29 ottobre 2012

Suicidio in carcere di Paola Zorzi

SUICIDIO IN CARCERE
Una profonda testimonianza di Paola Zorzi di Biella



La notte del 27 settembre nella casa circondariale di Biella un detenuto di 51 anni si è tolto la vita. questo è avvenuto esattamente il giorno prima dell'inaugurazione a Torino della mostra “detenzioni.2012”. La soddisfazione nel vedere attraverso questa iniziativa (detenzioni.2012) tante persone, artisti, istituzioni coinvolte in problematiche legate alla condizione di persona detenuta ha lasciato ora il posto allo sgomento. Da un lato questi fatti evidenziano una consapevolezza già nota: l'assenza di una politica che da tempo, con il benestare moralistico e populista di una parte della società, ha scaricato sugli addetti ai servizi (e naturalmente sui detenuti!) il problema di gestire una popolazione carceraria superiore alle capacità ricettive. ma non solo, ha anche lasciato queste persone nell'impossibilità da un lato di farlo attraverso forme adeguate al sentire di cittadini contemporanei e dall'altro, tollerando in alcuni casi prepotenze altrimenti e oggettivamente ingiustificabili. Ancor più viva appare in questi casi, la consapevolezza e prova, se ancora ce ne fosse bisogno, dell'emergenza, drammaticità, troppo sovente sconfinante in tragedia, di questa condizione. Molte volte, in quanto operatori nel campo dell'arte contemporanea, ci è stato rimproverato di realizzare opere inquietanti. Forse andrebbe detto però “ben vengano!” se questa inquietudine potesse contribuire ad allontanare la tragedia. se un'opera come una ferita nera si imprimesse nella nostra mente e servisse a focalizzare la nostra attenzione su questi ed altri problemi. Il breve percorso intrapreso da me e riva nell'ambito di “detenzioni”, e che ha coinvolto alcuni detenuti della casa circondariale di Biella, è stato più che altro un tentativo di rompere con l'idea di isolamento mettendo in relazione interno ed esterno. interno in quanto ambiente carcerario, esterno in quanto cosiddetta libera società civile. Ci siamo resi conto di quanto, nonostante i molti passi avanti, questi due mondi siano ancora separati da un muro ancor prima culturale che materiale. Dal mio punto di vista, nonostante io non rinneghi il ruolo del libero arbitrio, penso che questo risulti di molto ridotto in determinate circostanze fino al limite estremo in cui tende a diventare del tutto irrilevante. “Non c'è nulla al buio che non ci sia anche alla luce”... e la sedicente luminosa, senza macchia, società libera, che sta fuori dalle carceri potrebbe essere solo una delle due facce di una stessa medaglia. La cronaca di questi e altri giorni ce lo confermano. Questa convinzione contribuisce ancor più alla sensazione di sgomento di fronte alla tragedia dei suicidi in carcere.



Paola Zorzi

Libri: "Muori per me" di Karen Rose


MUORI PER ME                                                              di Karen Rose
© Leggereditore  Ambrosia ISBN 978-88-347-2059-2
Pag. 570  € 3,90
 Dice il Publishers Weekly: “I fan del thriller rimarranno affascinati da questa storia avvincente e dai personaggi coinvolgenti”.
Non è mia abitudine prendere per oro colato quanto viene detto dagli altri, ho i miei gusti e le mie idee e preferisco sempre leggere di persona prima di farmi un’opinione.
In questo caso… ho letto il libro non riuscendo a staccarmene!
Si ha a che fare con un serial killer crudele. Spietato, nel vero senso del termine: infatti tortura le proprie vittime utilizzando armi e sistemi medioevali. Vuole provocare dolore, vuole cogliere le urla delle povere vittime. Perché il suo intento è quello di disegnare gli ultimi istanti di vita, raccogliere la luce dello sguardo che si spegne.
Non possiamo chiamare con un solo nome questo “mostro”, perché nel libro ne avrà tanti. Non sapremo mai se ci è accanto oppure no.
Intanto usa i suoi disegni per creare dei videogiochi, lui che viene apprezzato nel settore perché sa rendere così reali le scene! Altro che reali!
Il suo antagonista è Vito Ciccotelli,  un detective.
La vicenda ha inizio quando, casualmente, si troverà un vero e proprio cimitero con le vittime straziate da questo assassino del tutto particolare.
Conosciamo così Vito, di origini italiane, le sue ombre e la sua numerosa famiglia.
Si aggiungerà Sophie, un’archeologa assunta per aiutarli data la presenza di sistemi a dir poco originali.
La bella Sophie che farà girare la testa di Vito, la loro unione dalla quale si avrà modo di essere partecipi delle varie vicissitudini.
I  personaggi non svelano mai del tutto quello che sono, ciò che sentono. Leggere il libro è anche approfondire la loro conoscenza.
Alle indagini si aggiungono altre indagini, altri misteri; colpi di scena che tengono sempre desta l’attenzione del lettore.
Il romanzo è scritto con mano “maschile”, senza fronzoli inutili; diretto, schietto. Anche quando ci sono scene di sesso, non esistono sdolcinature da romanzo rosa.
Mi è piaciuto molto lo stile di questa scrittrice, il suo sapere intrecciare la trama, il lavoro: il dovere, il piacere, la paura, l’esasperazione. Tenendo sempre a bada ogni sentimento, ogni situazione, ogni ruolo.
© Miriam Ballerini

27 ottobre 2012

Abissi del reale di Romolo Runcini

Romolo Runcini
ABISSI DEL REALE
Per un’estetica dell’eccentrico
Edizioni Solfanelli



Fondare un’estetica dell’eccentrico significa sovvertire un principio che è sempre stato riconosciuto e attestato nei secoli: la prevalenza del realismo sopra ogni altra rappresentazione che abbia a che fare con la fantasia. A iniziare dal romance greco, per finire con la letteratura di genere, considerata una produzione di secondo livello e priva di qualità. Eppure la fantasia è propria dell’uomo: nessun altro essere vivente ha il potere dell’immaginazione. Anzi, se l’uomo è quello che è, se può definirsi attraverso una cultura, lo deve alla sua capacità di immaginare. Teologi e filosofi si sono esercitati a lungo nel tentativo di spiegare le ragioni di questa “differenza” che, assieme ad altre, rende l’uomo un essere unico nell’universo (almeno finché non scopriremo altre forme di vita analoghe al di fuori del sistema solare). Ciò che Runcini dimostra con questo suo straordinario volume, denso di riferimenti culturali, vera miniera del sapere, per la sua capacità di me
ttere assieme conoscenze storiche, filosofiche, sociologiche, antropologiche, letterarie e artistiche, è che l’evoluzione umana ha proceduto grazie alla fantasia e all’immaginazione. Che in questa qualità stanno le ragioni profonde del progresso.



Romolo Runcini
ABISSI DEL REALE
Per un’estetica dell’eccentrico
Presentazione di Carlo Bordoni
Edizioni Solfanelli
[ISBN-978-88-7497-778-9]
Pagg. 224 - € 16,00
http://www.edizionisolfanelli.it/abissidelreale.htm

Intervista a Padre Vittorio Trani

CARCERATI
Comunque sono persone
Padre Vittorio Trani (Seac): è urgente l'abolizione dell'ergastolo ostativo
 
articolo preso da SIR Servizio di informazione religiosa


Tre suicidi solo nell’ultima settimana: qualche giorno fa a Poggioreale e il 24 ottobre a Firenze e a Prato. Già 31, tra gennaio e luglio 2012; 63 nel 2011. Sono i numeri della disperazione dei detenuti italiani. A diffonderli è il Rapporto sullo stato dei diritti umani negli istituti penitenziari e nei centri di accoglienza e trattenimento per migranti in Italia, curato dalla Commissione diritti umani del Senato e presentato il 23 ottobre nel carcere romano di Regina Coeli. Secondo l’indagine, l'Italia occupa uno fra gli ultimi posti in Europa nel rapporto detenuti-posti in carcere. A fine febbraio, su una capienza complessiva di 45.742 posti, nelle carceri italiane i detenuti erano 66.632, di cui solo 38.195 con condanna definitiva. Intanto prosegue l’impegno di un gruppo di “uomini ombra” (le definizione che gli ergastolani ostativi danno di sé) per l’abolizione di ciò che definiscono la “pena di morte viva”, ossia l’ergastolo ostativo, senza fine perché non prevede benefici o sconti di pena, a meno che non si decida di collaborare con la giustizia. Uomini che si definiscono “né vivi, né morti” in un appello che si può sottoscrivere sul sito dell’Associazione Comunità Papa Giovanni XXIII www.anpg23.org. Nel dicembre 2009, sempre con il sostegno della Comunità fondata da don Benzi, gli ergastolani (oggi circa 1.500) avevano inviato al riguardo una lettera aperta a Benedetto XVI. Dell’emergenza carceraria Giovanna Pasqualin Traversa, per il Sir, ha parlato con padre Vittorio Trani, da quasi 35 anni cappellano a Regina Coeli e consulente ecclesiastico del Seac, Coordinamento dei gruppi di volontariato penitenziario che operano in Italia (www.volontariatoseac.it).

Qual è la sua opinione sul mantenimento dell’ergastolo ostativo?
“Come cittadini e come cristiani dovremmo in generale impegnarci per creare una mentalità, una sensibilità diversa nei confronti del mondo carcerario. Lo Stato ha il dovere di intervenire nei confronti dei cittadini che commettono reati, ma la sua azione non deve aggiungere ingiustizia a ingiustizia. Tutto il mondo della giustizia andrebbe rivisitato con la capacità di garantire realmente il rispetto della persona lasciando una porta sempre aperta alla speranza. Per quanto riguarda l’ergastolo ostativo, è ancor più necessario un impegno comune affinché si possa aprire uno spiraglio di vita per queste persone che con la sua abolizione potrebbero riprendere in mano la propria esistenza. La prospettiva della speranza è fondamentale per il recupero dell’uomo; è una fortissima motivazione e una specie di leva magica che sostiene anche nei momenti di maggiore buio”.

Come conciliare la tutela della legge e della sicurezza dei cittadini con il rispetto di chi ha sbagliato ma non può essere identificato solo nel suo errore?“Anzitutto alleggerendo il carcere, riservando la limitazione della libertà ai casi più gravi e commutando per gli altri la pena, ad esempio, in obbligo a prestare servizi sociali a beneficio della collettività offesa con il reato. Ai disagi legati al sovraffollamento, oggi si aggiunge anche il taglio della spesa pubblica, che ha portato ad una considerevole diminuzione dei fondi destinati a garantire una vita dignitosa negli istituti di pena dove spesso viene a mancare anche il necessario”.

Si auspica di più parti un’amnistia…
“Un gesto che potrebbe risultare anche una sorta di riparazione perché la giustizia amministrata da esseri umani può talvolta essere essa stessa un atto di ingiustizia, come dimostra il caso Tortora, risollevato in questi giorni. L’amnistia è importante, ma se non viene affiancata da provvedimenti che imprimano un reale cambiamento di rotta alla strada che porta al carcere, è difficile che possa essere risolutiva. Dopo un anno la situazione tornerebbe la stessa di prima. Le carceri vanno alleggerite sia dirottando effettivamente i tossicodipendenti in strutture di recupero, sia con un ampio ricorso alle misure alternative, veicolo costruttivo di reinserimento sociale, dopo il quale la recidiva scende dal 30-40% al 15-17%. Affidamento sociale, arresti domiciliari, semilibertà costituiscono infatti una concreta facilitazione al reinserimento sociale successivo al carcere”.

Spesso il reato è frutto di situazioni di profondo disagio ed esclusione…
“Sì. Più che punire bisognerebbe prevenire le disfunzioni del tessuto della società, concause indirette di molti reati commessi da chi, relegato ai suoi margini e spesso in condizioni di estrema necessità, non sa come sbarcare il lunario o diventa manovalanza della criminalità organizzata. E oggi ci troviamo di fronte ad un aumento allarmante di persone a rischio delinquenza, soprattutto nelle grandi città”.

Quindi occorre soprattutto una nuova “cultura”?
“Il discorso sulla giustizia non può limitarsi alle sentenze e alle manette; dovrebbe ampliare l’orizzonte traducendosi in questione di grande responsabilità collettiva giocata soprattutto sulla prevenzione. Noi invece interveniamo solo sul reato e non siamo in grado di farci carico della rimozione delle radici dei comportamenti illegali. Ma una società di questo genere non può dirsi pienamente umana. Come affermava il card. Martini, occorre accostarsi a questa realtà con il metro della misericordia di Dio che sa andare oltre gli schemi umani codificati nelle leggi, per consentire che al centro del sistema penitenziario venga messa la persona e che la pena sia di fatto costruttiva e svolga la funzione rieducativa stabilita dall’art.27 della nostra Costituzione, volta al recupero e al reinserimento nella società. Leggere il reato con lo sguardo di Dio per capire che il male è anche una condizione di smarrimento da soccorrere”.

24 ottobre 2012

Ergastolo ostativo: questo sconosciuto


 
ERGASTOLO OSTATIVO: QUESTO SCONOSCIUTO
di Miriam Ballerini

Per i miei romanzi e racconti, spesso, mi sono occupata di carcere, essendo una scrittrice di narrativa sociale.
Finora, i miei contatti sono stati con persone che avevano brevi pene da scontare.
Nel luglio 2012 sono entrata in contatto con la realtà dell’ergastolo ostativo, dopo avere avuto uno scambio di lettere con Carmelo Musumeci.
Musumeci è un detenuto sottoposto a questo regime e sta portando avanti, insieme alla comunità Papa Giovanni XXIII e ad altri detenuti ergastolani, la richiesta dell’abolizione dell’articolo 4 bis dell’ordinamento penitenziario che, di fatto, nega ogni misura alternativa al carcere e ogni beneficio penitenziario a chi è stato condannato per reati associativi, in mancanza di una collaborazione processuale.
Cosa significa questo?
Rispondo con un estratto uscito su “Europa” di Francesco Ferrante:
“…il detenuto condannato a questa pena ha una sola possibilità per sperare in un’ora di permesso, o che un giorno gli vengano riconosciuti i benefici di legge. Di legge, insisto: occorre che collabori, ovvero che faccia i nomi di altri coinvolti in reati gravi collegati alla criminalità organizzata. Un “pentimento”, che in alcuni detenuti possiamo e dobbiamo ritenere sia sincero, che può dimostrarsi solo in un’azione che per molti equivale a coinvolgere la famiglia, che all’esterno potrà diventare il bersaglio di vendette trasversali”.
Mi sono informata leggendo un libro che raccoglie le interviste di diversi ergastolani “Urla a bassa voce- dal buio del 41 bis e del fine pena mai”, a cura di Francesca de Carolis.
Lo stesso Musumeci mi ha domandato se volevo dare loro voce, attraverso l’intervista che leggerete di seguito a questo articolo.
Perché ho accettato? Perché ritengo che il carcere italiano non stia lavorando in modo da espletare la sua funzione rieducativa; ma che stia solo perseguendo quella punitiva.
Stiamo parlando di persone che indubbiamente hanno sbagliato, nessuno lo nega, ma non posso che dirmi d’accordo con quanto scrive Don Ciotti: “Impedire alla giustizia di diventare vendetta è la vera sfida a cui siamo chiamati. Impedire che la giustizia “chiuda” chi ha sbagliato nel suo errore (e gli neghi la possibilità del cambiamento) è l’altra faccia della stessa medaglia”.
Leggendo le loro interviste mi sono posta alcune domande che ritengo siano doverose: una persona dopo dieci, dopo venti, dopo trent’anni è la stessa che è stata incarcerata per il suo errore?
È giusto condannare, con chi ha sbagliato, anche la sua famiglia? Spesso gli ergastolani vengono portati in strutture lontane dalla famiglia che, di fatto, riescono a incontrare solo una o due volte l’anno.
Molti ergastolani hanno potuto studiare in carcere, entrati quasi analfabeti si sono laureati. Gli stessi hanno proposto di poter lavorare per i famigliari delle loro vittime; oppure di fare da educatori ai giovani che entrano in carcere. Chi meglio di loro saprebbe essere maestro di vita? Loro che già hanno percorso il cammino che un giovane sta appena intraprendendo e che potrebbe essere deviato col loro esempio su una strada diversa?
Le nostre carceri sono super affollate, le persone sono rinchiuse in sei o sette in una cella singola. Questa situazione va ben di là della giusta reclusione: viola palesemente i diritti umani.
Quanti detenuti, quante guardie carcerarie devono ancora morire suicidi, prima che si corra ai ripari e si faccia in modo che il carcere non sia solo una scatola per contenere gli errori di persone che riteniamo scomode?
Negli altri stati europei l’ergastolo è previsto per alcuni reati gravi; ma con la possibilità di liberazione condizionale che oscilla dai dieci ai quattordici anni dopo la reclusione; previo alcune condizioni di rilascio e un ulteriore controllo che continui per altri cinque, dieci anni dopo la scarcerazione.
L’Italia, oggi, è all’ultimo posto nella graduatoria delle nazioni le cui pene siano ispirate all’umanità e alla civiltà giuridica.
Per capire meglio tutto questo, ritengo sia necessario conoscere la situazione e l’esperienza dei detenuti. Per fare questo ho posto loro alcune domande:

 

  1. La domanda è piuttosto brutale, ma il primo passo verso la rieducazione è riconoscere i propri errori. Ci vuole dire per quale motivo ha ottenuto l’ergastolo?

I giudici sulla mia motivazione di condanna hanno scritto che contro alcuni avversari, dopo che questi mi hanno sparato 6 colpi di pistola (tutti andati a segno) e tentato di darmi fuoco con la benzina, mi sono fatto giustizia da solo.                                                                             Carmelo

 

Perché alcuni collaboratori di giustizia mi hanno accusato di aver commesso alcuni omicidi. Antonio

 

Gentile Miriam, rispondo alla sua domanda che lei ritiene brutale, ma le assicuro che non lo è.

Sicuramente non ci può essere rieducazione, né reinserimento nella società se non si riconoscono i propri errori e non si mettono in atto comportamenti tali che esulano da semplici e banali parole di circostanza. Tuttavia, un sincero ravvedimento non basta quando si ha l’ergastolo ostativo poiché questa pena atroce che viola a pieno la dignità umana e la democrazia di uno stato civile, non consente di dare alcuna possibilità alla persona che ha sbagliato in una vita lontana da quella presente, nemmeno dopo 30/40 anni di carcere e nemmeno quando il condannato non si riconosce più in quella persona avendo dato piena dimostrazione del proprio ravvedimento durante la lunga carcerazione. L’ergastolo ostativo finisce assieme ai giorni di vita del condannato.             Gaetano

 

Anch’io nella vita ho fatto tanti errori come tutti, ma questa volta sono stato condannato innocentemente per un omicidio fra guerre di bande. Lo so! Lo dicono in molti, ma io lo sono veramente.                                                                                                                                       Ignazio

 

2.      Per lei cos’è l’ergastolo ostativo?

Una pena di morte al rallentatore.                                                                                           Carmelo

 

L’ergastolo ostativo è una pena disumana perché si muore un po’ tutti i giorni.                    Antonio

 

L’ergastolo è una pena che ti logora giorno per giorno, ti svuota piano piano e ti toglie tutto quello che ti circonda, a volte anche gli affetti più cari, lasciandoti solo nella tua disperazione.       Gaetano

 

È una morte in bianco e nero.                                                                                                   Ignazio

 

  1. In seguito a questa condanna, lei a cosa ha diritto? E cosa, invece, non le viene concesso?

Un uomo ombra (così si chiamano fra di loro gli ergastolani ostativi), non ha nessun diritto. Non ci viene concesso neppure di morire.                                                                                             Carmelo

 

Oggi avrei diritto di usufruire dei benefici, ma ancora non mi vengono concessi.                  Antonio

 

A seguito di questa condanna non ho diritto a nulla perché l’ergastolo ostativo non mi darà alcuna possibilità di uscire dal carcere.                                                                                             Gaetano

 

Ho solo il diritto di avere un loculo per cella con un blindato davanti e delle sbarre di dietro. Per il resto non ho diritto a niente e non mi concedono nulla perché gli ergastolani ostativi sono esclusi da qualsiasi beneficio.                                                                                                         Ignazio

 

4.      Come ritiene sarebbe più opportuno e utile, dopo avere scontato diversi anni di prigione, per lei come individuo e per le persone lese, pagare il suo debito?

Con una pena retributiva perché non serve e non è utile a nessuno tenere una persona chiusa dentro una cella tutta la vita senza fare nulla. E vorrei ricordare che il perdono è l’unica pena che ti tira fuori il senso di colpa e ti fa sentire veramente colpevole, mentre una pena che non finisce mai ti fa sentire innocente.                                                                                                             Carmelo

 

Fare volontariato per i più deboli.                                                                                           Antonio

 

Credo che uno che ha già scontato 21 anni di carcere, tutti in una volta, penso che abbia già pagato tutto quello che c’era da pagare, soprattutto quando sei stato condannato innocentemente.

Ignazio

 

5.      Quanti anni ha già scontato? Com’è cambiato lei come persona in tutto questo tempo?

Ho già scontato ininterrottamente 21 anni di carcere. Il carcere non è la medicina, ma è la malattia, quindi penso di essere cambiato in peggio.                                                         Carmelo

 

Ho scontato 20 anni e 1 mese. Ora sono cambiato radicalmente riconoscendo i valori della vita e sono più responsabile di prima.                                                                                                   Antonio

 

Ho già espiato 18 anni di carcere, in questi ultimi anni ho avuto la possibilità di frequentare un  corso scolastico di ragioneria e quindi l’opportunità di crescere culturalmente visto che la scuola e lo studio portano a cambiamenti radicali, così come radicali sono le riflessioni che in tutti questi anni si sono susseguite giornalmente.                                                                               Gaetano

 

Ho già scontato troppi anni e ho passato i miei migliori anni in questo spoglio posto e per lo Stato italiano ci dovrò anche morire.                                                                                           Ignazio

 

6.      Come passa le sue giornate?

Sopravvivendo.                                                                                                                         Carmelo

 

Prima oziando, adesso, da un decennio, mi diletto a scrivere delle poesie, prose e qualche favola. Attualmente sto frequentando la terza superiore di ragioneria.                                                 Antonio

 

Passo le giornate tenendo la mente occupata, dedicandomi alla lettura, alla ginnastica e alla cucina.                                                                                                                                            Ignazio

 

  1. Di fatto non ha nessuna prospettiva per il futuro. Alcuni di voi hanno scritto una lettera al Presidente della Repubblica chiedendo la pena di morte. Perché? Il Presidente vi ha dato qualche riscontro?

Credo che sia meglio una morte veloce che una lenta, per questo penso che bisogna essere proprio dei mostri per murare una persona viva dentro una cella, senza la compassione di ammazzarla prima. Il Presidente della Repubblica non ci ha dato nessuna risposta, probabilmente perché ai morti non si risponde.                                                                                                                     Carmelo

 

Io sono una dei 300 che aveva firmato quell’appello per trasformare la pena dell’ergastolo alla pena di morte; perché l’ergastolo non ci da nessun futuro, ed oltre alle nostre sofferenze si aggiungono anche quelle dei nostri famigliari. Il Presidente non ci ha dato nessun riscontro. Antonio

 

Non abbiamo avuto alcuna risposta dal Presidente della Repubblica a riguardo la nostra richiesta di morte. A un ergastolano ostativo non viene data nemmeno questa possibilità, forse perché lo ritengono un privilegio morire una sola volta e non tutti i giorni.                                                    Gaetano

 

Sì! È vero, avevo scritto anch’io al Presidente della Repubblica chiedendo la pena di morte, ma non ho ancora avuto nessun riscontro.                                                                                      Ignazio

 

  1. Alla società non importa di voi. Che stiate scontando una pena o che vi uccidano, i più ritengono che ve la siete cercata e che è quello che meritate. Cosa vuole rispondere a queste persone?

Che si può essere dei criminali veri con la fedina penale pulita, perché penso che non ci sia nessuna differenza fra chi ammazza una persona a sangue freddo e chi la ammazza lasciandola viva. Forse però, pensandoci bene, una differenza c’è: credo che sia più criminale chi lo fa in nome della legge o delle vittime del delitto.                                                                                      Carmelo

 

È giusto che uno paghi se ha commesso dei reati, ma con una pena che abbia un inizio e una fine, per il resto chiunque può incappare, e commettere un delitto, non bisogna mai dire di quest’acqua non bevo.                                                                                                                                    Antonio

 

Alle persone che pensano e dicono che l’ergastolano deve morire in carcere non voglio rispondere, perché nutrono vendetta e non amano Dio né i Suoi insegnamenti, e quindi non sanno perdonare.

Gaetano

 

Che il carcere è un’autostrada dove ci può passare chiunque ed è meglio per chiunque che in carcere ci siano dei diritti e che tutte le condanne abbiano un inizio e una fine.                    Ignazio

 

  1. I rapporti con la famiglia come sono? Come avvengono?

L’amore non si può imprigionare.                                                                                            Carmelo

 

I rapporti con la famiglia sono ottimi, avvengono attraversa le  telefonate, lo scritto e il colloquio una o due ore settimanale. In tutto abbiamo 6 ore di colloquio al mese.                                Antonio

 

I rapporti con la mia famiglia sono pieni d’amore, ho una moglie e una figlia straordinarie, con le quali condivido un amore immenso, sostenendoci e confortandoci reciprocamente. Assieme preghiamo il buon Dio di tornare a vivere assieme e poterci godere qualche momento di serenità dopo una vita fatta di sofferenze e difficoltà.                                                                      Gaetano


 

I rapporti con la famiglia sono buoni, ma a causa di motivi di distanza e finanziari non posso usufruire di regolari colloqui e questo mi pesa più di qualsiasi altro dolore.                           Ignazio

 

10.  Se avesse la possibilità di uscire, quale sarebbe la prima cosa che farebbe? E poi? Come imposterebbe la sua vita?

Mi avvalgo della facoltà di non rispondere perché io non ho nessuna possibilità di uscire se al mio posto, in cella, non ci metto qualche altro.                                                                               Carmelo

 

Mi farei una mangiata di quei  cibi che da 20 anni non ho la possibilità di gustare. Mi segregherei con i miei nipotini dandogli tutto il mio amore e il mio affetto, quello che non ho potuto dare ai miei figli. Mi troverei un lavoro, fin quando non raggiungerei l’età della pensione, e vivrei, sempre accanto a mia moglie.                                                                                                        Antonio

 

Se avessi la possibilità di uscire vorrei trascorrere più tempo possibile con mia moglie e mia figlia e fare tutte quelle cose che non abbiamo fatto in tutti questi anni. E che ci promettiamo di fare se un giorno dovessi uscire di qua. Spero vivamente che questi sogni non rimangano tali poiché oggi le leggi non mi danno alcuna possibilità futura di poter tornare alla vita.                                       Gaetano

 

Se un giorno avessi la fortuna di uscire mi godrei la mia famiglia e ricomincerei a vivere la mia vita con tutte le persone di questo pianeta.                                                                                  Ignazio

 

L’intervista finisce qui.
Avrei potuto domandare altre 1000 cose, ma secondo me queste parole già ci aprono la via a molte riflessioni.
Queste sono le persone che noi giudichiamo, dalle quali vogliamo prendere le distanze.
Inutile, ritengo, aggiungere altre considerazioni; ognuno di noi, in base al proprio sentire e alla propria coscienza, ha la possibilità di riflettere su quanto scritto.

 Ringrazio di cuore Carmelo Musumeci, Antonio Papalia, Gaetano Fiandaca, Ignazio Bonaccorsi; tutti detenuti nel carcere di Padova.

Per chi volesse saperne di più, o volesse partecipare alla proposta di iniziativa popolare per l’abolizione della pena dell’ergastolo (art. 22 Codice Penale) può visitare il blog http://www.carmelomusumeci.com/index.php .

 

Grazie.

 © Miriam Ballerini

 

 

 

 

L'essere e il linguaggio



 
L’ESSERE E IL LINGUAGGIO

Appunti di ontolinguistica


Intendiamo per linguaggio verbale scritto un insieme pronunciato di grafemi in fonemi in disordine dalla riga dell’alfabeto occidentale A-Z . Come nell’universo democriteo, gli atomi sono simili alle lettere dell’alfabeto, gli “stoicheia”, che differiscono tra loro per forma e danno origine a tutte le parole, senza mai cambiare in se stesse. «A differisce da N per figura, AN da NA per ordine, Z da N per posizione» (Met. I, 4, 985b). La linearità caotica si può esprimere in un linguaggio logico. Le combinazioni dei singoli grafemi che abbiano un senso compiuto in sintonia con i fonemi pronunciati compongono il linguaggio. La complementarità tra grafemi e fonemi denota la duplice essenza del Logos, come pensiero e come linguaggio, o discorso. Parmenide sosteneva che «una stessa cosa è il pensiero e l’essere» (De rerum naturae, 3). E se l’essere e il pensiero sono la stessa cosa e il pensiero e la parola sono la stessa cosa, l’essere e la parola sono la stessa cosa. Il problema del linguaggio è il nodo cruciale della relazionalità vocale verbale.Senza linguaggio vocale o simbolico vige il mondo buio monologale, circoscritto. Il silenzio si esprime dinanzi all’indicibile e alla convenienza delle relazioni.Alle origini del linguaggio ci sono almeno due unità della medesima specie. Il perché di tutte le cose è la causa del dire originario che risuona nel silenzio universale, nel non-essere. Il linguaggio esiste tra enti dialoganti di una medesima specie, ma può sussistere anche tra due specie differenti.I tentativi di poter dialogare con animali e piante non sono fallibili.Le parole non dicono però tutto delle cose. Colgono l’essenza esistente e l’esistenza essente, ma descrivono solo l’ente, non possono comprendere l’infinità dell’ente. I pensieri sono parole non dette ma come i gesti sono carichi di significato. Il significato introduce il senso nel linguaggio. Una singola parola, un fonema, un grafema è sempre logico. Un soggetto, un predicato, un verbo e un complemento allineati sono corretti dal punto di vista sintattico ma a livello logico possono essere illogici. La proposizione insensata può essere sensata.L’illogicità è lecita nel campo della fantasia e della follia.Le cose denominate, le parole attribuite alle cose hanno una convenzionalità non stabile. Le parole e i gesti sono interscambiabili fra di loro nei vari linguaggi e interscambiabili nel significato. L’interscambiabilità può essere intesa in senso lato o stretto. Se la parola formaggio è il formaggio in italiano, in virtù dell’interscambiabilità dinamica lo stesso soggetto può essere nominato nelle altre lingue del mondo es. in francese fromage e via dicendo.La parola formaggio potrebbe essere usata per definire un agnello e si chiamerebbe agnello il formaggio. Le parole in disuso sono scambiabili per ampliamento linguistico possibile.E il formaggio-agnello designa un’interscambiabilità di natura statica e fittizia.Questa interscambiabilità di fatto è irreale ma potrebbe spiegare le origini del linguaggio. È possibile, infatti, e comprometterebbe l’interscambiabilità dinamica dalle fondamenta con una ristrutturazione totale e sensuale del linguaggio.Ad ogni cosa è associata un’idea.Il linguaggio ha cristallizzato l’idea, ma non in modo eterno. Se scambiassimo solo due termini il significato sarebbe alterato dalla realtà per implicanza logica. Le proposizioni logiche si scardinerebbero e sprofonderebbero nell’illogico.Un riordinamento logico ci può essere se il senso delle cose venisse sconvolto. «L’agnello piace ai topi,» ad esempio, sarebbe illogico: una logica fittizia però può essere valida.Oppure «il formaggio pascola nei prati» costituisce inversione logica fattibile ma di senso falso. L’interscambiabilità statica comporterebbe un totale riassetto in quella dinamica. Ne conseguirebbe che «i topi sono carnivori» oppure che «il formaggio mangia l’erba», o «il formaggio è essere animale» e via dicendo. Quindi una crepa nell’interscambiabilità statica comporta un effetto improprio limitato nel senso delle cose, ma un effetto domino devastante sui processi logici. C’è un’affermazione cronologica della logica. Eraclito profetizza: «Panta rei»; «Tutto scorre». Tutto di fattocrolla. Ogni effetto solitario è una crepa nel continuum successorio della proposizione reale-irreale.Una crepa nell’interscambiabilità porta alla distruzione logica o a una sua totale ristrutturazione: genesi logica, rigenerazione linguistica nel rapporto segno-significato, tentativi per una spiegazione. L’indicibile ente, quello che può essere solo descritto, giammai definito potrebbe essere legato alla realtà logica di natura fantastica con potenzialità illimitate. «Il leone mangia la gazzella»è evento desunto dalla realtà.Il linguaggio dice degli eventi. Gli eventi sono evidenti.L’interscambiabilità dinamica dunque è possibile ma l’assunto logico dell’azione è dato dal verbo. Ammette che l’essere più forte divori il debole: questa è l’assunzione reale.La realtà ci porta a costruire la logica, data anche l’interscambiabilità dinamica. L’evidenza delle cose crea una fissità nel campo logico anche inter-scambiando i termini; le specificazioni del soggetto agente e sue peculiarità e quelle del soggetto subente fanno il costrutto preposizionale logico.La realtà visibile e ripetuta porta l’uomo all’esperienza del fondamento di una logica naturale, anche a-linguistica. L’esperienza è di natura trasmissibile e universale e non modificabile o se modificabile in tempi lenti che non portano a una destrutturazione o ristrutturazione dell’esperienza fondativa. Una certa evoluzione è lentissima e facilita l’apprensione del linguaggio. Un linguaggio perennemente instabile non potrebbe essere utilizzato come fattore comunicativo determinante. E predominerebbe quello simbolico gestuale. Una scoperta apporta cambiamento nella natura logica della cose (es. «cigno») e un ampliamento delle riserve linguistiche utilizzabili nelle connessioni logiche.La natura delle cose porta invece in sé un tacito assenso: la singola parola è sempre logica. Le proposizioni logiche si limitano a riportare la realtà delle cose che avvengono. Ma anche le realtà sconosciute sono esistenti.Ci sono cose esistenti anche se non conosciute, lo provano scoperte scientifiche o biologiche quindi la realtà gli oggetti i grafemi evolvono in quantità e qualità.Ciò comporta un ampliamento del tessuto logico e delle sue possibilità. L’idea è un’astrazione delle cose concrete.Le cose non concrete come emozioni agiscono sulle cose, o eventi, o persone e fra le persone-eventi-cose.Il loro fine comporta l’azione nella logica.Il verbo delimita il campo d’azione del soggetto sull’oggetto, crea un legame una subordinazione dell’oggetto al soggetto: quindi nella realtà vige un ordine parallelo fra le cose.Le proprietà degli oggetti in sé decidono delle azioni in sé e oltre il sé. Stabilire le proprietà e le relazioni rese da nuove scoperte copre l’orizzonte. Se affermiamo, ad esempio, che il ferro spezza il vetro, ciò è vero dalle proprietà in sé degli oggetti e dalla relazioni fra i due. Le cose in sé hanno proprietà primarie e son uniche e immutabili. Le cose in relazione a proprietà secondarie portano a conclusioni, assiomi che fondano le conoscenze in cui è implicata e implicita la logica. Le cose poste in relazione a sono infinite. Le cose in sé, invece, sono finite. Mentre la mente umana genera la follia logica, la natura in sé comporta ripetuti comportamenti detti logici e normali. Ammettiamo, ad esempio, il dubbio nell’esistenza di Dio. In queste solenni parole la molteplicità delle cose cerca l’identificazione linguistica,la composizione alfabetica si carica di senso.Il punto di rottura logico è la follia o una disfunzione che sta alla base della combinazione illogica della logica.La sequenza alfabetica in successione a, b, c, d,… potrebbe essere illogica.L’interscambiabilità logica può spiegare la molteplicità dei linguaggi che dicono le cose. Il linguaggio dice le cose, la logica dice tutte le cose. Noi ci siamo per generazione e per creazione: le cose create da noi non possono essere generate, ma possono essere scoperte. L’essere è in se, l’essere è, il non essere non è, l’assioma eleatico non è inteso come specificazione, ad esempio «il gatto non è il topo», o seguendo una variabile infinita irreale. Il punto è questo: è concepibile umanamente un non-essere?Vale solo «l’essere è» e la seconda asserzione è inutile. Bilanciare il non-essere con l’essere significa teorizzare ilcontrario. L’essere è una realtà esistente:un non esistente sarebbe la negazione di questi, una negazione solo di origine virtuale.La negazione postula un contrario nell’affermazione e viceversa. Un non-essere ci porterebbe a classificare l’essere esistente e quello non esistente.Tutto ciò che vediamo è essere e in essere. Un essere che si distrugge non è propriamente un non-essere, è un essere trasformato in nulla, non un non-essere.Poi con la distruzione cosmica l’essere si trasforma in non-essere.Un non-essere è qualcosa di definito? Nelle cose io sono questo e non sono quello. L’essere è questo, il non essere sarebbe quello. Ma ciò indica un non-essere non a livello ontologico ma individuale, di natura diversiva.Il non-essere è inconcepibile. Il non essere è inesistente.Un non è più è un non-essere presente, non un non-essere puro, inconcepibile. Un era e non è più, o un non sarà, è un non-essere che prima era, o che sarà, non era, né sarà un non-essere puro.L’inesistente ha in noi una realtà spazio-mentale? È impossibile una sua astrazione.Abbiamo detto: le realtà sconosciute possono essere esistenti. Il non essere è una non-realtà inesistente. Non esiste un non-essere puro.Il conoscibile è l’essere che è, l’inconoscibile è l’essere che non è.Dall’essere che siamo noi si arriva all’essere. Chi si percepisce di esserci ha l’essere percepito in un essente, è nello stato dell’essere. Un non-essere non può essere percepito, compreso, né possiamo auto-percepirci non-essere, è contrario alla prima conclusione. Ci percepiamo essenti e riusciamo a percepirci come assenti, ma perché ci siamo. Non-essere non è possibile come essente ed essere di essere. L’evidenza in sé è accettata da tutti ma non sempre creduta. Essere può essere composto da più esseri.Il mondo inanimato non ha cognizione del tempo ma subisce le trasformazioni nell’arco del tempo. Eterno è un non-prima, non-dopo, è l’esistenza integrale. E d’altronde, come scriveva Wittgenstein, «Non come il mondo sia è ciò che è mistico, ma che esso sia» (Tractatusprop. 6.44), perciò «Il senso del mondo deve trovarsi al di fuori di esso. Nel mondo tutto è come è, e avviene come avviene: in esso non v’è alcun valore e se ci fosse non avrebbe alcun valore» (Tractatusprop. 6.41).

Vincenzo Capodiferro

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