27 luglio 2022

ATTIMI ETERNI – secondo volume di Debora Fazio


 
ATTIMI ETERNI – secondo volume di Debora Fazio

ASIN ‏ : ‎ B08DSR7K42

Editore ‏ : ‎ Independently published (29 luglio 2020)

Lingua ‏ : ‎ Italiano

Copertina flessibile ‏ : ‎ 60 pagine € 6,23

ISBN-13 ‏ : ‎ 979-8670590532

Attimi eterni è una raccolta di poesie scritte tra il 2018 e il 2020."L'arte non ha sesso. Essa va oltre il concetto di maschile e femminile, ma li include entrambi al tempo stesso. L'arte non ha fine. Rinasce sempre dalle sue ceneri. Immortale."

Debora Fazio, classe 1990, Diplomata con il massimo dei voti all'Istituto Magistrale, indirizzo Socio-Psicopedagogico ha, fin dall'età di dodici anni, sviluppato una grande passione per la scrittura, la letteratura, la poesia, la musica e l'arte. Ha pubblicato la sua prima opera nel 2015, dopo tredici anni di studio e gavetta. È autrice letteraria, poetica e musicale e book blogger. Appassionata, inoltre, di psicologia, criminologia, diritto, teologia, cultura in generale. Pubblicazioni: Jason - il coraggio di vivere, 20 Luglio 2015, romanzo di formazione a tematica Lgbt. Attimi Eterni, 5 Dicembre 2015, raccolta di poesie scritte tra il 2013 e il 2015. Una donna nel vento, 5 Febbraio 2016, racconto di narrativa contemporanea. Esta vida: la historia de Emma De Francisco, 26 Marzo 2017, racconto di narrativa contemporanea.

LA STRADA IN SALITA DEL PNRR di Antonio Laurenzano

 


LA STRADA IN SALITA DEL PNRR

di Antonio Laurenzano

Iniziato il conto alla rovescia per l’election day del 25 settembre. Per i partiti una corsa contro il tempo per definire programmi e alleanze inseguendo con la leadership i veti incrociati e le intenzioni di voto dei sondaggi. Sullo sfondo la grande incertezza del momento: la guerra in Ucraina, la crisi energetica, l’emergenza economica. E non sarà facile affrontare la campagna elettorale con le tante risposte da dare, e non soltanto a livello nazionale. E’ scaduto il tempo delle televendite e delle promesse facili, è finita la stagione delle illusioni. Le sfide da affrontare nell’immediato sono molteplici: inflazione, recessione, disuguaglianze, siccità, migrazioni, pandemia. E soprattutto gli impegni del Pnrr. E’ in gioco la credibilità dell’Italia, la sua azione di governo finalizzata a riformare il sistema economico e amministrativo per renderlo stabile e affidabile.

E’ particolarmente rischiosa la grande impasse politica generata da una crisi al buio sulla macchina legislativa. Cresce la possibilità di fallire gli obiettivi del Piano nazionale di ripresa e resilienza di fine anno e di perdere non solo i 46 miliardi in arrivo, di cui 24,1 legati agli obiettivi del 30 giugno e 21,9 a quelli del 31 dicembre, ma l’intero Piano da 191,5 miliardi. Una follia politico-finanziaria. Con lo scioglimento delle Camere, sarà infatti difficile approvare in Parlamento nei tempi previsti alcune importanti riforme, in particolare quella della concorrenza, del fisco e della giustizia tributaria. A rischio anche importanti decreti attuativi fra cui quelli relativi al codice degli appalti e al processo civile e penale. Tutti i disegni di legge che non saranno approvati entro la fine dei lavori delle Camere sciolte decadranno e si ricomincerà da zero con il nuovo Parlamento.

Una strada in salita per il Pnrr e per la legislatura che uscirà dal voto di settembre, operativa non prima di metà novembre. Dovrà realizzare entro fine dicembre 55 obiettivi, legati in gran parte a deleghe legislative, per accedere alla terza tranche del contributo europeo. Tanti i dossier aperti. Un’impresa ardua se associata all’iter della Legge di bilancio da approvare entro la stessa data per scongiurare l’esercizio provvisorio con i relativi vincoli di spesa. Osservato speciale resta dunque il Pnrr. La rilevante quantità di fondi europei che il nostro Paese ha impegnato rende necessario più che mai il rispetto di condizioni e termini fissati dall’Ue nel varare il Next Genaration EU, un pacchetto di riforme e investimenti per il periodo che va dal 2021 al 2026. Come ha ricordato Draghi nel suo ultimo intervento al Senato, “il Pnrr, approvato a larghissima maggioranza dal Parlamento, ha avviato un percorso di riforme e investimenti grazie a 68,9 mld di sovvenzioni e 122,6 mld di prestiti dell’Ue che non ha precedenti nella nostra storia recente”. Un ambizioso piano finalizzato alla modernizzazione del Paese che attende di essere realizzato, sfidando le insidie della campagna elettorale.

Il premier dimissionario ha ribadito l’impegno di accelerare i tempi dei lavori per non compromettere del tutto l’operazione “Italia del futuro”. Un impegno fissato nella recente circolare di Palazzo Chigi, in linea con le direttive del Quirinale: “Il Governo rimane impegnato nell’attuazione legislativa, regolamentare e amministrativa del Piano nazionale di ripresa e resilienza e del Piano nazionale per gli investimenti complementari”. Una dichiarazione che rappresenta la “bussola” che Palazzo Chigi adotta con le dimissioni per definire il perimetro della propria azione durante la crisi. L’attuazione del Pnrr viene cioè ricompresa tra gli “obblighi internazionali e comunitari” con la possibilità quindi per il Governo di poter procedere anche con l’approvazione dei decreti legislativi attuativi di deleghe e con l’adozione di regolamenti governativi o ministeriali. Ma al di là di ogni pur lodevole dichiarazione d’intenti, confermata nell’incontro con le associazioni datoriali (“le attività del Governo non si fermano”), il lavoro di Mario Draghi non sarà facile: non bastano le indicazioni formali all’interno di un quadro politico avvelenato dalle sirene elettorali.

Dopo una pericolosa fuga in avanti condotta nel segno della irresponsabilità occorre una prova di… responsabilità finale per allontanare dai palazzi romani l’instabilità politica e l’inaffidabilità internazionale, evitando di esporre il Paese alle imboscate dei mercati finanziari. In attesa del voto, si apre una pagina densa di incognite. L’Italia veleggia verso i tremila miliardi di debito pubblico, fronteggia una drammatica crisi energetica, si prepara a un autunno caldo sul fronte sociale per l’incalzare della inflazione che erode il potere di acquisto. E venire meno agli impegni presi con l’Europa con una serie di riforme liberali, cestinando il Piano di ripresa socio-economica, sarebbe il più rovinoso scivolone di una classe politica che, distratta da un anacronistico sovranismo e da un demagogico populismo, non ha certamente brillato in cultura politica, visione programmatica e accorta azione di governo. Crisi di sistema, dobbiamo prepararci al peggio? Non basta “coalizzarsi” attorno a una miracolosa “agenda Draghi” per esorcizzare beghe di partito, per cancellare guasti e ritardi, per recuperare dignità e purezza politica dopo i miseri giochini di potere per catturare consensi perduti. L’obiettivo di fondo per i partiti non può solo essere vincere le elezioni, ma governare bene e ricomporre la profonda frattura fra politica e società civile, grave malattia della democrazia. Servono serietà, responsabilità, coesione, competenza. E autorevolezza. “Per chi suona la campana”?




23 luglio 2022

Antoni O ' Breskey A NOMADIC PIANO JOURNEY di Claudio Giuffrida

 


Antoni O ' Breskey A NOMADIC PIANO JOURNEY di Claudio Giuffrida

La musica è considerata oggi come un ' arte sublime o come un banale prodotto di consumo. Ci siamo completamente dimenticati che era semplicemente una parte della vita. da Heyoka il giullare dell’anima di Antoni O ’ Breskey
Antonio Breschi, classe 1950, fiorentino di nascita ma irlandese di adozione, non a caso ha scelto come nome d’arte quello di Antoni O’Breskey, una sagace traduzione del suo nome in irlandese e segno di una precisa appartenenza affettiva. Eclettico compositore, pianista, trombettista, cantante e scrittore.

Diplomato al conservatorio Luigi Cherubini di Firenze in pianoforte e tromba, le sue strade però vanno subito verso direzioni decisamente Jazzistiche, infatti già  a sedici anni fonda l'Associazione Firenze Jazz. Scopo di questo articolo è' di condurre il lettore - ascoltatore attraverso le suggestioni musicali della sua carriera, ma mi piacerebbe soprattutto raccontarne lo spessore umano e artistico. Oltre 5 lustri fa ho avuto la fortuna di conoscerlo personalmente, rimanendo affascinato immediatamente dalla sua musica e anche chiedendomi come mai da noi un musicista così geniale e innovativo fosse pressochè  sconosciuto al grande pubblico.

La risposta, ovviamente,  soffia nel vento... soprattutto nell’ingrato music business, ma mi e '  sempre sembrata un’ingiustizia nei confronti di chi amasse davvero la buona musica, perche '  nei suoi dischi non c’e' solo talento e bravura ma anche la possibilita '  di emozionarsi, di essere coinvolti da melodie struggenti, il sentirsi trasportati in mondi sconosciuti e pieni di fascinazione.
Spiegazioni ne ho poi comunque trovate approfondendo il suo modo di porsi nei confronti della vita da musicista: Breschi irriducibile ribelle nei confronti delle regole dell’industria discografica da cui non accetta condizionamenti e perennemente attratto dai linguaggi musicali di mezzo mondo e per questo incapace di fermarsi troppo nello stesso luogo per curarsi di marketing e distribuzione. Nonostante tutto questo e '  nato il Nomadic Piano Project, per trascendere confini geografici e culturali, per ricercare una fusione di generi che poi verra '  chiamata world music o musica etnica. Una produzione di oltre 40 dischi “ consultabili ” anche a questo link: https://nomadicpiano.bandcamp.com/

Ma iniziamo questo ascolto guidato attraverso del materiale video anche live che ne favorisce l’approfondimento conoscitivo nel modo più variegato possibile e spero esaustivo.

Dopo l ’ iniziale esperienza musicale con i fiorentini Whisky Trail negli anni ’70, Breschi si trasferisce in Alabama e cosi ' scrive: “quello che a New Orleans chiamavano tradition, come scrivo nel mio libro – I geni di Alabama, ma risultato di anni di ricerche che mi hanno convinto di un fatto e cioè , che il jazz e '  nato dall’incontro degli schiavi irlandesi – deportati addirittura prima dei neri da Cromwell – e di quelli africani. Il jazz e ' quasi più irlandese che africano, soprattutto nella danza. E in Irlanda quella musica si chiama ancora tradition.”


In questa affermazione c ’ è l’essenza di quella che è  la sua lunga produzione musicale e che lo porta a dimostrare con la sua musica le sue teorie, che sposano il jazz associato al flamenco, alla musica irlandese e Balcanica attraverso composizioni per la prima volta per il pianoforte, non proprio lo strumento “classico” di questi generi.
E ’ In Irlanda che Antonio Breschi trova molte collaborazioni che caratterizzeranno poi alcuni suoi dischi importanti come Ode to Ireland (1982), Irish meditation (1986), My irish Portrait (1994) e Irish Airs (2000).Vi risiederà  per molti anni e ancora oggi le sue attività  concertistiche sono principalmente legate a questi luoghi.

Ma ricordiamo qui gli inizi con il grandissimo Ronnie Drew dei Dubliners, dal vivo in Irlanda: Raglan road

https://youtu.be/PZKLy5FRCJA

Raro documento della cineteca Rai del 1983: Antoni O'BreskeySteve Cooney & Hopi Hopkins Improvisation

https://youtu.be/nkL0n3vtnj0

Nel 1988 con il gruppo Al Kamar, di cui fa parte anche il direttore dell ’ Orchestra di Tangeri, Jamal Ouassini, con Antonio Carmona de Los Abichuelas, del celebre gruppo flamenco Ketama, celebra il viaggio dei gitani dall’India alla Spagna, l’unione dei popoli attraverso la musica e le comuni radici culturali. “ Al chiarore di AL KAMAR (“ la luna ”, in arabo) – spiega Antonio – si riuniscono e festeggiano popoli e culture del Mediterraneo e del mondo Celtico- Iberico: Gitani, Arabi, Baschi, Irlandesi ed Ebrei Sefarditi ”.

In questo video “ vintage ” c’è tutta la spontaneità e la poesia di questo progetto: Nomadic Piano Project - Al Kamar in Paris

https://youtu.be/VrYh175AV3M

Breschi sara' l’unico pianista a comporre musica originale flamenca con il pianoforte, ben prima di Riverdance. Qui una recente versione dal vivo:

Viaje Gitano - Irish Meets India and Flamenco -2012

https://youtu.be/1r162fB-hqI

Definito dalla stampa estera il Keith Jarrett del Mediterraneo, il Pioniere della World Music, Breschi ama invece definirsi un mezulari che, in lingua Euskera, vuol dire messaggero di popoli e culture. Infatti rilevante è stato il suo incontro con il poeta basco Jose' Angel Irigaray con cui si sono intrecciate importanti collaborazioni musicali dove ha infuso il fascino di questo misterioso paese dal passato di popolo oppresso come è successo all’Irlanda. “ Il pianoforte di Breschi trasmette emozioni irripetibili, meravigliose composizioni che spaziano nell’universo della contaminazione. ...giù attraverso le radici / legato con amore alla Madre Terra / su verso il cielo cercando luce / spargendo vita ai quattro venti...' scrive lo stesso Jose Angel Irigaray. Usciranno del 1985 Mezulari, Donostia nel 1999 e nel 2005 Zeharbidetan:

Antoni 'O Breskey - Ronnie Drew - Benito Lertxundi

From Dublin to Bilbao
https://youtu.be/YBPwwOh4Pgg
Munagorriren Proklama - Antoni O'Breskey & Ronnie Drew

https://youtu.be/Q5ORoIvBx34

Decisamente molto importanti nelle sue produzioni musicali saranno anche altre collaborazioni musicali e di vita vissuta con musicisti che con lui hanno condiviso progetti originali e ricchi di ispirazione: dal già citato Ronnie Drew (voce dei Dubliners) in From Dublin to Bilbao, al principe del Burkina Faso Gabin Dabire ' in New Orleans Jig, agli Inti- illimani a fine anni 70, a molti musicisti italiani in particolare Biancastella Croce (strumenti andini) in Orekan-Ethnic simphonyEnnio Marfoli (oboe) in Boletus edulis e Davide Viterbo (violoncello) nei molti dischi piu ' recenti:

Ma l ’ elenco delle sue collaborazioni e ' davvero lunghissimo in questi oltre 40 anni di carriera, propongo questi tre brani rappresentativi:

Con Gabin Dabire 'Nostalgia jig .

https://youtu.be/FIFL2xfnfNc
Ready to Sail (2011), Dancing Waves (2014), The whale’s lament (2016), Samara (2020).

Con Davide Viterbo:
The Whale's lament in Waterville
https://youtu.be/gT8nYkPah38
https://youtu.be/J92QODJtrY8

Nel suo fare musica Antonio Breschi ha sempre cercato di ribellarsi all’egemonia e alla superiorita '  della musica colta preferendo l’estro, il talento e l’autenticita ' dei musicisti gitani o irlandesi per cui la musica e ' pura creativita ' e parte indissolubile della propria vita. Nel 2002 esce un disco in cui Antonio Breschi trasfigura BachMozart e Beethoven in brani di musica irlandese, improvvisazione jazz, atmosfere minimaliste, ironiche, eleganti e romantiche. Un modo nuovo di incantare e stupire avvicinandosi alla musica classica.

When Bach was an Irishman - live Fiuggi Web Television
https://youtu.be/Yaw8FUmQjUk

Con Enio Marfoli prestigioso oboista italiano:

Con Jose ' Seves (Inti illimani), Biancastella CroceY Arriba Quemando El Sol - live 2010

Da: " Boletus Edulis: Suite For Piano And Oboe ".
Basque Pastorale
https://youtu.be/GsdY3zESKlY

La seguente è l’immagine poetica secondo me più rappresentativa del suo stile musicale e che meglio incarna il suo modo di comporre con il pianoforte:

" Improvvisamente il piano inizia a cantare come un' arpa, a piangere come un antico canto gaelico, a ridere come una cornamusa, a correre come un tamburo africano, a ballare come una chitarra flamenca, a parlare come un fiddle, a gioire come un banjo, a dondolare come lo swing di una tromba jazz.”

Queste le versioni dal vivo delle sue composizioni originali in perfetto stile irish, appartenenti a Ode to Ireland del 1982:

Jig in the castle Zurich 2012
From Ireland to India with flamenco duende

https://youtu.be/CaZsd4fTHFE

 Woman of the sea - Mantova 2015  https://www.youtube.com/watch?v=1Ynx7eh1DdI
 
 Dancing leaves Feile Traidphicnic 3 July 2020

https://youtu.be/BIOaVeA4K2k

In queste sue ulteriori parole scopro le radici della ricerca di un significato non convenzionale della sua musica:

“ Il valore è il fine primario della musica non è solo quello estetico. La parola estetica è ormai quasi uggiosa da quanta ridondanza e retorica ha accumulato negli anni. Nasce originalmente non dal concetto di bellezza esteriore delle forme ma proviene dalla parola estasi. Questa parola esprime un significato quasi opposto e racchiude un concetto ben diverso da quello attribuito alla “ estetica ”. L’estasi è lo stupore ingenuo del fanciullo davanti alle meraviglie dell’universo, il contrario esatto delle certezze e delle presunzioni di tanti intellettuali critici e virtuosi. Così il senso della musica non è  quello “ estetico ” codificabile e incasellabile ma quello “ estatico ” che rimanda al mistero dell’esistenza e ci collega con la natura magica ed imprevedibile. Ecco per noi cosa manca spesso nel mondo musicale odierno sia esso quello della “ interpretazione ” classica, della ” improvvisazione jazzistica ” o delle esecuzioni semplificate della musica rock e pop. Manca spesso l’imprevedibilità, a magia e anche il senso dell’umorismo ! Questi sono tre fattori che possono produrre l ’ estasi e se si unisce l ’ estasi alla comunicazione e alla socializzazione allora abbiamo capito i valori primari della musica.”

Lascio a tre sue originali composizioni tra le più  suggestive del suo repertorio il compito di concludere:
Buenos Aires - Antoni O' Breskey live 2007

https://youtu.be/P3FUX7jKH1k
Samara Live at Hellfire Studio 2021

https://youtu.be/3x2jFltFJEs
Chinese blues
https://youtu.be/GJXGW06A8XU

Alla fine di questo Nomadic Piano Journey spero di essere riuscito a farvi sentire parte del viaggio musicale che Antonio Breschi continua a proporre attraverso le esperienze e gli straordinari incontri di popoli e culture, per varcare quel ponte che collega mondi e sonorità  lontane tra loro ma che abbiamo diviso con inutili barriere e con falsi pregiudizi. Sito web:

https://youtu.be/pGn74rsuB8E






22 luglio 2022

A PROPOSITO DEL POPOLO CHEYENNE (2) a cura di Enrico Pinotti

 


A PROPOSITO DEL POPOLO CHEYENNE (2)

Nel precedente articolo, parlavamo, a proposito del popolo dei Cheyenne del loro rito in occasione di indurre riunioni che era quello di esporre il fascio delle quattro frecce consacrate e parlavamo anche della separazione forzata fra di loro, una comunità a sud, nell’Oklahoma, l’altra nello Stato del Montana. Ebbene, questo rito e di conseguenza queste riunioni ebbero fine con la separazione ma il fascio di frecce era conservato dai Cheyenne del meridione i quali continuarono a consacrarlo ed a esporlo nelle cerimonie fino al 1904.

Oltre al rito pubblico ve n’è un altro, eseguito ad intervalli più brevi e indicato come ‘accomodatura’ delle frecce, che riguarda però solo i sacerdoti. La cerimonia pubblica contava sempre sulla presenza di alcuni delegati della metà settentrionale della tribù. Alle donne, ai bianchi e ai sangue misti non è mai stato permesso di avvicinarsi alle frecce sacre.

Per generazioni, la massima cerimonia tribale dei Cheyenne è stata la Danza del sole che essi dicono di aver appreso dai Suh’tai, dopo il loro abbandono delle regioni boscose e l’ingresso nelle pianure a sud e sud-est. Anche la Danza del bisonte pare derivi dagli antenati Suh’tai, la quale era anticamente connessa con la ‘danza del sole’, ma già alla fine del secolo scorso non veniva più eseguita. I Cheyenne -caratterizzati da una forte religiosità- aderirono con entusiasmo alla Danza degli spettri, al culto del peyote ed a ogni altra manifestazione revivalistica, tipica delle società oppresse.

Fino alla metà del secolo scorso i Cheyenne praticavano anche una Danza del fuoco, molto simile a quella dei Navajo: gli esecutori iniziati danzavano su uno strato di carboni accesi fino a spegnerli con i piedi nudi.

Per la Danza del sole e ogni volta che la comunità si riuniva, i Cheyenne formavano il circolo del campo su undici sezioni, occupate da altrettante divisioni tribali riconosciute.

Poiché una di queste era in realtà una tribù incorporata e diverse erano state prodotte dalla segregazione, pare accertato che il numero originale non fosse superiore a sette. Alcuni studiosi sostengono che queste divisioni costituivano in realtà dei clan, ma la cosa è tutt’ora discussa.

Le abitudini nomadi –che imponevano alle varie bande di restare separate, con un incontro annuale- avrebbero in effetti reso quasi impossibile il mantenimento di un’efficace e continuo sistema esogamico. Tuttavia, se è quasi certo che i Cheyenne usavano il sistema dei clan quando erano una gente sedentaria, esso scomparve con l’adozione del nomadismo, al punto che nessuno ne serbava ricordo. È perciò più probabile che le divisioni abbiano avuto un’origine completamente diversa e rappresentino le sedi originali dei villaggi nell’antica patria, tanto più che vi si rilevano notevoli differenze dialettali.

Poiché oggi sono oltre 140 anni che le tribù non si riuniscono e le strutture sociali che esse si erano date sono state distrutte dal tempo, dalle malattie, dalle invasioni, dalle guerre e dalla commistione con i Sioux, l’ordine ed il numero esatto di queste divisioni, ancora al principio del nostro secolo, veniva discusso fra gli anziani delle tribù, sebbene tutti fossero d’accordo che i nomi relativi fossero circa venti: di seguito proviamo ad elencarne alcuni con le improbabili traduzioni:

Heviqs’-ni’pahis (gente dalle aorte chiuse col fuoco), Moiseyu (gente della selce), Wu’tapiu (di origine sioux che significa ‘mangiatori’), Hevhaita’nio (uomini crinuti o impellicciati), Oi’vimana (gente con pelle crostosa o rognosa), Hisiometa’nio (‘Uomini del crinale’; pare che questo nome abbia avuto origine dal luogo dove abitavano le tribù, sul crinale a nord dell’Arkansas) Poi sono citati gli Ho’nowa (‘gente povera’, una piccola divisione derivata dagli Oqtoguna), gli Moqtavhaita’nou (o ‘uomini neri’ la maggior parte dei quali viveva nelle pianure del sud), Pi’nutgu ( appellativo e dispregiativo dato dai Comanche alle genti cheyenne, le quali, attorno agli anni 1770, si erano ritirate a vita tranquilla nell’agenzia di Darlington in South Carolina. Vi erano i Totoimana i quali vivevano separati dalla comunità, le Logge Nere, settentrionali ed apparentati con gli indiani Crow, le bande dei Mezzi sangue le quali scorazzavano dall’est all’ovest. Altra ed ultima (ma ce ne sarebbero diverse altre) la Banda Ree, designazione locale dei Cheyenne settentrionali che vivevano presso il Rosebud, località del Montana, perché vi erano con loro alcuni residenti imparentati con gli indiani Ree.

Presso i Cheyenne l’organizzazione militare era uguale a quella degli Araphao , dei Kiowa e di molte altre tribù delle pianure. Le società militari di cui riportiamo i nomi, non per inutile nozionismo ma per il loro fascino, erano le seguenti: Soldati Cani, Uomini Volpi, Guerrieri Coyote, Scudi Rossi, Soldati del Bisonte Maschio, Soldati della Corda d’Arco, Cani Pazzi.

Oltre a queste, i quarantaquattro membri del Consiglio venivano a volte considerati come facenti parte di un’altra società, quella dei Capi. Non pare che vi fosse una regola fissa per stabilire l’importanza delle varie società, ma i Soldati Cani, ben conosciuti anche dai bianchi, finirono per avere una certa preminenza per il fatto che, in seguito all’ingresso nella società di tutti i guerrieri Masi’kota, divennero una vera divisione delle tribù con un diritto ad un posto particolare del campo. Più tardi l’ingresso, per mezzo di matrimoni, di numerosi Sioux, di Arapaho e di altri elementi esterni, indebolì il loro legame con la comunità; di conseguenza essi presero l’abitudine a formare un proprio campo ed agire assieme ai Sioux come tribù indipendente. Furono la società Cheyenne più aggressiva e meno propensa ai buoni rapporti con i bianchi, fino a quando il loro capo, Toro Alto, venne ucciso dai soldati del generale Carr nel 1869.

Pensavamo, come detto nella presentazione dello scorso articolo di dividere lo scritto in due puntate, ci accorgiamo che così facendo resterebbero escluse alcune considerazioni su queste popolazioni del nord e del centro degli Stati Uniti d’America, abbiamo deciso allora che seguirà una terza parte la quale racconterà alcune vicissitudini di questi popoli

testo a cura di Enrico Pinotti

18 luglio 2022

RESIDENZA PER SIGNORE SOLE di Togawa Masako a cura di Miriam Ballerini


RESIDENZA PER SIGNORE SOLE – Gli esseri umani, tutti, vivevano portandosi sulle spalle un'illusione – di Togawa Masako

© 2022 Marsilio Editori

ISBN 978-88-297-1158-1

€ 17,00 Pag. 175

Un giallo particolare, che ha un suo ciclo: all'inizio s'apre con un evento, lo stesso evento lo chiude. Scritto nel 1962 ha diverse particolarità dell'epoca: la descrizione dei personaggi all'inizio, messa come una sorta di scaletta. I capitoli hanno titoli piuttosto originali, come ad esempio: “Monologo della signorina Toio (durante i lavori di spostamento dell'edificio).”        Potremmo dire abbastanza tranquillamente che, il vero protagonista, in realtà non è una persona, ma la residenza stessa, il famoso palazzo K, costruito per venir abitato solo da donne sole.                                                                                                                                                                Gli appartamenti sono tanti, ma noi conosceremo le abitanti solo di alcuni di quei minuscoli appartamenti, e pure le due portinaie che si danno il cambio e che vigilano che non entrino uomini. Se lo fanno, questi si devono registrare.                                                                                    Il titolo lo potremmo interpretare in due modi: residenza per signore sole, perché vivono in solitudine e: “E' nello spirito della residenza k che ognuna si faccia gli affari propri”. Ma anche, residenza solo per donne, perché, per l'appunto, gli uomini non sono ammessi.        L'evento particolare con cui ci imbattiamo subito è che, il palazzo di cinque piani, sta per essere spostato! Sotto vi verranno messe delle ruote, per muoverlo di almeno quattro metri, perché una strada deve transitarvi di fianco.                                                                                           Le donne, ognuna nel proprio appartamento, dovrà aspettare che tutto ciò accada, rassicurano, senza nemmeno versare una goccia d'acqua da un bicchiere! E tutte sono pronte: molte hanno scommesso e hanno davvero preparato il bicchiere per vedere cosa accadrà!        Ma ricordiamo che è un giallo, particolare, senza indagini, ma pur sempre un giallo.                 Si passa da un capitolo all'altro che è anche un movimento temporale che, ancora una volta, ruota intorno allo spostamento del palazzo: sette anni prima dello spostamento, tre mesi prima... ecc. E così veniamo introdotti negli appartamenti delle varie donne protagoniste.         Il giallo riguardo la scomparsa di un bambino, ucciso, o morto? Seppellito in una valigia proprio sotto al palazzo. Cosa accadrà quando la residenza verrà spostata? C'è poi la sparizione di un prezioso violino, ferimenti, morti accidentali? O suicidi? O omicidi? Troviamo la moglie che trascrive sempre le stesse parole su fogli e fogli, traducendo il lavoro del marito defunto. L'insegnante di musica alla quale viene sottratto un violino, già a sua volta rubato. La portinaia curiosa che, con la sola chiave che apre tutti e 150 appartamenti, un passepartout, s'introduce in una delle case per soddisfare alcune sue lacune. L'insegnante che comincia a scrivere ai suoi ex allievi per fare passare il tempo, e intanto aiuterà una delle sue allieve che è proprio la madre alla quale hanno rapito un bambino. C'è poi l'accumulatrice seriale, che trova il passepartout e lo usa per rubare il violino rubato!                                                                                 I personaggi che entrano ed escono dalle porte sono tanti, pochissime volte la scrittrice ci porterà all'esterno della residenza, perché il mondo in cui si muovono è tutto compreso fra quelle pareti, quelle scale, quei corridoi. E, soprattutto: di toppa in toppa.                                     È quasi una metafora di vita, dove le portinaie osservano dal loro buco quel mondo che si muove, mentre altre si nascondono, ognuna nella propria tana. “Dallo sportello della portineria osservo quanto si svolge all'esterno, attraverso la porta a vetri che mi separa dal mondo”. Donne sole, solitarie, o costrette ad esserlo. Che vivono della loro routine. Storie che paiono tutte separate le une dalle altre, ma che, alla fine, troveranno ognuna il proprio posto nel racconto risolutivo.                                                                                                                                 Un libro che ho trovato particolare, che incuriosisce. La scrittrice ha svelato che la residenza K esiste: “Lo scenario di questo romanzo è una residenza per sole donne, un vecchio edificio di cinque piani in mattoni, dove ho vissuto quando portavo ancora i capelli lunghi... Tuttavia, nel romanzo, sia i personaggi che i dettagli relativi all'edificio non sono quelli che ho conosciuto io”.

© Ballerini Miriam


fonte: "Residenza per signore sole" di Togawa Masako: gli esseri umani vivono portando sulle spalle un’illusione - OUBLIETTE MAGAZINE

15 luglio 2022

CRISI DI GOVERNO E CRISI ECONOMICA di Antonio Laurenzano

 


CRISI DI GOVERNO E CRISI ECONOMICA

di Antonio Laurenzano

A Bruxelles si guarda alla crisi di governo italiana con “preoccupato stupore”. In un momento particolarmente difficile per le tensioni geopolitiche, per lo shock energetico e per la forte impennata dell’inflazione viene meno la stabilità di governo che andrebbe invece supportata con la coesione e grande senso di responsabilità. E proprio nelle ore in cui il Governo Draghi entra nel tunnel di una pericolosa crisi, la Ue ha tagliato le stime di crescita per l’Italia. Secondo Bruxelles l’andamento della nostra economia, esaurito il trend positivo “di rimbalzo” per l’anno in corso, subirà una brusca frenata nel 2023: il prodotto interno lordo (pil) si fermerà allo 0,9% rispetto all’1,9-2,3% % precedentemente stimato. Previsioni in linea con quelle fatte dal premier Draghi (“un futuro economico pieno di rischi”) nella dichiarazione al termine dell’incontro con i sindacati. Un momento di grande incertezza sul fronte politico per il travaglio interno al M5S post scissione con ricadute sulla tenuta del Governo e sul fronte economico per le prospettive negative legate all’invasione russa in Ucraina. Una incertezza resa ancor più grave dagli eccessivi squilibri macroeconomici che caratterizzano il Belpaese: elevato rapporto tra debito pubblico e Pil, bassa crescita della produttività, debolezza strutturale dei mercati del lavoro e finanziari, fisco e giustizia da riformare.

E i venti di crisi del governo pesano non poco sul differenziale tra Btp e Bund tedesco con lo spread che è tornato sopra la soglia critica dei 200 punti base, toccando quota 223. Sui mercati c’è attesa per le decisioni della Bce del 21 luglio che, dopo anni di tassi d’interesse zero, comunicherà il primo rialzo (almeno lo 0,25%). Una misura che, nella forte interazione che esiste tra politiche di bilancio e politiche monetarie, diventa sostenibile solo se c’è crescita economica. Ripercussioni negative anche in Borsa con Piazza Affari in pesante calo rispetto alle altre piazze finanziarie europee, mentre si riaccendono i timori degli investitori per una nuova recessione. Quali i rischi per l’Italia? Con l’aumento dello spread l’Italia è costretta a emettere nuovi titoli di stato per finanziare il debito, con interessi più alti, non potendo più contare sugli interventi della Bce con i generosi acquisti dei titoli made in Italy. E qualche partito della maggioranza, “benefattore” poco responsabile del debito pubblico (circa 300 miliardi quello maturato nel biennio 2020-2021) avanza la richiesta di nuovi “scostamenti di bilancio”: bandierine da sventolare nella campagna elettorale di primavera. Davvero difficile da spiegare a livello europeo il rebus politico italiano, un mix in chiaroscuro.

L’Italia è alle prese con squilibri che destano preoccupazioni a livello internazionale. Il Piano di ripresa e resilienza sta affrontando le vulnerabilità del sistema Paese, anche stimolando la competitività e la produttività. “Tuttavia, a parere della Commissione europea, è probabile che l’effetto di potenziamento della crescita degli investimenti e delle riforme richieda tempo per svilupparsi e dipende un modo cruciale da un’attuazione rapida e corretta.” All’Italia, in particolare, si raccomanda di “limitare la crescita della spesa corrente finanziata su base nazionale al di sotto del potenziale di crescita del medio termine”, e cioè al di sotto dello 0,4%. Un chiaro appello per una politica di bilancio prudente in presenza della sospensione del patto di stabilità e dei suoi vincoli per deficit e debito anche nel 2023. Nessuna liberatoria per “spese fuori registro”. Un messaggio di rigore rivolto al Paese che ha più beneficiato dei fondi del Recovery fund, e che ha aumentato le sue spese correnti in modo non sufficientemente limitato. In autunno è previsto un primo esame dei nostri conti pubblici da parte di Bruxelles con la presentazione della manovra finanziaria. Teoricamente si potrebbe aprire una procedura di infrazione dei parametri del deficit e del debito. La strada tracciata è quella di politiche di bilancio che dovrebbero continuare la transizione dal sostegno universale fornito durante la pandemia a misure più mirate, nell’ottica di un riequilibrio della situazione economica in termini di sviluppo sostenibile.

In un contesto davvero complicato, con i rischi al ribasso delle prospettive di crescita, l’aumento straordinario dei prezzi dell’energia e l’insidia dell’inflazione sul potere d’acquisto, al Governo Draghi, recuperata la rotta di governo del Paese con un rinnovato patto di fiducia all’interno della maggioranza di unità nazionale, è richiesta prudenza e responsabilità per i conti pubblici, ma coraggio e aggressività per quanto riguarda investimenti e riforme, velocizzando i tempi di attuazione per dare supporto all’economia nel lungo periodo. E’ in gioco il futuro del Paese. Non sono consentiti i miseri calcoli di potere personale.

13 luglio 2022

Pier Vittorio Tondelli – Altri libertini – a cura di Marcello Sgarbi


Pier Vittorio Tondelli –
Altri libertini (Feltrinelli Editore)

Collana: Universale economica

Formato: Tascabile

EAN: 9788807883811


Di Pier Vittorio Tondelli ho parlato spesso, soprattutto riguardo alla sua influenza su una generazione di scrittori. “Altri libertini”, il “romanzo a episodi” (così l’ha definito lo stesso Tondelli) ha segnato il suo esordio letterario a soli venticinque anni. Sequestrata per oscenità venti giorni dopo la sua uscita in libreria, questa raccolta di racconti verrà poi “riabilitata” per raggiungere un grande successo di critica e di pubblico non solo in Italia.

Il leit motiv dei sei quadri di vita che compongono “Altri libertini” è l’esperienza dei giovani degli anni Settanta, fatta di sogni, dolori, slanci emotivi, ingenuità e in alcuni casi di errori fatali. Lo scenario principale è l’Emilia (Bologna, in particolare), ma non mancano escursioni stile “on the road”, come nel racconto “Autobahn” o in quello che dà il titolo alla raccolta.

Con una narrazione inquieta, caratterizzata da una sintassi gergale ricca di neologismi e onomatopee, quasi “sgrammaticata”, Tondelli dà voce alla vivacità e alla fretta del vivere giovanile.

Non più la calca chiassosa dei ragazzini e delle magliarine che si litigano i fotoromanzi con quelle dita già callose per i tanti sabati e domeniche e pomeriggi a far rammendi alla cucitaglia delle madri”.

Quando Giusy raggiunge la sala d’attesa in cui aveva lasciato Bobo e Rino, è ormai molto tardi. Nell’atrio la figura minacciosa dello sceriffo, un marocchino spiantato che dorme in un angolo, l’impiegato della biglietteria dietro ai vetri blindati. Anche la sala d’attesa è deserta. Giusy si mette al Posto Ristoro, non pensa niente, manda giù un toast e una birra seduta al solito sgabello. I terroni se ne sono andati portandosi dietro la Vanina. È rimasta la Molly, quella c’ha le mattonelle al culo, un qualche ragazzino che smercia fumo, qualche vecchio. Si sente toccare una spalla. Alza ruttando la testa”.

Prendiamo la loro auto che è una Citroen DS a sei piazze tutta bianca e linda che sembra Moby Dick e c’ha il pelo d’agnello riccioluto. Sui sedili divanetto e lo stereo nel cruscotto e persino tre fiaschettine di Ballantine’s tanto che io mi sciolgo e mi dico guarda questi giovani Holden come si dan da fare e brindo a loro, insomma lo confesso ne sbatto giù una da sola. Loro fumano anche un joint di quelli antichi fatti a tre cartine una sull’altra, mentre la balena bianca col muso alzato corre veloce verso la campagna”.

Di Nanni invece vengo a sapere troppo tardi, quando è in clinica per aver ingerito troppi Mogadon. Gli ultimi giorni, mi raccontano, era una medusa a secco, un’Es scaricato e circonciso e fiacco”.

Dopo ci si saluta freddi come bambini che hanno sciupato il gelato”.


© Marcello Sgarbi


12 luglio 2022

IL MUSEO DELLA SINDONE a cura di Marco Salvario

 IL MUSEO DELLA SINDONE  a cura di Marco Salvario

Via San Domenico 28 - Torino



Nel Duomo di Torino, dedicato a san Giovanni Battista, è conservato il lenzuolo di lino noto come la Sacra Sindone, sul quale è visibile, per altro in modo estremamente tenue, l'immagine di un corpo umano maschile, segnato da piaghe e ferite, che riproducono in modo fedele quelle di Cristo nella sua Passione, così come è riportato nei Vangeli.

Da secoli su questo lenzuolo, venerato da milioni di fedeli, si sono espressi scienziati di alto livello e sono state eseguite analisi con le tecnologie più all'avanguardia, eppure ogni volta i responsi sono stati messi in dubbio da altri scienziati e da altre analisi. L'esame al carbonio-14 eseguito nel 1988, sembrava avere dato una risposta definitiva, datando il tessuto intorno al 1300, poco prima che un ricco cavaliere ne facesse dono alla Chiesa della Collegiata di Lirey, nel dipartimento dell'Aube, ma non tutti sono convinti.

Dal momento della sua “ricomparsa” a Lirey, la notorietà della Sindone cresce velocemente e cominciano subito le polemiche di chi la identifica con il lenzuolo che avrebbe avvolto il corpo del Nazzareno e chi ne denuncia la falsità.

La posizione ufficiale della Chiesa, nonostante nel secolo scorso alcuni Papi ne abbiano sostenuta a livello di convinzione personale l'autenticità, è sempre stata molto cauta, ritenendola un'icona degna di devozione, ma non una vera reliquia.

La venerazione del popolo però è grande e l'importanza della Sindone diventa subito per i potenti, un mezzo per aumentare il proprio prestigio, come se il suo possesso fosse segno di una particolare predilezione divina.

Nel 1457 viene acquistata da casa Savoia che mezzo secolo dopo ottiene il permesso dal papa Giulio II della Rovere di esporla al pubblico a Chambery; qui nel 1532 un incendio la danneggia e viene riparata dalle clarisse; nuove polemiche nascono per il sospetto che il lenzuolo originale sia andato perduto nel rogo e che le monache abbiano realizzato su commissione una copia con cui sostituirlo.

Nel 1578 Emanuele Filiberto porta la Sindone a Torino, diventata capitale del ducato. Nel 1694 essa viene collocata nella splendida cappella realizzata appositamente dal Guarini, dov'è conservata tuttora. La fama del lenzuolo è tale che, ad ogni ostensione pubblica, folle sempre più numerose di devoti vengono a venerarla.

Nel 1898 l'avvocato Secondo Pia ottiene il permesso di fotografare la Sindone dal Re Umberto I. Realizza due foto e scopre che apparentemente la Sindone è un “negativo”, cioè che la pellicola invertita presenta un dettaglio e una leggibilità molto maggiori dell'originale.

La Sindone, grazie a queste riproduzioni, è soggetta a nuove analisi e genera nuove polemiche che saranno particolarmente violente contro il Pia, accusato di avere alterato il materiale fotografico. Bisognerà aspettare nuove riprese, fatte ben 33 anni dopo da Giovanni Enrie alla presenza di testimoni, per avere conferma che le immagini rese pubbliche dal Pia, non erano state in alcun modo manomesse.

Nel 1973 si svolgono nuovi studi.

Nel 1983 il “re di maggio” Umberto II muore, lasciando la Sindone al Papa; Giovanni Paolo II concede che essa resti alla diocesi di Torino.

Nel 1997, durante lavori di ristrutturazione nel Duomo, un furioso incendio devasta la cappella del Guarini; mentre la cupola rischia di crollare, i vigili del fuoco riescono a mettere in salvo la teca dove è conservato il lenzuolo, che non subisce danni.

Nel 2002 la Sindone viene restaurata usando le più moderne tecnologie; i rammendi operati dalle clarisse di Chambery quasi cinque secoli prima, sono rimossi.



Il Museo della Sindone nasce nel 1936 dalla raccolta di reperti e documenti relativi al culto e alla storia della preziosa icona; si tratta spesso di vere rarità che, nel corso degli anni, si sono arricchite di analisi recenti e di donazioni.

Semplice e chiaro è il video che introduce i visitatori, completa la sezione fotografica che mostra gli scatti ufficiali dal 1898 fino al 2010.

Il museo vero e proprio è situato nel sotterraneo e si divide in due sezioni, la prima riguarda gli studi, le analisi e le sperimentazioni eseguite dal 1898 a oggi, la seconda cerca di ricostruire sulla base di fonti e reperti, la storia del Sacro Lenzuolo.

Alcuni oggetti sono ricostruzioni, come i chiodi usati per la crocifissione e la corona di spine, altri sono originali, come quadri e libri vecchi di secoli, i contenitori che hanno protetto in passato la Sindone e la storica macchina fotografica usata da Secondo Pia.


Quello che si percorre nel museo, è un percorso in bilico tra fede e scienza, tra sacro e profano, tra storia e credenza popolare, un viaggio affascinante, spesso sconcertante, che secondo il mio giudizio deve essere considerato preciso e onesto in ogni suo aspetto. Alla fine i misteri senza risposta restano tanti.

Chi è veramente l'uomo il cui corpo è rappresentato nella Sindone? Le tracce del sangue fuoriuscito dalle ferite alle mani, a piedi, al costato e al cranio, sono davvero sangue? Quando, come e perché si è formata l'impronta impressa sulla Sindone? Perché da secoli essa genera nei fedeli così tanta passione?

Ogni risposta crea nuovi interrogativi.

Nel 1598 è stata fondata la Confraternita del SS. Sudario, al cui interno è nato il “Sodalizio dei Cultores Sanctae Sindonis”, rinominato nel 1959 “Centro Internazionale di Studi sulla Sindone”, che tra le varie attività gestisce il museo.

Il museo della Sindone ha trovato la sua attuale sede in via San Domenico nel 1998.

Coloro che lo desiderano, possono una volta finita la visita al museo, accedere tramite un breve corridoio alla bella chiesa barocca del SS. Sudario, altrimenti aperta al culto solo una volta al mese. Circa 25 anni fa, durante alcuni lavori di restauro, dietro la splendida pala che orna l'altare maggiore, è stato scoperto un affresco di cui si era perso il ricordo e che rappresenta anch'esso la Sacra Sindone.





Buona Pasqua

  Auguri di Buona Pasqua ai collaboratori, ai lettori, a chi passa per curiosità! A rileggerci dopo le festività!