28 agosto 2019

LA VITTIMA PERFETTA di Robert Bryndza a cura di Miriam Ballerini

LA VITTIMA PERFETTA di Robert Bryndza
© 2019 Newton Compton Editori – Gli insuperabili gold
ISBN 978-88-227-3073-2 Pag. 373 € 9,90

Un thriller interessante, ben intessuto.
Erika Foster è la detective protagonista di questo romanzo. Rimasta vedova, vive sola, ha pochi amici, uno dei quali il patologo. Mi sono piaciute molto le relazioni che si intersecano nel libro, alcune delle quali gay, trovo che siano come un pizzico di sale in aggiunta a una buona pietanza, perché è importante, sempre, far conoscere le diverse realtà; niente di meglio, quindi, inserirle in un buon romanzo.
Ci troviamo in Inghilterra, in una estate particolarmente afosa. Viene trovato morto nella sua casa un medico.
All'inizio pare un incidente, forse un gioco erotico finito male. Ci si muove nella cerchia della famiglia e delle amicizie per cercare di scoprire qualche cosa di più.
Gli omicidi aumentano, le vittime tutti uomini, tutti uccisi con lo stesso modus operandi: drogati e soffocati con un sacchetto di plastica.
Nell'aria aleggia l'ipotesi che il serial killer possa essere una donna. La certezza arriva quando la donna si mette in contatto con la detective. Cerca un contatto umano, vuole essere capita l'omicida soprannominata “L'ombra della notte”.
Fa anche di più: s'introduce nella casa di Erika, la tallona, la segue.
Così come segue le sue vittime, pianificandone in ogni particolare gli omicidi.
La serial killer è una donna che ha sofferto molto, cerca vendetta, ma anche comprensione.
Intanto Erika si muove in un'atmosfera ostile, dove lavora non piace a tutti. Cercano di metterle i piedi in testa, di farle perdere il caso.
Ma lei, tenacemente, tiene duro, tanto da arrivare a risolvere il caso.
Mi è piaciuto molto soprattutto per gli aspetti psicologici, la serial killer mostrata per quello che è, non un mostro, ma una vittima che, giunta alla misura colma, si ribella.
Unico amico un uomo che non conosce, col quale chatta in un sito. L'amore lo può rubare solo attraverso una comunicazione sterile, solo lì può essere se stessa e confidare tutto il suo malessere e le sue oscure intenzioni.


© Miriam Ballerini

A BLESSING IN DISGUISE Mostra di Alessandro Putignano a cura di Marco Salvario

A BLESSING IN DISGUISE
Mostra di Alessandro Putignano
a cura di Marco Salvario

GAGLIARDI E DOMKE – Via Cervino 16, Torino
23/24/25 agosto 2019

Scelta coraggiosa quella dei curatori Curiale e Vio nel proporre le fotografie di un esordiente in una location ampia e gradevole ma decentrata, e di scegliere il mese di agosto, con molte persone ancora in ferie o con la testa in vacanza. Da quanto ho potuto giudicare, è stato un azzardo vincente e ho visto ammirare le opere da un pubblico numeroso, interessato e di tutte le età.
Lascio al lettore non troppo esperto in inglese, il piacere di migliorarsi trovando la giusta traduzione in italiano del tema della mostra, A blessing in disguise. Tema giustamente in inglese, perché Alessandro Putignano ci presenta le immagini catturate nel suo primo anno trascorso nel Regno Unito, frequentando i sobborghi irrequieti della capitale, conoscendo band emergenti e giovani di una cultura punk che sempre più si contamina con il pop. Su quanto riguarda l’ispirazione musicale, qui mi fermo data la mia incapacità di giudicare le tendenze musicali moderne.



La cultura punk è gioventù, colore, provocazione, musica senza melodia; è uscire dalle regole. Anarchia, ribellione più dichiarata e urlata che reale; un sogno di libertà, fragile e sfuggente, da cui in ogni attimo si teme di risvegliarsi. Di questo mondo l’artista ci regala una documentazione dall’interno, partecipe e genuina, che conquista l’attenzione dei visitatori.
Esplosioni di tinte in molte opere, colori che esplodono sul nero come fuochi pirotecnici, ma bravo è l’artista a cogliere anche nella raffinata sfida del bianco e nero, messaggi e tensione, giocando con contrasti violenti di luci, enfatizzando nei soggetti i momenti di slancio e quelli di stanchezza.
Privati del loro rivestimento spettacolare, i volti ritornano giovani, a volte infantili, persi nelle loro illusioni e nelle loro malinconie.



Le fotografie, la grande maggioranza, dove il colore è presente e inevitabilmente dominante, possono essere divise in due categorie: i ritratti dove il soggetto è unico, sempre femminile, e spesso sembra o è in posa per lo scatto; le foto di gruppo, dove la tensione interna è massima e il movimento diventa una composizione di gesti e di recitazione globale.



Nei ritratti colpisce la gioventù dei soggetti, la loro fragilità da bambole di porcellana.
Certo, i colori sono una sfida ai canoni, alle tradizioni, a volte al buon gusto; i volti soprattutto sono segnati, mascherati, sfregiati, resi irriconoscibili. Eppure il risultato non è quello di una maschera diabolica o le tinte minacciose di indiani che abbiano disseppellito l’ascia di guerra, quanto bambine ancora non cresciute che abbiano attinto maldestramente al trucco delle mamme. I sentimenti che i volti di queste ragazzine hanno prodotto in me, sono quelli di tenerezza e di una benevola indulgenza. Alcune di queste creature verrebbe voglia di abbracciarle e chiedere loro: “Noi, la generazione dei vostri padri o forse ormai dei vostri nonni, quanto abbiamo sbagliato con voi? Che terra vi stiamo lasciando?”
Penso ai problemi ambientali, ma ancora di più ai valori etici che non abbiamo saputo insegnare, perché noi per primi non abbiamo saputo metterli in pratica.



Nelle foto di gruppo, la situazione cambia.
Le ragazze sono scatenate, urlano, si abbandonano all’ebbrezza dei suoni, dell’alcol e di chissà cos’altro. I maschi sembrano più sornioni, meno coinvolti, nascosti dietro espressioni di simulato divertimento. Nel gruppo un seno nudo non fa scandalo, non desta neppure interesse. Quello che inquieta è che, a ben vedere, questi gruppi, gruppi non sono. C’è coralità di azione in certi momenti, soprattutto negli urli, ma ogni ragazzo non ha contatti con chi gli è accanto. Tante solitudini messe in parallelo, folle in una giungla di profonda incomunicabilità.
Fili invisibili calamitano l’attenzione dei giovani verso punti focali non sempre coerenti, ma nell’insieme sembra di ammirare una coda pittoresca e un po’ agitata, che cerchi di muoversi impaziente, come la fila interminabile a uno sportello postale.
Quello che sorprende, abituati al mondo simile ma evidentemente diverso delle movide italiche, è l’assenza dei telefonini, simbolo dell’incapacità dei nostri figli nel comunicare gli uni con gli altri, persino con coloro che ci sono più simili. Un punto a favore dei londinesi!

Ironie a parte, che nascondono l’invidia per un mondo giovane che mi è lontano di troppi anni, devo riconoscere la bravura di un fotografo che, nonostante la poca esperienza, ha saputo fermare con grande occhio e abilità, scene e momenti palpitanti e vivi, permettendo ai visitatori della mostra di gettare sguardi curiosi su una realtà di ragazzi alla ricerca di se stessi, ragazzi che saranno gli uomini e le donne di domani.

26 agosto 2019

QUANDO CI SARÀ UNA TANGENTOPOLI CARCERARIA? a cura di Carmelo Musumeci

QUANDO CI SARÀ UNA TANGENTOPOLI CARCERARIA?

Non manco mai di leggere gli articoli di Damiano Aliprandi, che scrive su “Il Dubbio”, uno che in carcere non c’è mai stato, ma che descrive le realtà carcerarie come se ci fosse stato tutta la vita. I casi sono due: o c’è stato in un’altra vita o è solo un bravissimo giornalista, probabilmente tutte e due le cose.

Ecco i titoli dei suoi due ultimi articoli: “Petto di pollo scaduti da tre mesi in vendita ai detenuti di Bologna” (…) “ Costretti al sopravvitto che costa anche il doppio. Colazione, pranzo e cena per ciascun recluso costano 3 euro e 90”. Sì, lo so, non bisogna mai generalizzare, ma penso che se un giorno i giudici entrassero in carcere per fare rispettare la Costituzione e la legge buona parte di chi ci lavora, a partire dai funzionari ministeriali, sarebbero arrestati e processati. Questo però è difficile che possa accadere, perché la società chiede giustizia, ma in realtà vuole vendetta e nessuno si lamenta se il carcere è il posto più illegale di qualsiasi altro luogo.

Non è una novità che il cibo del carcere faccia schifo, non per niente in gergo carcerario viene chiamato "sbobba". Solo i più poveri fra i poveri lo prendono, non per mangiarlo ma solo per nutrirsi. È poco, cucinato male e quando dalla cucina arriva in sezione, spesso senza carrelli termici, sembra un pastone per galline. Per questo molti detenuti si cucinano da soli, anche perché chi ha scontato molti anni di carcere è ammalato allo stomaco. Ovviamente, con la solita scusa di "motivi di sicurezza" i mezzi e gli ingredienti per farsi da mangiare da soli sono pochi: qualche pentola, fornello da campeggio, buona volontà e passione. Io non cucinavo molto bene, quando non mi mandavano il "piatto" i miei compagni (fra di noi si usa scambiarci quello che cuciniamo) mi facevo spesso un piatto di spaghetti con il pomodoro fresco, olio crudo, aglio e basilico ed una spruzzata di pecorino. Mi ricordo che la cosa più brutta era mangiare da soli come cani, perché dei miei 28 anni di carcere la maggior parte li ho passati in regimi di carcere duro, dove non potevo neppure prepararmi un pasto caldo.

Ecco cosa scrivevo alla magistratura di sorveglianza quando ero detenuto in Sardegna:

“È un periodo che il cibo che passano è scarso e cucinato male più del solito, specialmente per cena passano un pentolone con una brodaglia che neppure i maiali mangerebbero… si vede che ultimamente stanno rubando di più. Non ci è stata consegnata la posta perché non è stata ritirata, i posti di lavoro non sono stati ancora assegnati. Un nostro compagno ha dovuto buttare il pacco contenente cibo perché consegnato in ritardo; domandine che spariscono o che vengono respinte senza ragionevole motivazione. I detenuti rifiutano sistematicamente il cibo ordinario perché c’è un solo carrello che deve fare tre piani (portato a mano da un piano all’altro) e man mano che arriva nelle ultime cella il cibo diventa immangiabile, una specie di pastone per galline.  I lavoranti non sono forniti di guanti, berretti grembiuli e degli appositi carrelli termici. Lamentiamo la mancanza di spazi comuni dove svolgere qualsiasi attività, passiamo circa 20 ore al giorno su 24 in cella. La corrispondenza è l’unica forma davvero libera di cura degli affetti, le lettere sono un piccolissimo angolo di libertà che a volte è la sola ricchezza di chi sta in galera: una specie di cibo per l’anima. La posta in carcere rappresenta una prova tangibile dell’altrui affetto, quasi un mezzo per non sentirsi dimenticati o abbandonati, infatti uno dei pochi momenti “belli” della nostra giornata è rappresentato dalla distribuzione della posta, ed è crudele che a volte la posta ci venga negata per problemi burocratici interni.”

Carmelo Musumeci

Agosto 2019

24 agosto 2019

La lezione di De Gasperi. Dedicata ai politici di oggi di Antonio Laurenzano

La lezione di De Gasperi. Dedicata ai politici di oggi
di Antonio Laurenzano
La rissa politica, fra accuse e invettive, registrata nel corso dell’apertura della crisi di governo a Palazzo Madama, ha reso ancor più denso di significato lo spessore storico-politico di un grande statista del passato, in occasione del 65° della sua scomparsa : Alcide De Gasperi, morto il 19 agosto 1954 a Sella Valsugana, a 73 anni. Con il francese Robert Schuman e il tedesco Konrad Adenauer, De Gasperi, uno dei padri fondatori dell’Europa, « un europeo prestato all’Italia », ha scritto una delle pagine di storia più importanti del XX secolo, contribuendo a ricucire le sanguinose lacerazioni del passato fra gli Stati del Vecchio continente e a gettare il seme per una « comunità spirituale di valori e di civiltà ».
La lezione europea di De Gasperi è di grande attualità. Il suo fu un europeismo illuminato che seppe bene interpretare le aspirazioni di pace e di democrazia dei popoli europei dopo i lutti e le distruzioni della guerra. L’integrazione comunitaria trovò nello statista trentino, nella sua lungimiranza storica, uno strenuo paladino. Era convinto che il superamento dei nazionalismi e dei totalitarismi passasse attraverso la costruzione di una comune casa europea, espressione di valori condivisi. Per l’Europa non ci sarebbe stato un futuro se non si fossero spenti i focolai degli egoismi nazionali, se non si fosse avviato un processo di unificazione politica. Un monito severo per l’attuale classe politica europea.
Comincia alla Conferenza di Pace di Parigi del 1946 la straordinaria avventura politica di De Gasperi al servizio del Paese. Fu il vero artefice della ricostruzione nazionale. Per il suo senso dello Stato e la sua lucidità d’azione fu paragonato a Cavour. Particolarmente proficua l’intesa governativa con Luigi Einaudi per l’attuazione di quella politica liberale che fu alla base del miracolo economico alla fine degli Anni Cinquanta. Fece crescere l’Italia con gli aiuti del Piano Marshall e le restitui’ prestigio a livello internazionale facendola partecipare alla NATO, nonostante la lunga e accesa battaglia parlamentare. Con mano sicura, porto’ l’Italia fuori dalle lacerazioni morali e materiali causate dalla disfatta bellica, trasformando il nostro Paese in soggetto attivo, su un piano di perfetta uguaglianza con gli altri partner nel processo di costruzione della nuova Europa.
La firma a Parigi, il 18 aprile 1951, del Trattato istitutivo della CECA , Comunità economica del carbone e dell’acciaio, segno’ una svolta importante nella storia del Vecchio continente. Vinti e vincitori della guerra si trovarono uniti per disegnare , con unità di intenti e di azione, un comune percorso di pace e progresso per l’Europa. Il suo impegno a favore dell’unficazione politica europea si concretizzò con il disegno della Comunità europea di difesa (CED) il cui Trattato istitutivo non venne però ratificato, nell’aprile 1954, dall’’Assemblea Nazionale francese. Per De Gasperi, nei suoi ultimi giorni di vita, fu la fine di un sogno. La storia di questi ultimi anni gli ha dato ampiamente ragione.
Alcide De Gasperi porto’ nella politica una misura morale rigorosa, espressione della sua coscienza, della sua onestà intellettuale, della sua integrità di vita. Non esercito’ mai il potere per il potere, non fece mai del nepotismo o del clientelismo. Mori’ povero com’era vissuto. Ed era vissuto in piena solitudine, anche all’interno del suo stesso partito, forte della sua incrollabile fede in Dio. Non aveva bisogno di nessuna mediazione terrena di curiali per sentirsi vicino a Dio, cosi’ profonda era la sua religiosità. La sua statura politica, la sua dignità di Uomo di Stato, non ammettevano nessuna interferenza nell’azione di governo, nemmeno dal Vaticano, all’ombra del quale peraltro come cattolico era creciuto, convinto assertore della divisione dei ruoli fra l’Uomo di Chiesa e l’Uomo di Stato, sulla scia del principio risorgimentale : libero Stato in libera Chiesa.
De Gasperi era l’antitesi del mattatore, lui cosi’ sobrio, cosi’ schivo, cosi’ lontano dalle luci della ribalta. Semplicità e riservatezza furono le sue prerogative.Tolleranza e rispetto le sue armi. In questi valori, in questi ideali è racchiuso lo spirito degasperiano, lo spiririto di un galantuomo della politica, « un europeo venuto dal futuro », che ha ha lasciato in eredità alle giovani generazioni un grande patrimonio spirituale. La classe politica nazionale ne sia degna!

20 agosto 2019

1970 – 2019 a cura di Miriam Ballerini

1970 – 2019

Ventotto ottobre 1970, è la data della mia nascita.
L'uomo era da poco sbarcato sulla luna, il decennio che ne sarebbe seguito sarebbe stato ancora movimentato, per citare solo alcuni casi di cronaca: Peppino Impastato venne ucciso dalla mafia, ci fu il sequestro di Aldo Moro, i movimenti che videro protagoniste le femministe, il movimento operaio ottenne lo statuto dei lavoratori …
Immagino il grande fermento, le lotte, le discese nelle piazze per reclamare i propri diritti; ma al neonato che ero allora, poca importava del periodo storico della propria venuta al mondo.
Ripensavo, invece, in questi giorni, agli anni della mia infanzia e prima adolescenza, una specie di “Cosa resterà di questi anni ottanta”, cantata da Raf.
Alla mente si sono presentati tanti ricordi, alcuni forse risibili, come le bottigliette di gazzosa a trecento lire e il gelato Pantera rosa!
Era un'Italia dove noi, compagni di classe, eravamo quasi tutti uguali. Dove ognuna vestiva con quanto poteva permettersi, ma che se c'era qualche conoscente in difficoltà, lo si aiutava. La merenda per uno, bastava per due.
Qualunque persona adulta ci riprendesse per qualche marachella, era degna di rispetto e in cambio aveva le nostre scuse e il nostro rossore.
Il bullo di turno c'era anche allora, ma veniva individuato e aiutato.
Era un'Italia dove il lavoro non mancava; le famiglie avevano il necessario, non il di più.
Parlo, ovviamente, delle famiglie operaie, come la mia.
Le macchine erano ancora strumenti al nostro servizio, non viceversa.
Oggi giorno, 2019, a quasi mezzo secolo di vita, che a dirla così pare proprio una cosa seria, fatico a riconoscermi. Non riesco a immedesimarmi nell'escalation della violenza verbale e fisica; nella deriva dei valori. Non posso specchiarmi in questi individui egocentrici, ignoranti, che la nostra scuola elementare li dovrebbe far arrossire fino alla radice dei capelli.
Questa comunità che si fa prendere in giro dal primo arruffa popoli che passa, che ha necessità di un nemico da individuare e contro il quale scagliarsi, dimostrando tutta la propria incapacità a creare una società civile.
Dove accidenti è il “popolo di santi, poeti e navigatori”? Il popolo che ha saputo fare fronte alle guerre, ai mal di pancia intestini?
Non mi meraviglia che, tornando sui miei passi, provi nostalgia per le serate di lucciole e zanzare, dove contava stare con gli amici, non da dove arrivassero. Nonostante la divisione nord – sud fosse sempre presente a un abitante della Lombardia quale io sono. Per fortuna è sempre stato un pensiero che mai mi è appartenuto.
Contava bere quella fantastica gazzosa, non per il suo prezzo, ma perché era il simbolo di quanto potevi permetterti con la tua paghetta; già allora capivi che ciò che si guadagna con la propria fatica e onestà, non ha prezzo.
Questo mondo di furbi, di mantenuti, di chi mente spudoratamente e viene creduto sia che dica una cosa o affermi esattamente il suo esatto contrario, è avvilente, è sminuente.
È devastante per un popolo fiero che ha sempre lavorato duro, portando nel mondo il proprio carattere e le sue capacità.
Perché l'Italia non è la mafia, non è la corruzione, non è chi odia e pone come proprio obbiettivo un nemico inventato.
Tutto ciò, in un paese, sono solo pustole che, se trascurate, possono solo rovinarne la faccia.

© Miriam Ballerini

16 agosto 2019

2019: un anno bellissimo… “Il dado è tratto” di Angelo Ivan Leone


             2019: un anno bellissimo… “Il dado è tratto” di Angelo Ivan Leone


In quello che doveva essere “un anno bellissimo”, almeno a detta del nostro presidente del Consiglio Giuseppe Conte, c’è stata una sorta di interruzione, un po’ come quando andava via il segnale della tv e ci si scusava per l’interruzione dei programmi.
Ecco, questa crisi che tantissimi italiani non hanno ancora compreso, quantomeno nel perchè proprio ora e adesso, e già li sento borbottare: “ma nemmeno il ferragosto in pace…”, ha bisogno di alcuni punti da chiarire per essere portata sul proscenio della triste cronaca, non certo della storia, cui appartiene. C’è da capire questo:

il problema della riforma parlamentare.

La riforma costituzionale in questione, che porterebbe i deputati da 630 a 400 e i senatori da 315 a 200, è stata già approvata in prima lettura, e in seconda lettura solo dal Senato. Ora dovrà essere approvata in seconda lettura dalla Camera, e il voto è, o meglio, era previsto per il 9 settembre. Se fosse passata tale riforma avrebbe apportato una modifica alla Costituzione che avrebbe richiesto tempi lunghi. Ergo

Salvini non avrebbe potuto sfruttare subito i consensi e si sarebbe logorato.

Stessa cosa e stessa logica per quanto riguarda la legge di bilancio che avrebbe fatto perdere consensi, veri o presunti, alla sua stessa persona. Per questo si è deciso a far saltare tutto in aria adesso. Non ha fatto una bella figura, perchè è evidente e chiaro che ha messo i suoi interessi personali-politici prima di quelli del Paese. Tanto è vero che lo hanno attaccato tutti, soprattutto i suoi ex alleati, su questo punto. Infine:

non è assolutamente detto che i consensi che ha nei sondaggi si trasformino in voti certi alle politiche anche se si votasse ad ottobre.

Ora: “alea iacta est” il dado è tratto avrebbe detto qualcuno cui Salvini vorrebbe disperatamente assomigliare.

14 agosto 2019

Crisi di governo al buio per i conti pubblici di Antonio Laurenzano

Crisi di governo al buio per i conti pubblici
di Antonio Laurenzano

Notte di San Lorenzo … in anticipo nel firmamento politico italiano: è caduta una stella, quella gialloverde del governo del cambiamento, il governo delle promesse della strana coppia Di Maio-Salvini affidate a un illusorio contratto di governo consegnato al premier Conte, novello “avvocato degli italiani”. E’ finita una stagione politica segnata da polemiche, contraddizioni e veti incrociati sullo sfondo di un crescente isolamento dell’Italia in Europa nel nome di un populismo farcito di retorica, demagogia ed empatia comunicativa. Annunci e dichiarazioni di facciata, selfie a go go, occupazione mediatica per nascondere ”l’insostenibile leggerezza dell’essere”, i limiti di un rapporto politico privo di “convergenze parallele”. Tutto questo con una finanza pubblica precaria e un’economia del Paese sull’orlo della recessione. L’illusione è ora finita, la “gioiosa macchina da guerra” a guida populista, che doveva operare almeno una legislatura per cambiare il Paese, è andata a sbattere dopo poco più di un anno contro il muro degli interessi partitici di un suo macchinista.
In una calda notte di agosto, la meteora gialloverde si è dissolta con una manovra spericolata, assolutamente inaspettata, condotta con spregiuticatezza dal leader della Lega “per capitalizzare il consenso elettorale del voto europeo”. Una road map di rottura che piazza la crisi di governo nel momento peggiore per gli interessi del Paese, non ultimi quelli legati alla nomina del nostro Commissario europeo per un posto di prestigio a Bruxelles. Con una maggioranza a pezzi, la forza negoziale italiana per strappare un incarico di peso (concorrenza) appare del tutto azzerata. Per i tempi scelti, una crisi al buio, ad alto rischio per i conti pubblici che aggrava il difficile cammino della prossima sessione di bilancio, con i tanti vincoli di spesa da rispettare. E un primo segnale poco rassicurante è già arrivato dai mercati nell’ultimo weekend: lo spread Btp-Bund si è impennato oltre 240 punti, Piazza Affari ha chiuso a -2,48% , bruciando 15 miliardi di euro di capitalizzazione, soprattutto nel comparto bancario.
Nubi minacciose si addensano ora sul futuro politico ed economico del Belpaese. La manovra di bilancio detta i tempi della crisi politica e condiziona le vicende parlamentari. Riposti in agenda i recenti annunci alle parti sociali, dalla flat tax al salario minimo, al taglio del cuneo fiscale, accantonato ogni contrastato disegno di autonomia regionale differenziata, sul tappeto resta il nodo dell’Iva con gli aumenti delle aliquote già decisi in passato per legge: la ridotta dal 10 al 13%, l’ordinaria dal 22 al 25,2%, per poi salire ancora al 26,5% nel 2021. Un costo medio annuo per famiglia, stimato dal Sole24Ore, pari a 541 euro, con effetti a cascata sui consumi e sulla crescita economica (produzione, occupazione).
La Legge di bilancio 2020 parte da un fabbisogno accertato di oltre 27 miliardi di euro, di cui 23,1 per sterilizzare gli aumenti dell’Iva e 4 per spese indifferibili collegate a missioni militari di pace all’estero. Una copertura fondi per la quale servono scelte politiche forti e condivise. Tempi strettissimi. La manovra economica, elaborata da un esecutivo in carica per il disbrigo degli affari correnti o da un governo istituzionale incaricato di portare il Paese al voto, dovrà arrivare in aula entro il 20 ottobre, preceduta dall’invio del dossier a Bruxelles. Una manovra anticipata per blindare i conti pubblici prima delle turbolenze elettorali e “tacitare” mercati finanziari e Commissione europea, ma soprattutto per scongiurare l’esercizio provvisorio che vincolerebbe l’esecutivo a gestire la sola amministrazione ordinaria, con le conseguenti misure: aumento dell’Iva, margini di spesa ridotti (a rischio gli investimenti, il reddito di cittadinanza, la cassa integrazione). Sarebbe un colpo fatale per l’incerto quadro di finanza pubblica e sugli equilibri socio-economici del Paese. E’ l’ora di scelte responsabili, non dell’avventurismo elettorale.

05 agosto 2019

La malia della cultura a cura di Angelo Ivan Leone

La malia della cultura a cura di Angelo Ivan Leone

"Con la cultura non si mangia! " ha esclamato più di qualche onorevole e ministro in questo sfortunatissimo Paese. Con la cultura, in realtà, non solo si può mangiare, ma si può anche incantare ed ammaliare.
Ed è proprio di questa malia, di questa incantevole magia che la rappresentazione andata in scena a Matera viene a parlarci. L'opera: "La cavalleria rusticana" di Pietro Mascagni non ha bisogno di presentazioni.
Tutto ha avuto il sapore del bello in questa iniziativa come nel rendere Matera capitale della cultura per l'anno 2019, dopo essere stata definita, con i suoi sassi: "vergogna nazionale" da Togliatti, altrimenti anche definito "il migliore" e figuriamoci gli altri, il capoluogo lucano è diventato sempre con e per i suoi sassi: capitale della cultura.
Il tempo provvede a rendere giustizia. Si ricorda, infine, che tutto questo non sarebbe stato possibile senza l'Unione Europea e i suoi finanziamenti per tali progetti. Sarebbe bello che chi da questa Unione vuole uscire, prima di portarci in Sudamerica, se ne ricordasse.

Bologna, Italia: quanto costa la verità? a cura di Angelo Ivan Leone

Bologna, Italia: quanto costa la verità? a cura di Angelo Ivan Leone


Si sta, come cantò il poeta: "come d'autunno sugli alberi le foglie" a pensare e a meditare errabondi su che senso ha avuto la parola democrazia nel nostro Paese. Se è giusto poterla definire "democrazia bloccata" dove ogni cambiamento veniva impedito a suon di carognate, stragi e assassini, pur di lasciare tutto com'era, nel nome di quella logica spartitoria partorita a Yalta. Eppure tutto questo, seppur spiega, non giustifica e non giustificherà mai queste stragi. Perchè ricordarlo ancora, allora? Perchè rimembrare tutto questo dolore? Perchè, come Primo Levi ci avvertì, "questo è accaduto, significa che può accadere di nuovo"

Non dovrà accadere di nuovo, dobbiamo vivere affinchè non accada mai più. Per sapere, infine, chi sono i responsabili lascio parlare un istrione, come ricordarono degli scienziati a Grillo: "Lo dica lei signor Grillo, lei è un comico, a lei credono!" Ecco, lascio la parola a Grillo per comprendere i responsabili, chi meglio di un comico in un Paese farsesco come questo? "Quando gli toglieranno la scatola nera dalla gobba, allora sapremo la verità"

02 agosto 2019

La calda estate del fisco: in arrivo le pagelle di Antonio Laurenzano

La calda estate del fisco: in arrivo le pagelle


di Antonio Laurenzano
Pagelle fiscali” in arrivo per oltre 3,5 milioni di contribuenti. I redditi 2018 di esercenti attività di impresa o di lavoro autonomo, in fase dichiarativa, sono sotto esame Isa (Indici sintetici di affidabilità), il nuovo strumento di “compliance” finalizzato a favorire, in un rinnovato rapporto di collaborazione fisco-contribuente, l’emersione spontanea di base imponibile e il conseguente assolvimento degli obblighi tributari. 152 versioni Isa, per 157 attività economiche, con l’obiettivo di “semplificare e ottimizzare il sistema fiscale”, secondo gli auspici di Antonino Maggiore, direttore dell’Agenzia delle Entrate.
Dalla finalità di “rendere più efficace l’azione accertatrice”, tipica dei vecchi studi di settore, andati in archivio dopo 26 anni, si è passati con i nuovi indicatori a incentivare comportamenti fiscali corretti. Introdotti con il D.L. 50/2017, gli Isa rappresentano la sintesi di indicatori elementari (di affidabilità e di anomalia) volti a verificare la normalità e la coerenza della gestione aziendale o professionale. Il contribuente, con alcune eccezioni di legge, attraverso l’applicazione dello specifico software, può verificare il proprio grado di affidabilità fiscale in base al posizionamento su una scala di valori da 1 a 10 (massima affidabilità). Ai soggetti “virtuosi”, quelli cioè “affidabili”, sarà riconosciuto un regime premiale: esonero del visto di conformità per la compensazione dei crediti, esclusione dagli accertamenti basati su presunzioni semplici, riduzione dei termini di prescrizione, rimborsi d’imposte più rapidi. Per accedere ai vantaggi fiscali il contribuente ha la possibilità di migliorare il punteggio di affidabilità, correggendo eventuali errori commessi nella compilazione del modello Isa, oppure indicando in dichiarazione ulteriori componenti positivi di reddito che non risultano dalle scritture contabili, rilevanti ai fini delle imposte.
Per contribuenti e professionisti un’estate calda anche sul fronte fiscale. Una lunga maratona segnata da un corto circuito sul piano operativo generato dal ritardo delle Entrate sul software, nonché dalle criticità riscontrate sul recupero dei dati storici (un range di otto anni) e soprattutto dall’incognita legata alle risultanze degli indici. Non è chiaro da dove scaturisca il voto finale che il software attribuisce. Dopo i primi test del nuovo sistema è crescente il disagio degli operatori: il passaggio dagli studi di settore agli Isa può riservare un salto nel buio, i “voti” in pagella possono essere ribaltati. Almeno il 40% dei contribuenti potrebbe non raggiungere la soglia della sufficienza ed essere quindi esposto a un’azione di monitoraggio del Fisco per rischio di evasione. L’ombra lunga degli studi di settore, sotto mentite spoglie, si percepisce minacciosa. Resta più di una perplessità. Tutto molto approssimativo per decisioni importanti da prendere circa il reddito da dichiarare e le imposte da pagare. E a nulla è servita la proroga delle scadenze delle imposte al 30 settembre, solitamente previste per il 30 giugno.
Incertezze operative legittimate dal perentorio intervento del viceministro dell’economia Massimo Garavaglia che, durante un recente convegno del Sole 24Ore, ha spietatamente etichettato gli Isa come “uno strumento inutile che verrà presto abrogato perché ormai superato dalla fatturazione elettronica e dall’invio telematico dei corrispettivi”. Dal tormentone estivo allo psicodramma. Rebus o il solito zibaldone all’italiana?

La ragione del male di Angelo Ivan Leone


La ragione del male 
Rileggendo il capolavoro di Primo Levi: I sommersi e i salvati, ho potuto riscontrare quelle dinamiche storiche eterne che tanto possono spiegare anche di questi nostri ultimi sciaguratissimi giorni. L’autore deportato ad Auschwitz è autore dei, forse, più conosciuti libri che documentano la prigionia nel lager: Se questo è un uomo e della sua liberazione dal lager stesso e della tribolata via per giungere dalla Polonia nella sua natale Torino, con la sua altra grande opera: La tregua.
In I sommersi e i salvati Levi affronta, con il suo essere e il suo spirito, quelle domande angosciose che tutti gli uomini si sono posti, almeno una volta nella loro vita: il perché del dolore e, soprattutto, il perché del male.

Il libro è composto di 9 capitoli.

Nel 1: la memoria dell’offesa Levi ci ricorda che
“la memoria umana è uno strumento meraviglioso ma fallace”
e ricorda le parole scritte dal filosofo Jean Amery, filosofo austriaco torturato dalla Gestapo e poi deportato ad Auschwitz perché ebreo
“Chi è stato torturato rimane torturato (…) Chi ha subito tormento non potrà più ambientarsi nel mondo, l’abominio dell’annullamento non si estingue mai. La fiducia nell’umanità, già incrinata dal primo schiaffo sul viso, demolita poi dalla tortura, non si riacquista più”.
Per quanto riguarda quello che si può fare della memoria e sulla memoria, Levi, sempre nello stesso primo capitolo denuncia
“Del resto, l’intera storia del Reich millenario, può essere riletta come guerra contro la memoria, falsificazione orwelliana della memoria, falsificazione della realtà, negazione della realtà, fino alla fuga definitiva dalla realtà medesima”.
Nel 2: la zona grigia, Levi ci parla, appunto, di quella collaborazione su più livelli e a più livelli che interviene tra l’apparato repressivo di uno stato totalitario e i propri sudditi. Nello specifico di quella collaborazione tra il Nazismo e i suoi complici e collaboratori a livello internazionale: dal Fascismo italiano ai vari Quisling europei, da quello vero e proprio in Norvegia al governo di Vichy in Francia ai vari fascismi disseminati in Europa e della complicità tra i comuni esseri umani e la macchina della morte messa in moto dalla svastica in tutto il Vecchio continente. In particolare si sofferma sulla creazione, da parte delle SS, delle Sonderkomando, le SK, squadre speciali costituite in massima parte di ebrei direttamente prelevati all’arrivo dei treni, che avevano il compito di
“essere introdotti nelle camere a gas; estrarre dalle camere i cadaveri, cavare i denti d’oro dalle mascelle, tagliare i capelli femminili; smistare e classificare gli abiti, le scarpe, il contenuto dei bagagli; trasportare i corpi ai crematori e sovraintendere al funzionamento dei forni; estrarre ed eliminare le ceneri”.
Ad Auschwitz si succedettero dodici squadre, ognuna di queste squadre, chiamate “i corvi del crematorio” rimaneva attiva qualche mese e poi veniva interamente soppressa. L’ultima squadra nell’ottobre del 1944, si ribellò alle SS e fece in tempo a far saltare uno dei forni crematori, prima di essere sterminata dalle stesse SS in un impari scontro armato.
Levi indica che
“aver concepito le Squadre è stato il delitto più demoniaco del nazionalsocialismo”
Levi, infine, sempre nel corso di questo secondo capitolo cita un avvenimento “de relato” ossia visto e narrato da un’altra persona. Nello specifico Miklos Nyiszli, medico ungherese, tra pochissimi sopravvissuti dell’ultima squadra speciale di Auschwitz, il dottore narra “di aver assistito, durante una pausa “lavoro” ad un incontro di calcio fra SS e SK (Sonderkommando, le squadre speciali) vale a dire, fra una rappresentanza delle SS di guardia al crematorio e una rappresentanza della squadra speciale; all’incontro assistono agli militi delle SS e il resto della Squadra, parteggiano, scommettono, applaudono, incoraggiano i giocatori come se, invece che davanti alle porte dell’inferno, la partita si svolgesse sul campo di un villaggio. Niente di simile è mai avvenuto, né sarebbe stato concepibile, con altre categorie di prigionieri; ma con loro, con i “corvi del crematorio”, le SS potevano scendere in campo, alla pari o quasi.

Dietro questo armistizio si legge un riso satanico:

è consumato, ci siamo riusciti, non siete più l’altra razza, l’anti-razza, il nemico primo del Reich millenario:
non siete più il popolo che rifiuta gli idoli. Vi abbiamo abbracciati, corrotti, trascinati sul fondo con noi. Siete come noi, voi orgogliosi: sporchi del vostro sangue come noi. Anche voi, come noi e come Caino, avete ucciso il fratello. Venite, possiamo giocare insieme”.
Non scriverò di tutti gli altri capitoli di questo capolavoro di Levi e di tutto quello che in ogni singolo capitolo esso riesce a trasmettere, ad insegnare e ad educare nel lettore. L’invito che faccio al lettore è di leggere questo libro per capire, per comprendere e, soprattutto perché, come ci ricorda proprio Levi nella sua conclusione, tutto questo
“È avvenuto, quindi può accadere di nuovo: questo è il nocciolo di quanto abbiamo da dire”
Ed è proprio perché tutto questo non accada mai più noi abbiamo un dovere sacrosanto: leggere Primo Levi e i Sommersi e i Salvati.

ADDIO AL PATTO DI STABILITA’ STUPIDO di Antonio Laurenzano

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