30 settembre 2022

IL POPOLO CHEYENNE (3) a cura di Enrico Pinotti

 

IL POPOLO CHEYENNE (3)


Quello che segue è la terza parte dell’articolo sulla Nazione Cheyenne. Resterebbero tanti altri episodi e storie da raccontare di questo popolo, sulle sue migrazioni, sulle sue lotte anche fratricide e con i coloni bianchi. Chi vorrà approfondire troverà senz’altro materiale nelle biblioteche e nelle librerie, materiale che servirà per la conoscenza di questo popolo vissuto fra gli odierni Stati Uniti ed il Canada ma che con le Guerre di Indipendenza ed i conflitti fra inglesi e francesi si è diviso ed è migrato sia all’est che nelle semipianure occidentali o nelle zone montuose del Canada, spesso scontrandosi con altre tribù a loro affini .

Nel 1861 a Fort Wise sul fiume Arkansas i capi della nazione Cheyenne furono invitati dai bianchi, assieme ai loro cugini Arapaho, a un consiglio di pace. Non era la prima volta che i Cheyenne andavano con le migliori intenzioni a stipulare quello che i Wasechu (i bianchi) definivano ‘trattato’. Anche dieci anni prima a Fort Laraime avevano espresso parole di pace. In quell’occasione avevano firmato anche i Crow ed i Sioux che rappresentavano le tribù più potenti delle pianure.

Ma poi nelle terre abitate dai Cheyenne erano stati individuati filoni d’oro ed i coloni erano venuti come mosche per avventarsi sul metallo prezioso. Avevano cominciato a ferire il ventre della terra senza nessun rispetto per le persone e per la gente che quelle terre le abitava da secoli. Ogni volta che estraevano una pietra luccicante, nei loro occhi brillava una luce demoniaca. Gli indiani speravano che una volta arricchiti del loro bottino, i bianchi avrebbero abbandonato il territorio, invece i pionieri non se ne andarono più. Costruirono una città chiamata Denver per decretare in modo definitivo la presa di possesso del territorio. Il loro numero in breve volgere di tempo si era triplicato.

Adesso c’era un nuovo trattato da firmare perché il Grande Padre di Washington aveva regalato ai suoi figli bianchi un nuovo territorio chiamato ‘Colorado’. Gli uomini rossi che erano i soli abitatori del luogo dovevano sloggiare da lì ed accontentarsi di insediamenti inadeguati alle loro esigenze ed al loro numero, le cosiddette riserve. Gli Arapaho ed i Cheyenne optarono nonostante tutto, per la pacifica convivenza; erano stati relegati lungo il Fiume della polvere (il Sand Creek), in una terra povera di selvaggina e priva d’acqua, ma non si ribellarono, i loro obbiettivo era la pace. Ponevano solo una condizione: la possibilità di cacciare i bisonti anche fuori da quella angusta riserva.

Al colonnello A. B. Greenwood, che conduceva le trattative e al suo interprete William Bent, gli indiani Caldaia Nera, Antilope bianca e Orso Magro, tre dei venti capi della grande nazione dei Cheyenne del sud, espressero le loro pacifiche intenzioni. Matovato, che i bianchi chiamavano Caldaia Nera (Black Kettle), era un vecchio e pacifico indiano che guidava i Cheyenne meridionali. Nel 1863, dopo la firma del trattato, era andato a Washington in visita al Grande Padre, Abramo Lincoln ed aveva ricevuto doni e parole d’amicizia, dalla capitale portò alla sua gente una grande bandiera americana, questo per dire delle disponibilità. Era, Caldaia Nera il capo indiano che dopo la guerra civile cercò di persuadere il suo popolo a cercare nell’attività agricola i mezzi per la sopravvivenza; anche per questo si affidò alla protezione dell’esercito americano, ma nonostante ciò subì un’aggressione dalle milizie del Colorado nel massacro del Sand Creek, lì dove morì Antilope Bianca. Egli avrebbe chiuso la sua lunga vita in un altro massacro, il 27 novembre 1869, sul fiume Washita, una carneficina guidata e organizzata dal generale Custer.

Dopo l’inizio della guerra fra le Giacche Blu e le Giacche Grigie, le cose erano peggiorate nel territorio del Colorado. I soldati avevano il grilletto facile e spesso derubavano e annientavano gli indiani. Nel 1864, quando era la stagione della caccia, per evitare i soldati che erano arrivati fino allo Smoky Hill, Caldaia Nera, Antilope Bianca ed Orso Magro decisero di restare sotto il Platte per evitare gli eserciti. Da loro si staccò la banda di Naso Aquilino che con i suoi Dog Soldiers raggiunse i cugini del nord sul fiume Powder. Alcuni soldati, nello stesso periodo, senza motivo avevano fatto incursioni nei campi indiani presso il fiume Ask e sparavano a chi capitava. Nei brevi combattimenti successivi, Orso Magro, che si era fatto incontro ai soldati con intenzioni pacifiche, fu ucciso assieme ad altri guerrieri. Anche i soldati persero degli uomini e probabilmente sarebbero stati tutti uccisi se non fosse intervenuto Caldaia Nera a far sospendere la lotta.

In quel tempo, nel territorio del Colorado, a causa della Guerra Civile, c’era un vuoto di potere politico e le direttive centrali di Washington venivano spesso scavalcate da iniziative locali. In quel periodo, erano stati segnalate dai coloni anche diverse razzie e furti di bestiame probabilmente da squadre di sudisti che sconfinavano, visto che il Colorado era terra di frontiera e lontana dagli echi della guerra; ogni pretesto era comunque valido per incolpare le genti indigene.

Poco prima delle scorribande delle Giacche Blù nei territori indiani di cui sopra, gli americani avevano attaccato a Fremont’s Orchard una banda di Soldati Cani, ripetendosi poi a Cedar Bluffs, dove avevano ucciso anche donne e bambini: in questo episodio erano comandati dal tenente George S. Eayre il quale aveva ricevuto l’ordine dal colonnello Chivington di “uccidere i Cheyenne, dovunque e comunque”. Il capo indiano Caldaia Nera voleva giustificazioni su quest’ultimo episodio di sopraffazione e mandò a chiamare il suo vecchio amico William Bent. Costui era chiamato dagli indiani Piccolo Uomo Bianco e per due volte aveva sposato delle donne Cheyenne, da esse aveva avuto cinque figli, tre maschi e due femmine che ai bianchi avevano preferito la vita con i Cheyenne. Bent ricevette il capo indiano e si informò sull’accaduto, inoltrò una comunicazione sull’accaduto ai capi di Washington prospettando che se simili episodi dovevano ripetersi vi sarebbero state rappresaglie da parte degli indiani e sicuramente sarebbero sorte difficili situazioni da gestire. Per cercare di sbloccare rapidamente la situazione, Bent andò al vicino Fort Lyon e parlò con il generale Chivington; spiegò che i Cheyenne non volevano fare la guerra e raccomandò di frenare i sodati più giovani: Il generale Chivington in quell’incontro fu laconico, disse che era sua intenzione eseguire puntualmente gli ordini ricevuti, anche a costo di mettere a repentaglio la vita dei civili che vivevano in quei territori. Disse anche che a suo parere gli indiani ‘meritavano una lezione’.


Il capo Cheyenne Caldaia Nera era comunque intenzionato a rispettare l a Circolare di Evans e per dare dimostrazione di buona volontà inviò al maggiore Edward W. Wynkoop due dei suoi guerrieri, Occhio Solo e Testa d’Aquila: nel messaggio era scritto che al campo Cheyenne più vicino vi erano sette prigionieri bianchi ed informava che se l’esercito fosse andato a riprenderli nel suo campo di Smoky Hill, gli indiani non solo li avrebbero riconsegnati, ma avrebbero anche accettato di andare con tutta la sua tribù dove Wynkoop avrebbe voluto se il campo fosse stato nelle vicinanze. Il capo indiano non sapeva che Evans, nel frattempo, aveva emanato un secondo proclama nel quale diceva: “…si autorizzano tutti i cittadini del Colorado, sia individualmente che in gruppi organizzati a dare la caccia a tutti gli indiani ostili delle pianure, evitando scrupolosamente di colpire quelli che hanno risposto al mio appello a riunirsi nei punti indicati; di uccidere e di distruggere inoltre come nemici del paese dovunque si trovino tutti gli indiani ostili. Sempre John Evans diramò una circolare nella quale invitava gli indiani ‘amici degli Stati Uniti’ a rientrare nelle loro riserve, dove il loro agente Samuel Colley li avrebbe riforniti di viveri per l’inverno e avrebbe anche indicato dove le varie bande avrebbero dovuto soggiornare.

La situazione però s’era ulteriormente deteriorata, i soldati davano la caccia ai Sioux ribelli, non facevano molta distinzione sulla nazionalità dei pellerossa ed in breve tutta la zona divenne un campo di battaglia. Anche i Cheyenne che non si riconoscevano più nella linea di Caldaia Nera e che facevano capo a Naso Aquilino si ribellarono, razziando il bestiame, distruggendo le fattorie, attaccando i convogli e le diligenze.

Wynkoop, che era un militare alle prime armi e non aveva esperienze con gli indiani, sulle prime non si fidò. Fece imprigionare i messaggeri e solo dopo qualche giorno accettò di seguire i due cheyenne: era settembre inoltrato ed in seguito si sarebbe ricreduto sull’onestà dei suoi avversari: “ …mi sentii alla presenza di esseri superiori, questi erano i rappresentanti di una razza che fino a quel momento avevo considerato, senza eccezioni, composta di esseri crudeli, sleali e assetati di sangue, senza sentimenti per amici o parenti”: arrivato al campo dovette constatare che gli ostaggi godevano di ottima salute e che non erano stati trattati male. Avvenuta la consegna, Wynkoop decise che avrebbe aiutato i Cheyenne a chiarire la loro posizione e si impegnò a portare i capi Caldaia Nera, Antilope Bianca, Orso Magro dei Cheyenne ed anche alcuni Arapaho a Denver dal Governatore. L’incontro avvenne alla fine di settembre ma non andò come gli indiani speravano.

C’era infatti una trama che legava Evans e Chivington ed entrambi all’agente Colley. Tuttie tre erano pronti a favorire il trasferimento degli indiani per consentire l’insediamento di nuovi coloni e far lievitare contemporaneamente il costo delle terre, dei materiali e delle derrate alimentari. La posizione di Evans era ancora più scomoda: premuto dai cittadini del Colorado che volevano evitare il servizio di leva nella guerra civile, egli si era battuto a Washington perché fossero stanziati fondi per allestire un reggimento in modo da combattere gli indiani ribelli. Prevalse la linea dura da parte dei governatori e tutte le richieste degli indiani furono scartate, anche le più ragionevoli, si pensava ad una ‘soluzione finale’ la quale prevedeva il mettere contro le diverse etnie indiane e a questo lavorarono diversi capi dell’esercito e uomini politici.

Ecco come lo scrittore Dee Brown racconta i preparativi dell’attacco al campo di Caldaia Nera: “Quando Chivington giunse a cavallo ai quartieri degli ufficiali a Fort Lyon, il maggiore Anthony lo salutò calorosamente: Chivington cominciò a parlare di raccogliere scalpi e di colpire a sangue. Anthony rispose che da tempo ‘attendeva una buona occasione per scagliarsi su di loro’ e che ogni uomo di Fort Lyon era impaziente di unirsi alla spedizione contro i maledetti indiani; non tutti gli ufficiali erano d’accordo a partecipare alle scorrerie ordinate da Chivington, ad esempio i tenenti Joseph Cramer e James Connor ma le cose andarono diversamente.


© Enrico Pinotti

21 settembre 2022

LA TRILOGIA NERA di Dave Zeltserman a cura di Miriam Ballerini


 
LA TRILOGIA NERA di Dave Zeltserman

© 2012 Fanucci

ISBN 978-88-6688-015-8

Pag. 827 € 12,00


Noir classici, scioccanti, che non scendono a compromessi. Un colpo in pieno viso. Pura, nerissima magia”. Ken Bruen

Questo tomo raccoglie tre romanzi di Zeltserman usciti in anni precedenti, singolarmente.

Tre romanzi noir che ho letto piuttosto velocemente, rapita dal modo di scrivere di questo autore. Usa un linguaggio semplice, diretto, senza tergiversare, senza particolari frasi ad affetto; ma la sua penna è onesta, diretta.

Tutti e tre i romanzi sono scritti in prima persona dal protagonista, ogni volta diverso, ma che parte sempre dallo stesso punto: l'uscita dal carcere dopo avere scontato la propria pena.

Parla del presente, mentre riporta a tratti quanto avvenuto in passato per far comprendere come si sia arrivati a quel punto, in un racconto metodico.

I sentimenti vengono abilmente mostrati attraverso i dialoghi, così come le varie personalità dei protagonisti. I punti di vista non sono unilaterali.

Vediamo uno per volta di cosa tratta Zeltserman.

Il primo romanzo s'intitola “Piccoli crimini”.

Il protagonista esce di prigione: “Dopo sette anni racchiuso in cella, adesso volevo tutta l'aria che potevo avere”.

Ritorna nel vecchio quartiere in casa dei genitori, madre e padre che non desiderano la sua presenza. Leggendo si prova empatia verso questa persona che ha sbagliato, ha fatto un gran casino nella sua vita; ma che cerca in qualche modo di ricominciare, ritrovandosi tutti contro.

La situazione viene portata all'esasperazione, tanto da confondere il lettore che non capisce esattamente come andrà a finire.

Lo scrittore si dimostra piene di risorse, il personaggio d'invenzione un cattivo al quale non si può fare a meno di affezionarsi.

Il secondo libro è: “La vera storia di Kyle Nevin”.

Kyle esce di prigione e si rifugia in casa del fratello, il quale, nel frattempo, ha cambiato vita ed è riuscito a trovare un lavoro e una compagna.

L'uscita dal carcere di Kyle stravolge ancora la sua esistenza e, per i due, la via che seguono li porterà alla loro rovina.

Chi scrive è Kyle, che sta di fatto buttando giù la sua biografia, mettendo qua e là note per l'editore che leggerà quanto da lui scritto. “Mi ero reso conto di quanto fosse importante per me quel libro. Era la mia eredità, qualcosa per compensare tutte le schifezze che avevo fatto nella mia vita”.

Mentre nel precedente romanzo il protagonista è una persona che ha sbagliato, ma in fondo buona, qui il personaggio principale è cattivo e vendicativo. Arrivi ad odiarlo, a non sopportare più le sue battute sessiste e le sue cafonaggini.

Ha tratti mafiosi, violenti.

Sapere che potevi uscire per strada e prenderti quel che volevi ti dava una sensazione unica”.

La terza storia è: “Killer”.

Direi che è la trama che più mi è piaciuta, anche se non posso dir nulla di male sulle due precedenti. Mi sono immaginata il protagonista Leonard, col viso di un Clint Eastwood anziano, triste, depresso; eppure con una scorza dura appena sotto la pelle che solo all'apparenza può apparire fragile. “La luce fioca di quell'unica lampadina seppelliva la mia faccia sotto vari strati di ombre, che probabilmente aggiungevano anni al mio aspetto”.

L'uomo torna in libertà dopo anni, anche se non ha di fatto scontato tutta la pena, avendo patteggiato e consegnato altri in cambio della sua detenzione. “Forse la prigione non aveva fatto giustizia, ma di sicuro la strada sapeva come prendersi cura di un traditore come me”.

E così è, visto che la gente che lo riconosce lo evita, lo insulta, lo umilia.

Si sente braccato da coloro che ha tradito, mentre altro non fa che cercare di vivere il più defilato possibile.

Di notte va in un palazzo fino alle due del mattino per fare le pulizie negli uffici; i figli non vogliono più avere a che fare con lui.

A un certo punto, dopo che i giornali hanno parlato della sua scarcerazione, facendo conoscere in giro la sua faccia: lui si distingue per un gesto eroico. Riesce a mandare a monte un tentativo di rapina da parte di due tossici.

Ma nemmeno questo basta per far cambiare idea agli altri che, sempre, lo vedranno per un mostro.

Leonard, nell' introspezione di un vecchio delinquente, arriva a giustificarsi, così come spesso accade ai detenuti che cercano sempre di sminuire le loro colpe, proprio per convivere con quanto fatto.

Fino alla fine, fino a quando riesce ad ammettere anche a se stesso cosa lui sia in realtà.

Lo scrittore non è mai romantico o tenero, anche quando parla di buoni sentimenti. La sua penna è adeguata al tipo di personaggi che ha deciso di narrare e che lui stesso così descrive: “Ho deciso di raccontare le imprese dei miei “bastardi usciti di prigione” in prima persona perché sono tutti e tre totalmente inaffidabili. Se non li avessi fatti parlare con la propria voce ci avrebbero raccontato solo un mucchio di balle”.


© Miriam Ballerini

fonte: "La trilogia nera" di Dave Zeltserman: tre romanzi noir in un unico volume - OUBLIETTE MAGAZINE

19 settembre 2022

DIECI ANNI DI PROLOCO DI PERO E CERCHIATE

 DIECI ANNI DI PROLOCO DI PERO E CERCHIATE 


Sabato 17 settembre 22 sono stata invitata, assieme ad altri autori, a una grande festa per il decennale della Proloco di Pero e Cerchiate. In dieci anni sono stati presentati ben cinquanta autori e, questo, non fa altro che rendere onore alle persone che compongono l'associazione e che si sono date da fare per far sì che la cultura potesse avere un suo spazio.

Io ho potuto condividere con loro solo alcune ore, ma già mi sono bastate per sentirmi a casa, accolta e benvoluta, perché sanno creare un clima famigliare dove è “facile” parlare del proprio lavoro o della propria passione.

Qui sotto Nino di Paolo mi ha fatto pervenire un riassunto della giornata e di quanto è stato portato in dono da ciascuno di noi.

© Miriam Ballerini

Si è tenuta, sabato 17 settembre 2022, presso il Giardino del Glicine di via Sempione, 18 a Pero (MI), spazio messo a disposizione dalla famiglia Malgrati, organizzata dalla Proloco in occasione del decennale della sua fondazione, una giornata di incontro con gli autori che in questo decennio sono stati ospiti delle iniziative letterarie da essa realizzate.

Hanno partecipato diciotto scrittori: poeti, narratori e saggisti.

Nella sessione del mattino hanno presentato le loro opere :


Cesare Allia, poeta perese che ha pubblicato sei corpose raccolte dei suoi versi.

Gianfranco Pezzoli, Massimo Frediani, Vittorio Alfieri e Nino Di Paolo, sessantenni, coautori del Libro “Zarè”, racconto della loro adolescenza e del rapporto con il coetaneo Walter Pezzoli, ucciso nel 1980.

Nino Di Paolo, di Pero, che ha presentato il saggio in versi “Anteprima della Stoffa dell’Universo” ed il successivo “La Stoffa dell’Universo”, lavoro dedicato alla figura e al pensiero scientifico di Pierre Teilhard de Chardin.

Alfonso Airaghi, rhodense, autore del romanzo storico “Anno Domini 1564”, ambientato nella Rho del XVI secolo, i cui abitanti sopravvivevano tra epidemie di peste e condanne dell’Inquisizione.

Iole Scarnecchia, insegnante per numerosi lustri presso le Scuole Medie di Rho, che ha presentato il suo lavoro di ricerca storica sul sequestro degli alunni della Scuola di Terrazzano, frazione di Rho, nell’ottobre del 1956, conclusosi con la tragica morte di un innocente; il titolo del volume è “Fatalità e destino-Storia di un sequestro”

Padre Gianni Criveller, missionario del PIME per diversi anni ad Hong Kong, traduttore di don Primo Mazzolari e don Lorenzo Milani in lingua cinese, ha presentato un volume sulla figura di Antonia Pozzi, frutto della kermesse letteraria da lui organizzata e diretta nello scorso mese di maggio a Pasturo.


Nel pomeriggio sono stati presenti:

Barbara Rosenberg, scrittrice di narrativa e di poesia, cantante ed attrice, che ha presentato il romanzo di formazione “Il viaggio in Germania”, racconto delle tappe percorse nei luoghi dove visse gli anni della sua infanzia e giovinezza il proprio nonno, che di là dovette fuggire all’inizio della persecuzione.

Franco Caminiti, giornalista e scrittore che ha presentato il poema (in endecasillabi e terzine incatenate) “La humana istoria”, che tratta del suo viaggio tra i dannati che all’Inferno ci sono finiti dopo il viaggio dantesco.

Miriam Ballerini, che a Pero aveva presentato il romanzo “Come impronte nella neve” ha ricordato tutte le sue opere successive ed i riconoscimenti per esse ottenuti.

Giorgio Carrara, avvocato milanese che si occupa di diritto di famiglia, con l’opera “Separo ma non rompo”, un po’ diario familiare e professionale , un po’ manuale di consigli.

Andrea Cattania, ingegnere elettronico e poeta che ha prodotto molto e che molto è stato per ciò premiato, con “Chi ha paura dei numeri ?” , dialogo tra lui e le sue nipoti, sula comprensione e sulla bellezza del numero di Eulero.

Giuseppe “Pepe” Bonicelli, bergamasco della val di Scalve, con i dialoghi, le riflessioni e le proposte di futuro contenuti nel suo “Le 4 autonomie” .

Angelo Gaccione, scrittore e direttore della rivista online “Odissea”, collaboratore di Carlo Cassola, con tutte le sue opere poetiche, di narrativa e saggistiche contro la guerra e contro ogni guerra.

Max Parazzini, illustratore del libro di Barbara Rosenberg “Il viaggio in Germania” che ha presentato alcune sue opere di artigianato.

Cataldo Russo, educatore, romanziere e sceneggiatore, il primo autore ospite della Proloco nel 2012, con il romanzo “Il capitano”.

Vito Picariello, che presentò il suo romanzo di formazione “i fili della memoria”, ha anticipato brani di un’opera, in via di pubblicazione, di ricerca musicale “Ritmi e canzoni”


© Nino di Paolo

14 settembre 2022

IL VOTO FRA PROMESSE E ILLUSIONI di Antonio Laurenzano

 


IL VOTO FRA PROMESSE E ILLUSIONI

di Antonio Laurenzano

Ultimi giorni della campagna elettorale. Per i partiti battute finali per catturare consensi e convincere gli indecisi in una corsa verso il voto segnata dal tema dell’astensionismo che da anni domina il dibattito politico. Una inquietante disaffezione elettorale per protesta o indifferenza, segno di un grave deficit di rappresentanza e, dunque, di malfunzionamento del sistema democratico. Sullo sfondo la grande incertezza del momento: la guerra in Ucraina, la crisi energetica, l’emergenza economica. Problemi ai quali nessuna risposta, se non in termini demagogici, è venuta dai leader politici impegnati a una reciproca delegittimazione. Scarso contributo, a volte contraddittorio, sul piano programmatico. Il nuovo governo si troverà ad affrontare prove estremamente impegnative: c’è da completare il PNRR per evitare di perdere i finanziamenti europei, bisogna varare misure urgenti che evitino il rischio di fallimento di un quinto delle imprese italiane non più in grado di sopportare i costi energetici, occorre arginare il calo dell’occupazione per evitare che le difficoltà economiche delle famiglie si trasformino in una vera e propria emergenza sociale. Una bomba ad orologeria particolarmente pericolosa. E’ in gioco a livello internazionale la credibilità dell’Italia, la sua azione di governo finalizzata a riformare il sistema economico e amministrativo per renderlo stabile e affidabile. E la credibilità non è fatta solo di parole. E’ fatta di nomi, di facce, di programmi. E’ fatta cioè di coerenza e di serietà politica.

In circa due mesi di campagna elettorale, condotta da coalizioni o meglio da semplici cartelli elettorali privi di una precisa identità politico-programmatica, è andata in scena una rissosa fiera della propaganda e delle promesse irrealizzabili. Centinaia di miliardi gridati al vento. Promesse e illusioni a elevato impatto mediatico, fortemente simboliche, ma lontane da una realistica visione di riordino del sistema, che rischiano di trasformarsi in boomerang per qualche pifferaio magico. In particolare, sul fisco, in attesa dell’ok alla legge delega di riforma, si è giocata la partita dei grandi proclami, fra flat tax e patrimoniali, catasto e imposta di successione. Effimere suggestioni estive.

Una fastidiosa televendita quotidiana insensibile all’autunno difficile che ci attende. In primis la Legge di bilancio da scrivere con promesse elettorali mirabolanti che si infrangeranno contro il muro delle spese già maturate a causa dell’alta inflazione e indifferibili. Un’ipoteca di 25 miliardi di euro, che potrebbero salire a 40 tenendo conto della frenata dell’economia. Lo Stato, senza sciagurati scostamenti di bilancio che farebbero deragliare il percorso di risanamento dei conti pubblici, dovrà trovare le risorse necessarie per combattere l’inflazione e sostenere famiglie e imprese. Soprattutto dovrà mettere in campo le misure necessarie a far crescere il Paese, perché senza crescita e conseguente occupazione c’è il buio oltre la siepe. Non può esserci sviluppo del Paese se ogni azione che si intraprende non tiene conto di un debito pubblico che ha superato i 2.700 miliardi. Un debito che significa dover pagare circa 70 miliardi l’anno di interessi agli investitori e che richiede un quadro di finanza pubblica, il rapporto fra entrate (il fisco) e la spesa pubblica, in grado di sostenere l’indebitamento, tenendo sotto controllo il famigerato spread.

Dopo una irresponsabile fuga in avanti con la caduta del Governo Draghi, occorre una prova di… responsabilità per allontanare dai palazzi romani l’instabilità politica e l’inaffidabilità finanziaria, evitando di esporre il Paese alle imboscate dei mercati. E venire meno agli impegni presi con l’Europa con una serie di riforme strutturali, cestinando il Piano di ripresa socio-economica, sarebbe il più rovinoso scivolone di una classe politica che, distratta da un anacronistico sovranismo e da un demagogico populismo, non ha certamente brillato in cultura politica, visione programmatica e accorta azione di governo. L’Italia che verrà sarà di nuovo sottoposta a condizioni stringenti per ottenere l’aiuto della Bce e anche a nuove regole europee sul bilancio che il prossimo premier dovrà essere in grado di contrattare a Bruxelles.

Crisi di sistema, dobbiamo prepararci al peggio? Non basta “coalizzarsi” attorno a una miracolosa “agenda Draghi” per esorcizzare beghe di partito, per inventare “ammucchiate” politiche, per recuperare dignità e purezza politica dopo i miseri giochini di potere. L’obiettivo di fondo per i partiti non può essere solo vincere le elezioni, ma governare bene e ricomporre la profonda frattura fra politica e società civile, grave malattia della democrazia. Servono serietà, responsabilità, coesione, competenza. E autorevolezza. Serve il ritorno del “primato della politica”, serve una classe politica al servizio del Paese.


10 settembre 2022

ALCUNE CONSIDERAZIONI SULLE PROSSIME VOTAZIONI DEL 25 SETTEMBRE a cura di Enrico Pinotti

 


ALCUNE CONSIDERAZIONI SULLE PROSSIME VOTAZIONI DEL 25 SETTEMBRE

Prendo a pretesto la campagna elettorale in corso per parlare dei termini di “destra” e “sinistra”. Scriverò questi termini “destra” e “sinistra” sempre fra virgolette o con il carattere corsivo perché si tratta di termini oggi non del tutto definiti: lo erano alcuni decenni fa, ora molto meno.

Giorgio Gaber in una canzone diceva che il caffè è di sinistra mentre il thè è di destra, onore a Giorgio Gaber ma si tratta di canzoni. Destra e sinistra hanno origine storiche che risalgono alla rivoluzione francese, ma in Italia forse già all’epoca dei Comuni se ne possono trovare tracce. Sono differenze concettuali e politiche dell’intendere un’organizzazione di società. Chi vuole può liberamente informarsi su questi concetti. Ciò che non andrebbe fatto sono le banalizzazioni come spesso avviene oggi anche nella campagna elettorale in corso. Manifesti elettorali invitano a scegliere fra il rosso ed il nero: fra il rosso ed il nero vi sono colori intermedi, le sfumature. La “sinistra” da diversi anni non sta facendo proposte di “sinistra”, ha approvato la Legge Fornero, ha introdotto quello che ancora si chiama job act con i contratti formativi gratuiti per le aziende e ha abolito l’articolo 18. Non ha fatto nulla per una protezione di assistenza sociale concreta e neppure per contrastare la sanità privata; il tutto è stato delegato al volontariato. Come stupirsi che i restanti operai della Mirafiori siano orientati a votare per le “destre”?.

La “sinistra” non sta facendo proposte se non in termini vaghi sui cosiddetti diritti civili, per il resto paventa uno scenario oscuro e catastrofico qualora vincessero le elezioni le “destre”. Ciò non basta, non basta fare appelli a difesa della Costituzione, c’è bisogno di proposte concrete a proposito della difesa dei territori che franano, di un piano concreto e a lungo termine per evitare disastri ambientali, regole per ridurre gli inquinamenti. Chi a sinistra è in grado di fare ciò?

Un concetto dalla “sinistra” andrebbe ribadito ed è quello delle libertà, quindi anche quello di muoversi liberamente nel mondo. Da che mondo è mondo si migra, ci si sposta, si viaggia, i confini sono sulla carta ma non sul terreno. Se poi si scappa da un paese a causa di guerre, per fame, per malattie o per sopravvivenza, non si ha diritto di essere accolti in altri luoghi del continente? Andando all’attualità, ci si accorge di alcune contraddizioni: perché le persone scappate giustamente dalla guerra ucraina sono state giustamente accolte mentre altre persone provenienti da altri paesi non lo sono? Qui, la “sinistra” ufficiale avrebbe dovuto puntare il dito, chiedere spiegazioni alle controparti e alzare la voce, non lo ha fatto.

Dalle “destre” arrivano altre proposte legittime per le “destre”, una è quella della reintroduzione del servizio di leva obbligatorio con la motivazione che ciò servirebbe a ridurre i fenomeni di violenza giovanile; dagli inizi degli anni millenovecentosessanta ‘parte’ della “sinistra” si è battuta anima e corpo per introdurre nella nostra legislazione l’obiezione di coscienza al servizio militare ( e un grosso grazie va al Partito Radicale) a favore di un ‘servizio civile’ che ha preso poi corpo negli anni successivi. ‘Servizio civile’ in parte rimunerato ma che soprattutto è servito e serve ancora per far fare ai giovani esperienze lavorative anche negli ambiti del mutuo soccorso e dei servizi sociali.

L’obiezione di coscienza ed il Servizio civile sono state conquiste costate ma, come tutte le conquiste vanno difese negli anni con argomentazioni non solo politiche.

A questo punto aspettiamoci pure da parte delle “destre” una controriforma o una revisione della legge 180, quella che ha decretato la chiusura dei manicomi e, pure in questo caso serviranno argomentazioni di “sinistra”, mi chiedo se vi sarà qualcuno in grado di poterlo fare.

Auguri a tutti, Enrico Pinotti

07 settembre 2022

LA PIUMA MAGICA DI GWENDY di Richard Chizmar a cura di Miriam Ballerini


 
LA PIUMA MAGICA DI GWENDY di Richard Chizmar – Quando si tratta della scatola dei bottoni, Gwendy conosce la risposta. La scatola non è mai sicura. Mai fino in fondo. -

© 2022 Sperling & Kupfer – edizione Pickwick

ISBN 978-88-5544-124-7

Pag. 281 € 9,90


Secondo romanzo della trilogia su Gwendy e la scatola dei bottoni. Nel primo romanzo, scritto da Stephen King con Richard Chizmar, troviamo Gwendy ragazzina obesa e con vari problemi, la quale, dopo l'incontro con Farris, colui che le dona la scatola dei bottoni, cambierà la propria vita.

Ricordo che, nella recensione fatta a quel libro, scrivevo: Avremmo voluto saperne di più, ci sono temi e scene che avrebbero potuto essere più sviluppati, mentre tutta la vicenda è stata come una corsa sulla giostra, dove siamo scesi alla fine del giro, allegri, ma ancora insoddisfatti”.

Allora non sapevo che ci sarebbe stato non un seguito, ma bensì due.

Di King qui troviamo solo la prefazione dove ci spiega come il racconto sia nato dalla sua fantasia, ma non avesse trovato una strada fino a quando non è intervenuto Chizmar.

Così scrissero il primo capitolo della trilogia: “Io ho riscritto alcuni suoi pezzi, lui ha riscritto alcuni dei miei e ne è venuto fuori un gioiellino. Gli sarò sempre grato di non aver permesso che Gwendy languisse nell'angolino in basso a destra del mio schermo”.

Tanto grato che in questo secondo capitolo King non c'è, ma la storia viene interamente scritta da Chizmar che riproduce anche personaggi e vie della famosa Castle Rock inventata da King.

Scritto al presente, ambientato nel 1999.

Gwendy è adulta, sposata e, dopo essere diventata una scrittrice, a trentasette anni è una deputata.

La scatola dei bottoni ricompare nella sua vita.

La conosce bene, sa quale siano i suoi poteri: i cioccolatini che sanno curare, le monete d'argento dal grande valore; ma sa anche che basta premere altri bottoni per fare sparire interi stati o persone.

Gwendy sta accanto ai suoi genitori, con la madre ammalata. Il marito è lontano, in una zona di guerra.

I genitori ritrovano una piuma che lei, quando era ragazzina, pensava fosse magica: “Il tuo buon cuore ti ha fatto imboccare qualche strada per cui non eri ancora pronta, ma a guidarti è sempre stata la fiducia … in te stessa, negli altri, nel mondo che ti circonda. Ecco cosa rappresenta la tua piuma magica”.

Gwendy aiuta il famoso sceriffo Norris Ridgewick (per chi conosce i libri di King e la cittadina di Castle Rock), perché sono scomparse due ragazze.

Forse la scatola la aiuterà in questa missione? O è tornata nella sua vita per salvare sua madre?

Solo alla fine Farris, l'uomo della scatola, le ricompare al fianco. Le svela che, comunque, lei è speciale per quello che è, non per la scatola in sé.

Così com'è venuto se ne va, portandosi via la scatola e lasciandole una piuma in cambio.

Non posso dire che sia scritto male, o che la storia sia brutta, anzi, ci sono anche alcune buone frasi, di quelle che ti segni, come la descrizione della neve: “Una cosetta leggera, soltanto un bacetto sulla guancia scoccato dal Nord”.

Però io sento la mancanza della penna di King, manca la sua genialità, quella scossa che dà a delle pagine che, senza di lui, sono solo un racconto scritto come una pianura, senza sali e scendi.

Vale la pena leggerlo se si vuole conoscere l'intera trilogia, perché sarebbe stupido passare dal primo capitolo al terzo senza sapere cosa c'è nel mezzo.

All'interno dei disegni in bianco e nero di Keith Minnion, impreziosiscono il volume.


© Miriam Ballerini

fonte: https://oubliettemagazine.com/2022/05/05/la-piuma-magica-di-gwendy-di-richard-chizmar-la-scatola-non-e-mai-sicura-mai-fino-in-fondo/

L'ULTIMA MISSIONE DI GWENDY di Stephen King e Richard Chizmar a cura di Miriam Ballerini

 


L'ULTIMA MISSIONE DI GWENDY – La scatola deve essere abbandonata nello spazio, che non è solo l'ultima frontiera, ma anche la discarica definitiva – di Stephen King e Richard Chizmar

© 2022 Mondadori

ISBN 978-88-200-7292-6

Pag. 326 €16,90


Terzo libro della trilogia della scatola dei bottoni. Il primo scritto in coppia come questo, il secondo scritto solo da Chizmar, e, permettetelo, si nota. Manca della genialità e della completezza che sa dargli King.

In questo romanzo, infatti, ritroviamo quella verve, quella cosa in più che ti fa amare ancora di più la protagonista e, con lei, ti fa vivere appieno la sua avventura.

Siamo nel 2026 in un mondo post pandemia, ma dove ancora ci sono le mascherine e il covid non ci ha abbandonato del tutto.

Gwendy, la protagonista di tutti e tre i romanzi, ha ancora la scatola dei bottoni datale da Farris, l'uomo con la bombetta che, nei tre libri, va e viene, a volte come custode della scatola, a volte come consegnante della stessa.

L'uomo sta morendo e chiede a Gwendy un ultimo favore: portare la scatola nello spazio e abbandonarla fra le stelle, l'unico luogo dove possa vagare senza essere più recuperata. Ha causato già tanti guai, anche il covid è stato causato da una signora che ha premuto uno dei fatidici bottoni, se dovesse ancora finire nelle mani sbagliate, sarebbe un disastro.

E le mani sbagliate già si stanno allungando verso la scatola.

Sin da quando Richard Farris era apparso per la terza volta si era sentita come un topo in un corridoio sempre più stretto, e senza uscita”.

Gwendy soffre di alzheimer precoce e deve fare in fretta se vuole portare a termine la missione affidatale da Farris.

L'unica cosa fastidiosa del libro è che, praticamente ogni pagina, viene fatto presente che dovrebbe ricordare come si fa una cosa, ma così non è. Ora, il lettore credo sia abbastanza intelligente da aver compreso il problema e pure di ricordarselo, senza che gli venga ripresentato ogni minuto!

E' molto meno terrorizzata dall'idea di essere seduta sopra tonnellate di carburante altamente infiammabile di quanto non lo sia dall'implacabile declino neurologico della spugna grigia che si trova tra le due orecchie”. Questo il suo problema, mentre sta viaggiando assieme ad altri, scienziati

e un ospite pagante, su una navicella che farà loro raggiungere una base spaziale.

L'acciaio che galleggia, pensa stupefatta. Santo cielo, sono in un posto dove l'acciaio galleggia”.

Ritroviamo vecchie conoscenze, fra personaggi di Castle Rock, It di Derry, gli uomini con gli impermeabili gialli, che vogliono impossessarsi della scatola per distruggere una volta per tutte la Torre, della famosa saga della Torre nera.

Il racconto si snoda fra il 2019 e il 2026, dove scopriamo cosa è accaduto nel frattempo a Gwendy.

Un libro che si legge velocemente, parteggiando per la protagonista, senza alcun dubbio.

Dove gli scrittori hanno saputo, al di là del piccolo difetto di ripetizione, fare dell'alzheimer buona narrativa. “Le fantasie paranoiche accompagnano spesso i primi stadi dell' alzheimer. È solo uno dei tanti aspetti divertenti della malattia che ha scoperto ( e ora vorrebbe non averlo fatto) su internet. Ha anche un nome: sindrome del tramonto. E poiché quassù nello spazio c'è un tramonto ogni ora e mezza circa, le occasioni per coltivare strani pensieri non mancano di certo”.

Gwendy sconfiggerà i suoi nemici, malata o meno, avrà la forza necessaria per riuscirci. Nel finale la sua decisione ci sorprende e ci ammanta il cuore di quella tristezza che si prova per il distacco dai personaggi di carta ai quali ci si è affezionati.

Alla fine ho pianto, e, quando un romanzo riesce a strapparci fuori qualche lacrimuccia, è perché è indubbiamente un buon libro.

Anche in questo volume sono presenti i disegni che riproducono alcune scene, di Keith Minnion.


© Miriam Ballerini

fonte: "L’ultima missione di Gwendy" di Stephen King e Richard Chizmar: la scatola deve essere abbandonata nello spazio - OUBLIETTE MAGAZINE


Concorso fotografico

cliccare sulla locandina per ingrandirla

 

06 settembre 2022

CARCERE: ISTIGAZIONE O AIUTO AL SUICIDIO a cura di Carmelo Musumeci


 CARCERE: ISTIGAZIONE O AIUTO AL SUICIDIO


Di solito in carcere si pensa: la morte è a portata di mano e in un attimo ti può dare la libertà, la serenità e la felicità. La Morte ti libera il cuore e l’anima, mentre il carcere te li divora, fino a che non resta più traccia di un essere umano in te. Nelle vostre Patrie Galere i prigionieri fanno la gara a chi si toglie la vita per primo, già 59 quest’anno.  E quasi nessuno ne parla o ne scrive, lo faccio io che me ne intendo:  

Forse molti non sanno che il metodo che normalmente usa un prigioniero per togliersi la vita è semplice.
Prepara una fune che può essere presa dalla cintola di un accappatoio o dai lacci delle scarpe o direttamente strappando delle lenzuola.
Poi prepara il cappio.
E lo fa passare intorno alle sbarre della finestra.
Dopo non rimane altro che salire su uno sgabello.
Infilare il cappio in testa.
E farlo scivolare sul collo.
Poi viene la parte più semplice perché non rimane altro che dare un calcio allo sgabello.
Il carcere suscita spesso false speranze, forse per questo ho sempre pensato che non ce l’avrei mai fatta a morire un giorno da uomo libero.
Ed io ci ho pensato tante volte e togliermi la vita.
Molte volte ho persino preparato la fune con il cappio.
E alcune volte sono arrivato persino ad infilarmelo al collo.
Non sono mai riuscito però, per fortuna o per sfortuna, a seconda dei punti di vista, a dare il calcio a quel cazzo di sgabello.
Pensandoci bene credo che se ho continuato a vivere l’ho fatto solo perché non volevo far morire il mio amore con me.

Purtroppo però molti miei compagni lo fanno. Per questo mi permetto di domandare ai magistrati: Perché non intervenite con delle azioni penali? Il colpevole ce l’avete già: il carcere! Mi permetto di ricordare anche che l’articolo 580 del codice penale “ISTIGAZIONE O AIUTO AL SUICIDIO” è chiaro e non c’è bisogno neppure di essere interpretato: “chiunque determina altri al suicidio o rafforza l'altrui proposito di suicidio, ovvero ne agevola in qualsiasi modo l'esecuzione, è punito, se il suicidio avviene, con la reclusione da cinque a dodici anni. “

Su una popolazione di circa 54. 000 detenuti con circa 38.000 agenti sotto la loro sorveglianza, 24 ore su 24, (in rapporto al numero di detenuti, in Italia siamo tra i paesi con più polizia penitenziaria in Europa) non sono pochi 59 persone che invece di vivere preferiscono uscire dal carcere da morti, forse un carcere cattivo li istiga o li aiuta a farlo.    

Carmelo Musumeci
Settembre 2021 

05 settembre 2022

PAOLO ERCOLI E CLARA ZUCCHETTI – Pusiano 26 agosto 2022 di Claudio Giuffrida

 PAOLO ERCOLI E CLARA ZUCCHETTI – Pusiano 26 agosto 2022

di Claudio Giuffrida


Concerto estivo, la sponda del lago di Pusiano a Bosisio Parini (CO), la coreografia spettacolare della natura che in quel luogo regala sempre tramonti coloratissimi, clima festoso per una serata di musica live, tavolate di pubblico a gradire birra e street food. Tutti gli ingredienti per divertirsi e passare una serata all’aperto, ma la differenza l’hanno però fatta Paolo Ercoli e Clara Zucchetti che hanno interpretato il concerto con entusiasmo e classe.




Paolo Ercoli l’ho conoscevo per le sue innumerevoli collaborazioni da grande session-man con il suo dobro, chitarra resofonica regina dellla musica folk-blues americana ma questa sera ha tenuto banco passando anche alla sua Martin 6 corde acustica e al mandolino con estrema bravura e ottimo feeling.

Un repertorio molto vario e accattivante capace di esplorare le diverse anime del folk, ragtime e blues che cercheremo di raccontare.

Piacevolissima sorpresa Clara Zucchetti che è entrata in questa musica con grazia e raffinatezza facendo leva sulle sue doti di polistrumenta, arricchendo l’esecuzione delle canzoni unendosi a Paolo Ercoli con duetti vocali, vocalizzi, percussioni sempre originalissime e un magnifico ukulele. 


Inizia il concerto Paolo Ercoli presentando il suo strumento “resonante” al pubblico, appoggiato alle sue ginocchia e lanciandosi in un virtuosa dimostrazione della bellezza espressiva del Dobro.

Parte con un medley di traditional del bluegrass Big Mon e Salk creek, poi Home sweet home tutte sostenute dai ritmi e dalle percussioni di Clara Zucchetti.


Paolo imbraccia anche la chitarra acustica e apre il via ad una serie di canzoni: Any old time, Walk on boy, Going down the road feeling bad, Nashville blues, Let me walk lord by your side, Doing my time, New river train, che esprimono una grande padronanza tecnica del blues, del ragtime e del bluegrass creando un clima capace di coinvolgere il pubblico perfino dei più piccoli trascinati dal ritmo e dall’esuberanza delle canzoni. 


Viene anche eseguita alla chitarra Blues life, brano originale di Paolo presente nel suo CD “Why not” registrato lo scorso anno con moltissime importanti collaborazioni.

Paolo poi passa al mandolino con Galway girl dal deciso sapore irish, in duetto poi con Clara nel Walking beside me di Tim O'Brien: https://youtu.be/RTftdStpWHM

Per poi finire con due diverse versioni di Little Sadie rendendo omaggio al grande Doc Watson:

https://youtu.be/KEUBb9deLaw

Dello stesso Doc Watson riprende dopo una pausa la bellissima versione di Walk on boy, il mio brano preferito della serata, eseguito alla chitarra con una intro strumentale di grande effetto e un ottimo fingerpicking:

https://youtu.be/guBTnwi2IwY

Finisce il concerto con il dobro a interpretare spezzoni di Central Park di  Earl Klugh e un medley con due gospel: How great are Thou e Old Rugged Cross.

Tutta musica a cui il pubblico italiano generalmente non ha particolare confidenza, linguaggi importati dalla tradizione americana che però è straordinario vedere eseguiti da muscisti italiani con tale padronanza e con tanta passione.

Di questi musicisti dobbiamo essere particolarmente fieri.

https://www.mescalina.it/musica/live/26/08/2022/paolo-ercoli-e-clara-zucchetti


(c) Claudio Giuffrida







51a Edizione Ravenna, 3-13 maggio 2024

                                                  51 a Edizione Ravenna, 3 -13 maggio 2024   Una panoramica geografica sul jazz, dagl...