28 ottobre 2023

KATHRYN TICKELL & THE DARKENING – CLOUD HORIZONS Resilient records – 2023 a cura di Claudio Giuffrida

KATHRYN TICKELL & THE DARKENING – CLOUD HORIZONS

Resilient records – 2023



Ricordo ancora con piacere il concerto di Kathryn Tickell a Musica in collina a Olgiate Comasco molti anni fa negli anni 90, insieme alla bravissima Karen Tweed alla fisarmonica, ma Kathryn ne ha fatta di strada da allora pubblicando con questo ben 16 dischi anche con collaborazioni varie. Ma in questo disco sonorità e melodie sono cresciute moltissimo superando i soli confini delle atmosfere celtiche.

Cloud Horizons è il secondo album (il primo fu Hollowbone del 2019) con i The Darkening e questi “orizzonti nuvolosi” riescono a fondere le radici della tradizione della Northumbria con sonorità moderne e molto accattivanti. Accanto alle sue northumbrian pipes, al suo violino trovano spazio e pregio fisarmonica, lira, sistrum, percussioni galiziane, ma anche sonorità moderne con sinth e strumenti elettronici, in particolare è di grande fascino la presenza vocale di Amy Thatcher.

Kathryn Tickell è stata premiata con l’OBE (Ordine dell'Impero Britannico) che ha riconosciuto il suo straordinario contributo alla musica britannica, Ha vinto il premio come musicista Folk dell’anno da parte della BBC Radio 2. Ha collaborato con molti nusicisti ed è famosa per aver partecipato al singolo Fields of Gold di Sting . Da anni Kathryn divide il suo ruolo di artista con quello di accademica dell’Università di Newcastle upon Tyne, una dei più prestigiosi atenei dell’Inghilterra settentrionale. Dice lei stessa: “Sono una delle docenti del corso di laurea in Folk e Musica Tradizionale. Sono lì da quando il corso di laurea è stato attivato. È stato il primo del suo genere in Inghilterra”.

The Darkening (un antica parola della Northumbria che che corrisponde all’inglese twilight- crepuscolo) sono 5 musicisti provenienti tutti dal nord-est dell’Inghilettra:

Kathryn Tickell Northumbrian smallpipes, violino, voce, Amy Thatcher fisarmonica, synth e voce, Kieran Szifris octave mandolin, Joe Truswell percussioni, Stef Conner lyre and sistrum (antico sonaglio egiziano), e Josie Duncan dall’Isola di Lewis in Scozia (voce, clarsach/arpa celtica).

E’ importante in questo disco cogliere l’eredità musicale legata al territorio di appartenenza dei musicisti, cultori delle loro antiche risonanze musicali ma anche l’aver fatto entrare nei loro linguaggi compositivi sonorità più moderne come la bellezza di queste canzoni ben dimostra. Un disco che ha l’ottimo pregio di saper evocare le radici celtiche delle loro terre ma appunto di coniugarle con nuovi suoni e atmosfere grazie ad un efficace senso di sperimentazione, un progetto che si esprime in un nuovo paesaggio sonoro coinvolgente e decisamente dalle atmosfere ottimistiche. Si coglie anche l’apprezzabile collaborazione di tutti i musicisti in seno alla Band.

High Way To Hermitage . La canzone è contraddistinta dal suono della cornamusa del Northumberland eseguita da Kathryn Tickell a cui va ad aggiungersi il tributo percussivo decisamente rock di Truswell e il mandolino di Szifris.

Segue la deliziosa Long For Light una canzone influenzata dai ritmi dove l’antico linguaggio della Northumbria viene re-immaginato. Definito dalla stampa “downtempo trance meets tradition”, cioè musica ambientale dai ritmi morbidi che incontra la Tradizione.

https://youtu.be/FUTTQlCctgI?si=wZGw-70FrSoDBlnN

Con Caelestis / Sheep in the Temple le sonorità prendono una piega più mistica ed esotica. Le voci soliste di Amy Thatcher e Stef Conner cantano con parole latine di 1900 anni fa, trovate scritte su una pietra a Carvoran, un forte romano nella Northumberland.

Caelestis ha delle caratteristiche quasi religiose con la stratificazione delle voci che si fondono lentamente fino al crescendo della cornamusa e delle percussioni fino ad una esplosione di suoni. Il brano di Tickell fu ispirato dalla visita al tempio di Mithras a Londra dove il dio della guerra è stato deposto dalle pecore. Ha un’atmosfera ipnotica e dal sapore antico ma con un suono contemporaneo e vuole esplorare in modo diverso l’occupazione delle Northumberland 1900 anni fa. Utilizzando una libera traduzione delle parole trovate sulla pietra:

Syrian Goddess, weighing life and laws with her scales.

La dea siriana che pesa la vita e le leggi con la sua bilancia

Syria has sent the constellation seen in the stars

Siria ha inviato la constellazione vista nelle stelle

To Libya to be worshipped: and from this we have learned.

a Libia per essere venerata: ed è da quello che noi abbiamo appreso.

https://youtu.be/6czwd7RTgCo?si=K4d0GEjGbYODPca6

One Night in Moaña. Ispirata dalle esibizioni della band al Festival Intercéltico di Morrazo in Galicia, con una melodia folk di danza tradizionale galiziana dall’andatura veloce e trascinante, il brano è arricchito dal suono della Pandeireita (tamburino), delle Vieira shells & Zamburiña shells, e l’ “Aturuxo” (un tipico urlo usato per animare e rinvigorire una canzone) che caratterizzano la cultura di Moaña, questa città galiziana. Josie Duncan è la voce solista, ci sono come ospiti Anahí Pena alla Pandeireita, Vieira shells, Zamburiña shells e Maria Faltri all’Aturuxo.

https://youtu.be/7v7V29lN2Nc?si=rWiURy5plsoGNkYb

Sono presenti anche suoni più tradizionali come in Quilley Reel che è un frenetico reel strumentale che fa battere i piedi a tempo con una andatura e potenza degna di una colonna sonora di un film, mentre Clogstravaganza attraverso i suoni del ballo con le clog riesce ad abbinare ritmi elettronici ad un violino e ad una fisarmonica infuocate. Ritmica accattivante e coinvolgente.

https://youtu.be/bzQO71BPHec?si=swJRV5eQh95vtHFT

Freedom Bird, si apre come un brano meditativo che poi si trasforma in una delicata canzone a due voci, contemplativa sulla natura e sulle trasformazioni che avvengono durante le stagioni. Una bellissima canzone di speranza e ottimismo.

Just Stop / Eat the Roses E’ un set strumentale ispirato al tema della resilienza e della speranza dopo la tempesta, del prendere tempo per riflettere e raggiungere così nuove prospettive. Le cornamuse della Tickell apportano un ritmo energico, determinato e variegato che rende il brano acceso dall’ottimismo e dalla forza d’animo.

Gods of War deriva dalla personale esperienza per Tickell che la connette alla storia della sua famiglia, molti dei suoi parenti coltivavano e tuttora coltivano le aree intorno al Muro di Adriano, il Muro Romano, aree che conservano i resti di templi, santuari e ricordi degli antichi dei.

E’ una canzone originale, intensa che contiene parole di incantesimi e antichi rituali e che favorisce un particolare clima emozionante. Il violino prende il comando nel ritornello dimostrando ancora una volta che è un disco che consente ad ogni strumento la possibilità di splendere.

Deliziosa ballata Bone Music, prende ispirazione dal libro Bone Music di David Almond, la canzone esplora la storia di un flauto fatto con l’osso d’uccello e unisce leggende e miti riferiti al vivere e al morire, al tempo passato e al presente. In questo brano c’è un’ottima miscela tra i suoni contemporanei delle percussioni e i suoni classici della cornamusa.

L’album termina con un’ottima Back to the Rede, una canzone che si riferisce alla terra nativa di Kathryn, Redesdale. E’ un brano strumentale molto intenso in cui violino e cornamusa esprimono sonorità molto scozzesi, malinconiche ma azzeccate, vista la storia della vallata che è una via importante per la Scozia. Melodia molto toccante, evocativa, ritrae l’amore della Tickell per la sua terra e la sua storia.

© Claudio Giuffrida


Fonte: KATHRYN TICKELL & THE DARKENING – CLOUD HORIZONS | FREE ZONE (giannizuretti.com)

La Chiesa e il Dialogo con le "Polifamiglie": Una chiesa che ascolta e accoglie nuove famiglie

 


La Chiesa e il Dialogo con le "Polifamiglie": Una chiesa che ascolta e accoglie nuove famiglie



**25 Ottobre 2023 - Roma, Italia -


Può la Chiesa rivolgere la sua attenzione alle persone poliamorose? La risposta può risiedere nell’emergere della parola poligamia tra i temi del sinodo e nell'incontro tra la rete "Polifamiglie" e Papa Francesco, durante l’udienza generale di mercoledì 25 ottobre 2023. Papa Francesco, parlando dei Santi Cirillo e Metodio, ha sottolineato l’importanza di un Vangelo che risuoni con le realtà quotidiane delle persone; un messaggio forte di inclusività.

Durante l'incontro, Alessandro Previti, fondatore della rete, ha presentato al Santo Padre le sfide e le aspirazioni delle famiglie formate da più adulti, uniti da amore comune e da valori profondi come l’impegno, la responsabilità, la fedeltà al nucleo familiare. Si tratta di famiglie, lontane dall’idea di relazioni disimpegnate e che necessitano di riconoscimento sia legale che sociale.

In questa occasione, sono state consegnate al Pontefice tre lettere, scritte da persone poliamorose e dai loro genitori.

“Questa forma d'amore è in sintonia con i principi di fedeltà, amore e cura reciproca. L'assenza modelli di riferimento rende le persone vulnerabili. Molti, sentendosi al margine, rinunciano alla ricerca di un impegno profondo.”

“Quando la maggior parte delle persone sente "poliamore," la mente va subito a pensare a storie effimere, a disimpegno… Non tutti sanno che esistono famiglie composte da più adulti che condividono valori fondamentali…”

“È importante fare sapere alle persone poliamorose che possono amare in armonia con la propria fede cristiana".

Papa Francesco ha risposto calorosamente e ha accettato con un sorriso in regalo il dipinto “La chiesa che accoglie più mondi”, di una giovanissima artista (11 anni), figlia di persona poliamorosa. Un momento importante, in una Chiesa che accoglie e ci fa immaginare un futuro dove queste famiglie sono riconosciute nella società tutta.


Per ulteriori informazioni, contattare:
[ Ufficio Stampa, Rete Polifamiglie ]
Email: [ info@polifamiglie.casa ]
Telefono: [ +39 3511389743 ]

23 ottobre 2023

“IL GIOVANE LENIN” DI LEV TROTSKIJ a cura di Vincenzo Capodiferro


IL GIOVANE LENIN” DI LEV TROTSKIJ

La ricostruzione della “fisionomia” morale di Lenin da parte di un altro grande rivoluzionario russo


Il giovane Lenin. L’alba della rivoluzione (1870-1893)” di Lev Trotskij è un’opera monumentale edita da Bietti, Milano 2023, prefazione di Maria Sole Sanasi d’Arpe. La prima edizione era stata curata da Mondadori nel 1971. Viene riportata tra l’altro la prefazione alla prima edizione italiana di Livio Maitan (Mondadori 1971) in postfazione. Scrive la prefatrice, Maria Sole Sanasi d’Arpe: «Lev Trotskij spesso scrivendo di Vladimir Il’iic scrive a sé: rivolge interrogativi alla storia che assumono i tratti di un soliloquio che, come detto, è il frutto più spontaneo dell’immedesimazione o, per dirla con Edith Stein, dell’Einfuhlung». Maria Sole cita il poeta Brodskij: scrivere quale affermazione e al contempo negazione dell’io. È un’operazione dialettica hegeliana che certamente nella scrittura ha senso: è il mondo proprio del panlogismo, che si oppone al pan-realismo del reale, con tutta la buona esigenza del Leone rivoluzionario (Trotskij) di essere il più realista possibile. Il realismo fu uno dei canoni della rivoluzione: un real-socialismo. L’opera in questione (“Il giovane Lenin”) è un monumento alla storia, alla cultura, alla società. È la storia della vita di un rivoluzionario scritta da un altro rivoluzionario: «Se la sua vita non fosse stata stroncata anzitempo, Lev Trotskij avrebbe portato a termine la sua imponente biografia di Lenin, compagno di lotte e amico personale con il quale aveva condiviso i trionfi della rivoluzione bolscevica». La biografia copre i primi ventitre anni di Lenin: un uomo già formato, autentico. La giovinezza è l’età rivoluzionaria per eccellenza per ogni uomo. Il ‘giovane Lenin’, come il ‘giovane Hitler’, il ‘giovane Mussolini’ (anti-‘rivoluzionari’ “diversi”, “opposti”) diviene così un emblema di questa epopea così gloriosa, ricca di lotte, di passioni, di fermenti romantici: uno Sturm und Drang politico e civile. Trotskij, come anche Lenin, morto prematuro, sono state vittime della stessa rivoluzione. C’è un punto critico in ogni rivoluzione: o il processo continua a livello globale e trasfigura il mondo intero (quello che volevano in fondo Lenin e Trotskij) o si vende al potere e si tradisce. Il traditore è Stalin. Il giovane Stalin, rivoluzionario come loro, si è venduto al potere borghese, si è trasformato in fascista ed in nazista, portando sulle sue spalle il comunismo e gettandolo storicamente tra le fauci del Moloch capitalistico. Questa è la fine che ha fatto poi il comunismo, ma ingiustamente! Tutto si gioca in quel fatidico lasso di tempo: il XIII congresso del PCUS del 1924. Prevale il “socialismo in un solo paese” contro la “rivoluzione permanente”. Assurdo! Come fa il socialismo a svilupparsi in un solo paese? Dall’alto? Alla borghesia capitalistica si sostituisce una nuova borghesia anticapitalistica, ma più capitalistica della prima: quella dei borghesi di partito, una nuova ‘noblesse de robe’, con colletti rossi. Solo nel XX congresso si capisce, si prende coscienza, ma è troppo tardi! La nevicata del ’56! Il socialismo di Marx poteva funzionare solo a livello globale, internazionale (“Operai di tutto il mondo unitevi!”), non a livello nazionale. A livello nazionale il socialismo si trasforma inevitabilmente in nazionalsocialismo, il comunismo in nazionalcomunismo. Il giovane Lenin” è un capolavoro! Ecco alcune note di Trotskij: «Millanteria, arroganza, prosopopea erano qualità assolutamente estranee al fanciullo e all’adolescente: le dimensioni stesse della sua personalità le escludevano già allora. Ma l’enorme superiorità del futuro pescatore di uomini ostacolava i contatti che esigono, se non l’uguaglianza, perlomeno una equivalenza. Non era poco socievole. Era un solitario …». “Il giovane Lenin” è certamente un classico, ma di un’attualità sconvolgente. Nulla accade nella storia che non abbia un senso e si ripercuota in tutto il tempo (passato, presente e futuro) e in tutto lo spazio dell’universo.

Vincenzo Capodiferro

21 ottobre 2023

MANOVRA ECONOMICA, TIMORI E SPERANZE di Antonio Laurenzano


MANOVRA ECONOMICA, TIMORI E SPERANZE

di Antonio Laurenzano

A pochi giorni dal via libera da parte del Consiglio dei Ministri, il disegno di legge di Bilancio per il 2024 è entrato nel vivo del dibattito politico in un clima di grande tensione e forti contrasti fra i partiti in vista dell’iter parlamentare di approvazione. Una manovra condizionata fortemente dal rallentamento dell’economia generato dalla spinta dell’inflazione, dall’aumento dei costi energetici, dall’incertezza globale causata dal conflitto russo-ucraino e dalla crisi in Medio Oriente, fra Palestina e Israele.

Un quadro economico particolarmente complesso appesantito sui flussi finanziari dello Stato dagli effetti dei crediti d’imposta accumulati negli anni scorsi a causa dei bonus immobiliari, un “grande buco” da oltre 40 miliardi di euro. Banche, imprese e famiglie stanno beneficiando del mancato versamento d’imposte compensate con i numerosi bonus legati agli interventi edilizi. Un impatto negativo per le casse dello Stato con minori entrate tributarie di decine di miliardi nei primi sette mesi dell’anno. Una contrazione del gettito fuori da ogni previsione.

Notizie non buone anche sul versante delle spese con una notevole progressione registrata dalla Ragioneria dello Stato. I rialzi dei tassi della Banca Centrale europea, decisi per contrastare l’inflazione, hanno determinato un aumento degli interessi pagati dal Tesoro sul debito: +16% fra gennaio e giugno 2023, rispetto allo stesso periodo di un anno fa. In soldoni, 14 miliardi di euro in meno nelle casse dello Stato che vanno ad aggiungersi ai circa 990 miliardi di euro pagati dal 2009 al 2022 su un “debito pubblico senza freni” (2.858 miliardi di euro, pari al 141% del Pil), una media di circa 76 miliardi all’anno.

Rallentamento della crescita economica e il nodo del debito pubblico con interessi in aumento, oltre alle minori entrate per il Superbonus, rendono sempre più corta la coperta delle risorse disponibili da destinare alla manovra, con buona pace delle tante promesse elettorali fatte per conquistare il consenso. Una manovra che non andrà al di là dei 24 miliardi, 16 dei quali provenienti dall’extra-deficit e circa 8 miliardi che derivano dalla riduzione delle spese da parte dei vari Ministeri. Uno scostamento di bilancio necessario per recuperare risorse aggiuntive operato in deroga al principio dell’equilibrio tra entrate e spese fissato dall’art.81 della Carta costituzionale.

Un extra-gettito e tagli di spesa per una “manovra seria e realistica”, nel commento della premier Giorgia Meloni, una manovra che “non disperde risorse ma le concentra su grandi priorità”. Fra queste il rinnovo nel 2024 del taglio del cuneo fiscale-contributivo, un intervento di undici miliardi a sostegno di alcune fasce della popolazione con reddito medio-basso per il peggioramento delle condizioni economiche. Atre misure sono previste per il rinnovo dei contratti della pubblica amministrazione (cinque miliardi) e per uno stanziamento aggiuntivo per la sanità (tre miliardi). Bando ai provvedimenti a pioggia del passato ma interventi mirati nel segno di “un ferreo controllo della spesa che diventerà un principio non più eludibile, afferma il Ministro dell’Economia Giorgetti, alla luce delle nuove regole che si stanno delineando per la governance economica europea”, a garanzia della sostenibilità del debito agli occhi vigili delle autorità comunitarie di Bruxelles e dei mercati finanziari pronti a intervenire sul rating.

Una manovra economica difficile, ”la più difficile degli ultimi anni”, ha commentato Giorgetti, oltre la metà in deficit. Dopo quella dello scorso anno con il Governo appena insediato, quest’anno è la prima vera prova per Giorgia Meloni costretta a muoversi su un “sentiero stretto” come lo chiamava, a suo tempo e in un governo di centro-sinistra, l’ex ministro dell’Economia Padoan. Cambiano i tempi, cambiano gli inquilini di Palazzo Chigi, ma il sentiero è lo stesso, a conferma degli atavici problemi della finanza pubblica del Belpaese. Al Parlamento l’ultima parola sulla Legge di bilancio 2024, nella speranza che le bandierine dei partiti lascino il posto a un serio e costruttivo dibattito sul quadro economico del Paese per scelte serie proiettate nel futuro, per realizzare finalmente una rigorosa politica di risanamento della finanza pubblica e di sviluppo della nostra economia.


20 ottobre 2023

“L’ALTRO IO” Romanzo dallo “sguardo tagliente verso la società” di Miriam Ballerini a cura di Vincenzo Capodiferro


 

L’ALTRO IO”

Romanzo dallo “sguardo tagliente verso la società” di Miriam Ballerini


Conosciamo Miriam Ballerini da anni, eppure non la conosciamo a fondo: sempre ci commuove con le sue opere di narrativa sociale sorprendenti ed autentiche. Nessuno può conoscere l’altro pienamente, come ci insegna stesso ella. Eppure, per descrivere la sua persona, brevemente prendiamo a prestito le medesime espressioni, tratte dal suo nuovo romanzo “L’altro io. Storia del mostro delle lacrime”, edito da Kimerik, nel 2023: «Per conoscere a fondo uno scrittore non si deve far caso alle parole che dice, ma a quelle che scrive. Immancabilmente, chi fa questo mestiere, si nasconde là: in mezzo alle righe, alle opinioni, ai sogni mancati. Miriam Ballerini scrive fin da quando era una ragazzina di dodici anni. Il primo romanzo lo scrive a quattordici; eppure, non ha mai pensato, allora, di fare da grande la scrittrice. Voleva diventare un veterinario e specializzarsi in erpetologia. Finora ha pubblicato nove romanzi, di cui due adottati come libri di testo nelle scuole superiori, una raccolta di poesie e un manuale di scrittura creativa, che ricalca le orme di un corso che ha tenuto per una scuola professionale. Ha ottenuto tanti riconoscimenti, alcuni così inaspettati e, proprio per questo, più preziosi». A volte è vero il contrario: nella scrittura lo scrittore si nasconde, sogna, proietta, rivive. Questo nascondimento è il mascheramento di Pirandello. Siamo maschere più o meno folli, al limite freudiano della normalità. Chi è quest’alter ego che sempre ci tormenta? I romanzi di Miriam hanno un lacerante taglio psicologico. L’alter ego sempre ci accompagna, perché in fondo il primo altro è proprio l’io. Dobbiamo sempre, volenti o nolenti, confrontarci con noi stessi. Siamo sempre davanti a noi, come uno specchio, che, se anche venisse frantumato in mille pezzi, ogni minimo brandello rifletterebbe la propria immagine. E il nostro io è, prendendo a prestito un’espressione dei mistici tedeschi, un “abisso di volontà che confina con l’Assoluto”. In questo infinito oceano, ove con leopardiana memoria, è “dolce naufragar”, c’è una parte più chiara ed una più oscura, una radice del male. Ognuno di noi in fondo è tigre-gazzella, come nell’immagine di Miriam. Uccidendo l’altro uccidiamo noi stessi. Ogni omicidio è di per sé suicidio e non solo il contrario. L’abisso della nostra volontà ha un fondo malvagio, non la Volontà dell’Assoluto, come credeva Schelling. Senza scomodare Freud: siamo degli iceberg, la cui parte maggiore è sepolta sotto l’onda di tale abisso. Chi è l’altro io? Ognuno di noi! Risponde: «Di sicuro l’altro io è anche uno sguardo tagliente sulla nostra società. Dove ogni angolo voltato nasconde una sorpresa. O, perché no, potresti essere proprio tu. Tu che stai col naso infilato fra queste righe, pensando: “Ma che accidenti sta blaterando?”».

Tutta la trama del romanzo parte da un caso:

«Il PM alzò la voce. «Come si dichiara?»

«Colpevole».

«Lucas Comaschi è lei l’omicida di queste quattro ragazze e l’aggressore delle altre due?» gli mise davanti le fotografie delle donne uccise e delle due superstiti, snocciolandone i nomi.

«Sì». Non le degnò di uno sguardo».

È uno dei tanti casi di serial killer. La storia di Lucas, deuteragonista del romanzo ci è raccontata dalla vera protagonista: la giornalista Nicla. Nicla è l’alter ego di Miriam, attenta sempre alle esigenze sociali. Nicla si dedica da tempo a seguire tutti i casi di omicidio attribuiti a Lucas e scrive un libro su tutte le vicende legate al serial killer. Si reca più volte nelle carceri ad intervistarlo, sente i parenti delle vittime. Il libro è uno specchio della nostra società: sono riportati personaggi e scene comuni. Tra vittima e carnefice si instaura spesso uno strano rapporto: è lo stesso rapporto di Eros che si configura in Thanatos. La narrativa balleriniana segue il canone naturalistico e quasi neo-positivista, che già aveva caratterizzato le esperienze di un Zola. C’è una venatura di verismo, tutto italiano, di un pessimismo di fondo. Come guarire il male dell’universo? Il male cova nel mondo spirituale e si riflette in quello materiale. Il tema del male sociale va ricollegato inevitabilmente al problema della teodicea: Si Deus est unde malum, si non est unde bonum? Anche in questo romanzo la scrittrice, sempre attenta alle problematiche sociale e psicologiche, cerca di esprimere la realtà in modo oggettivo e impersonale, lasciando la parola al fatto stesso e mettendo in evidenza il degrado e le ingiustizie sociali, senza voler esprimere un giudizio morale a carico degli operatori di iniquità. Spesso i carnefici sono più vittime del male che le stesse vittime. E per quanto si possano ricercare le radici di questo male sociale, nei tralci del determinismo psichico, ci si accorge che esiste anche una trascendenza spirituale dello stesso “male di vivere”. La stessa esistenza è un male, diceva Kierkegaard. Siamo tutti impastati di questa parte oscura, che si manifesta più o meno chiaramente in ogni psiche. La serialità trova spunto nel meccanismo di aggressività primitiva che caratterizzava l’essere animale primitivo nel suo atavico problema di sopravvivenza, di oralità divorante. Curando il male sociale si cura anche quello individuale: questo è il messaggio profondo che Miriam vuole comunicarci.

Vincenzo Capodiferro

19 ottobre 2023

Jeffery Deaver Il collezionista di ossa a cura di Marcello Sgarbi


Jeffery Deaver

Il collezionista di ossa – (Rizzoli BUR)


Formato: Brossura

ISBN: 9788817066914

Pagine: 448


Il personaggio più noto fra quelli creati da Jeffery Deaver, insigne giallista, è senza dubbio Lincoln Rhyme. Merito anche, bisogna riconoscere, del volto che gli ha dato Denzel Washington nella trasposizione cinematografica di questo che è il primo volume della serie dedicata al perspicace criminalista newyorkese.

Rhyme, tetraplegico a causa di un incidente avvenuto durante il sopralluogo di un’indagine, anche se in grado di muovere unicamente la testa e l’anulare sinistro, orchestra con acume e maestria tutti i passaggi per stanare un serial killer dal singolare modus operandi. L’assassino seriale, infatti, non si eccita tanto con il sangue delle sue vittime, quanto piuttosto con le loro ossa.

In una caccia che porterà il criminalista e il suo entourage – nel quale spicca la sua collaboratrice e compagna, l’agente Amelia Sachs – alla scoperta della New York storica, quella legata alla sua fondazione e sconosciuta ai più, a fare la differenza con altri investigatori è la sagacia con cui Lincoln Rhyme sa interpretare gli indizi.

Fra le righe, poi, questo trascinante thriller è anche un’indagine sulla vita e sulla morte tout court: leggere per credere.

Personalmente, in un’ideale classifica di gradimento, fra i gialli della serie che vede protagonista il criminalista americano metto alla pari Il collezionista di ossa e Lo scheletro che balla, seguiti da La sedia vuota e La scimmia di pietra. Chi ha visto il film sa già tutto, a chi invece una storia incalzante e avvincente vuole leggerla consiglio questa prima indagine di Lincoln Rhyme. E se poi volete scoprire un eccezionale thriller “non Rhyme” di Deaver, cercate in libreria Pietà per gli insonni.

Più il mondo diventa stanco e sciupato, rifletté Rhyme, più giovani sembrano i suoi abitanti.

Questo Banks sembra in gamba, pensò Rhyme, l’unica cosa di cui soffre è di giovinezza, qualcosa da cui potrebbe anche non guarire. Lincoln Rhyme, personalmente, era convinto di non essere mai stato giovane.

Era alta e possedeva quella bellezza equina e scontrosa delle donne che ti fissano dalle pagine delle riviste di moda.

Amelia si scostò dalla fronte un ricciolo ribelle di capelli rossi e prese la cuffia dal tavolo. Giunta in prossimità delle scale, si fermò e gli rivolse un’occhiata bruciante, rammentando a Rhyme che non c’è nulla di più freddo che il sorriso gelido di una bella donna.

© Marcello Sgarbi

18 ottobre 2023

Jan Vercruysse e la ricerca del significato dell'essere artista. A cura di Marco Salvario

Jan Vercruysse e la ricerca del significato dell'essere artista.

A cura di Marco Salvario


A Torino, durante le mie visite alla galleria Tucci Russo, sono stato spesso invitato a recarmi nella loro altra sede a Torre Pellice; questa estate mi ha offerto l'opportunità per andarci.

La cittadina di Torre Pellice, situata alla confluenza tra i torrenti Pellice e Angrogna, è profondamente legata alla storia e alla persecuzioni subite in passato dal popolo valdese, di cui è il centro principale, attivo e pulsante.

La galleria Tucci Russo occupa un'area di 1.200 metri quadri, in passato sede di una manifattura tessile e successivamente ottimamente riadattata; i locali ampi e luminosi la rendono idonea a ospitare installazioni di grandi dimensioni. Dal 21 maggio fino al 24 settembre 2023, ha presentato le opere dell'artista belga Jan Vercruysse, morto a sessantanove anni nel 2018.

Per esprimere le propria vena creativa, sceglie all'inizio la poesia; nel 1974 posa la penna e passa all'arte visuale, conservando però quell'amore della parola e quella sensibilità unica, che solo i veri poeti possiedono.

Molto noto anche in Italia, ha esposto in una personale al Castello di Rivoli nel 1992, nel 1993 ha partecipato alla Biennale di Venezia e nel 2002 è stato tra i prescelti per il progetto pubblico torinese “Luci d'Artista”; Jan è stato uno studioso, un ricercatore, un filosofo, e si è posto continuamente domande sulla sua missione di artista e su che cosa sia l'arte.

Alla Tucci Russo, un video documentava cronologicamente la produzione e il pensiero di Jan Vercruysse. Per lui l'arte è qualcosa che supera il limite artigianale dell'artista e va colta nella comunicazione di emozioni allo spettatore, ricordando che il primo spettatore è e deve essere l'artista stesso; Jan cerca quindi di intuire la scintilla, impossibile da riprodurre e da descrivere esaurientemente, che rende arte un'opera e non-arte un'altra, la ricerca del suo posizionamento nello spazio reale o immaginario, nel tempo eterno o nell'attimo, nella realtà o nel ricordo o nella fantasia.

Questa impostazione ha come necessaria conseguenza che l'opera d'arte non sia qualcosa di stabilito e isolato, ma un divenire continuo, un percorso, una narrazione che si concretizza in momenti diversi, sempre apparenti e provvisori.



La galleria Tucci Russo ha cercato, riuscendoci in modo convincente, di presentare in modo coerente e consequenziale un nutrito estratto della produzione di Jan Vercruysse tra gli anni 1981 e 2013.

Seguendo il mio gusto e interesse personale, tralascio le opere legate alla fotografia per soffermarmi su quelle che sfruttano maggiormente lo spazio.

Una delle installazioni che rappresenta il senso di incompletezza, di mancanza, di attesa, è Petite Suite. Una poltrona elegante, allineata al muro però leggermente decentrata, crea la sensazione di un ambiente signorile e nobile, ma le cornici dei quadri, geometricamente disposte, sono vuote e mancano della parte superiore. L'opera da un lato è mutilata, incompleta, dall'altro non ha più limite nello spazio e nel tempo, catturando dentro di sé sia l'artista che lo spettatore.



La Sfera, esposta nel padiglione del Belgio alla Biennale di Venezia del 1993, rappresenta invece la distanza incolmabile che separa gli esseri viventi, la loro solitudine. Due tartarughe spingono ognuna una sfera bianca, l'una verso l'altra. La sfera simboleggia il condividere il primo ed elementare dei bisogni umani, il gioco. Se volete fare divertire i bambini o anche i grandi, date loro una palla. Tuttavia le due tartarughe sono ferme, lente, lontane, prive di ogni colore. Pur essendo il simbolo della pazienza e dell'immortalità, non si raggiungeranno mai, non realizzeranno se non all'infinito il loro desiderio di incontrarsi. La loro fatica è inutile e ostinata come quella di Sisifo.

Atopies (XVII) crea con tre elementi, due porte e un focolare, un'illusione di ambiente. Il focolare ci porta a pensare alla serenità della famiglia, al suo calore, alla sicurezza. Le due porte sono aperture verso l'esterno, verso altre stanze, eppure, qualcosa ci destabilizza. Le porte riflettono il visitatore in modo inatteso, a sottolineare che non è possibile attraversarle senza rinunciare a parte di noi stessi. In una il visitatore vede riflesse solo le proprie gambe, nell'altra la parte superiore del corpo e, se è alto come me, senza testa. Che nell'immagine a me manchi sempre la testa, può avere un significato su cui devo meditare.



Sembrano lapidi, le iscrizione presenti nelle opere contraddistinte come Places (III-8), composte con caratteri che riproducono i semi della carte da gioco francesi, creando un'armonia esotica, quasi araba.

Non sono in grado di confermarlo, devo fidarmi della documentazione fornita dalla galleria Tucci Russo: i caratteri non sono disposti a caso, ma traducono nel loro linguaggio inventato la frase “Mist oscured” e il nome di una città. Quindi, per esempio: “La nebbia oscurava Palermo”.



Come ultima opera, mi piace ricordare Les Paroles XXIII. Un'alta sedia di legno è circondata, difesa, da duecento bottiglie di vetro e da migliaia di rotonde pietre colorate. La sedia è simbolo del potere, dell'autorità, ma è rimasta vuota, abbandonata; i grandi discorsi che potevano essere declamati per guidare un popolo, non hanno nessuno che li proferisca. Nonostante i colori vivaci delle pietre, la pedana e i colori del legno sono neri e bui. Le parole, di nuovo, non sono altro che attesa e silenzio. Il re non c'è. Il re è muto.


FONTE: "Jan Vercruysse: la ricerca del significato dell’essere artista - OUBLIETTE MAGAZINE"

10 ottobre 2023

Una prodigiosa malinconia di Marco Passeri a cura di Vincenzo Capodiferro


UNA PRODIGIOSA MALINCONIA

Un labirinto dove ogni biforcazione è quella positiva” di Marco Passeri


Una prodigiosa malinconia” è un libro di Marco Passeri, edito da Bietti, Milano 2023. Marco Passeri è nato a Milano nel 1964. Pubblicazioni: “Il contratto d’affitto” (2011); “I quindici” (2013); “Il nonno” (2016). In questo libro Marco si tuffa in sezioni della personalità con uno stile semplice, eminentemente neo-edipico. Segue il flusso di coscienza, già adottato da vari artisti e letterati, tra cui Joyce. Questi flussi coscienziali naturalmente si innestano nel substrato inconscio dell’autore che corre sempre agli anni dell’adolescenza e precisamente al fatidico 1978. Prendiamo un esempio: «La prima volta che tornai negli anni Settanta fu il 29 marzo del 1994. Non ricordo (come potrei, d'altronde?) come avvenne il passaggio, il trasferimento. Svenni, credo; e caddi…». Sic incipit. Il 1978, ricorrente, è un anno peculiare la fine del processo rivoluzionario decennale che comincia nel 1968, il ritorno alla normalità, la fine dei sogni. E poi il “sedici marzo” 1978 che cita Marco è un giorno particolare: il rapimento Moro. Per un giovane rivoluzionario nell’animo, come Marco Passeri, e tanti altri giovani che credevano in quei valori, traditi, trafitti dai poteri forti, è stato un evento traumatico, un dramma difficile da rielaborare. Marco si trova nei “Topoi”, i luoghi dell’anima, ove è presente una figura determinante della sua personalità, il nonno. Per questo rimandiamo all’altro suo bellissimo libro, “Il nonno” (2016). Oggi i nonni rivestono un ruolo centrale nella cura e l’educazione dei nipoti, laddove hanno fallito i padri, le famiglie sono decadute. Pensate a quei tempi? Il nonno per Marco è un modello non solo umano, ma politico, sociale. Il delitto Moro segna la fine di un sogno, un sogno alternativo che avrebbe cambiato le sorti dell’umanità in piena guerra fredda, negli anni di piombo. L’Italia aveva già inventato il fascismo. Adesso inventava il terzo polo, fondato sull’armonia degli opposti, la coincidentia oppositorum. Noi siamo un popolo di santi, di poeti e di navigatori, ma soprattutto di inventori, di navigatori. Ma quel sogno fu infranto, spento nel nascere. Moro fu ucciso. Varie figure si alternano in questa “prodigiosa malinconia” che attanaglia tanti giovani, come Marco, vissuti in quegli anni forieri: il nonno, il dottor Moscatelli, il dottor Goldzmir. Sono figure di strizzacervelli antropomorfi che scandagliano l’anima. Solo l’anima è la custode del tempo, non del tempo matematico, per dirla con Bergson, ma di quello dinamico, ove il presente è colmo di passato e gravido di avvenire, secondo il principio leibniziano caro ai positivisti. Questi svenimenti, decadimenti dell’essere in incisi di passato, deiezioni di esseri nel nulla eterno, stando a Sartre, si ripercuotono in alcune occasioni. La seconda accade il “14 maggio del 2001”. In questo secondo viaggio cosmico, quasi dantesco, compare un’altra figura portante, a Virgilio succede Goldzmit. Questi viaggi intrapsichici concludono all’8 maggio del 1978, vigilia dell’omicidio Moro. E poi… il nulla: «Mi voltai. Il muro (la parete) era crollato. Il dottor Moscatelli era in piedi, immobile, con l’indice ancora puntato, e guardava. Non v’era nessuno (nulla)»: il nihilismo liquido odierno, che ha liquidato tutti i valori. Il linguaggio di Marco Passeri è semplice ma sconcertante. È il linguaggio dell’inconscio individuale, ma anche collettivo, junghiano, un cinguettio pascoliano, penetrante, difficile a volte da interpretare, perché si ricollega a quel linguaggio originario dell’umanità. Ogni vita ripercorre nel suo piccolo la storia del mondo intero.

Vincenzo Capodiferro

09 ottobre 2023

Giuseppe Augusto Levis, protagonista e testimone del suo tempo. A cura di Marco Salvario

Giuseppe Augusto Levis, protagonista e testimone del suo tempo.

A cura di Marco Salvario


Chiomonte, comune dell'alta Val di Susa lungo il percorso della storica Via Franchigena, purtroppo noto soprattutto per i lavori della TAV e le relative violente proteste, pur soffrendo un progressivo calo di residenti, ormai meno di mille, mal compensato dal crescente movimento turistico, conserva la bellezza rude e romantica dei borghi alpini. Suggestive le sue fontane di pietra, dove l'acqua sgorgava fresca e generosa anche nei più torridi giorni di questa estate feroce.

Vivace, con la propria lingua e i propri costumi, è la comunità occitana; a chi fosse interessato, consiglio il sito Facebook La Rafanhauda, La revista de critica, cultura e estudis publiaa per l'Associacion culturala Renaissença Occitana.”



La Pinacoteca Civica di Chiomonte ospita in quattro sale del cinquecentesco Palazzo Paleologo le opere di Giuseppe Augusto Levis, a cui è dedicata.

Levis, nato a Chiomonte nel 1873 e morto nel 1926 a Racconigi, nel proprio testamento ha destinato in parti uguali alle due cittadine i suoi lavori, perché venissero esposti al pubblico; attuare le sue volontà è stato un percorso travagliato ed è solo dal 2008 che, a Chiomonte, la Pinacoteca Civica ne permette la visione al visitatori.

Le opere di Levis sono oli su tavolette di legno, tecnica che il maestro preferiva alla tela.



Figlio di un'agiata famiglia di origini biellesi, Giuseppe Augusto frequenta giurisprudenza a Torino, ma dal 1888 si dedica soprattutto alla pittura. Segue la scuola di Lorenzo Delleani, famoso per il suo tocco rapido e sicuro, che cerca en plein air le luci più adatte, inseguendole e studiandole nel cambiare dei giorni e delle stagioni. Questi insegnamenti contraddistinguono le opere giovanili di Levis.

Nel 1899 si sposa con Maria Teresa Biancotti, inizia la carriera diplomatica e viene eletto sindaco della sua città natale, dove lascerà un ricordo profondo, dimostrandosi capace amministratore e generoso filantropo; nel 1918 erige a sue spese l'Asilo Infantile. Resterà in carica come sindaco per più di vent'anni.

Nel 1901 si trasferisce a Racconigi, entrando in contatto con la famiglia reale dei Savoia, che spesso lo invita nello splendido Castello, inserito tra i Patrimoni dell'Umanità dall'Unesco.

Molti i suoi viaggi di lavoro e piacere, che gli permettono di conoscere nuovi paesaggi e ambienti. Nel 1909 è in Olanda, nel 1912 in Libia, nel 1913 in Russia, alla corte dello Zar Nicola II.

Allo scoppio della prima guerra mondiale, pur avendo più di 40 anni, si arruola con entusiasmo nell'esercito, ottiene la Croce al merito, ma lascia del conflitto una testimonianza visiva cruda e disincantata di distruzioni, sofferenze e fatiche.

I suoi ultimi anni lo vedono impegnato con generosità a favore della società e soprattutto delle giovani generazioni, di cui cerca di favorire la crescita culturale.

Una polmonite pone fine alla sua vita nel 1926.

Gli insegnamenti del Delleani sono evidenti nell'opera del 1906 “La veste rossa (Costume di Gressoney)”; la modella, la moglie del pittore, vestita con un abito tradizionale, è di schiena, non in primo piano. Nelle sue tavole il maestro considera la presenza umana, quando c'è, come una semplice componente dell'ambiente; quello che ha valore sono gli spazi, le luci e i colori.

Altra sincera testimonianza del mondo contadino e della valle di Susa è “L'Angelus nei campi” del 1901, opera un po' scolastica, ma di grande poesia.



Dei suoi lunghi viaggi prima della Grande Guerra, Levis traccia un diario pittorico, che è un trionfo di atmosfere nuove e meravigliose. Scelgo quasi a caso tra le tante opere:

“Chiatte alla fonda in canale Olandese” è un gioco di chiaroscuri, di riflessi, di tinte bruno-dorate, che si disegnano in un'atmosfera fredda di nebbie e pioggia.

In “Tre arabe in preghiera”, il fascino dell'Africa è entrato nel cuore e negli occhi di Levis. Ha scoperto una nuova realtà, chiarori di fuoco che confondono la terra e il cielo. Riconosce che il legame tra l'uomo e la natura/dio si manifesta uguale tra le verdi montagne di Chiomonte e la sabbia accecante del deserto.

“La tomba del Marabutto”, opera anche questa che testimonia con rispetto e senza ipocrisia, siamo in anni dove la colonizzazione italiana della Libia è violenta e feroce, la cultura araba e le sue tradizioni.

“Sulla riva della Neva” ci trasporta lontano, in Russia, a cogliere la luminescenza bianca che avvolge gli splendidi palazzi di quel potere zarista che, pochi anni dopo, sarebbe stato travolto dalla rivoluzione bolscevica.



La Grande Guerra, cui Levis partecipa all'inizio con entusiasmo, si dimostra un'esperienza tragica e dolorosa. Le tavolette di legno mostrano ruderi sventrati dai colpi d'artiglieria, fanti a capo chino stremati dalla fatica e dall'angoscia, reticolati che difendono dal nemico e, al tempo stesso, che impediscono di avanzare. Quei campi che la pazienza contadina aveva reso fertili e vivi, ora sono devastati, scavati da trincee, fumanti e improduttivi.

Dopo questa prova il pittore torna con la moglie alla ricerca della tranquillità; alle sue vallate native si aggiungono altri panorami delle Alpi e in particolare le Dolomiti.

Il suo stile pittorico diventa più aggressivo, le pennellate violente e i contrasti accesi. La presenza dell'uomo scompare, è la montagna a dominare con la forza incontrollabile di una divinità pagana. La natura in passato così serena e amica, tende a diventare matrigna, ostile, ignota.



Un mio ringraziamento speciale va al personale che gestisce la Pinacoteca di Chiomonte, per avermi accompagnato durante tutta la visita con disponibilità, competenza e passione davvero preziose.

La Pinacoteca ospita, inoltre, le fotografie di G.A.Levis, mostre temporanee, la ricostruzione di un'aula dell'Asilo Infantile di Chiomonte e il nucleo iniziale di quello che, si spera, sarà una Collezione Etnografica volta a salvaguardare le radici storiche del paese.

Voglio, per finire, ricordare il vicino Museo La Latteria, piccolo e interessante, dove con grande delusione ho scoperto che i bei formaggi esposti, davvero realistici, erano realizzati in legno.


FONTE: "Giuseppe Augusto Levis: il dinamismo dell’artista di Chiomonte - OUBLIETTE MAGAZINE"

CONCORSO NAZIONALE DI POESIA “CARDINAL BRANDA CASTIGLIONI” XVI^ EDIZIONE


CONCORSO NAZIONALE DI POESIA “CARDINAL BRANDA CASTIGLIONI” XVI^ EDIZIONE 

1.Il Concorso è riservato ai maggiori di anni 18 ed è articolato nelle seguenti sezioni. Sezione A – Poesia in lingua italiana a tema libero, edita o inedita senza limite di lunghezza. Si concorre con un massimo di due opere. Sezione B – Poesia nei dialetti di tutte le regioni d’Italia e del Canton Ticino (indicare regione o territorio), accompagnate dalla relativa traduzione in lingua italiana. Le poesie possono essere edite o inedite senza limite di lunghezza. Si concorre con un massimo di due opere. Sezione C – Volume edito di poesia pubblicato a partire dal 2018. Si concorre inviando tre copie cartacee di una sola pubblicazione. 
2. Per le sezioni A e B è possibile inviare gli elaborati con due distinte opzioni; 1) Con posta tradizionale, inserendo nel plico le poesie in 3 copie scritte a macchina o computer su un foglio A4; delle tre copie, due anonime ed una con i dati anagrafici dell’autore. Assieme alle poesie va inserita anche la quota di partecipazione. 2) A mezzo online, inviando le poesie ed i dati personali con file in formato esclusivamente word ed effettuando il pagamento della quota su Poste Pay Evolution n° 5333 1711 9094 0631, intestato alla segretaria del circolo, Vittori Carla, VTTCRL55L71L682C oppure IBAN IT03A3608105138265726165734. 
3. Per la sezione C è possibile inviare i volumi esclusivamente tramite posta tradizionale, inserendo nel plico la quota di partecipazione ed i dati dell’autore. Per contenere i costi di spedizione, consigliamo di inviare i volumi in una busta sulla quale apporre la scritta PIEGO DI LIBRI. 
4. È’ stabilita una quota di € 5 per sezione (quali spese di segreteria) da inviare insieme agli elaborati. Per i soci del Circolo Culturale Masolino da Panicale la partecipazione al concorso è gratuita. 
5. Gli elaborati dovranno essere inviati, entro il 15 marzo 2024, al seguente indirizzo: Circolo Culturale Masolino da Panicale, Via XXV aprile, 4, 21043 Castiglione Olona (VA) o all’indirizzo e-mail masolino.panicale@gmail.com. Le opere inviate, anche se non premiate, non saranno restituite. 
6. Il giudizio della giuria è insindacabile ed inappellabile. 
7. Con l’adesione al concorso, i poeti dichiarano implicitamente che le opere presentate sono frutto della propria creatività e che non hanno alcun vincolo editoriale. 
 8. L’organizzazione del concorso, si riserva di utilizzare i testi delle poesie, senza nulla avere a pretendere da parte degli stessi autori, per pubblicazioni, inserimento sul sito internet, su riviste, giornali e per letture pubbliche. Resta inteso che i diritti delle opere rimarranno di esclusiva proprietà degli autori. 
9. Saranno assegnati riconoscimenti e diplomi ai primi classificati di ogni sezione. Altri riconoscimenti potranno essere attribuiti secondo il giudizio della giuria e dell’organizzazione. 
 10. I premi saranno inviati direttamente e gratuitamente presso il domicilio dei poeti vincitori. I diplomi saranno invece inviati online. 
11. I poeti premiati verranno contattati dalla segreteria del premio, a mezzo telefono, lettera o e-mail. 
12. L’organizzazione non si assume alcuna responsabilità su eventuali plagi, dati non veritieri, violazioni della privacy o di qualunque altro atto non conforme alla legge compiuto dall’autore nonché di eventuali danneggiamenti, furti, ritardi postali o mancata consegna della spedizione dei premi. Invitiamo i poeti premiati che desiderassero una spedizione tracciabile a contattare la nostra segreteria per definirne i costi. 
13. Il mancato rispetto del regolamento, comporta l’esclusione dal concorso. 14. I risultati del concorso saranno pubblicati, approssimativamente, entro la prima settimana di giugno 2024 sulla pagina Facebook Circolo Masolino e sul sito del Club degli Autori www.club.it
15. Per ragioni organizzative i partecipanti dovranno indicare un solo indirizzo, lo stesso ove verranno inviati gli eventuali premi. 
16. La partecipazione al Concorso implica l’accettazione del presente regolamento e l’autorizzazione al trattamento dei dati personali ai soli fini istituzionali (Legge 675/1996 e D.L. 196/2003). Il Circolo Culturale Masolino da Panicale si impegna al rispetto delle norme sulla privacy come previsto dalle normative europee (EU 2016/679, Regolamento Generale sulla Protezione dei Dati Sensibili - General Data Protection Regulation). 
17.Per maggiori informazioni è possibile contattare la sede del Circolo Culturale Masolino da Panicale, Via XXV aprile, 4—21043 Castiglione Olona (Varese), ai numeri telefonici 0331  857349 — 3382448961 oppure all’indirizzo e-mail masolino.panicale@gmail.com  

ADDIO AL PATTO DI STABILITA’ STUPIDO di Antonio Laurenzano

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