29 febbraio 2016

IL FUTURO INCERTO DELL’ECONOMIA ITALIANA Il rapporto dell’Ue – La spending review di Antonio Laurenzano

 

 IL FUTURO INCERTO DELL’ECONOMIA ITALIANA
Il rapporto dell’Ue – La spending review 
 di Antonio Laurenzano
Sorrisi e abbracci al termine della conferenza stampa a Palazzo Chigi fra il premier Renzi e il Presidente della Commissione Ue Junker in visita a Roma.  Cancellati i toni aggressivi e i “maldestri malintesi” del recente passato. Un incontro positivo per riprendere a lavorare insieme e per parlare di economia da rilanciare, di Europa da rafforzare, di problemi da risolvere. E per l’Italia i problemi non mancano, anche minacciosi perché sistemici. Con crudo realismo lo ha ricordato il rapporto dell’Ue sugli squilibri economici dell’Eurozona diffuso a Bruxelles a distanza di poche ore dal saluto di commiato di Junker.  “L’Italia è fonte di potenziali ricadute sugli altri Stati membri  per le debolezze strutturali della sua economia, per la modesta crescita, per il debito eccessivo e per la spending review poco efficace”. Un richiamo alla realtà di un Paese che stenta a uscire dalla recessione  e a mettersi in sicurezza. Un segnale forte e preoccupante.
Si tratta ora di scongiurare la  bocciatura da parte della Commissione Ue della Legge di stabilità 2016, evitare cioè una procedura d’infrazione per deficit eccessivo e quindi il rischio di una dolorosa manovra correttiva. Molto dipende dalla flessibilità invocata dal Governo. Mezzo punto di Pil per le riforme,  tre decimi per gli investimenti e un margine aggiuntivo dello 0,2% per la questione migratoria: in totale circa 13 miliardi. Chiara sul punto la richiesta all’Europa di Matteo Renzi: “una politica di bilancio più flessibile che non punti più sull’austerità a danno della crescita”. Servono cioè politiche espansive con investimenti pubblici e privati per mettere in moto l’economia europea, e italiana in particolare, tali da aprire spazi per ridurre la pressione fiscale. Un cambio di rotta, dunque, per stimolare la crescita e arginare lo scollamento tra cittadini e istituzioni comunitarie, azzerando le fughe in avanti delle forze populiste e demagogiche. 
C’è tempo fino a maggio per trovare una intesa  sui nostri conti pubblici, dopo che la Commissione Ue avrà completato la valutazione sull’equilibrio del bilancio italiano e sullo sforzo con cui il Tesoro ha promesso di portarlo vicino al pareggio nel 2018. Se da Bruxelles dovesse arrivare il cartellino rosso, con previsioni di crescita al ribasso, inevitabile scatterebbe una stangata fiscale con altri sacrifici collegati alle clausole di salvaguardia. E per le famiglie e le imprese sarebbe un duro colpo: aumenti delle aliquote IVA dal 10 al 13% e dal 22 al 24%, revisione delle detrazioni fiscali, nessuna riduzione impositiva con effetto domino: rincaro dei beni, contrazione dei consumi, ricaduta sulla produzione e sull’occupazione. Sarebbe un salto nel buio, nonché la conferma del fallimento della spending review, certificato di recente dalla Corte dei Conti.
 Intervenire sulla spesa pubblica, l’area della finanza allegra del Belpaese, è la grande riforma che il Paese attende da anni! Una riforma nella quale sono… “inciampati” numerosi e qualificati commissari: da Piero Giarda a Enrico Bondi, da Carlo Cottarelli a Roberto Perotti. Magro bottino, tanti  gli interessi in campo. Solo tagli lineari, a danno della quantità e qualità dei servizi ai cittadini, per fare cassa e barattare sulla fiscalità locale. Tutto è rimasto nei polverosi cassetti governativi. Mancanza di chiarezza politica, di coraggio d’azione per aggredire la spesa improduttiva, con tagli selettivi, e avviare un percorso virtuoso di riqualificazione degli oltre 820 miliardi che lo Stato spende ogni anno. Un percorso ormai ineludibile per un sostegno al reddito: meno spesa, più risparmi, meno tasse, più risorse per la crescita. L’Europa e i mercati chiedono questo per rendere sostenibile un debito pubblico schizzato al 133% prima che scattino nuove …. misteriose manovre sullo spread dei titoli pubblici italiani! Renzi avvisato.  

25 febbraio 2016

Comunicazione

L'altro giorno il nostro collaboratore Marcello de Santis ci ha lasciato.
Insubria critica lo saluta e ringrazia per tutto quello che ha donato.
Ciao Marcello!

23 febbraio 2016

NON RISPONDERE di John Searles recensito da Miriam Ballerini

 
NON RISPONDERE                                            di John Searles
© 2015 Newton Compton Editori – Gli insuperabili
ISBN 978-88-541-8067-3    Pag. 331  €5,90

In copertina troviamo il parere di Khaled Hosseini su questo romanzo che cita: “Un romanzo intenso, pieno di colpi di scena che indaga a fondo sull’enigma più grande di tutti: la famiglia”.
E che famiglia quella con la quale ci troviamo a fare i conti: un padre e una madre che portano a casa loro persone indemoniate, cercando di guarirle con la preghiera. Due figlie: Sylvie, la più piccola, matura e responsabile e che assiste una sera all’omicidio dei propri genitori in una chiesa. Rose, la più grande, ribelle e che vive a muso duro contro tutto e tutti.
A un anno di distanza dalla morte dei propri genitori, Sylvie viene richiamata dalla polizia per accertarsi che l’uomo che ha mandato in prigione, sia davvero l’assassino della sua famiglia. I primi dubbi cominciano a comparire nella mente della giovane che, a quel punto, decide di ripercorrere tutte le tappe che l’hanno condotta a quel riconoscimento.
Il libro si snoda fra il prima dell’omicidio e il dopo. Il prima ci mostra questa famiglia stravagante, derisa dalla comunità, tenuta a distanza. Eppure famosa e ricercata dalla persone che credono di avere bisogno del loro intervento. Fra congressi in vari stati e l’intervista fatta loro da un giornalista che ne scriverà un libro.
Con le figlie amate, protette, ma anche costrette a subire il viavai delle persone che vengono di volta in volta ospitate in cantina, dove i coniugi intervengono su di loro con varie preghiere.
I continui litigi del padre con Rose, la figlia maggiore, che proprio non vuole saperne di essere domata. Mentre, la giovane Sylvie, cerca sempre di essere la figlia buona e brava, quella che dà le risposte giuste e che, sempre, cerca di comportarsi bene.
Il dopo vede Sylvie sotto la tutela della sorella Rose, che non riesce a badare a lei nel modo giusto. E i dubbi della giovane che cercherà risposte presso il giornalista che fece a suo tempo il libro sui suoi genitori; il fratello del padre e presso una strana signora che, di nascosto, porta loro del cibo che lascia sui gradini di casa.
L’ho trovato avvincente, scritto bene e con la capacità di incuriosire il lettore, spingendolo ad andare sempre avanti nella lettura per capire, per sapere, per comprendere quella verità che, solo alla fine, ci mostrerà la triste rivelazione, fra sangue e violenza inaspettati.

Non rispondere è vincitore dell’American library association Alex award; tra i migliori crime novel per il Boston Globe e tra i dieci thriller più venduti in America.

(c) Miriam Ballerini

Recensione di un ergastolano ateo a “Il nome di Dio è misericordia”

Recensione di un ergastolano ateo a
Il nome di Dio è misericordia


Carmelo, non ti preoccupare se non credi in Dio perché Lui crede in te. (Suor Grazia)

Suor Marie Agnes mi ha mandato il libro-intervista di Andrea Tornielli a Papa Francesco dal titolo: “Il nome di Dio è misericordia” (Piemme) .
Leggo di tutto, ma di solito i libri religiosi li lascio sempre per ultimi. Questa volta, sia perché Papa Francesco mi è simpatico, sia perché ha abolito la pena dell’ergastolo (definendola “Pena di Morte Mascherata”) nella Città del Vaticano, ho letto subito questo bel libro.
     Le risposte di Papa Francesco ad Andrea Tornielli riportate sul libro ti illuminano il cuore. Eccone alcune: “Tu puoi rinnegare Dio, tu puoi peccare contro lui, ma Dio non può rinnegare se stesso, Lui rimane fedele. (…) Chi non crede in Dio, non è vero che non crede in niente, perché comincia a credere a tutto. (…) L’amore di Dio c’è anche per chi non è nella disposizione di ricevere il Sacramento. (…) Senza la misericordia, senza il perdono di Dio, il mondo non esisterebbe. (…) Mi spiace di non essere pentito. Quel dispiacere è il piccolo spiraglio che permette al prete misericordioso di dare l’assoluzione. (…) Nel dubbio si decida sempre in favore della persona che è sottoposta a giudizio. (…) Anche san Pietro e san Paolo erano stati carcerati. Ogni volta che varco la porta di un carcere mi viene sempre questo pensiero: perché loro e non io? Io dovrei essere qui, meriterei di essere qui. Le loro cadute avrebbero potuto essere le mie, non mi sento migliore di chi ho di fronte. (…) Non c’è giustizia senza perdono.

Vi confido che fin da bambino in collegio non ho mai avuto simpatia per i preti e le suore. Mi ricordo che a quel tempo la cosa che odiavo di più era che tutte le sante mattine mi portavano di forza in chiesa per ascoltare la messa. Io non avevo mai avuto un’educazione religiosa e non capivo perché dovevo stare in ginocchio davanti a un Signore sconosciuto messo in croce, anche perché a quel tempo pensavo di non aver nulla da farmi perdonare, a parte forse la colpa di essere nato.
E così ho iniziato molto presto a litigare con Dio. Qualcuno in seguito mi ha detto che anch’io alla mia maniera sono credente, perché credo di non credere.
     Da grande le cose sono cambiate soprattutto da quando nel 2007 ho incontrato nel carcere di Spoleto Don Oreste Benzi (Fondatore della Comunità Papa Giovanni XXIII) che incredibilmente appoggiò il primo sciopero della fame collettivo degli ergastolani, per l’abolizione della “Pena di Morte Viva”.  Subito dopo conobbi Suor Grazia, monaca di clausura del Monastero di Pratovecchio, che è diventata un po’ la mia musa religiosa. E tempo fa la sua Priora, dopo le sue ripetute insistenze, le ha concesso di uscire dal monastero per venirmi a trovare. L’incontro con Suor Grazia è stato bellissimo. Lei è graziosa, delicata e fragile. Tutta cuore e anima. Mi è sembrata un uccellino che ha preso il mio cuore come suo nido per tutta la durata dell’incontro. Bella, solare e buona. Piena d’amore di Dio. Solo le persone come lei mi fanno venire il dubbio che forse Dio esiste. Mi ha raccontato che c’era un ladro che andava a rubare l’elemosina al loro convento. Loro invece di andare a chiamare i carabinieri gli hanno lasciato un bigliettino con scritto: “Se hai bisogno vieni da noi”. E i furti sono finiti.

    Continuo però ancora a credere di non credere, ma cerco di comportarmi come se Dio mi guardasse. Penso che credere in Lui sia la soluzione più a portata di mano, ma credo pure che sia anche la più difficile. Poi penso che in tutti i casi di Dio non si può sapere nulla, anche perché lui è un anarchico e ti lascia libero di credere o di non credere. Sotto un certo punto di vista assomiglia un po’ a Papa Francesco, ma forse è meglio affermare che sia lui ad assomigliare a Dio. E la lettura di questo libro ti avvicina un po’ a tutti e due.

Carmelo Musumeci
Carcere di Padova, febbraio 2016


19 febbraio 2016

Poesia civile. “Piangono i Mascheroni”, di Marcello De Santis



Poesia civile. “Piangono i Mascheroni”, di Marcello De Santis

Un mio amico tiburtino, Marcello De Santis, che nella curiosità intellettuale di cui nutre la sua letteratura (in prosa e poesia) ha avuto modo – mi dice – di sfogliare ed apprezzare anche … il Lunario di Vasto, mi ha inviato in lettura una sua composizione in versi elaborata alcuni anni fa, ma che per più motivi conserva una persistente attualità.
Il titolo è
 “Piangono i Mascheroni”, e con evidenza è ispirata al flusso e alla sonorità delle “cento cannelle”della sventurata città de L’Aquila, colpita da terremoto il 6 aprile del 2009, ma già precedentemente nel 1461 e nel 1703.


I detti Mascheroni costituiscono per così dire “le facce” di un sistema idraulico monumentale costruito nei pressi del fiume Aterno intorno al 1272, con aggiunte nel secoli successivi, in prossimità della chiesa-simbolo di Santa Maria di Collemaggio. Basilica architettonicamente originale e complessa, anch’essa nel tempo danneggiata dagli eventi sismici e più volte ricostruita, di valore spirituale particolare giacché strettamente legata alla vita e poi alla memoria di Pietro da Morrone, il Papa Celestino V del “gran rifiuto” e della “Bolla del perdono” (Perdonanza) dell’agosto 1294.
Nell’immaginifico versificare, che qui pubblichiamo, “i mascheroni piangono” in quanto, nel sentimento dolorante e civilmente etico dell’autore, divengono ‘figure’ interpreti di quella persistente “avventura d’un povero cristiano” di cui ci ha narrato lo scrittore Ignazio Silone. Strutturalmente invece, e per usi e costumi del tempo antico, i 93 mascheroni in pietra (più 6 cannelle singole), si narra che cantino (“ogni cannella un suono”) e “che, in ciascuna faccia, sia rappresentato un demone che è stato catturato ed intrappolato dai monaci che si occupavano di proteggere la città dagli influssi malefici”. Non meno, nella detta vulgata storica, la Fontana (detta anche La Rivera) nel suo complesso era luogo di “purificazione” per chi giungeva sul posto prima di poter entrare nell’attigua basilica celestiniana di Collemaggio.
Ma veniamo al meditativo, poetico e civile, che ci propone l’autore letterario tiburtino:


 PIANGONO I MASCHERONI
Piangono i mascheroni
alla fonte in affanno
e le cento cannelle
è un piangere ribelle
che l’antica città
versa oramai
ininterrottamente
il popolo dolente
grida… grida da allora
in lugubre silenzio
ancora e ancora e ancora
da quella trista notte
di quel lontano aprile
era dolce il dormire
per la gente felice
e là in un solo istante
non è rimasto niente
niente, se non l’amore
nell’anima e nel cuore
ed un sordo rancore
per una sorte ingrata
che nessuno al potere
ha voglia di cambiare
per ridare il respiro
alle case alle chiese
agli uffici alle imprese
per ridare il lavoro
alla gente smarrita
scordata abbandonata
senza più identità
per ridare il decoro
alla vecchia città
sepolta sotto i massi
a mucchi per le vie
solo polvere e sassi
e una specie di angoscia
un continuo soffrire
pel tempo indifferente
che passa e se ne va
e lascia le macerie
sotto un velo di niente
ed enormi rimpianti
e le carriole vuote
che sfilano impotenti
per vibrata protesta
a ipocriti silenzi
Tornerà la città
un giorno a fare festa?
a respirare al cielo
sotto il sole di maggio
nella piazza gioiosa
davanti a Collemaggio?
Sfila la perdonanza
di papa celestino
ma tornerà il destino
ad essere clemente
con la povera gente?
marcello de santis
Un poema, questo, da cantastorie: una narrazione che muovendo da orrore e disperazione, causati dal noto cataclisma tellurico, si fa voce di denuncia per l’opera in arte e di civiltà dell’uomo d’un tratto ridotta, una volta ancora, in macerie esiziali per alcuni, causa di sofferenza civile per il troppo lungo tempo della ricostruzione trascorso.
Una sorta di ‘filastrocca’ che , letteraria per forma, in cui il verso breve e il ritmo metrico incalzante spinge a inoltrarci nell’evidenza del “male”per il quale … “i mascheroni piangono”, si pone come voce che rivendica, per la città e i suoi abitanti, considerazione e rispetto; testimonia e invoca il bisogno di ‘riparazione’ e di riscatto, non solo nel ‘cariolare’ le macerie di “polvere e sassi”, quanto nello stabilire per il luogo e i suoi ‘cristiani’ nuove premesse di giustizia umana e sociale. 
Ci interroghiamo con lui se “Tornerà la città / un giorno a fare festa?”, se in virtù della “perdonanza / di papa celestino” il destino si farà “clemente / con la povera gente”, ma non solo – se posso annotarlo – giacché poveri e indifesi siamo tutti, quali che siano le ‘fortune’ di denaro, sia di fronte alle calamità naturali che alla insensatezza o alla ferocia dell’uomo sull’uomo, quali che siano i modi e i motivi dell’oppressione. Un buon motivo e modo, comunque, per riflettere da uomini liberi, anche se sovente mortificati, sulle vicende storiche passate e non meno su quelle che ci irretiscono oggi.
Giuseppe F. Pollutri

Articolo offerto da Marcello de Santis uscito su: 


15 febbraio 2016

DALIDA E LUIGI TENCO amore e morte di marcello de santis

Il 27 gennaio morì Luigi Tenco, Insubria critica pubblica oggi un bellissimo articolo in sua memoria


DALIDA E LUIGI TENCO
amore e morte
di
marcello de santis


Dalida e Luigi Tenco a Sanremo nel 1957


Si era negli anni 50. Avevo sedici/diciassette anni, facevo il liceo classico con voti sufficienti ad andare avanti dignitosamente, del resto non potevo permettermi di studiare poco e farmi non dico bocciare ma neppure rimandare a settembre (fui sempre promosso nella mia carriera scolastica, al primo colpo); ché mio padre, infermiere con un salario modesto, faceva sacrifici enormi per fare studiare me e mio fratello più piccolo di tre anni (lui si diplomò in ragioneria, e io mi iscrissi a legge; e a tre esami dalla laura mollai, ormai lavoravo, e la cosa mi pesava non poco); e mia madre casalinga faceva i salti mortali per far quadrare i conti tra entrate (poche e solo il salario di papà) e uscite (solo spese per la casa, un gelato la domenica, qualche cinema a 25 lire d'ingresso, rare) e qualche lira da mettermi in tasca per le esigenze di ragazzo.
Dunque, dicevo, avevo sedici/diciassette anni, e avevo preso a corrispondere (an-dava di moda così tra noi studenti di liceo) con una ragazza francese di Marsiglia, Nicóle, che nel tempo divenne mia amica; che aveva un'amica che si chiamava Jocéline, con la quale corrispondeva il mio amico Marcellino; ragazze che in una imbarcata incosciente e giovanile andammo a trovare in Francia, con poche lire in tasca e col nostro francese scolastico; Nicóle, che poi - a distanza di tempo, ben trentuno anni dopo - rincontrai sui monti verdi dell'Alta Savoia dove ero in vacanza, in quell'estate, con la mia famiglia, e poi ancora in Ardèche (Francia) l'anno appresso, noi due, vecchi amici, sposati; e con figli grandi.

Ascoltavo la sera la mia tanto amata radio "Geloso" a valvole, (ve le ricordate le radio di una volta, ingombranti da non dire...?)  che era vicina al mio letto; alle 23.15, dopo una trasmissione di attualità e di cultura di una decina di minuti, intitolata Siparietto: - ed ora ecco a voi "Siparietto" a cura di Nicola Adelchi - non la dimentiche-rò mai, quella presentazione - presentavano ogni sera un cantante sconosciuto che meritava e/o che stava per raggiungere il successo, o si sperava che lo raggiungesse. Conobbi così un non ancora noto e giovanissimo Domenico Modugno con la sua Lu pisci spada.
Una sera parlavano di una cantante francese, di cui mi colpì la voce calda e morbida, piena, e in qualche maniera sensuale; chiaramente cantava in francese, ma lo scandiva bene e qualche parola qua e là riuscivo a captarla e capirne il significato; il nome non lo capii bene, Dalilà oppure Darilà o Daridà.
Ci scrivevamo, con la mia amica Nicóle, e il giorno appresso le invia una lettera in cui le chiesi notizie: chi fosse quell'artista, mi rispose dandomi spiegazioni sufficienti per conoscerla un poco; il nome era Dalida, e mi disse che era di origini italiane, toscana di Livorno, mi pare.


Iolanda Cristina Gigliotti in una foto del 1954
ancora sconosciuta in Italia
quando vinse il concorso per miss Egitto

Poi m'informai, internet era di là da venire, e seppi molte cose di questa cantante; di lì a poco la sua voce giunse anche da noi; ne cominciò a parlare anche l'unica rivista di musica leggera, Sorrisi e canzoni, di cui fin dal primo numero uscito nel 1951, se non ricordo male, facevo la raccolta.
Era una splendida ragazza e si fece molti fans anche qui da noi; tra questi c'ero anch'io, naturalmente, ché praticamente l'avevo scoperta.

Luigi Tenco invece lo conoscevo già prima di scoprire Dalida; dai servizi su Sorrisi, appunto; allora poi mi capitava spesso tra le mani un libriccino dal titolo Il canzoniere della Radio, (il papà di un mio amico aveva un'edicola di giornali, e quindi...) e io ero appassionatissimo di musica leggera, conoscevo tutte le formazioni delle orchestre con i loro maestri direttori e i cantanti che si esibivano in diretta alla radio; mi aiutava, Il canzoniere, ad imparare i testi delle canzoni, le date, le vite dei vari artisti.
Scoprii che Luigi era il capostipite di quei giovani che facevano parte di quella folta schiera di cantanti della scuola genovese; influenzati dai primi cantautori francesi che avevano inventato un nuovo modo di scrivere versi e metterli in musica, e cantarli alla loro maniera, Jacques Brel e Georges Brassens in primis.


Il canzoniere della Radio era una piccola rivista
che pubblicava le immagini dei direttori d'orchestra e dei cantanti
e pubblicava anche le canzoni in voga;
aveva cadenza prima mensile (fino al 1943) poi quindicinale,
e il primo numero risale all'anno 1940:
Poi fu sospesa la pubblicazione per la guerra; riprese subito dopo.

 Nacquero per caso; Luigi Tenco, dunque, e poi Gino Paoli subito al successo con le canzoni La gatta e Sassi, e la sua voce approssimativa; seguito a ruota da Bruno Lauzi, e Umberto Bindi che scrisse e interpretò magicamente quella stupenda canzone che si intitola Il nostro Concerto.  E poi, ultimo ma non ultimo, il grande Fa-brizio de Andrè.
Erano amici, tutti dotati di uno straordinario talento poetico e musicale; iniziarono a scrivere versi, si riunivano a casa dei fratelli Reverberi, Gianfranco e Giampiero, in corso Torino a Genova; si dilettavano a scrivere e strimpellare o suonare strumenti; Tenco ad esempio suonava il clarinetto in un locale, Bindi il pianoforte in un altro, tutti si davano da fare; più tardi li raggiunse Fabrizio, mentre Umberto Bindi già pen-sava di lasciarli; e andarsene per la sua strada.

Dalida è il nome d'arte di Iolanda Cristina Gigliotti, che pur essendo di origini italiane, (il padre era di Serrastretta in provincia di Catanzaro) come mi aveva detto la mia amica francese, era però nata in Egitto, a il Cairo nel 1933.
Pur affetta da una fastidiosa e antiestetica forma di strabismo (per eliminarlo subì diverse operazioni che in qualche modo anche se non totalmente riuscirono ad eliminare l'inconveniente estetico) prese parte e vinse diversi concorsi di bellezza, che la portarono al cinema. Ma lasciò l'Egitto per la Francia nel 1954, e si recò a Parigi.
Qui assunse il nome che la portò al successo; si ispirò per questo al colossal cinematografico Sansone e Dalila; ecco, gli piacque Dalila, ma presto lo cambiò in Dalida.
La sua bella voce convinse un produttore a farne una cantante; ci mise due anni ad affermarsi; nel 1956 il primo disco fu una canzone della portoghese Amalia Rodriguez, la regina del fado, e poi scoppiò la fama con Bambino, la versione francese della canzone napoletana Guaglione, che qui portò al successo Aurelio Fierro.
Fu talmente grande il successo (vendette all'epoca milioni di dischi, il suo primo disco d'oro lo meritò con la canzone) che fu ribattezzata Mademoiselle Bambino.
Seguirono dieci anni di successi, era bella, brava, affascinante; avventure e disavventure si susseguirono, si sposò, lasciò il marito, si invaghì di altri personaggi, provò altri brevi amori, ma mai niente di serio.

Nell'anno 1966, conosce Luigi Tenco.

Luigi Tenco non amava cantare, amava definirsi un compositore, e tale si considerò sempre. Era del 1938, oggi avrebbe avuto 77 anni, se ci fosse ancora, e farebbe compagnia all'unico rimasto dei suoi compagni genovesi di un tempo, Gino Paoli.
Ma la sorte volle diversamente.
La sua infanzia non fu delle più felici, la madre lo ebbe da una relazione extraconiugale con un sedicenne di una famiglia bene dove lei serviva; e si pensò bene di allontanarla non appena si seppe la cosa.
A Genova giunse che aveva dieci anni appena.






Luigi Tenco - 1938-1967

Il ragazzo amava la musica, e nel '53 a soli 15 anni mise su un quartetto con una batteria e una chitarra, con lui al clarinetto; e al banjo, indovinate chi, Bruno Lauzi, quello che diventerà famoso con la sua gran massa di capelli bianchi, gli occhi cisposi, e la sua canzone Onda su Onda.
Da Genova a Milano, dove conosce quelli che poi diverranno grandi interpreti e cantautori italiani, non vale fare nomi, li conosciamo tutti.

Si scrive alla facoltà di ingegneria, che non portò a termine, poi a scienze politiche; ma la sua passione è comporre canzoni. Compone arrangia pezzi per Gino Paoli e Ornella Vanoni, infine prova la sua voce, e canta.
Il suo primo 45 giri (I miei giorni perduti, di cui scrive testo e musica) è del 1961.
E finalmente il suo primo 33 giri che contiene la famosa Mi sono innamorato di te.
Molte canzoni sono respinte dalla RAI, censurate per i testi "non adatti".
Per la RCA incide una canzone - Un giorno dopo l'altro - che diventò un grande successo grazie al fatto che fu la sigla della serie televisiva de Le inchieste del Commissario Maigret, interpretato da Gino Cervi e Andreina Pagnani.
Un disco per L'estate del 1966 lo vede in gara con Lontano Lontano

E lontano lontano nel tempo
qualche cosa / negli occhi di un altro
ti farà ripensare ai miei occhi
i miei occhi che t'amavano tanto
....

ecco il link della canzone, cliccateci su, e ascoltate


Nell'anno 1966, a Roma, conosce Dalida.

Mi sono innamorato di te
perché / non avevo niente da fare
il giorno / volevo qualcuno da incontrare
la notte / volevo qualcuno da sognare...




Poche informazioni ma sufficienti; perché lo scopo di questo breve scritto è quello di descrivere il suo rapporto con Dalidà.
Che è stato sempre argomento di dibattimento; il loro amore, era vero? era di fac-ciata? oppure solo pubblicità?

Dalida, quando conobbe Tenco, aveva 34 anni, era una cantante affermata, addirittura una diva della musica leggera ricercata da impresari teatri palcoscenici di tutto il mondo; Tenco ha 29 anni.
Era agosto, Dalida è a Roma per incidere un disco; al bar della casa discografica gli presentano Luigi, dallo sguardo cupo, serio, troppo serio, ma ne è affascinata e anche lui è preso da questa donna bella e sorridente.
E' un vero colpo di fulmine; un coup de foudre, come lo chiama lei. in autunno Tenco vola a Parigi da lei, e le fa ascoltare la canzone Ciao amore ciao, e le propone di cantarla con lui a Sanremo.
Il resto è cosa nota.

Dalida forse amava veramente il cantante italiano.
Ma Luigi amava la cantante francese? Parrebbe proprio di no. In una lettera a una sua amica Valeria, nella quale lettera Luigi le confessava il suo amore, e con la quale facevano progetti di un lungo viaggio insieme in Africa dopo Sanremo, appunto, tra le altre cose descrive Dalida come
una donna nevrotica e viziata;
(in realtà la cantante francese era una donna fragile, molto fragile)

Tenco confessa all'amica che
non riusciva a farle capire niente di sé stesso,
di quello cui ambiva, niente di niente;
pare che non voglia capire...
poi ho finito col parlare di te, di quanto ti amo.
Che gran casino, vero!

E considerava il suo rapporto con la cantante francese un'assurda faccenda.
Tesoro, (le scriveva)  
avremo i giorni e le notti tutte per noi:
potremo parlare, prendere il sole, fare l'amore,
dimenticare i problemi che abbiamo vissuto,
le angosce, i momenti bui.

Eppure...
...  s'era sparsa la voce che Tenco e Dalida avessero deciso di sposarsi subito dopo il festival di Sanremo in cui cantavano la stessa canzone scritta dal cantautore italiano.
Eppure...
... il capodanno del 1966 Tenco si esibisce alla Casina Valadier a Roma, in sala c'è Dalida; poi lei va via e lo aspetta in albergo dove dopo lo spettacolo Luigi la rag-giunge, e passano insieme l'ultimo dell'anno; l'ultimo capodanno della vita del cantante; ma Tenco è molto nervoso, forse non sopporta l'attenzione dei presenti, dovunque andassero, solo per la bella cantante francese.


Di quell'altra, la famosa quanto "misteriosa fidanzata  segreta", si sapevano e non si sapeva. Anche perché Tenco non ne volle mai parlare; neppure ad una domanda di un giornalista che lo intervistava, sempre a Sanremo di quell'anno, fatidico per lui, rispose scocciato sono affari miei.
Che Dalida sapesse di questo sua amore? Forse, tanto che a fronte della sua morte disse pubblicamente che Luigi la amava davvero, quella ragazza, e tantissimo. E che la causa del suicidio non era proprio quello che si diceva nelle "tante chiacchiere che si facevano"; facendo sottendere, o lo disse chiaramente, che si doveva a quella donna il suicidio.
E aggiungeva: io gli volevo bene davvero, mi piaceva stargli vicino, era buono, io gli volevo molto bene.

Quindi: Dalida lo amava!? Forse si, o forse era solo una specie di innamoramento, una lunga profonda infatuazione; sicuro era che ne cercava la compagnia in ogni momento, dovunque fossero.
Ma Luigi, così sembra, amava un'altra.
Per lui - ebbe a dire la sua mamma - la cantante francese era un'amica, solo una amica; era troppo diva per lui, che amava le cose semplici... disse anche che non andavano affatto d'accordo.
Eppure davanti a tutti...
Eppure tutti coloro che li conoscevano, che erano intorno a loro, erano divisi s questo argomento; che poi è stato il più importante della loro giovane vita. La pensavano diversamente, c'era chi diceva - e ne era convinto - che si amassero profondamente; un'altra parte, al contrario, la pensava diversamente; quello non era amore, era un'altra cosa.

Renzo Parodi, un giornalista genovese che seguiva i due, scrive: ... era una storia d'amore cominciata qualche mese prima, una storia molto bella. Lo vedevo molto convinto, Luigi, di quella nuova compagna. Non ricordo se parlò mai di matrimonio, sull'argomento entrambi in linea di principio eravamo contrari...

Potremmo andare avanti con le varie opinioni; che Dalida fosse presente quando si sparò, che gli sparasse lei per gelosia, che lo amasse alla follia, non ricambiata, che lui pensasse all'altra, che si uccise per essere stato eliminato dalla finale a favore di una canzone scema e scipita come Io tu e le rose cantata da Orietta Berti...; che, che , che... ma l'essenziale lo abbiamo detto.


Dalida in una sua tipica posa
durante una esibizione canora


Eppure...
... cinque anni prima, e sembra un secolo prima, aveva scritto una canzone indimenticabile, che a leggerla dopo la sua morte, e non conoscendo la data della sua composizione, poteva credersi essere stata scritta e dedicata al suo amore impossi-bile Dalida.

Mi sono innamorato di te
perché / non potevo più stare sola
il giorno / volevo parlare dei miei sogni
la notte / parlare d'amore

Ed ora
che avrei mille cose da fare
io sento i miei sogni svanire
ma non so più pensare
a nient'altro che a te

Mi sono innamorato di te
e adesso /non so neppure io cosa fare
il giorno /mi pento d'averti incontrato
la notte /ti vengo a cercare.


Nell'anno 1967 finisce la sua vita.
Nell'anno 1967 finisce l'amore con Dalida.

Al Festival di Sanremo Luigi presenta, come abbiamo detto, Ciao amore ciao, che non ha fortuna e viene eliminata. a vincere è il reuccio della canzone, Claudio Villa.
Come usava in quegli anni le canzoni venivano presentate in due versioni, da due interpreti diversi; la canzone Ciao amore ciao, dopo Tenco viene ripetuta proprio da Dalida.
Si fanno le votazioni e la canzone non ha il plauso del pubblico votante; viene esclusa dalle finaliste perché si piazza al dodicesimo posto; partecipa al ripescaggio, altro meccanismo inventato dagli organizzatori; neppure qui Tenco ha fortuna, viene ripescata la canzone di Gianni Pettenati dal titolo "La rivoluzione" (della quale si sono perse le tracce, mentre Ciao amore ciao, che pur non essendo tra le migliori scritte dal cantautore, si canta ancora oggi).


Eccolo Tenco a Sanremo nel 1967
mentre presenta la sua canzone Ciao amore ciao


Ci sarebbe molto da raccontare sulle ore che precedono la serata di Sanremo e la morte del cantante; ma lo spazio non ce lo permette; quindi andiamo avanti per la nostra strada.

Sembra, dicono, che il cantante fosse preso da un profondo sconforto; va a cena con Dalida, ma lascia il ristorante per andarsene in albergo;  e che qui, trovandosi solo nella sua stanza, si sia tirato un colpo di pistola alla testa.
I dati: Hotel Savoy camera 219; lo trovò a terra in un lago di sangue, Lucìo Dalla, che entrò per primo nella dependance dell'albergo; poi accorse anche Dalida che aveva condiviso con lui la gioia di Sanremo e una bella canzone, e lo sconforto per il risultato negativo.
Le autorità di polizia "decidono" immediatamente per il suicidio.
Non manca neppure il fatidico foglio con le sue ultime parole; scritto a mano (la perizia della grafia fatta però solo nel 1990, cioè ben 23 anni dopo la sua morte, la attribuisce al cantante) che detta:

Io ho voluto bene al pubblico italiano
e gli ho dedicato inutilmente cinque anni della mia vita.
Faccio questo non perché sono stanco della vita (tutt'altro)
ma come atto di protesta contro un pubblico che manda 
"Io tu e le rose" in finale
e ad una commissione che seleziona La rivoluzione.
Spero che serva a chiarire le idee a qualcuno.
Ciao. Luigi.

Dalida torna a Parigi e riprende i suoi giri per il mondo.
Nello stesso anno si trova nello stesso albergo dove aveva passato giorni belli con Luigi Tenco, e tenta il suicidio anche lei, salvata per caso dall'arrivo di una cameriera. Tentò ancora una volta di togliersi la vita, dieci anni dopo, senza riuscirci.

Passano altri dieci anni. è il 1987.
E' un sabato pomeriggio, il due di maggio, e fa molto freddo. Dalida rimanda un servizio fotografico adducendo come scusa il troppo freddo che la faceva star male.




La cantante da qualche tempo non è più la stessa, è sempre triste, Luigi è sempre nella sua mente; soffre di una depressione che la accompagna da parecchio.
Esce dall'albergo, dice alla cameriera che va a teatro ma dopo alcuni giri della città con la sua macchina, decide per recarsi a casa sua, in Montmartre. Qui non sappiamo che cosa fa, forse gira e rigira per casa senza darsi pace, ossessionata com'è da tempo da una perdita di interesse per tutto ciò che la riguarda, il suo umore è sempre più scuro, da tempo non mangia o mangia di malavoglia, non dorme più... 
Si sdraia sul letto, probabilmente passa una notte insonne, e sul far del mattino  decide di farla finita e ingerisce barbiturici.
E' il 3 di maggio.
 Sarà sepolta nel cimitero di Montmartre.




Questa è la statua di Dalida
che si trova nel cimitero di Montmartre a Paris
(autore lo scultore Aslan)
il quartiere dove la cantante ha abitato a lungo e dove si è tolta la vita.
La cantante ha inciso 140 milioni di dischi.



Come nel caso di Luigi, accanto al corpo viene trovato un foglietto con poche parole:
Pardonnez-moi,
la vie m'est insupportable
(Perdonatemi, la vita mi è insopportabile)


marcello de santis





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