: Dio ci ha dato due orecchie, ma una bocca sola, proprio per ascoltare il doppio e parlare la metà. Aurelio, giovane ed avvenente avvocato, un po’ come il grande Aurelio Agostino, viene interpellato da un anziano signore: Salvatore di Brindisi di Montagna. La richiesta è un absurdum logico: rivedere uno storico processo a carico del padre, Agostino Lacerenza, ingiustamente accusato di parricidio e di omicidio di un giovane. Due accuse falsissime, perché il poveruomo si era trovato alle strette, e vedendo il padre in fin di vita, lo aveva caricato sul mulo e portato all’ospedale San Carlo di Potenza, facendo fronte tra l’altro alle intemperie: ed allora nevicava! E di brutto! Il padre arriva morto. E il figlio viene accusato. La maldicenza fa poi la parte sua: nei paesi piccoli come i nostri, i marchi della lingua restano eterni, anche se sei innocente. Diceva il proverbio: la lingua non ha ossa ma rompe le ossa. E riprende il Libro del Siracide: «Se una frusta ti colpisce, ti lascia il segno
sulla pelle, ma se ti colpisce la lingua, ti spezza le ossa. La spada uccide tante persone,
ma ne uccide più la lingua che la spada». Così la famiglia di Agostino viene ad essere tutta compromessa. Accade un altro omicidio, resa di conti tra allevatori, ed ecco che subito il giovane Agostino si trova alle prese con un’altra accusa infondata: aver ucciso il compagno di caccia, o di uccellagione. Siamo nei paesaggi meravigliosi in cui Federico II stilava le “Tavole della Legge” (
Costituzioni Melfitane), esempio grandioso di legislazione che nulla ha da invidiare ai grandi codici storici, come quello giustinianeo e quello napoleonico che arriverà molto più tardi. Federico era anche un valido uccellatore: esperto di caccia coi falchetti. Anche Federico II, se vogliamo, come Napoleone, è un vincitore: ma finiscono per essere dei vinti dalla storia. E per i vinti non c’è scampo, Verga docet. La storia di Aurelio è avvalorata dagli atti dei processi: un vero e proprio romanzo storico, di un verismo sconvolgente. Per in vinti non c’è alcuna redenzione, né storica, né sociale, né economica, né giuridica, purtroppo! Alla fine, il povero Agostino indossa il vestito del padre e si getta nel pozzo, cavato dallo stesso padre. A pagarne le spese la moglie e i figli, che portano sempre il marchio: figli di carcerati! La giustizia, a quei tempi, procedeva per sentito dire, il più delle volte: ex auditu, ex signo, ex experientia vaga, secondo Spinoza. E per di più con l’avallo di maghe fattucchiere, amanti di ufficiali. E chi non ha soldi, non può difendersi! La storia non è cambiata, perché di queste storie di ordinaria ingiustizia della Giustizia italiana ne sentiamo molto spesso. Eppure, questo valido lavoro è di una modernità sconvolgente, perché rappresenta un atto di un revisionismo giuridico. La verità sarà evangelicamente proclamata sui tetti, o per dirla sempre con Aurelio Agostino: «La verità è come un leone. Non avrai bisogno di difenderla. Lasciala libera. Si difenderà da sola». E di quanto revisionismo storico abbisogna la Basilicata. Tra le accuse storiche segnaliamo la grande favola del brigantaggio e quella dell’arretratezza che attirò i vari sociologi, come De Martino e Banfield. Ci tacciarono di familismo amorale. Ma quale familismo amorale? Per il lucano credo che ancor oggi la famiglia sia un valore non negoziabile tanto facilmente. Anche Levi fu affascinato da quella civiltà contadina e fa da eco Albino Pierro: - Qui parlano anche le pietre! Questa toccante storia descritta da Aurelio sarà rappresentata nei teatri dall’artista Ulderico Pesce e sarà oggetto di un film. È veramente un lavoro serio, affascinante e soprattutto che rende giustizia ad un povero padre, che, dopo tante angherie subite, poteva esclamare: - Finalmente posso morire in pace.

Aurelio Pace, Avvocato. Nato a Melfi nel 1976, vive a Filiano (Pz). Rappresentante delle Istituzioni, è stato Consigliere Provinciale di Potenza e Regionale della Basilicata; Presidente dei Lucani nel Mondo e della Scuola di Formazione Politica Forma Pop – School of life. Pubblicazioni: Giovani emozioni, Salerno 1996; Goccia a goccia, Salerno 1998; Il cappello sugli occhi, Salerno 2000; Global, no Global, new Global, Pozzuoli 2008; Sales, un sogno giovane, Matera 2009; Gender: ascesa e dittatura della teoria che “non esiste”, 2016. 


V. Capodiferro

22 settembre 2023

Dentro la gabbia di Stefano Cosmo a cura di Miriam Ballerini


DENTRO LA GABBIA
– Quando porti dentro un segreto come il mio, o ti adatti o muori lentamente – di Stefano Cosmo


© 2023 Marsilio Farfalle

ISBN 978-88-297-1462- 9

Pag. 252 € 17,00


Un buon libro: originale, vero, che sembra possa piacere solo a un mondo maschile dal momento che tratta di lotta; eppure vi posso assicurare che potete trovare tanto fra queste pagine.

Scritto in prima persona dal protagonista, Moreno Zanon, ambientato nei dintorni di Venezia. Azzeccati quindi i cognomi, tipicamente veneti, l'ambientazione, le descrizioni dei luoghi.

La fine del quartiere in cui ci trovavamo, sfruttato, avvelenato e abbandonato”.

Moreno è un campione di arti marziali miste: “L'arte della menzogna l'avevo affinata di pari passo con le mie abilità nel combattere. Si chiama adattamento”.

Zanon si sta allenando per fare l'incontro della sua vita con un importante lottatore, ma la sua esistenza, fin dall'inizio accompagnata dal degrado, gli farà un ulteriore sgambetto.

Il fratello, attualmente recluso, viene accoltellato e Moreno viene coinvolto per pagare un suo debito, se non vuole che la cognata e la nipote cadano nelle grinfie di Trabacchin, malavitoso della zona.

Moreno, innamorato della cognata farà di tutto per evitarle qualsiasi sopruso: “Era un rifugio dove sopportare la rabbia e l'impotenza di cambiare le cose. Quelle perle scure mi rapivano portandomi oltre la miseria del nostro quartiere”.

Andrà a combattere nella gabbia, dove Trabacchin organizza incontri clandestini che, spesso, portano alla morte i combattenti. Tanto per lui non sono persone, ma affari.

Lui traffica con persone extracomunitarie, promettendo loro lavoro e finti permessi di soggiorno.

Il maresciallo Di Ciolla, che parla inserendo frasi in dialetto salentino, gli sta col fiato sul collo, desideroso da anni di sorprenderlo con le mani in pasta.

Interessante il modo in cui viene descritto il rapporto fra Di Ciolla e Zanon.

La storia non è per niente lineare e si complicherà parecchio prima di giungere a un finale con sorpresa.

Un romanzo che tratta di temi sociali, descritto in modo duro, tanto che a volte pare davvero di sentire i colpi che i lottatori si scambiano nella gabbia. Si coglie anche la loro sofferenza morale e sociale.

Mi fa terribilmente piacere, permettetelo, che lo scrittore abbia inserito la tematica dell'immigrazione, spargendo nelle pagine vari semi: discutendo della questione con la verità, contrastando le tante, troppe, fake news che ci propinano quotidianamente; che abbia posto l'argomento con umanità, una dote che pare sempre più una perla rara.

Un romanzo che tocca tante corde, originale nella storia.

Stefano Cosmo forse non poteva scrivere che in questo modo, essendo laureato in diritti umani ed avendo la passione per gli sport da combattimento. Ha unito due cose tanto distanti tra loro, trovando un punto di congiunzione che le fa stare in perfetto equilibrio.

La gabbia ha diverse interpretazioni: oltre al semplice luogo fisico dove si combatte, è anche un luogo interiore da cui non si può sfuggire. Zanon lo sa bene, lui che porta dentro di sé un segreto che sempre lo tormenta. È anche il luogo che meglio descrive le condizioni di vita di chi deve subire e non può nemmeno permettersi di sperare in una vita migliore.

Da leggere!


© Miriam Ballerini


Fonte: https://oubliettemagazine.com/2023/07/02/dentro-la-gabbia-di-stefano-cosmo-un-romanzo-ambientato-nei-dintorni-di-venezia/?fbclid=IwAR0CkwlSioMIxsc6X0kder9dM7vxJGcSaitn4pjU0cA4jKN2cJ87USm3Xu8

21 settembre 2023

IL RITORNO DI MARIO DRAGHI di Antonio Laurenzano


IL RITORNO DI MARIO DRAGHI

di Antonio Laurenzano

Con l’Ecofin di Santiago il negoziato europeo per la riforma del Patto di Stabilità e Crescita è entrato nella sua fase cruciale. E Mario Draghi torna in Europa. La Presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen gli ha affidato un nuovo incarico, quello di delineare una strategia sul futuro della competitività dell’economia europea. L’annuncio è arrivato nel corso dell’annuale discorso sullo stato dell’Unione al Parlamento di Strasburgo, uno degli eventi politici più importanti nell’Ue, nel corso del quale vengono indicate le linee guida del lavoro delle istituzioni comunitarie, fissando obiettivi e procedure.

Sono tre le sfide individuate da von der Leyen: il lavoro, l’inflazione e l’ambiente imprenditoriale. Ricercare nuove soluzioni per rimanere competitivi sul mercato globale in un momento di grandi capovolgimenti economici in cui l’Ue rischia di essere “un vaso di terracotta tra vasi di ferro, Stati Uniti e Cina”. E l’incarico proposto all’ex presidente della Bce, “una delle grandi menti economiche europee”, riveste importanza fondamentale per il futuro del Vecchio Continente. Il tema della competitività s’intreccia tanto con il quadro geopolitico in rapida evoluzione, quanto con gli equilibri interni all’Ue. L’Europa, anche grazie al contributo di Draghi, “farà what ever it take per mantenere il suo vantaggio competitivo”, ha chiosato la Presidente della Commissione, ricordando la famosa frase dell’ex governatore della Bce a difesa dell’euro.

Il ritorno a un ruolo attivo dopo l’esperienza di governo a Palazzo Chigi rappresenta una mission dai contorni così ampi da apparire come un consulto per un paziente con gravi problemi. E per Draghi la diagnosi è chiara: la pandemia prima e la guerra in Ucraina dopo hanno prodotto la fine di un’era. “L’Unione di prima non c’è più”, perché hanno ceduto i pilastri su cui si reggeva la sua prosperità: “l’America per la sicurezza, la Cina per l’export, la Russia per l’energia”. E “non c’è ancora l’Unione di dopo”. La prospettiva di un suo allargamento ai Paesi dei Balcani e all’Ucraina, senza aver provveduto alle riforme, potrebbe portare a un esito fatale. Espandendo la periferia senza rafforzare il centro si rischierebbe cioè ripetere gli errori del passato.

Si apre per l’Ue una stagione “complicata, molto complicata”, perciò Draghi ha accolto la proposta a fronte delle importanti sfide che attendono l’Europa. “Supermario” torna sulla scena europea proprio dopo aver tratteggiato in un articolo pubblicato sull’Economist il suo programma per il rilancio della zona euro. L’Unione europea ha bisogno di “nuove regole e una maggiore condivisione della sovranità” dal momento che le strategie che nel passato hanno assicurato sviluppo e sicurezza dell’Europa sono diventate insufficienti, incerte o inaccettabili. Tornare ai vecchi “paletti” fiscali sarebbe deleterio. Le regole di bilancio dovrebbero essere sia rigorose, per garantire la credibilità nel medio termine, sia flessibili, per consentire ai governi di reagire a choc imprevisti. La strada tracciata da Draghi nel suo intervento sull’Economist prevede il trasferimento di maggiori poteri di spesa al centro e “federalizzare” alcune spese per investimenti in modo da raggiungere un equilibrio tra regole rigide per i singoli Stati ai quali è proibito andare in disavanzo, e scelte fiscali a livello centrale.

L’Ue, nel disegno programmatico tracciato da Mario Draghi, ha bisogno di una politica fiscale europea sia per svolgere un compito di stabilizzazione economica, coordinandosi con la politica monetaria, sia soprattutto per finanziare una politica industriale basata su un ammontare di investimenti adeguato a consentire alla zona euro di mantenere il suo ruolo economico e politico nel mondo. Finchè, dopo quella monetaria, non raggiungerà una piena unificazione fiscale, l’Europa non potrà riguadagnare lo status di grande potenza nel mondo multipolare del ventunesimo secolo. In un assetto globale dominato da superpotenze, rischia di continuare a dipendere da forze esterne, proponendosi così come un partner subordinato e non come una potenza realmente sovrana.

La ridefinizione delle politiche di bilancio in un quadro economico-finanziario con una forte impronta federale garantirebbe finanze credibili. Dal negoziato sulla sua governance economica dipenderà la capacità dell’Unione europea di fronteggiare le sfide globali che le stanno di fronte e consolidare i passi avanti fatti con Nex Generation EU nel sostegno a politiche di sviluppo comuni. Ma mettere in comune una maggiore sovranità richiede nuove forme di rappresentanza e di potere decisionale centralizzato. Una sfida per l’Europa del futuro, un’Europa che dovrà prendere in tempo coscienza del cambio epocale in atto per continuare a competere affrontando le crisi con risposte rapide ed efficaci. Una sfida economica e politica.


18 settembre 2023

Silvia Beccaria alla Riccardo Costantini Contemporary – Recuperare le vestigia del nostro passato per creare il presente. A cura di Marco Salvario

Silvia Beccaria alla Riccardo Costantini Contemporary – Recuperare le vestigia del nostro passato per creare il presente.

A cura di Marco Salvario


Scomporre le vestigia del proprio passato, ridurle a frammenti, a strisce sottili, e, solo allora, cominciare il processo inverso, quello della creazione, tessendo, intrecciando, unendo.

Quella che riemerge, è una storia intima e personale, perché attinge ai quaderni dell'infanzia con i disegni e i faticosi esercizi di scrittura che i genitori, soprattutto le mamme, conservano come ricordi preziosi, insiemi ai riccioli di capelli o ai dentini persi; reliquie per loro e per i figli che, una volta diventati adulti, potranno rivivere i primi passi della loro vita. Oppure è una storia che si nutre smembrando a pagina a pagina i vecchi volumi custoditi negli scaffali, perché su di loro sono stati fatti sogni e progetti; le mappe stradali del Turing Club, ormai è passato più di un secolo dalle prime pubblicazioni, dove i nostri padri o i nostri nonni hanno pianificato ardimentosi viaggi in un'Italia arretrata, giovane e contadina.

Questo materiale antico della sua famiglia, Silvia Beccaria, artista torinese, lo recupera e lo trasforma con grande creatività. Prima lo spezza in tasselli e nastri, dopo lo compone in opere nuove, tessendolo realmente su un antico telaio in legno, con un'abilità tecnica e artistica perfezionata in molti anni di esperienza.

Perizia, arte, intuizione, pazienza.

Il risultato sono arazzi moderni, spesso tridimensionali, fragili come è fragile la nostra natura, il nostro ricordare l'infanzia, il ritornare agli affetti dei nostri primi anni.

Carta antica come materiale, intrecciata con fili di nylon e, a volte, arricchita con colori a tempera o acrilico.

Tessitura a mano artigianale, reinventata in chiave contemporanea.


Silvia Beccaria ha conseguito una laurea in Filosofia, un master in Arte-terapia e, per anni, si è occupata dell'arte come strumento di istruzione e riabilitazione. Il suo metodo, pur non mancando di collegamenti con correnti creative e psicologiche moderne, ha una sua originalità e una concettualizzazione nuova e indipendente.

Le sue opere sono un dialogo a più livelli, un racconto con il quale ci racconta di sé e al tempo stesso ci porta a riflettere su noi stessi, in un continuo alternarsi di monologo e dialogo, di musica e silenzio.


La galleria Riccardo Costantini Contemporary, da pochi mesi trasferitasi nella nuova sede torinese di via Goito, a poca distanza dalla stazione ferroviaria di Porta Nuova e da casa mia, ha ospitato dall'8 giugno al 29 luglio 2023 la mostra “Silvia Beccaria – Ascoltare anche ciò che manca”, organizzata da Olga Gambari, curatrice indipendente, critica d'arte e giornalista; scrive attualmente per “la Repubblica”. Le opere presentate coprono la produzione degli ultimi anni, dal 2020 al 2023, un periodo durante il quale l'artista ha voluto fissare i punti di arrivo della proprie attuali esperienze.


Mi soffermo su alcune delle opere a mio parere più rappresentative:



Percorsi” del 2020, dove la materia prima sono le storiche mappe del TCI sopra citate; tragitti suggeriti e negati, strade che ormai saranno diventate autostrade o super strade, città cresciute per accogliere una popolazione italiana raddoppiata e in gran parte migrata dalle campagne alle grandi metropoli.

Il 2020 è anno di lockdown, i viaggi negati diventano ricordi, momenti di svago che la nostra fantasia cercava di recuperare dal passato, mentre ci si chiedeva se e quando la pandemia sarebbe stata superata. Le case erano prigioni, arresti domiciliari, e “Percorsi”, nella sua trama principale, disegna le sbarre di una cella. Un'opera che non solo richiama la sofferenza claustrofobica, ma ne è testimonianza dolorosa e smarrita.



Del 2022 è “Il suono del silenzio”; qui la base sono antichi spartiti musicali, intrecciati e modellati in rotoli che, affiancati e collegati, richiamano le canne di un organo. Sembra di sentire riecheggiare, in un'atmosfera religiosa, un suono muto. La musica è riscoperta e canto di libertà, ma si rivolge a un'umanità inquieta, che se sembra avere finalmente sconfitto la paura della malattia e dell'isolamento, pur non potendo cancellare la tragica scoperta della propria fragilità, vede arrivare un altro dramma e divampare quella guerra sotterranea, che dal 2014 covava ipocritamente alimentata da interessi di poteri trasversali, tra Russia e Ucraina.

Un suono d'organo, forse un Te Deum, forse una musica funebre. Una sinfonia che vorrebbe unire, levarsi verso l'alto, ma che resta silenzio, inudibile e bassa vibrazione.

Un'opera che è scultura e che non nasconde la propria struttura grezza, anzi la esalta, lasciando esposti i fili dell'intreccio e la natura invecchiata e lacerata del materiale.



Simile come messaggio è “Assenza”: il tentavo di costruire in un mondo sereno che tanto si desidera, l'armonia, la fratellanza dell'umanità; una speranza che subito si perde e smarrisce. Non c'è quello slancio che dovrebbe collegare i filamenti tra di loro, lo spartito è interrotto, manca la continuità fisica del rigo e la volontà di ricostruire dell'artista. Del progetto di recuperare il passato resta soltanto lo spettacolo di frammenti interrotti, perduti e sempre più in disfacimento.

Il presente che stiamo vivendo è vuoto, i tasselli sono consumati e indecifrabili; i riferimenti del passato sono andati perduti e non abbiamo valori nuovi e veri su cui costruire. Non è neppure l'odio a vincere, solo l'impotenza e la rassegnazione.

L'umanità si è persa in una decadenza senza ritorno, senza memoria.


FONTE: "Silvia Beccaria: gli arazzi moderni per recuperare le vestigia del passato - OUBLIETTE MAGAZINE"


16 settembre 2023

Valerio Varesi Il fiume delle nebbie a cura di Marcello Sgarbi


Valerio Varesi

Il fiume delle nebbie – (Sperling& Kupfer - Frassinelli)


Formato: Brossura

ISBN: 9788882748043

Pagine: 256


Il catalogo della giallistica italiana è ormai ricco di nomi eccellenti. Fra gli autori meno noti, ma non per questo meno interessanti – tutt’altro – secondo me spicca per la sua straordinaria capacità di scrittura Valerio Varesi.

Parmense, è il padre del commissario Soneri, protagonista di diversi gialli di Varesi fra cui questo noir ambientato in una non meglio precisata piccola cittadina sulle sponde del Po.

Soneri, molto vicino al Maigret di Simenon, deve vedersela con un caso strano: le morti di due fratelli, avvenute in momenti diversi, che sembrano avere più punti in comune di quanto si possa pensare. In un livido autunno, battuto da una pioggia così incessante da far temere una piena del fiume e ammantato dalla nebbia, fra golene, case quasi sommerse e strade allagate, il commissario sembra perdere l’orientamento.

Ma, come accade spesso nei gialli, è grazie a un particolare in apparenza trascurabile che Soneri ritrova la bussola. Così, le indagini prendono una svolta che lo porta a scoprire la soluzione, nascosta fra le pagine di un passato legato al fascismo e alla Resistenza.

Ho trovato godibile e intrigante questo noir di Varesi, perché, ferma restando la sua abilità nel gestire il registro narrativo, l’ambientazione curata porta diritta al cuore della mia terra: l’Emilia Romagna. E in tempi come questi, data la terribile alluvione che la regione ha subìto, la realtà supera la fantasia.

Il fiume delle nebbie si fa anche apprezzare per l’estrema competenza con cui l’autore – in particolare attraverso la voce di Barigazzi, uno degli anziani protagonisti del romanzo - disserta sulle caratteristiche della navigazione fluviale e sulla cultura popolare.

Barigazzi continuava a immaginare il fiume, così largo nella corrente di mezzo che non si intuivano le sponde. Un ondeggiare lieve di foglia nell’unico gemito dello scafo in una marcia orba tra schiaffi improvvisi d’acquate, nel buio. S’immaginava gli argini popolati di rivieraschi in piedi sotto l’acqua come sentinelle a salutare il lumino sul fiume, appena percettibile come il fanale di una bicicletta lenta che passa sulla strada alzaia in una notte di nebbia. Intuiva lo spostamento di lato della chiatta ogni volta che incontrava una gavona o un vortice largo, il suo marciare sghembo di cane per un tratto per poi riprendere l’assetto infilando la corrente motosa.

Il commissario aveva in testa un alveare di maggio. Angela stava quasi urlando nel telefonino, ma i pensieri lo rendevano sordo.

Passò lungo i borghi e la città vecchia gli parve una spugna impregnata d’acqua. Le case avevano perso la pallida allegria paglierina dei giorni di sole e si mostravano sudate, appiccicose come se fossero appena approdate dal torrente gonfio che scorreva lì vicino.

L’acqua continuava a scendere uguale da nubi basse, sfrangiate verso terra, che gli ricordarono le interiora lanose dei materassi sventrati dalla Narcotici nelle perquisizioni. Gli pareva che l’unico punto asciutto fosse la brace del sigaro. Persino le sue ossa, nei primi passi del mattino, s’erano addolcite come i manici dei badili messi a mollo.

Sembrò che i quattro avessero bevuto un bicchiere di torchiatura. I loro volti terrei e impassibili esprimevano un’indifferenza ostile, marmorea. Lui li guardò a uno a uno, fermandosi negli occhi di Barigazzi come la pallina della roulette.

Il sole gracile d’autunno si appannò, tanto che lo si poteva guardare in faccia.

Il fiume si saldò col cielo come fa la neve d’inverno sui colli. E fu in quel momento che una sagoma lunga e scura apparve controcorrente e cominciò una manovra lenta d’attracco. Quando passò di fronte a loro, un banco più fitto ne offuscò i contorni.

Il motore borbottava sommesso con un rumore che ricordava la cottura della polenta.

Soneri rimase in silenzio e gli parve così profondo da sentire l’urto degli aghi di ghiaccio che continuavano a cadere sulle foglie secche.


© Marcello Sgarbi




14 settembre 2023

La ricerca di Franco Garelli tra materia e spazio. A cura di Marco Salvario

La ricerca di Franco Garelli tra materia e spazio.

A cura di Marco Salvario



Durante i 63 anni della sua vita, Franco Garelli ha sperimentato con passione e curiosità molte tecniche artistiche: è stato scultore, disegnatore, pittore, ceramista; contemporaneamente, senza concedersi pause, ha portato avanti l'attività di medico, di chirurgo e di docente.

Garelli nasce a Diano d'Alba, apprezzato territorio vinicolo in provincia di Cuneo, nel 1909. Al termine della prima guerra mondiale, la sua famiglia si trasferisce a Torino. Pur palesando una grande predisposizione per il disegno e la scultura, dopo gli studi classici si iscrive alla Facoltà di Medicina.

Ha 18 anni, quando una sua opera in cera viene esposta alla Società Promotrice delle Belle Arti. Tra le due tendenze più importanti del periodo, il ritorno al passato che ha in Casorati il suo campione, e la nuova onda futurista, Garelli segue con convinzione la seconda, frequentando Luigi Spazzapan, a cui resterà legato anche nei decenni successivi.

Partecipa alla creativa vita goliardica e viene apprezzato come illustratore e caricaturista. Nel 1935 si laurea e inizia il servizio militare a Firenze; nel 1936 è di stanza in Africa Orientale come sottotenente medico. Il quotidiano La Stampa organizza la sua prima personale dal titolo: “Appunti in A.O.”. Negli anni successivi, Garelli continua la collaborazione con il giornale torinese e con altre importanti testate; dal '41 al '43 è al fronte, dove viene decorato con la croce di guerra.

Terminato il conflitto, esercita la libera docenza presso la Facoltà di Medicina dell'Università di Torino; questo non interrompe la sua attività artistica, anzi, partecipa ad importanti mostre e gallerie. Nel 1948 e nel 1950 è presente alla Biennale d'Arte di Venezia, dove sarà invitato molte volte.

Dal 1951 e per dodici anni insegna anatomia artistica all'Accademia delle Belle Arti di Torino.

A metà degli anni '50 aderisce al movimento informale. Utilizza materiali “poveri” che fonde nel bronzo e, successivamente, realizza le sue sculture saldando scarti di materiale ferroso, cercando un equilibrio razionale tra la materia e lo spazio.

Nel 1959 espone a Tokyo, a Kyoto e a Osaka, conquistando i critici giapponesi. Le sue opere sono ormai richieste ovunque, al di qua e al di là dell'oceano.

Nel 1961 esegue sculture di grandi dimensioni, ben 8 metri, per lo stand del Piemonte in occasione del centenario dell'Unità d'Italia e per la mostra Moda Stile Costume. Nell'anno successivo abbandona la professione medica e realizza per la società telefonica di allora, la Stipel, una cancellata in bronzo.

Sono i suoi anni di maggiore impegno artistico, tra mostre e nuove opere.

Nel 1963 presenta i Plamec, sui quali sta lavorando da molti mesi, mischiando pittura e scultura, ricorrendo all'utilizzo di resine industriali e plastiche, ed esegue un grande mosaico per il lungomare di Albissola, cittadina del savonese a cui è molto legato. Comincia ad insegnare presso il Liceo Artistico di Torino.

Nel 1965 progetta e costruisce a Beinasco il proprio nuovo studio e, l'anno successivo, è per l'ultima volta presente alla biennale di Venezia con “I Tubi”, opera realizzata con lamiera piegata e verniciata.

Nel 1968 espone a New York, a Parigi e a Praga. Gli ultimi anni della sua vita intensissima lo vedono lavorare e presentare le proprie installazioni praticamente ovunque. Un male incurabile lo uccide nel 1973, mentre aveva ancora tanto da inventare e proporre.



Il Museo Ettore Fico, ampia e moderna area espositiva torinese creata con il recupero di un ex stabilimento industriale, ha ospitato dal 23 marzo al 2 luglio 2023 la mostra “Franco Garelli – Antologica”, curata da Andrea Busco, che del museo è Presidente e Direttore.

Le opere esposte erano più di cento e davano una visione ben documentata dell'evoluzione nella ricerca e nella produzione dell'artista durante la sua vita.



Personalmente ho molto ammirato il bronzo del 1948 “Il re e la regina”, dove le forme hanno vigore e armonia; la forza del potere si lega all'amore e alla complicità che lega le due figure, che si cercano e si uniscono. L'opera ha certo in sé il retaggio del culto del corpo e del fisico dell'epoca fascista, ma esalta la nuova libertà dell'uomo, la sua autonomia fuori da strutture e vincoli. L'uomo e la donna si proclamano re e regina, quindi padroni assoluti, della propria vita e del proprio futuro, il tutto espresso in un linguaggio che suggerisce senza dire, che è statico ma richiama il movimento, che è semplificato al massimo eppure denso di messaggi.

Alcuni soggetti ritornano con frequenza nelle opere dell'artista: il cavallo, simbolo della natura che si assoggetta all'uomo; il toro nella corrida, simbolo parallelo della natura che viene vinta ma non domata, e le mani, le mani alle quali Franco Garelli deve tutto, come artista e come medico.



Nell'opera “La mano del chirurgo”, le dita si aprono, la pelle scompare e resta la tensione dei nervi, mentre l'azione dall'interno dei muscoli sgorga irradiata come un magico fluido. Non c'è il dottore, non c'è il paziente, solo quella mano che, quasi dotata di poteri magici, cura e risana. Una capacità taumaturgica che trascende i limiti umani.


FONTE: "Franco Garelli: l'arte è ricerca tra materia e spazio - OUBLIETTE MAGAZINE"

13 settembre 2023

"CASTELSARACENO. IL PONTE SOSPESO PIU' LUNGO AL MONDO" a cura di Vincenzo Capodiferro


"CASTELSARACENO. IL PONTE SOSPESO PIU' LUNGO AL MONDO"

Un viaggio nella storia e nel futuro, di Adamo De Stefano


"Castelsaraceno. Il ponte tibetano più lungo al mondo. Idee, esperienze e narrazione per la progettazione del paesaggio nelle aree interne" è un libro dell'autore Adamo De Stefano, editore Universosud 2023. L'autore ci narra una singolare ricostruzione che parte da determinate matrici tematiche storiche, come quella arabo-saracena e quella greco-basiliana, preponderanti nel nostro territorio, per sfociare in una progettualità che prevede la valorizzazione di tutto il paesaggio, attraverso la creazione di itinerari storico-naturalistici, che colleghino vari punti focali di tutto il territorio, come le antiche badie basiliane, tra cui spicca quella di Sant'Angelo al Monte Raparo, con le sue grotte ancestrali e le fonti intermittenti, ricordate da umanisti quali il Pontano, attraverso la rielaborazione degli antichi miti. L'opera del ponte tibetano più lungo al mondo viene così inquadrata in un contesto che tiene conto di tutto, un contesto geo-storico. Come diceva Giustino Fortunato: «La Basilicata è frutto della storia e della geografia!» e ciò è valido non solo per la Basilicata. La progettualità dell'autore prevede, dunque, la creazione di un Parco Tematico, che coinvolge tutti i comuni del circondario e che prevede quindi un grande spirito di collaborazione, che non sempre è auspicabile, dati i campanilismi presenti nel territorio: «La visione sistemica di rigenerazione urbana e rurale,» scrive l'autore, «prevede il miglioramento estetico dell'intero areale e delle sue connessioni ecologiche, la fruizione sportivo/pedonale dell'habitat del fiume Racanello, con la rifunzionalizzazione idraulica e la risagomatura del canale del mulino, la realizzazione di un percorso idrotermale, di un parco avventura, un laghetto artificiale, rappresentazioni scultoree, ovvero il terrazzamento di alcune superfici da destinare a orti saracene ed erbe medicinali, percorsi didattici e sensoriali, corpi illuminanti per la fruizione notturna, trekking someggiato, un ponte levatoio o sospeso aggiuntivo e così via». È una sfida, accattivante, sincera, che parte da uno Studio profondo. Proprio la conformazione storica dei centri urbani, arroccati sui colli a scopo difensivo, ha accresciuto nel corso dei secoli un senso di sfiducia reciproca e di diffidenza trai comuni. È soprattutto il racconto di un sogno, che piano piano ha preso piede, dalle prime mosse, avviate dal sindaco Domenico Muscolino, fino alla realizzazione completa, raggiunta sotto l'amministrazione Rosano. È un'opera singolare che non parla solo di storia, ma che intende attualizzare la storia, renderla accessibile alle masse, che soprattutto si proietta al futuro. La temporalità, come sosteneva Agostino, è sintesi delle tre estasi: passato, presente e futuro. La storia non è solo storia ma il riflesso del tempo, il gomitolo di Bergson, che non è solo una collana di perle, né un soprammobile da ammirare. Come scrive il giornalista Eugenio Montesano nella prefazione: «Prima ancora che un libro, questo volume è un atto d'amore,» e soprattutto «Aprirsi al domani rimanendo legati alle proprie origini e ai propri valori. Impegnarsi "al fare" piuttosto "al solo dire"». La gettatezza del fatalismo storico si slancia allora nell'evoluzione creatrice, nell'"élan vital", nell'heideggeriana pro-gettatezza dell'esserci. Questi esserci, le persone concrete e reali, non sono più da vedere come i vinti di Verga, ma vincenti nel progresso che non è solo materiale, industriale: oggi più che mai si parla di patrimonio immateriale. L'emigrazione non diventa così solo un dramma storico, ma dialogo trai popoli. La globalizzazione può diventare così una risorsa, se si mantengono i contatti con il mondo e con gli emigrati presenti nel mondo, altrimenti si cancella ogni identità. D'altronde questo processo è stato adempiuto già dalla storia: gli emigrati non hanno mai rotto il filone ombelicale che li collega alla loro terra madre.

Vincenzo Capodiferro

12 settembre 2023

Gloria Berloso e Ricky Mantoan – Insieme per celebrare la buona musica a cura di Claudio Giuffrida

Gloria Berloso e Ricky Mantoan – Insieme per celebrare la buona musica
Ricky e Gloria 

Gloria Berloso, compagna del musicista Ricky Mantoan (1945-2016), mi ha concesso questa emozionante intervista a ricordo di una collaborazione musicale intensa e di un rapporto umano straordinario.

Ricky Mantoan nel 1978 mise insieme un gruppo di telentuosi sognatori country, il “Branco Selvaggio“, gli spettacoli della band erano un vero Cosmic Country con un tocco di psichedelia. Nel 1980, dopo l’uscita del suo disco “Ricky”, iniziò a collaborare con alcuni leggendari artisti californiani: entrò in contatto e strinse una forte amicizia con il bassista Skip Battin, già dei Byrds, dei New Riders of the Purple Sage e dei Flying Burrito Bros. Tra il 1982 e il 1994 suonò in tour con Skip Battin, Chris Darrow, Greg Harris, Sneaky Pete Kleinow, Gene Parsons, John York, Roger McGuinn, rivelandosi un eccellente chitarrista e un vero magic picker sulla Pedal Steel Guitar con cui seppe creare dei fraseggi e degli accordi molto interessanti e armonici che non avrebbe ottenuto da nessuna altra chitarra.

Questi eventi sono stati registrati con relative pubblicazioni in due dischi: LIVE IN ITALY (Sneaky Pete Kleinow, Skip Battin, Ricky Mantoan, Vincenzo Rei Rosa) nel 1985 e FAMILY TREE nel 1988 con gli ex Byrds Skip Battin, John York, Ricky Mantoan e il batterista del Branco Selvaggio. Ricky era alla Pedal Steel Guitar e alla chitarra elettrica String Bender Telecaster.

Nel 1992 viene realizzato il primo album di Branco Selvaggio, “RIDERS OF THE UNIVERSE” e nel 2006 esce il nuovo album “RIDIN’ AGAIN” esclusivamente di canzoni composte da Ricky Mantoan. Nel 2013 compone il soundtrack del film "The Repairman" con la Pedal Steel Guitar e il Dobro, dal 2011 ha formato con Gloria Berloso un duo artistico. Autore, musicista polistrumentista, insegnante e cantante, suona l’arpa celtica, la chitarra acustica ed elettrica, pedal steel guitar, armonica, mandolino, bouzouki, basso, dulcimer.


Quando Ricky Mantoan è entrato a far parte della tua vita e della tua carriera musicale?

Ho conosciuto Ricky Mantoan la prima volta nel marzo del 1998 quando ho accolto con entusiasmo l'idea di un concerto con Luigi Grechi ovvero Il Bandito e il Campione, la famosa canzone portata poi al successo discografico da De Gregori. Quella serata di bella musica è rimasta memorabile ed indimenticabile così come la nostra canzone nata 13 anni dopo. Sono convinta che il tempo non esista ma quello che rimane sempre è la nostra voce, i suoni e la scrittura, essenziali per far conoscere alle generazioni presenti e future “ Because we are” (Perché noi siamo). E se il nostro essere interiore non splende come vorremmo, accettiamolo con umiltà e tanta gioia. Non dobbiamo mai disperare perché siamo su questa terra con lo scopo d'imparare e lavorare per la nostra evoluzione personale e quella degli altri.

Quando ho ritrovato Ricky dopo anni di silenzi, ci siamo immersi in lunghe telefonate notturne, riprovando il gusto della risata, quella sana che ti fa venire le lacrime agli occhi per la felicità di sentire le nostre voci che raccontano le emozioni di tante storie vissute nel nostro mondo separato dalla distanza chilometrica. Lui a Ivrea ed io a Gorizia.

In quel periodo Ricky mi ha inondato di suo materiale, musica, spartiti, registrazioni di brani inediti che trovavo la sera nella buca delle lettere al mio ritorno a casa, distrutta dalla stanchezza e dai miei ricordi di dolori appena trascorsi. La Musica per entrambi era come un rifugio, ed era forse la chiave per accedere ai nostri ripostigli segreti, luoghi dove troviamo il nostro vero essere, nudo, senza maschere e senza alibi.


https://youtu.be/uq6IoIS75PA?si=qk7nAjxCoMBvetH7

Gloria nel tuo Blog (https://ilblogfolk.com/) definisci Ricky Mantoan, il chitarrista che ha cambiato il modo di suonare e fare Musica in Italia ci racconti il suo e vostro modo di fare musica?

Tutta la musica creata da Ricky Mantoan era fresca e coraggiosa perché slegata dai dettami della moda e dal filone imposto dai detentori del potere discografico. Avendo scelto la strada dell'indipendenza fin dagli anni sessanta, rifiutò contratti discografici e partecipazioni ad eventi nazionali di talenti. Ovviamente le trasmissioni radiofoniche di maggior rilievo che avrebbero dovuto costituire in teoria l'unica possibile via di diffusione, lo ignoravano. Chi invece negli anni e comunque dopo il 1980 con l'uscita dell'Album “Ricky” dove troviamo per la prima volta la Pedal Steel Guitar, probabilmente i dischi li ha cercati oppure li ha trovati ai suoi concerti. Chi conosce la sua musica, soprattutto in base alla strumentazione che usa, capisce che si discosta sempre dai modelli tradizionali.

Ricky fin dai primi istanti che l'ho incontrato mi aveva abbagliato. Poi ho capito che anche lui avrebbe sviluppato una vera passione per il mistero ed era fedele all'idea che fosse possibile un'esistenza di amore e felicità. La nostra guida interiore, che sentivamo entrambi nei momenti bui della vita, si era presentata come una sensazione forte e così fidandoci del potere di quell'inconfondibile conoscenza interiore abbiamo capito che qualcosa di molto importante doveva accadere. La vita è stata la nostra principale maestra perché abbiamo imparato a crescere grazie alle lezioni che ci ha offerto: la conoscenza avvenuta molti anni prima in mezzo alla musica, la saggezza acquisita con la maturità e l'amore. Seppur distanti fino a quel momento ma inconsapevolmente vicini fin da quando sono scesa alla stazione per raggiungerlo ad Ivrea abbiamo interpretato la vita finalmente uno accanto all'altro con la scrittura, il pensiero e canzoni molto importanti che hanno segnato la nostra gioventù.


https://youtu.be/iyfYoOFH8Do?si=Ft_qqtSfEO4vh2vo

La vostra è stata, prima di una collaborazione creativa, una bella storia d’amore, quanto questo ha influito sul vostro modo di fare musica?

Fin dall'inizio del nostro intenso rapporto di convivenza quotidiana in mezzo alla Musica, le sue chitarre, le sue e le mie canzoni, sono diventate “la nostra” musica capace di volare fino al cielo e far cadere gocce d'acqua pura sulle labbra riarse di chi soffre invano. Abbiamo cercato di dare un senso a chi siamo e perché siamo così. Noi partivamo da un sogno e ci siamo rimasti. Da questo sogno è nata la nostra canzone Dreamers dove l'atmosfera è sospesa e solenne, piena di profumi e di suggestioni remote in un corridoio oscuro che sembra non finire mai. La pedal steel guitar di Ricky compare in sordina, modulando sulle stesse tonalità delle voci corali ed accenna lentamente il tema del brano, sorretto dalle congas, qui suonate da me, che acquistano un ritmo più sostenuto in contrasto con il dolce e morbido suono della Steel. Tecnicamente abbiamo ribaltato le consuete funzioni strumentali e l'intervento finale degli altri strumenti di Ricky contribuisce non poco alla creazione di un’'atmosfera di sogno reale.

Ricky ed io abbiamo messo l'anima per realizzare quello che lui sentiva profondamente e cercava di esprimere con tutti gli strumenti. A mio parere si eleva di una buona spanna rispetto alla maggioranza dei musicisti, protèsi al facile successo con una formula collaudata, piuttosto che in direzione della musica che viene dall'Anima.

Questa è infatti musica vera, musica pura, probabilmente neppure commercializzabile.


https://youtu.be/1MRlqeS2apo?si=avFja3gyPlK2rOOe

Con molti della nostra generazione abbiamo attraversato gli anni in cui la musica aveva un ruolo importante di crescita interiore e di ricerca di una dimensione artistica particolarmente creativa, qual’è il tuo vissuto a proposito?

Nel mio lavoro, anzi meglio parlare di missione, i valori fondamentali sono l'amore ed il rispetto. La passione per la musica, il rispetto del pensiero di chi lascia ed ha lasciato traccia attraverso il messaggio della sua Musica. Ho capito soprattutto che conta molto voler raccontare, far sapere che tu esisti, facendo capire che le persone diventano un punto di riferimento attraverso una poesia, una melodia, una canzone giusta e il lavoro immenso che dedico ogni giorno affinché questo possa accadere. Io credo sempre che con la musica e dentro la musica, ci sia una magia speciale che ci fa crescere migliori. Non c'è età che tenga per chi ha il dono prezioso di suonare, creare, fantasticare tra il presente, il passato e il futuro. Nella mia povertà materiale in cui vivo per scelta da anni, c'è una ricchezza maggiore che percepisco ogni giorno con vibrazioni che arrivano dall’esterno e da dentro di me.

Nel libro del sogno d’amore, tutte le pagine sono i miei giorni, e tutte le mie luci invecchiano con me. Essere ancora qui a dividere emozioni è un dono ed ogni emozione deve essere coltivata per riavere la forza di andare avanti. Nella vita non si amano solo degli idoli ma è necessario amare le cose belle, tutta la musica creata con storie proprie vissute anche all’ombra del successo.

Chi conosce ancora l’importanza di un fiore e dei nostri sorrisi, chi ama i prati, i papaveri, le margherite, le stelle e la luna, chi ama correre contro il tempo e sogna sempre pensando all’amore comprende che le canzoni sono state pensate per la gente che ama, e le canzoni dell’odio per chi non potrà mai capirlo. Ho passato la mia vita a cercare tutto ciò che è ancora non cantato.

Perché noi siamo

Tu suoni la tua chitarra mentre cerchi i miei occhi

io giro il mio viso dall’altra parte

penso che cerchi un altro sguardo

ma intorno a me non c’è nessuno

solo fumo, solo musica e ci sei tu

ti guardo, sento le corde che entrano

capisco che siamo solo noi

penso ad uno scherzo

tu continui a pizzicare le corde mentre cerchi i miei occhi

si è vero, è la nostra serata

siamo in tre, io, te e la musica che ci avvicina

amo questa magia e mi piace il tuo suono

non siamo poeti, non siamo cantanti, non siamo amanti

noi siamo un pezzo di vita sbrindellata

un po’ artisti, quelli della strada

che catturano chi crede nella solitudine

e a loro rubiamo l’anima per poi restituirla

con la purezza che ci fa vivere così

perché noi siamo

Gloria Berloso nasce a Gorizia il 17 dicembre 1955. Fin dalla culla ascolta musica jazz e americana dai dischi del padre. La sua maggiore influenza è lo stile, la voce e la storia di Billie Holiday. Tra il 1965 e il 1975, la musica Rock ha un ruolo importantissimo per la sua formazione ma soprattutto diventa uno stimolo ad ascoltare e collezionare i dischi più rari. Agli inizi degli anni novanta per pura passione scopre la predisposizione di stare in mezzo ai musicisti, organizza concerti, approfondisce la conoscenza della Musica Folk, in particolare quella americana.

In un concerto da lei organizzato, incontra il chitarrista di fama mondiale, Ricky Mantoan, tra di loro nel 2011 si consolida un rapporto artistico importante tanto che la porta a trasferirsi in Piemonte per costruire un futuro artistico che porterà alla registrazione di molto materiale fondendo le loro maggiori influenze.

Ricky Mantoan le insegna a suonare la chitarra, l'arpa e l'autoharp e gli elementi principali per l'uso della voce.

Gloria Berloso promuove tuttora la musica con concerti, video, dischi, articoli, saggi, recensioni, libri e promozioni sin dal 1984.

Nel 2017 ha pubblicato il libro dedicato a Ricky e il disco Because We Are, nel 2018 ha pubblicato il libro La cultura musicale - Cento anni di storia, lo stile e le sue espressioni.

https://www.giannizuretti.com/articoli/gloria-berloso-e-ricky-mantoan-insieme-per-celebrare-la-buona-musica/

(c) Claudio Giuffrida 

11 settembre 2023

LEGGE DI BILANCIO, CONTI IN ROSSO di Antonio Laurenzano


LEGGE DI BILANCIO, CONTI IN ROSSO

di Antonio Laurenzano

Conto alla rovescia per la presentazione alle Camere della Nota di aggiornamento del Documento di economia e finanza (NaDEF), propedeutica alla legge di Bilancio. Entro il 27 settembre il Governo Meloni dovrà scoprire le carte e definire le linee guida delle misure da adottare nella Manovra del prossimo anno. Nel corso degli ultimi decenni, per effetto dei continui e rapidi cambiamenti di politica economica, i documenti programmatici hanno assunto sempre di più un ruolo chiave nella rielaborazione degli obiettivi del Paese, in relazione alla maggiore disponibilità di dati e informazioni sull’andamento del quadro macroeconomico e di finanza pubblica. Un passaggio chiave per definire risorse e misure da adottare a seguito di scelte politiche ben precise. E per Palazzo Chigi sarà una corsa ad ostacoli. Conti pubblici da far quadrare tra deficit, Pil e debito con una crescita economica relativamente bassa e un’emergenza di spesa da affrontare. Una strada decisamente in salita.

Prudenza, realismo e sostenibilità: sarà questo il leitmotiv del dibattito politico sulla legge di Bilancio, il “piccolo manifesto politico” con cui i partiti cercano di stabilire una relazione sociale con il loro elettorato reale e potenziale. La “lista della spesa” è lunga. La nuova manovra economica dovrà mirare a sostenere le famiglie per contrastare il caro vita e gli effetti della inflazione. Obiettivo primario sarà confermare il taglio del cuneo fiscale-contributivo per un aiuto concreto nella busta paga dei lavoratori con redditi medio-bassi. Con la Manovra si dovrà anche andare incontro alle esigenze delle imprese e degli imprenditori alle prese con il rincaro dei costi di produzione, il rallentamento del fatturato causato dalle condizioni di mercato e dalla maggiore difficoltà di accesso al credito, sempre più costoso per il rialzo dei tassi d’interesse. Nella speranza di non leggere un altro capitolo dell’italico libro dei sogni, si disegna una politica economica di sostegno per indirizzare il Paese, in una strategia di lungo termine, verso una prospettiva di crescita e di sviluppo sostenibile.

Situazione complessa. La questione ruota attorno al reperimento delle risorse necessarie per coprire le novità che saranno introdotte dalla Manovra, che richiede almeno 30 miliardi di euro, di cui 11 miliardi esclusivamente per mantenere il taglio del cuneo fiscale anche nel 2024. Almeno 4 miliardi saranno necessari per finanziare il primo modulo dell’Irpef previsto dalla Riforma fiscale. Nuove coperture vanno inoltre individuate per sanità, previdenza e spese indifferibili. Il prelievo del 40% sugli extraprofitti delle banche ha aperto di fatto la caccia alle risorse che riguarderà anche la spending review e il riordino delle agevolazioni fiscali, misure comunque insufficienti a far fronte all’intero ammontate della Manovra. La coperta è corta. Il Ministro dell’Economia Giorgetti non ha ancora un quadro chiaro delle risorse disponibili. A causargli il “mal di pancia” c’è il Superbonus 110% con le nuove stime di costo per lo Stato che superano i 100 miliardi di euro, con un maggior peso derivante dalla diversa classificazione in Bilancio indicata da Eurostat. Una variabile indefinita che rischia di avere un forte impatto sui conti pubblici e quindi sulla legge di Bilancio. Un devastante effetto domino: sull’indebitamento di quest’anno potrebbero scaricarsi fino a 60 miliardi di euro, e il deficit potrebbe salire ben oltre il 6%. Altra variabile incerta, nel quadro programmatico degli obiettivi, è quella legata alle sorti del Pnrr, che il Governo ha chiesto alla Commissione europea di modificare, e al margine di flessibilità consentito dal nuovo Patto di stabilità che sarà in vigore il prossimo anno.

In un simile contesto, in attesa di elementi di maggiore chiarezza sia sul versante europeo che su quello nazionale, anche in considerazione di previsioni non positive sulla crescita interna, da Via XX Settembre il Ministro dell’Economia avrà gioco facile a respingere al mittente le richieste di taglio delle tasse. I margini per ricorrere a nuovo deficit sono preclusi: da Bruxelles segnali chiari e precisi.

Al Parlamento l’ultima parola, sperando che le bandierine dei partiti lascino il posto a un serio e costruttivo dibattito sul futuro economico del Paese in un quadro di bilancio realistico e non illusorio, evitando la bagarre di sempre con un avvilente voto di fiducia su un maxi-emendamento presentato dal Governo, così da avere il solito unico articolo da oltre mille commi. Un triste dejà vu.



L'INCROCIO DI DUE SENTIERI a cura di Miriam Ballerini

L'INCROCIO DI DUE SENTIERI


Sabato 9 settembre 2023 ad Appiano Gentile è stata inaugurata la mostra di acquerelli “L'affascinazione dell'acquerello”, di Erminio Guzzetti e Angelo Dinapoli.

L'apertura è stata di due giorni e molte persone hanno avuto il piacere di ammirare le opere dei due artisti.

Io non voglio parlarvi dei loro quadri, non avendo nessuna competenza in merito, se non il puro e semplice fatto di quanto mi colpisca e mi emozioni.

Personalmente sono stata coinvolta dai loro disegni che, cito, colpiscono per “la grande trasparenza, la luminosità, la freschezza, la ricchezza di cromatismi e le trasparenze di cieli, nubi e altro”.

Ma, quanto vi vado ad esporre è la particolarità della mostra che io ho colto e portato a casa: conosco da anni Erminio Guzzetti e, di lui, so la saggezza, la maturità, la conoscenza. Parlare con lui è sempre un momento di arricchimento.

Non conoscevo, invece, Dinapoli.

Quanto ho scoperto è che i due, dopo essersi conosciuti ed essere diventati amici, sono diventati maestro e allievo.

Appena entrata nella sala espositiva ho colto l'energia, il rispetto, la complicità.

È per questo che ho voluto parlarvene, perché è così raro in questo momento trovare tutto ciò. In un mondo di apparenze, di prevaricazioni, trovare queste due estremità in perfetto equilibrio fra loro, è stato estremamente affascinante, giusto per riprendere un loro termine!

Ho respirato quell'aria e non ho potuto fare altro che parlarvene.

Su un lato della parete erano esposti i quadri di Erminio: riprese di natura e di uomini, alcuni particolari, emotivi. Tutti con un proprio senso e un messaggio.

Dall'altro lato i disegni di Angelo: realistici, che riproducono quanto ha visto, portandoli sul cartoncino con tratti precisi e con mano felice.

Erminio gli ha trasmesso la sua passione, i trucchi pittorici, ma entrambi hanno mantenuto ognuno la propria mano, la propria personalità.

Erminio più sensibile, Angelo più concreto.

Inoltre, passando da un dipinto all'altro, mi sono imbattuta in uno scorcio di casa mia, solo un piccolo pezzo di balconata, con davanti la cascina che tutti i giorni vedo! Una sorpresa che subito mi ha colpita.

Quadro di Angelo Dinapoli

© Miriam Ballerini

09 settembre 2023

Per difendersi dagli scorpioni di Fernando Sorrentino


Copertina del maestro Salvatore Romano 

Come ogni fine settimana, a partire da Sabato 09/09, sarà possibile scaricare gratuitamente la versione Kindle di uno dei libri pubblicati nella collana I libri di PB

Il libro di questa settimana è:

Disponibile gratuitamente solo Sabato 9 e Domenica 10 Settembre.

[(...)Non tardai molto a rendermi conto che Boitus era stravagante non solo nell’aspetto, ma pure nelle azioni e nel modo di parlare. Faceva uso d’un esclusivo vocabolario tutto suo: per nominare Juan Pérez, presidente della nazione, faceva riferimento all’amministratore Tizio dei Tali; non camminava per la strada ma per la pubblica via; non viaggiava in autobus, metropolitane o treni, bensì nel sistema di pubblico trasporto dei passeggeri. Non diceva mai: Non so, sempre: Ignoro (...) (Problema Risolto, Fernando Sorrentino)

Fernando Sorrentino è nato a Buenos Aires l’8 novembre del 1942 ed è professore di lingua e letteratura. Tra le sue pubblicazioni ricordiamo: il saggio Siete conversaciones con Jorge Luis Borges, Buenos Aires (1974); le raccolte:Imperios y servidumbres (1972), El mejor de los mundos posibles (1976), En defensa propia (1982), Existe un hombre que tiene la costumbre de pegarme con un paraguas en la cabeza (2005), El regreso (2005) e il romanzo Sanitarios Centenarios (1979)]

Da leggere, sul sito:
Un campionato incompiuto di Fernando Sorrentino - https://www.progettobabele.it/traducendotraducendo/showrac.php?id=7917

Si chiede cortesemente, dopo la lettura, di lasciare una recensione.

Un cordialissimo saluto
La redazione di PB

02 settembre 2023

“MIO PADRE RACCONTA IL NOVECENTO” di Teresa Armenti a cura di Vincenzo Capodiferro


MIO PADRE RACCONTA IL NOVECENTO”

Presentato il libro di Teresa Armenti al Museo della Pastorizia


Il 24 agosto, presso il Museo della Pastorizia del Comune di Castelsaraceno, è stato presentato il libro della scrittrice Teresa Armenti, “Mio padre racconta il Novecento”, Edizioni Magister, di Matera, ristampa della prima edizione del 2006. A moderare magistralmente la preside in pensione Maria Pina Miraglia. Sono intervenuti: il sindaco, ing. Rocco Rosano, il parroco, mons. Vincenzo Iacovino, Ida Iannella, presidente dell’associazione Planula, Feliciana De Lorenzo, presidente della Pro Loco, Vincenzo Lardo, presidente dell’Associazione Borgo fiorito, e tra gli altri l’on. Vito De Filippo, la DS in pensione Maria Giovanna Chiorazzo e l’editore Timoteo Papapietro. “Mio padre racconta il Novecento” è la voce di un padre lucano, Felice Armenti, nato nel 1913, che racconta a sua figlia, sua unica figlia, Teresa, la sua vita, una vita ricca di storia. Bacone diceva: Veritas filia temporis. La verità è figlia del tempo, un tempo vissuto sulle proprie spalle, caricato e portato, un tempo difficile un tempo che spesso lascia cicatrici. Giustino Fortunato, nostro conterraneo, aggiungerebbe anche filia loci. La nostra terra è frutto della storia e della geografia, come del resto tutto! Un padre che ha visto tutto il Novecento, un secolo terribile, solcato da ferite gravissime: due guerre mondiali, i totalitarismi, gli stermini di massa, le bombe atomiche, le guerre fredde. Il Medioevo a confronto, con tutto che è stato tacciato di oscurantismo e di barbarie dagli Illuministi, è niente! Un contadino lucano che ha vissuto, come tanti, da protagonista: un grande reduce della Seconda Guerra Mondiale, ha combattuto ad El Alamein, un grande reduce delle catastrofi, della famigerata Spagnola, ma soprattutto Felice è stato un grande padre, amoroso verso la figlia. Questi racconti sgorgano dall’erlebnis, da un flusso coscienziale che si innesta nella storia. La storia è la coscienza collettiva, il tribunale della Ragione, come la definiva Hegel. Il sindaco ha ricordato l’importanza della memoria storica. L’onorevole De Filippo ha ricordato una lunga amicizia con l’autrice, che risale almeno al 1993, quando Teresa Armenti esordiva con “Quotidiana mente”, edita da Romeo Porfidio, di Moliterno, raccolta di versi in cui ricordava la madre. Intenso è stato il suo contributo anche per il notevole studio “Sant’Angelo al Monte Raparo e il culto micaelico”, editrice Ermes, che l’autrice aveva redatto insieme all’amica e collega Iannella Ida, sotto la guida di Dinu Adamesteanu, un altro padre, padre dell’archeologia lucana, con cui le nostre due autrici hanno celebrato un’intensa amicizia, riportata nel testo “Storia di un’amicizia. Dinu, Teresa e Ida”, Ermes 2020. L’editore ha messo in evidenza naturalmente due nuovi racconti, aggiunti alla precedente raccolta, racconti semplici che rivelano uno spirito grande e soprattutto quella grandiosa civiltà contadina che talmente affascinò Levi e tanti altri. Ad allietare la serata le musiche di due artisti, Massimo Latronico, originario del paese, ma residente a Milano, e Domenico Muscolino, ingegnere, che è stato sindaco di Castelsaraceno e geniale, non solo sullo spirito di geometria, per dirla con Pascal, ma anche sullo spirito di finezza: Domenico dipinge e suona. Due cose volevamo infine sottolineare: innanzitutto il grande gesto di amore di cui parla l’autrice e poi il grande spirito di unità che si è respirato in questa serata, che ha visto una folta partecipazione popolare. La cultura e soprattutto l’amore per la cultura, quella filìa della sofia, può appianare veramente ogni dislivello ed ogni discriminazione, che sia essa, politica, economica e sociale.

V. Capodiferro

ADDIO AL PATTO DI STABILITA’ STUPIDO di Antonio Laurenzano

ADDIO AL PATTO DI STABILITA’ STUPIDO di Antonio Laurenzano Addio al “Patto di stu...