29 dicembre 2008

Geografia: la teoria di Malthus

Nota enciclopedica
Per teoria di Malthus, un economista inglese che nel 1798 pubblicò il "Saggio sul principio della popolazone", si intende la convinzione che lo sviluppo delle risorse e lo sviluppo della popolazione procedano secondo due velocità molto diverse. In particolare secondo questa teoria mentre le risorse naturali, se sviluppate, crescono in maniera lineare e cioè, semplificando, secondo una somma, la popolazione cresce in maniera geometrica, moltiplicandosi invece che sommandosi. Si tratta naturalmente di una semplificazione, ma è importante sottolineare che questa differenza di andamento è comunque evidente, al punto che ancora oggi questa teoria è tenuta in vita dai paesi industrializzati, i quali sostengono la necessità dell'applicazione in tutto il mondo di politiche tese al contenimento dello sviluppo demografico. Secondo Malthus, in pratica, un paese che non sia in grado di controllare la crescita della popolazione, come avviene oggi nei paesi in via di sviluppo, si troverà presto a non avere abbastanza risorse per tutti e verrà dunque ridotto alla fame.
Questa teoria è stata ampiamente criticata e per lo più confutata, almeno nella sua rigidità, poiché Malthus nel dire ciò che diceva non teneva conto della meccanizzazione che di lì a poco avrebbe rivoluzionato la produzione agricola, nè delle conseguenze dell'emancipazione del lavoro femminile, che ha ridotto notevolmente le possibilità di riproduzione degli individui.
Oltre a questo si deve tenere conto che politiche demografiche troppo restrittive portano ed hanno anzi già portato ad un invecchiamento della popolazione media, una conseguenza non certo positiva sia in termini pratici che psicologici sulla forza lavoro a disposizione.
Tutto questo porta oggi a ritenere indispensabile un adeguato ricambio generazionale, non solo nei termini di ciò che è strettamente indispensabile dal punto di vista economico.
Aspre critiche a questa visione delle cose vengono poi da chi considera l'approccio malthusiano all'economia semplicemente non etico.
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Autore: A. di Biase
Revisioni: -
Fonte: "Compendio di Geografia umana", P. Dagradi - C. Cencini, Pàtron edizioni
Fonte fotografica: http://cepa.newschool.edu

Geografia: la transizione demografica

Nota enciclopedica
L'indice di incremento naturale è la differenza tra l’indice di natalità e quello di mortalità di una data popolazione. Normalmente si tratta di un valore positivo che può essere classificato in base alla influenza delle sue componenti. Esiste ad esempio un tipo di incremento primitivo, dove sia la natalità che la mortalità sono molto elevate, ma l'indice è basso a causa della loro vicendevole compensazione (è la situazione più a sinistra in figura). Ci sono poi altre tipologie intermedie fino ad arrivare alla condizione più a destra in figura, dove l'indice è basso perché sia natalità che mortalità lo sono.
In pratica questa è la condizione dei paesi più evoluti sul piano economico, nei quali è avvenuta la cosiddetta transizione demografica. In figura si può vedere che a partire dalla metà del Settecento la mortalità ha iniziato a diminuire per cause legate allo sviluppo scientifico, mentre in un primo momento la natalità è rimasta costante. Questo ha portato ad un progressivo aumento della popolazione, fino a quando il boom demografico non ha convinto i paesi ad adottare politiche di controllo delle nascite che hanno portato ad una riduzione della natalità. La curva a campana descritta negli ultimi secoli dall'incremento naturale della popolazione mondiale descrive esattamente questo fenomeno che ha preso il nome di transizione demografica, cioè la variazione dell'incremento che oggi è attestato grossomodo sugli stessi valori di un tempo, ma per ragioni e condizioni pressochè del tutto artificiali.
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Autore: A. di Biase
Revisioni: -
Fonte: "Compendio di Geografia umana", P. Dagradi - C.Cencini, Pàtron editore, Bologna.
Fonte iconografica tratta da Google: http://www.unipg.it/

Geografia: il problema demografico

Nota enciclopedica
Fa una certa impressione osservare che mentre all’inizio dell’era cristiana la popolazione mondiale si aggirava attorno ai 250 milioni di individui, si è dovuti arrivare al XVII secolo per raddoppiare questo numero. Nel XX secolo invece la popolazione era di solo 2 miliardi nel 1940, per arrivare poi a 4 nel 1975. Da allora vi è per fortuna stato un rallentamento - oggi siamo attorno all’1,2% di incremento annuo su base mondiale, contro i 2% degli anni Settanta (quando si coniò per questo fenomeno il termine di rivoluzione demografica)-; ma ciò che preoccupa gli esperti è soprattutto il fatto che l’incremento della popolazione mondiale, il quale fino agli anni Venti era più marcato nei paesi ricchi, ha subìto un’inversione di tendenza, esplodendo nei paesi in via di sviluppo, andando così ad ampliare il divario già esistente in queste aree tra popolazione e risorse, mettendo dunque un grosso freno allo sviluppo sostenibile del pianeta.
Per indice di natalità si intende il rapporto millesimale tra numero di nati in un anno ed il numero di abitanti. In Italia questo rapporto è di 9,4 abitanti nati annualmente ogni mille abitanti, contro i 50 che sarebbero la natalità naturale di un popolazione media non controllata sul piano demografico.
Nel mondo le politiche demografiche, a seconda dei periodi storici e dei condizionamenti economici e religiosi, da sempre sono divise in politiche nataliste ed antinataliste, promosse spesso entrambe dai medesimi paesi in periodi storici diversi. L’Italia, la Germania ed il Giappone promossero ad esempio una politica fortemente natalista prima e durante la II guerra mondiale, facendo sorprendentemente passare l’indice di natalità tedesco da 15 (nel 1933) a 20 (1939).
In Russia, mentre all’indomani della Rivoluzione la politica natalista fu sconsigliata, un forte incremento della natalità fu dettato da esigenze belliche negli anni Quaranta, per poi tornare ad una caduta verticale dell’indice delle nascite subito dopo il disfacimento dell’URSS (8,4/oo).
Una cosa analoga è avvenuta in Cina dove, dopo le campagne nataliste promosse da Mao, si è giunti oggi a politiche di forte contenimento delle nascite.
Un discorso simile può essere fatto per la mortalità, il cui indice millesimale si calcola esattamente nello stesso modo di quello di natalità: in Italia tra l’altro i due indici coincidono, siamo dunque a crescita zero.
Ovviamente la morte non può essere evitata, ma la lotta contro quest’ultima ha portato negli ultimi secoli a notevoli successi nei confronti delle cause esogene di morte, quelle cioè legate all’ambiente, al clima ed alle malattie batteriche. Lo sviluppo della farmacia nulla o poco ha potuto però nei confronti dello sviluppo delle cause endonege di morte, come le malattie cardiovascolari ed i tumori, che sono aumentate nonostante la continua cura loro prestata perché si tratta di malattie fortemente legate allo stile di vita, più malsano nei paesi sviluppati piuttosto che negli altri, dove la vita è maggiormente a “misura d’uomo”.
Riguardo alla mortalità va detto anche che i principali progressi nella lotta alla morte di sono avuti, negli ultimi secoli, soprattutto per quanto riguarda la riduzione della mortalità infantile, che una volta era la principale causa di riduzione dell’età media nei paesi sviluppati, mente oggi falcidia solo la aree in via di sviluppo.
Per questo motivo l’indice di mortalità infantile, cioè il numero di bambini morti con meno di un anno di vita in rapporto al numero di neonati in un anno, è uno dei principali indici di benessere di un paese: in Italia ad esempio muore all’incirca un neonato ogni duemila, ma nel terzo mondo muore ancora oggi un bimbo ogni 10.

Detto questo è bene precisare che ad ogni modo i problemi della mortalità, sebbene importanti, sono surclassati da quelli della natalità, la quale oltre ad essere evitabile è anche molto più pericolosa nell’ottica dello sviluppo del pianeta: l’ONU attualmente stima una popolazione mondiale di 9,4 miliardi di individui nel 2050; per questo molti paesi, tra cui l’Italia, attuano una politica di controllo delle nascite.

La stessa ONU ha organizzato negli ultimi decenni ben tre conferenze sul problema demografico. Una a Bucarest nel 1974, una a Città del Messico dieci anni più tardi, una al Cairo nel 1994. In quest’ultima si è acceso lo scontro tra i paesi ad orientamento liberista e quelli di orientamento cattolico e mussulmano: i primi sono sostenitori della linea malthusiana, cioè della necessità di operare con un drastico controlllo delle nascite nei paesi in via di sviluppo, poiché è questa secondo loro la principale causa di povertà di queste aree; i secondi, contrari invece anche per ragioni religiose al controllo demografico, sono invece dell’opinione che sia etico da parte degli degli stati più ricchi attuare politiche tese ad aiutare i deboli, indipendentemente dalla politica demografica adottata.
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Autore: A. di Biase
Revisioni: -
Fonte: riassunto da "Compendio di Geografia umana", P. Dagradi - C. Cencini, Pàtron editore
Fonte fotografica: www.pimemilano.com

27 dicembre 2008

"Ombre su Campo Marzio" di Claudio Foti

Claudio Foti**
OMBRE SU CAMPO MARZIO
Postfazione di Gianfranco de Turris
Edizioni Tabula fati


Le vicende narrate prendono spunto da avvenimenti storici per poi librarsi nella fantasia. Questo romanzo ripercorre, più o meno fedelmente, la storia di un viaggio fatto nel 969 da Gerberto d’Aurillac, il futuro papa Silvestro II, personaggio controverso e carismatico che con il suo talento e la sua personalità è al centro di moltissime vicende storiche e leggendarie.
Ricostruire in maniera coinvolgente e credibile la vita quotidiana di quegli anni non è stato facile, ma spero di poter regalare ai miei lettori un po’ di quell’atmosfera lontana e, per i più di loro, altrimenti irraggiungibile.
Non tutto quanto narrato può essere incasellato in avvenimenti storici ben definiti, ma la maggior parte, credetemi, sì. Il conte Borell, il vescovo Attone, papa Giovanni XIII e naturalmente Gerberto d’Aurillac, il papa mago, sono realmente esistiti.
Silvestro II è un personaggio strano. Uomo scomodo il cui pensiero precorreva i tempi, e che solo di recente è stato debitamente rivalutato. Uomo estremamente affascinante, di vasti interessi e profonda cultura, per le cui qualità fuori dal comune è stato ed è tuttora oggetto d’indagine da parte di studiosi di varie discipline.
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**Nato a Roma nel 1967 Claudio Foti scrive continuamente inventando sempre nuove storie e nuovi mondi. Ha vinto la prima edizione del Premio Elsa Morante 2000, sezione romanzo di genere, con il romanzo fantasy "Dobb e gli adoratori di Fenrir" pubblicato nel 2003 (Ed. Di Salvo). Nello stesso anno il racconto "Cunicoli sotto il Tevere" ottiene la menzione speciale al Premio Letterario Yorick. Nel 2004 il racconto breve "Roma" vince il Concorso di Roma Radio Spazio Aperto e il racconto "Un’immersione fantastica" viene pubblicato nel libro Il Mio Mare (Ed. La Mandragora). Nel 2005 il racconto "La Corte" viene pubblicato sulla Fanzine di Fantascienza “Apuliancon" e il romanzo fantasy "Zymill" ottiene il secondo posto al concorso “Le ali della fantasia”.
Con il romanzo "Ombre su Campo Marzio" ha vinto la seconda edizione del Premio Le Ali della Fantasia 2006.
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Fonte: ufficio stampa Tabula Fati
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24 dicembre 2008

Il vero benessere secondo Bob Kennedy


“Non troveremo mai un fine per la Nazione né una nostra personale soddisfazione nel mero perseguimento del benessere economico, nell’ammassare senza fine beni terreni.

Non possiamo misurare lo spirito nazionale sulla base dell’indice Dow-Jones, né i successi del Paese sulla base del prodotto interno lordo (PIL).

Il PIL comprende anche l’inquinamento dell’aria e la pubblicità delle sigarette, e le ambulanze per sgombrare le nostre autostrade dalle carneficine dei fine-settimana.

Il PIL mette nel conto le serrature speciali per le nostre porte di casa, e le prigioni per coloro che cercano di forzarle […].

Comprende programmi televisivi che valorizzano la violenza, per vendere prodotti violenti ai nostri bambini.

Cresce con la produzione di napalm, missili e testate nucleari. Comprende anche la ricerca per migliorare la disseminazione della peste bubbonica, si accresce con gli equipaggiamenti che la polizia usa per sedare le rivolte, e non fa che aumentare quando sulle loro ceneri si ricostruiscono i bassifondi popolari.

Il PIL non tiene conto della salute delle nostre famiglie, della qualità della loro educazione o della gioia dei loro momenti di svago. […]

Non comprende la bellezza della nostra poesia o la solidità dei valori familiari, l’intelligenza del nostro dibattere o l’onestà dei nostri pubblici dipendenti.

Non tiene conto né della giustizia nei nostri tribunali, né dell’equità nei rapporti fra di noi. Il PIL non misura né la nostra arguzia né il nostro coraggio, né la nostra saggezza né la nostra conoscenza, né la nostra compassione né la devozione al nostro Paese.

Misura tutto, in breve, eccetto ciò che rende la vita veramente degna di essere vissuta. Può dirci tutto sull’America, ma non se possiamo essere orgogliosi di essere americani”

(Robert Kennedy)

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Fonte: Antonio V. Gelormini
Fonte fotografica: Google
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20 dicembre 2008

"La follia in scena" di Gianluca Corrado

Gianluca Corrado**
LA FOLLIA IN SCENA
Edizioni Solfanelli

Forme di emancipazione dal logocentrismo, l’arte e la riflessione estetica sempre più si accreditano come espressioni di libertà del senso e di fabulizzazione della verità. E in quanto tali s’impegnano a mettere in luce il lato infondato del logos, abilitando in qualche modo la “follia” che lo costituisce. Traendo spunto da una commedia di Eduardo nella quale il protagonista – pazzo – si trova spaesato nella quotidianità “sana” dell’arte, dei doppi sensi, delle metafore, La follia in scena prende alla lettera la pretesa “folle” dell’estetizzazione della verità e tenta di confrontarla con la follia effettiva, quella incarnata appunto nei pazzi. Allora, però, emerge una precisa differenza tra follia con e senza le virgolette: divaricazione tra una visione – poetica e riflessiva – che resta utilmente all’interno dei codici logici e realistici, sia pure per relativizzarli, e una pratica esistenziale che sconvolge il logos nell’assenza di una coscienza riflessiva e di finalità derealizzanti. Ed è proprio con questa assenza che va cercato il confronto. Costellato da autori eterogenei come Barthes, Blanchot, Gadamer, Cassinelli, convocando temi quali il sogno e il gioco infantile, il volume rilegge quindi la celebre disputa, sottesa da Cartesio, tra Jacques Derrida e la storia della follia di Michel Foucault.
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**Gianluca Corrado, nato a Viareggio nel 1968, è laureato in filosofia. Membro di ricerca dell’Associazione Italiana Studi di Estetica e del comitato di redazione della rivista “La questione Romantica”, lavora nell’editoria e si occupa di pensiero psicotico presso Servizi Ascot di Firenze. Per volumi collettanei e riviste, oltre che su filosofia e amore, sulla morte, sul ricordo e su vari temi ermeneutici ed estetici, ha scritto saggi su M. Foucault, R. Barthes, M. Blanchot, G. Bataille, N. Chomsky, M. Heidegger, H.G. Gadamer, E. Betti, U. Eco, J.-P. Sartre, G. Perec, I. Calvino, A. Campanile, G. Favati.
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Fonte:
http://www.edizionisolfanelli.it/lafolliainscena.htm
edizionisolfanelli@yahoo.it
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18 dicembre 2008

I giapponesi e la fine dei tonni

di Augusto da San Buono

Ogni anno in questo periodo i tonni, seguendo le correnti, lasciano il freddo dell’Oceano Atlantico per entrare , attraverso lo stretto di Gibilterra, nelle più tiepide acque del Mediterraneo, dove si riprodurranno. I banchi di tonni costeggiano la Spagna, le Baleari e giungono in Sardegna. Qui si dividono : una parte si dirige verso l’Elba, un’altra scende in Sicilia e, lungo la costa tirrenica, va da capo Lilibeo a capo Peloro, per poi scendere a capo Passero. Quindi risalgono e si dirigono verso la Puglia e la Campania, costeggiando la Calabria nei due versanti, jonico e tirrenico. La femmina nuota placidamente in profondità, attorniata da quattro cinque maschi pronti ad entrare in azione e fecondare la nuvola lattiginosa delle uova che si spande nell’acqua. Giunti alla fine di questa romantica crociera , paghi del lavoro compiuto, i tonni ritornano negli spazi sconfinati dell’oceano atlantico. Ma nello svolgimento di questo viaggio attraverso il mediterraneo molti di loro , un tempo , venivano catturati , finendo nelle reti dei tonnaroti che, guidati dai loro rais, ingaggiavano con i tonni una lotta atavica, fatta di sangue, di mare, muscoli e preghiere, la famosa “mattanza” . Ricordo storie fantastiche e tragiche di “pesche miracolose” di tonni con cui venivano sfamati interi paesi costieri della Puglia , della Calabria e della Sicilia. Ora questo ciclo produttivo del tonno nel “mare nostrum” rischia di scomparire, perché, a causa della bontà delle sue carni, specialmente nella varietà di tonno rosso, il prelibato pesce è diventato oggetto di una caccia spietata che ha finito di ridurne drasticamente la popolazione, mettendone a rischio la stessa sopravvivenza. Il boom è avvenuto (e te pareva!) in Giappone , dove il tonno viene usato per preparare il sushi e dove i ristoranti, per averne un esemplare gigante, (possono arrivare fino a 700 chili) sono disposti a pagare fino a centomila euro. L’ingente consumo di sushi e sahshimi ha determinato l’insorgere di una domanda in continua espansione e ha spinto l’industria ittica a studiare sistemi di pesca sempre più sofisticati ed efficienti che si avvalgono anche dell’ausilio di rilevamenti satellitari e avvistamenti aerei. Lo sguardo vigile del rais è stato sostituito dall’occhio infallibile di un satellite, le barchette dei tonnaroti da enormi pescherecci giapponesi, coadiuvati da elicotteri e veloci motobarche che circondano i banchi dei tonni per farli rallentare. Vengono così catturati centinaia di tonnellate di pesce, immediatamente congelati nella nave stessa. Si tratta di vere e proprie fabbriche galleggianti. Questo tipo di pesca, così lontana dalla mattanza tradizionale, rischia l’estinzione del tonno. Lo ha detto a chiare note la scienziata americana Barbara Block, lo hanno ribadito Thortonsen e Gunnarson , scienziati scandinavi. Per scongiurare questa tragedia bisogna necessariamente porre in essere delle regolamentazioni più rigide di quelle adottate finora, bisogna adottare delle misure restrittive a salvaguardia del pesce più rappresentativo della cucina italiana. Nel frattempo , i nostri ultimi rais e tonnaroti rimasti , quelli di Favignana e Carloforte , (si tratta di centinaia di famiglie che vivevano della pesca del tonno ) stanno chiudendo bottega, perché le flotte giapponesi , con barche da diecimila tonnellate, per mezzo di sonar e segnalazioni satellitari, individuano i banchi di tonni in arrivo subito dopo lo stretto di Gibilterra, li accerchiano e li catturano, e nel Mediterraneo ne arrivano ormai davvero pochi.
Poveri tonni, alle prese coi giapponesi, non so proprio se per voi ci sarà un futuro!
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Fonte fotografica: www.gardalakediving.it
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17 dicembre 2008

"La virtù di Checchina" di Matilde Serao

Romanzo breve, La virtù di Checchina fu pubblicato per la prima volta in quattro puntate sulla «Domenica Letteraria» nel 1883, secondo le abitudini del tempo, e apparve successivamente in volume per l’editore Giannotta di Catania nel 1884 e poi nel 1906. Nonostante qualche critica iniziale e un certo scetticismo, alimentato dalla stessa autrice in lettere private, La virtù è uno dei testi più riusciti di Matilde Serao, un racconto borghese gradevole e coinvolgente, in cui l’innata simpatia della sua protagonista, i suoi ostentati timori, i vorrei ma non posso che ne animano di continuo le azioni e le esitazioni, riescono a creare una naturale empatia con il lettore che pur lasciandosi scappare magari più d’un sorriso dinanzi all’esibita ingenuità della donna, non può che divertirsi a sospirare e cospirare con lei, nella ricercata realizzazione di desideri tanto comuni quanto umani. La vita di Checchina, orientata verso un’ordinaria e grigia quotidianità, viene improvvisamente scossa dall’incontro col bel marchese d’Aragona, in cui trovano espressione quelle raffinatezze nobiliari di cui lei, donna sposata della piccola borghesia, avverte tanto il fascino quanto la distanza. La sensibilità di Checchina è in grado di cogliere con lucidità tutte quelle differenze che l’attraggono e mentre le sue azioni restano inibite da un senso di inadeguatezza e inferiorità che non l’abbandonerà mai, il suo sguardo indugia e approva la cura e l’eleganza del marchese, le calze di seta sul piede aristocratico, i mustacchi ben curati, il profumo, la voce dolce e musicale, la cravatta di raso bianco, e le altre mirabilie della sua costruita artificiosità. Si lascia così cullare da quel «bisogno del sogno» che il coetaneo d’Annunzio si appresta a codificare, e che appartiene un po’ a tutti, insinuandosi anche fra le pieghe del quotidiano. Dimentica pertanto il marito, un Charles Bovary all’italiana (come suggerisce Bruni nella sua prefazione al volume Il romanzo della fanciulla del 1985) tratteggiato come una macchietta rozza e senza stile, con poche azioni che si ripetono continuamente (mangiare, dormire, russare) e sogna un improbabile adulterio. La sua femminilità assopita si è risvegliata e Checchina, abituata a preoccupazioni di altra natura, la cucina, la spesa, e tutta una teoria di «incidenti volgari», riscopre il fascino della mondanità: perennemente costretta a fare i conti con il difficile bilancio della casa, con il suo carattere schivo e timoroso, e la congenita incapacità di difendersi dal giudizio degli altri, che sia un’amica o una serva non importa, Checchina prova, seppur mai con assoluta convinzione, ad armarsi di sana concretezza e operosità borghese, e giocarsi le sue carte, anche a costo di mettere a rischio la sua già proverbiale virtù. La storia, si diceva, è sicuramente gradevole e resiste al tempo: l’attenzione al vero, che è tratto peculiare della scrittura della Serao, ne colora efficacemente gli ambienti con oggetti e comportamenti ritratti con attenzione e spirito pratico. Resta il senso di una differenza che la conservatrice donna Matilde avverte e alimenta, nonostante il gioco letterario d’affidare a una scelta individuale la possibilità o l’illusione di affrontarla.
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Geografia: la biodiversità e la sua conservazione

Nota enciclopedica
Per biodiversità si intende la totalità degli esseri viventi presenti sulla Terra. Dagradi e Cencini, dell'Università di Bologna, la distinguono in tre diverse manifestazioni: quella genetica, quella di specie, e quella di ecosistema, che si riferisce non tanto agli esseri viventi, ma piuttosto a ciò che li circonda, il che non è meno importante.

Certo è che non conosciamo tutta la totalità degli esseri viventi: abbiamo catalogato circa 1,8 milioni di specie (che non è poco) tra le più vicine a noi, ma il più rimane comunque sconosciuto, soprattutto per quanto riguarda animali e piante piccole o microscopiche. L'aspetto più preoccupante della questione è poi la progressiva scomparsa di gran parte di queste specie (non solo tra quelle che si conoscono), in particolare a causa de flagello della deforestazione.

Le foreste pluviali infatti, che si trovano in massima parte nella fascia equatoriale del pianeta, coprono oggi circa 8 milioni di chilometri quadrati, un'estensione molto ridotta rispetto a quella di solo qualche decennio fa, sono in via di distruzione per circa 20 milioni di ettari l'anno, con una conseguente perdita di circa il 5% annuo di tutte le specie viventi in quelle aree, che sono le più ricche di vita in tutto il pianeta. Un vero disastro che interessa particolarmente i paesi in via di sviluppo, incapaci di trovare risorse economiche al di là della sistematica distruzione dell'ambiente, oltre che meno sensibili alla questione ecologica proprio perché arrivati dopo sul piano dello sviluppo economico e quindi non ancora sufficientemente sensibilizzati e toccati sul vivo da questi problemi.

Nei paesi industrializzati la questione della tutela dell'ambiente ha invece abbondantemente passato il secolo di vita, sostenuta fin dal 1872 con la creazione del primo parco naturale negli USA, quello dello Yellowstone. Oggi, solo negli Stati Uniti i parchi naturali sono una quarantina, 300 le aree protette per una estensione pari al 3,5% della superficie totale. In Australia i parchi sono oltre 500 con una copertura oltre il 5% della supeficie del paese.

In Italia non mancano esempi prestigiosi come il Parco Nazionale del Gran Paradiso, oppure il Parco Nazionale d'Abruzzo, sfruttati, come avviene in tutto il mondo, non solo per finalità scientifiche e di conservazione della biodiversità, ma anche educative o ricreative.

Non trascurabile, soprattutto nei paesi poveri come quelli dell'africa orientale e meriodionale (Sud Africa, Kenia ecc. ) il ritorno economico garantito da queste iniziative, che è sostenuto dalle bellezze del posto. In questi paesi i proventi della gestione dei parchi sono una importante voce nel bilancio dello Stato.

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Autore: A. di Biase
Revisioni: -
Fonte dei testi: "Compendio di Geografia umana", P. Dagradi - C. Cencini, Pàtron edizioni, Bologna
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Fonte fotografica: http://www.deza.admin.ch/
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16 dicembre 2008

Geografia: la densità della popolazione

Nota enciclopedica
Poiché la maggior parte delle terre emerse si trova nell'emisfero boreale del pianeta, è qui che vivono la gran parte degli oltre 6 miliardi di persone che lo abitano. Tra il 20° ed il 40° parallelo nord ci sono circa metà degli abitanti, tra il 20° ed il 60° parallelo nord ci sono quasi cinque miliardi di persone, mentre il rimanente può essere considerato equamente distribuito tra emisfero boreale e australe, dove vive solo il 10% della popolazione terrestre.
Esistono dunque zone molto poco popolate o totalmente disabitate, ma anche zone densissime. In genere viene fatta una distinzione convenzionale.
Delle zone ad altà densità, cioè con oltre 100 ab/kmq, fanno parte l'area cinese (comprendente le province orientali, le valli del fiume giallo, di quello azzurro, la Manciuria, oltre alle isole del Giappone e di Taiwan), l'area indiana (dal medio corso dell'Indo alla valle del Gange, il Bengala, Ceylon e le coste del Deccan) e l'area europea occidentale (con Inghilterra, il nord-est della Francia ed il Belgio, l'area di Parigi, la valle del Reno, il sud della Polonia, la Boemia e l'area padana italiana, Roma). Oltre a queste vi sono altre aree meno estese ad altissima densità come la valle del Nilo, l'isola di Giava, Puerto Rico e la megalopoli del nord est degli USA.

Le aree densamente popolate (da 50 a 100 ab/kmq) sono in genere continue a quelle ad alta densità e vanno per lo più a costituirne un debordamento o un completamento. Regionamento questo che vale sia in Europa che in Asia.

A media densità (10/50 ab) sono, in Europa, la Meseta spagnola, la Penisola Balcanica e la Russia; in Asia l'Anatolia e la Penisola Indocinese, in Africa il Golfo di Guinea. In America il Middle West ed il Messico.

Le aree a bassa dendità sono molto vaste, sia in Europa, nelle zone fredde, sia in Asia nelle zone secche come il Turchestan; in Africa tutta la savana è bassamente popolata, mentre in America abbiamo il Canada e le praterie del West.

Le aree a bassissima densità sono in fine quelle forestali, sia in Canada ed in Russia che in Congo ed in Amazzonia, oppure le steppe della Patagonia e dell'Asia centrale.

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Autore: A. di Biase

Revisioni: -

Fonte del testo: "Compendio di Geografia umana", P. Dagradi - C. Cencini, Pàtron editore - Bologna

Fonte fotografica: www.gianfrancomicciche.net

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15 dicembre 2008

Bush preso a scarpate

di Antonio V. Gelormini
In pochi secondi e con una capacità di sintesi impressionante Muntadar al-Zeidi, reporter della tv irachena Al Baghdadia, ha dato corpo alla voglia inconfessata non solo di una gran quantità di iracheni, ma anche di larga parte della pubblica opinione mondiale, ben al di là dei soli avversari della disastrosa politica interventista americana: prendere idealmente a calci George W. Bush.
Non potendo e non volendolo fare canonicamente, si è limitato a scagliare le sue scarpe contro il Presidente americano, durante una improvvisata conferenza stampa a Bagdad. Accompagnando il gesto con due invettive chiarificatrici: "Questo è il regalo degli iracheni, il tuo bacio d'addio, cane", ha gridato il giornalista iracheno, lanciandogli addosso la prima scarpa. "E questo proviene dalle vedove, dagli orfani e da coloro che sono stati uccisi in Iraq", ha poi aggiunto, lanciandogli contro anche la seconda.
Il Presidente è riuscito a schivarle entrambe, ma la scena è stata implacabilmente ripresa dalle telecamere e rimandata immediatamente dalle emittenti di mezzo mondo. C’è chi dice che Bush se l’è cercata. Dopo aver riconosciuto, di recente, l’infondatezza delle premesse su cui fu basato l’intervento americano in Iraq, ha voluto ostinatamente insistere sulla sua “necessità”. Andando a motivarla fino a Bagdad: “per la sicurezza americana, la speranza irachena e la pace nel mondo”. E quando caparbiamente ha aggiunto: “La guerra non è ancora finita”, una dopo l’altra sono volate le scarpe di Muntadar al-Zeidi.
Un gesto carico di risentimento per la tradizione locale. Lanciare delle scarpe contro qualcuno è per un iracheno una maniera per esprimere il suo massimo disprezzo, vuol dire che il destinatario sta ancora più in basso delle scarpe. Così come pesante è il riferimento-insulto al “cane”, animale considerato impuro dalla cultura araba. Roba da far rabbuiare qualsiasi espressione e giustificare ogni seria preoccupazione. Guardando il filmato, si nota invece che il Presidente ostenta un compiaciuto sorriso (forse per la prontezza del riflesso), tra lo smarrito e il beffardo. Assumendo, davanti al mondo intero, la tipica “faccia da schiaffi”.
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Fonte fotografica da Google: http://www.clipsandcomment.com
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Geografia: lo sviluppo sostenibile

Nota enciclopedica
Una importante definizione di "sviluppo sostenibile" è contenuta nel cosiddetto "Rapporto Brundtland", un documento prodotto nel 1987 dalla WCED (Wolrd Commission on Environment and Development) ed originariamente intitolato "Our Common Future"; qui si parla di uno sviluppo che sia in grado di soddisfare i bisogni del presente senza con questo compromettere la possibilità di soddisfare quelli futuri.
Già nel 1972 a Stoccolma si era parlato di questi temi, nella conferenza "Man and his Environment", la quale aveva per la prima volta riconosciuto in quello ambientale un problema globale, ma solo a partire dall'87 sono stati individuati i principali ostacoli ad uno sviluppo 'etico' del pianeta che secondo il 'Rapporto' sono fondamentalmente tre:
1) La dipendenza dell'economia mondiale dai combustibili fossili, cioè da fonti di energia non risnnovabili a breve termine, cosa questa che da una parte squilibra ulteriomente il divario economico tra Nord e Sud del mondo, mentre dall'altra va a costituire una grave minaccia ambientale per l'atmosfera e le acque..
2) L'incontrollato sviluppo demografico del Terzo mondo, che produce povertà (in contrasto con la ricchezza dei paesi a demografia controllata), corruzione e problematiche legate all'esportazione illegale dei rifiuti.
3) L'assenza di istituzioni che abbiano non solo la competenza, ma anche il potere di imporre le regole ritenute necessarie a questo tipo di sviluppo.
E' in pratica una tendenza moderna quella di considerare seriamente la differenza tra 'crescita' e 'sviluppo', pensando a quest'ultimo non come ad un semplice dato numerico, ma ad un miglioramento della qualità della vita, sia dal punto di vista sanitario, che abitativo, dell'istruzione e dei diritti civili.
Lo sviluppo sostenibile è quindi oggi considerato un sistema di obiettivi che Dagradi e Cencini racchiudono in tre punti:
1) La tutela dell'integrità ambientale, con particolare riferimento allo sfruttamento delle risorse naturali; tutelando quelle non rinnovabili ed attendendo il ricambio di quelle rinnovabili.
2) Lo sviluppo di una economia efficiente: che sia attenta cioè agli scarti, ai rifiuti, che sia in grado di recuperare ciò che è possibile nell'interesse dell'ambiente. Un'economia dunque 'etica' e non solo votata alla crescita.
3) L'equità fra gli uomini, che hanno tutti il diritto di partecipare allo sviluppo, non solo come come uomini abitanti nelle varie parti del pianeta, ma anche come padri delle nuove generazioni, alle quali va lasciato un ambiente possibilmente integro o poco modificato.
Sempre un concetto moderno è quello di sostenibilità debole e sostenibilità forte.
La prima si ha quando viene posta attenzione acché la ricchezza naturale, quand'anche depauperata, venga sostituita da una ricchezza prodotta dall'uomo: ad esempio la deforestazione è debolmente sostenibile se accompagnata dalla ripiantumazione. Mentre non è fortemente sostenibile perché l'ambiente che deriverà dalla piantumazione, e cioè una nuova foresta, non sarà quello originario e comunque solo dopo molto tempo arriverà a perdere le caratteristiche di artificialità conferitegli dall'uomo.
La sostenibilità forte protegge dunque, in una parola, l'integrità dell'ambiente naturale.
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Autore: A. di Biase
Revisioni: -
Fonte fotografica: http://blog.stefanoepifani.it
Fonte dei testi: "Compendio di Geografia umana" - P. Dagradi - C. Cencini - Pàtron editore
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14 dicembre 2008

Geografia: l'allarme ambientale

Nota enciclopedica
Di allarme ambientale sul nostro pianeta si può, storicamente, cominciare a parlare a partire dalla Rivoluzione industriale, e cioè dalla seconda metà del Settecento. A partire da questo secolo infatti, quello dei Lumi, la fiducia pressoché illimitata nella scienza e nelle risorse tecnologiche ha portato l'uomo a modificare l'ambiente e, fatto questo dannoso, a considerarlo terreno di conquista e di sfruttamento. Paradossalmente, le conseguenze più dannose di questo atteggiamento sono maggiormente visibili nei paesi in via di sviluppo, piuttosto che in quelli più industrializzati, probailmente perché i primi, più anziani nell'approccio consumistico, possiedono anche una coscienza ecologica più evoluta, oltre ad avere una ricchezza che consente loro di sfruttare in maniera intelligente le risorse naturali. I paesi poveri invece, spesso sotto scacco dei più ricchi, depauperano annualmente immense risorse boschive, minerarie e petrolifere, sfruttando il proprio territorio in una maniera pressoché irreversibile.

I danni prodotti dallo sviluppo incontrollato sono visibili ad esempio nell'inquinamento dell'aria, che si è saturata di sostanze variamente inquinanti come l'anidride carbonica, il metano, gli ossidi di zolfo (solfati) e di azoto (nitrati), i clorofluorocarburi e i prodotti della scomposizione dell'ossigeno, come l'ozono.
Tutto questo incide in maniera dannosa sul nostro sistema respiratorio, ma non solo: mentre l'ozono in quota è un bene perché filtra la radiazione ultravioletta della luce solare, al suolo, dove tende a formarsi, è causa di problemi allergici. I clorofluorocarburi (CFC) inoltre, salendo in quota si decompongono liberando il cloro, responsabile della decomposizione catalitica dell'ozono in quota e contribuendo quindi alla formazione del famoso 'buco'.
Nitrati e solfati si legano all'acqua contribuendo alla formazione delle cosiddette piogge acide, con danni pesanti oltre che alle foreste spesso anche alle colture. L'anidride carbonica (CO2) in fine è responsabile del riscaldamento del pianeta, perché contribuisce all'effetto serra, essendo un gas trasparente (che fa passare l'energia solare sotto forma di luce), ma isolante termico (che non fa uscire il calore dall'atmosfera).
Il riscaldamento, a sua volta, sta avendo un progressivo effetto sullo scioglimento delle calotte polari, con relativo progressivo innalzamento dei mari, innalzamento che rischia di creare danni enormi portando gli stessi mari a sommergere vastissime aree densamente popolate e ricche di attività economiche.
Il famoso protocollo di Kyoto fa riferimento proprio a questa drammatica situazione. La conferenza svoltasi nel 1997 nella città giapponese, e glissata poi da quella di Buenos Aires l'anno successivo, ha stabilito infatti un accordo tra i paesi industrializzati, i quali si sono impegnati entro il 2012 a ridurre drasticamente le emissioni di gas serra, addirittura fissando una soglia del 5% inferiore ai valori registrati nel 1990.
Altra questione è quella dell'inquinamento delle acque, il quale sembra essere strettamente legato, oltre alla concentrazione industriale, alla densità della popolazione. Per quanto riguarda le acque interne, come fiumi e laghi, i principali inquinanti sono i liquami ed i detersivi. I primi sono biodegradabili e quindi nei paesi industrializzati si tratta solo di diluirli e trasportarli in zone dove l'ambiente ed il tempo sono in grado di recuperarli; il problema però è grande nei paesi in via di sviluppo ed a grande densità demografica perché lì lo smaltimento è più difficile (mancano ad esempio le fogne o sono insufficienti), il sistema immunitario delle persone è più solido, c'è gente che è in grado di bere l'acqua del Gange senza ammalarsi, ma non per questo tali paesi non sono ad emergenza inquinamento. Per quanto riguarda i detersivi il problema è da una parte nella scarsa biodegradabilità di queste sostanze chimiche, dall'altra nella circostanza che i detersivi sono ricchi di fosfati, un nutrimento per le piante acquatiche, le quali finiscono per proliferare favorendo a loro volta la stagnazione delle acque e l'impoverimento d'ossigeno di queste ultime, cosa questa che danneggia a sua volta la fauna ittica. Per quanto riguarda il mare, per molto tempo considerato in grado di smaltire qualunque rifuto, va sottolineato l'importante ruolo inquinante dato dal trasporto di idrocarburi, che vengono spesso dispersi occasionalmente o volontariamente in mare aperto, lontano da occhi indiscreti.
I rifiuti sono un altro tema. Va sottolineato il fatto che sia l'attività industriale che quella dei singoli individui produce rifiuti, circa un miliardo di tonnellate annue complessive, i quali vengono generalmente smaltiti in discariche controllate. Questo crea però problemi all'inquinamento delle falde poiché accantonare i rifiuti non vuol dire eliminarli del tutto, bensì solo spostare il problema. Il modo più sicuro, si è visto, è quello dell'eliminazione per incenerimento, questo però crea problemi all'ambiente per la conseguente produzione di diossina, che può essere eliminata solo negli inceneritori di nuova generazione, per mezzo di filtri, i quali però sono a loro volta difficili da smaltire quando sono saturi. Uscire quindi da questo circolo vizioso non è facile e si sono diffuse pratiche illegali come l'esportazione clandestina dei prodotti più tossici (chimici e radioattivi), verso i paesi del sud del mondo.
I metodi legali per ovviare a questi problemi sono relativamente recenti: nello smaltimento si è iniziato a parlare di raccolta differenziata, la quale favorisce il riciclaggio di molti prodotti, come l'alluminio, la plastica, la carta ed anche l'umido, utilizzato nella produzione di fertilizzanti naturali. Questi ultimi hanno anche la funzione di limitare la produzione di fertilizzanti di sintesi, che sono molto tossici appartenendo chimicamente alla stessa famiglia dei pesticidi, ed a favorire lo sviluppo della cosiddetta agricoltura biologica.
Vi sono poi aree della Terra dove lo sviluppo è impossibile, non solo per le condizioni climatiche, sia troppo calde che fredde, bensì per la presenza del fenomeno della desertificazione, cioè un processo che viene innescato spesso involontariamente dall'uomo, il quale porta alla pressoché totale scomparsa di specie vegetali sul territorio. Un caso tipico è quello delle zone deforestate, dove il terreno non più protetto dalla folta vegetazione che lo ha ricoperto per millenni, finisce per inaridire velocemente. Altri posti soggetti a desertificazione sono quelli contigui ai deserti medesimi, cioè nelle fasce tropicali: qui l'assenza di risorse fa sì che basti poco acché il deserto chiami altro deserto. L'assenza di legna per accendere il fuoco o il pascolo su prato possono essere infatti, in queste aree, una ragione sufficiente al raggiungimento della completa desertificazione del terreno. Queste terre, se umide, sono anche soggette al fenomeno della salinizzazione: l'acqua superficiale "succhia" infatti per capilarità sali tossici per le piante, come i cloruri. E' successo nella zona del lago d'Aral e sta succedendo nel Mar Caspio.
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Autore: A. di Biase
Revisioni:
Fonte dei testi: liberamente ma sostanzialmente tratto da "Compendio di Geografia umana", P. Dagradi-C. Cencini, Pàtron editore -Bologna
Nota: l'autore riconosce trattarsi di un post un po' lungo ed anche un po' generico, - sostanzialmente un riassunto - ma si è ritenuto fosse importante trattare l'argomento, che è tipicamento geografico.
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Geografia: le carte tematiche



  Le carte tematiche sono un particolare tipo di carte geografiche il cui scopo non è quello di rappresentare i confini e la morfologia del territorio, bensì la presenza di fenomeni specifici, come quelli metereologici, oppure caratteristiche della popolazione, come lingua parlata, densità, mortalità, natalità ecc.
In linea di principio esse si distinguno in carte tematiche qualitative e quantitative.

Nella carte qualitative viene rappresentato l'areale di un fenomeno, cioè la sua estensione: per esempio quanta parte di una zona agricola è coltivatata a grano o frumento, avena od altro. Quando è sufficiente per distinguere le varie aree si usa semplicemnte un colore diverso, altrimenti si utilizzano tratteggi vari per la rappresentazione, cercando di essere intuitivi, per esempio usando il giallo per il frumento e il verde o l'arancio per la frutta.

Altra questione è invece quella delle carte quantitative, dove viene rappresentata numericamente una variabile: ad esempio i millimetri d'acqua piovana in un anno, le ore di insolazione media, la densità di popolazione, l'indice di analfabetismo ecc.
I principali metodi di rappresentazione quantitativa sono i seguenti:
per punti dove la densita del fenomeno è rappresentata in maniera puntifome, ad esempio più punti dove la densità di popolazione, meno dove la popolazione è rada.
a mosaico: ad esempio pensando alle regioni italiane come tavolette colorate diversamente a seconda della densità di popolazione.
simbolica: ad esempio posizionando su ogni regione italiana il disegno stilizzato di un omino tanto più grande quanto più la densità di popolazione è elevata.
ad isolinee: si tracciano linee che indicano i punti nei quali la pressione atmosferica (isobare), l'altitudine (isoipse), la tempetatura (isoterme), piuttosto che le precipitazioni (isoiete) o la profondità del mare (isobate) raggiunge un certo valore. Spesso si tratta di linee chiuse che dànno un colpo d'occhio immediato sulla situazione rappresentata.
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Nell'immagine, tratta da www.meteo.it, una rappresentazione quantitativa di isobare ed isoterme utilizzando linee e colori.
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Autore: A. di Biase
Revisioni: -
Fonte per i testi:
-"Compendio di geografia umana", P. Dagradi - C. Cencini, Pàtron edizioni - Bologna
- La rappresentazione simbolica è fonte di conoscenza personale.
 

13 dicembre 2008

Geografia: le carte topografiche


Nota enciclopedicaNonostante l'avvento della tecnologia abbia ridotto il valore della mappa su carta, le carte topografiche, quelle cioè con una scala di riduzione da 10.000 a 200.000, rivestono ancora oggi una grande importanza.

In Italia la topografia ufficiale è quella dell'Istituto Geografico Militare (I.G.M.) incaricato del rilievo e manutenzione dei 278 fogli in scala 1:100.000 che costituiscono la mappa topografica ufficiale del nostro territorio. Per una visione più accurata poi, ciascun foglio è suddiviso in quattro quadranti, che vengono letti secondo la convenzione cartesiana, cioè il primo è quello in alto a destra, il secondo in basso a destra e così via in senso orario. Questi quadranti sono in scala 1:50.000 . Se l'accuratezza non bastasse questi quadranti sono poi divisi ciascuno in quattro tavolette contrassegnate dai punti cardinale NE, SE, SO ed NO, in scala 1:25.000 , un dettaglio dunque notevole. Ogni tavoletta è poi suddivisa, se non bastasse ancora, in quattro sezioni, in scala 1:10.000 .

Il foglio, oltre al numero di riferimento, prende il nome dal principale centro raffigurato: ci sono, in definitiva, fogli riguardanti Roma, Milano, Bologna... con tutte le suddivisioni e gli approfondimenti di scala, in modo da dare il più ampio dettaglio desiderato.

Il quadro d'unione dei 278 fogli dell'I.G.M. , relativo al territorio italiano, è disponibile qui . Le carte I.G.M. hanno come riferimento il meridiano di Monte Mario (in figura segnato in rosso), dove si trova l'omonimo osservatorio astronomico della città di Roma.
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Autore: A. di Biase
Revisioni: -
Fonte del testo: "Compendio di Geografia umana", P. Dagradi - C. Cencini, Edizioni Pàtron - Bologna
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12 dicembre 2008

Geografia: le carte geografiche

Nota enciclopedica
Una carta geografica è una rappresentazione simbolica ed in scala ridotta di un territorio, rappresentazione che comporta approssimazioni legate alla curvatura della superficie terrestre.

Storicamente la carta geografica ha risposto a due fondamentali tipi di esigenza: la 'cosmologia', cioè la visione macroscopica del mondo da un lato, e l'esigenza pratica della conoscenza locale di un territorio e/o di una costa dall'altro.

Le prime popolazioni a sentire l'esigenza della 'carta' furono quelle mesopotamiche, ma anche gli Egiziani ci hanno lasciato traccia molto antica di mappe catastali su tavolette di argilla. I Greci poi viaggiarono molto ed acquisirono una conoscenza - se consideriamo l'epoca - molto approfondita del pianeta. Le loro mappe comprendevano già l'Europa, l'Asia e l'Africa, ma soprattutto va detto della loro coscienza di vivere su una superficie pressoché sferica, o almeno circolare. Sapevano che la Terra è 'tonda' e ne calcolarono il raggio con un'approssimazione sorprendente.

Alla Magna Grecia dobbiamo il fondamentale inserimento di punti di riferimento nelle mappe, senza i quali ogni serio sforzo di orientamento è vano: in particolare il messinese Dicearco è ricordato per il rudimentale inserimento della direzione orizzontale, il parallelo. Ad Eratostene dobbiamo invece il riferimento verticale, quello che oggi si direbbe un rudimentale meridiano, passante per località note all'epoca. Il più grande cartografo dell'antichità è però universalmente riconosciuto in Claudio Tolomeo, creatore di carte vaste e dettagliate su tutto il mondo conosciuto.
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Una cosa interessante da ricordare in epoca più tarda - siamo qui nel Medioevo - è che gli studiosi del tempo erano spesso ecclesiastici, quindi il punto di riferimento di molte carte del tempo fu l'Oriente. Poiché le Scritture indicano l'Eden trovarsi ad Oriente e volendo probabilmente essi far corrispondere quest'ultimo al 'cielo' le carte avevano l'Est in alto. Questa visione, bizzarra per gli occhi dei moderni, proseguiva poi con l'immaginare che le terre fossero contenute in un cerchio e che le acque formassero una T all'interno del cerchio. Il gambo della T generalmente corrispondeva al Mediterraneo, mentre il tratto orizzontale era dato da mari e fiumi orientali, come il Nero, il Rosso il Caspio oppure il Don ed il Nilo. Le carte "T in O" oggi possono far sorridere, ma all'epoca di Dante ad esempio rispecchiavano un comune intendimento cosmologico, al punto che ancora oggi si parla di 'orientamento' come termine generale per indicare la ricerca della 'giusta' direzione. A Dante, ad esempio, il cammino verso Oriente viene forzatamente impedito nel I canto dell'Inferno.
Con l'epoca delle scoperte geografiche in fine, la cartografia fa passi da gigante, sia dal punto di vista quantitativo che qualitativo. Gerardo Kremer detto Mercatore (1512-1596) sarà in questo periodo autore del primo atlante geografico, nonché di un planisfero realizzato nel 1569.
La precisione comincia allora a divenire un fattore importante, anche perché gli strumenti scientifici si fanno più evoluti: nasce il concetto di scala di riduzione, cioè il rapporto tra le dimensioni su carta e quelle reali di un oggetto o un territorio. Convenzionalmente e per semplicità si prende come unitaria la misura dell'oggetto reale e quindi la scala esprime di quante volte l'oggetto è stato ridotto nella sua rappresentazione simbolica. Una scala 1:100 (leggasi 1 a 100) indica che le dimensioni su carta sono ridotte di cento volte.
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In base alla scala, e quindi al dettaglio, le carte geografiche possono essere classificate in: mappe (fino a scala 10.000), carte topografiche (scala da 10.000 a 200.000), carte corografiche (da 200.000 a 1 milione), carte generali (oltre 1 milione), planisferi (oltre 30 milioni).
Altra caratteristica delle carte , in relazione alla precisione, è la natura della proiezione utilizzata: come detto infatti, poiché la superficie terrestre non è piana, la sua rettificazione può avvenire solo secondo criteri che comportano un'approssimazione, un errore. E' quindi possibile classificare le carte in base al tipo di proiezione e quindi di approssimazione ammessa: le carte che conservano le superfici proporzionali a quelle reali sono dette a proiezione equivalente; quando sono le distanze a restare proporzionali, la proiezione si dice equidistante. Isogone sono invece le proiezioni che conservano gli angoli, come quella di Mercatore, particolarmente adatte alle carte nautiche.
Rilievo hanno in fine, per la semplicità geometrica della loro applicazione, le proiezioni di sviluppo (cilindriche o coniche): in pratica la carta è qui ottenuta proiettando la superficie terrestre su un cono od un cilindro tangente all'equatore. Tra le proiezioni moderne una delle più interessanti, adottata dal National Geographic e poi dagli USA e quella 'ortofana' di Robinson, che è una cilindrica modificata in modo da correggerne le dilatazioni lontano dall'equatore. La proiezione di Robinson riassume e media i pregi e difetti delle proiezioni equidistanti, equivalenti ed isogone.
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Autore: A. di Biase
Revisioni: -
Fonti:
-"Compendio di Geografia Umana", P. Dagradi - C. Cencini, Pàtron Editore.
- "Divina Commedia" - D. Alighieri - Canto I
Il testo contiene considerazioni personali nella sezione riguardante le carte "T in O".
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11 dicembre 2008

"Miscellànea" di Eduardo Roccatagliata

Miscellànea
Racconti, poesie, saggi
Eduardo Roccatagliata**
ALBUSedizioni, 2008


“Di fronte ad un lavoro così complesso, così carico di 'umanità' nella sua più alta espressione come questo di Eduardo, non si può non restare profondamente colpiti per la sua vastità argomentativa ed emotivamente coinvolti. Si ha l’impressione di ammirare un grande, stupefacente affresco ripartito in varie sezioni, ciascuna delle quali riporta al motivo centrale, per ricostituire l’unità solo apparentemente suddivisa: la testimonianza 'visiva' di un Artista polivalente, in cui si sommano ed armonizzano in perfetta fusione le peculiarità del poeta, del narratore, del saggista, del pensatore e del pittore”.
Dalla prefazione di Claudio Casaburi

“Il suo mondo è quello che attraversiamo tutti i giorni: solo che noi tiriamo dritto come inseguendo chissà quali traguardi, mentre lui sa fermarsi a parlare, ed osservare, a scoprire affinità, comunità di sentire. Sa fare dono del proprio tempo e, cosa ancora più rara, dell’ascolto. Perciò la sua pagina “sa di uomo”, con tutte le grandezze e debolezze dell’uomo, di ogni uomo”.
Dalla prefazione di Flavio Quarantotto.
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**Eduardo Roccatagliata è insegnante, laureato in pedagogia, pittore. Animatore culturale.
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Fonte: Le parole per te
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Geografia: la geografia umana

Nota enciclopedica
Fra gli italiani, il primo grande geografo umanista fu Mario Ortolani, il quale si preoccupò di portare all’attenzione della comunità scientifica la questione della differenziazione tra geografia fisica, la quale si occupa dello studio e della descrizione fisica dell’ambiente e la geografia umana, dedita invece allo studio della relazione tra uomo e l’ambiente, alla distribuzione della popolazione, degli insediamenti, dei modi di vita ed organizzazioni economiche, le quali vanno a caratterizzare il legame tra la comunità umana ed il territorio.
In realtà la geografia umana è più antica e le sue origini vanno ricercate alla metà del Settecento, quando con il completamento delle scoperte geografiche l’attenzione dello scienziato cominciò a spostarsi dal territorio verso l’uomo in relazione all’ambiente.
Un primo passo verso la geografia moderna fu compiuto da Alexander von Humboldt (1769-1859), il primo ad occuparsi della ricerca di modelli generali per la descrizione dei fenomeni naturali che riguardino una determinata area geografica. Esulando in parte dalla semplice descrizione fisica del territorio Humboldt, nella sua opera Kosmos, gettò le basi della metodologia geografica moderna.
Al geografo di estrazione storicista Ritter (1779-1859) dobbiamo invece, nella sua opera Erdkunde, un primo studio delle popolazioni dal punto di vista dell’evoluzione storico-geografica, ma solo dopo la pubblicazione de “L’origine delle specie” di Darwin si ha la vera svolta, perché per la prima volta si ammette la possibilità di un percorso evolutivo che, indipendentemente dalle implicazioni teologiche, avrebbe condizionato il territorio e gli esseri viventi da tempo immemorabile.
Contemporaneo di Darwin è Friedrich Ratzel (1844-1904), il primo grande geografo umanista, purtroppo completamente travisato in epoca nazista. Nell’opera Anthropogeographie egli getta le basi sistematiche della nuova scienza, occupandosi non solo di geografia fisica, bensì anche di distribuzione della popolazione, di migrazioni, stili di vita ed organizzazione economica. Il salto è considerevole dal punto di vista qualitativo perché Ratzel si occupa anche di geografia politica, spostando cioè l’oggetto geografico dalla popolazione allo stato, alle sue relazioni interne ed esterne: nasce così la Geopolitik, sebbene ancora del tutto priva di quel tratto ideologico che in seguito si sarebbe tentato di attribuirle.
Contemporaneo di Ratzel fu anche un grande geografo francese, Paul Vidal de la Blache, sostenitore di un modello storicista più evoluto di quello di Ritter. Per de la Blache l’uomo non è infatti nient’altro che un fattore geografico, il quale influenza ma è altrettanto influenzato dall’ambiente che lo circonda. Gli impulsi al cambiamento non provengono dunque esclusivamente dalle comunità umane, bensì è lo stesso ambiente a fare la sua parte evolvendo e condizionando la vita dell’uomo.
Nell’ultimo cinquantennio, con la progressiva introduzione di potenti strumenti di elaborazione e calcolo la geografia umana ha in fine preso la strada dei modelli matematici i quali, tenendo conto dei molteplici fattori di interazione tra uomo e territorio, sono oggi in grado di essere più precisi anche dal punto di vista quantitativo. Per la geografia moderna, non più studio semplice dei luoghi, bensì scienza dell’interazione fra aree e dell’analisi spaziale, l’americano Peter Gould ha coniato il temine di New Geography.
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Autore: A. di Biase
Revisioni: -
Fonte: "Compendio di Geografia Umana" - P. Dagradi, C. Cencini - Pàtron editore - Bologna
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09 dicembre 2008

Libri – la recensione di Bruna Alasia
“IL VENTO DELL’ODIO” DI ROBERTO COTRONEO

E’ da poco arrivato in libreria “Il vento dell’odio”, nuovo romanzo di Roberto Cotroneo. A quale tempesta si riferisce questo titolo passionale ?
A quella che, negli anni ’70, scosse in modi diversi una intera generazione e spinse alcuni giovani, punta estrema di una rivolta, ad atti distruttivi verso altri e verso se stessi. Gli anni cioè del terrorismo, anni di turbolenze mosse da ciò che detta i comportamenti umani prima dell’ideologia: l’inconscio.
Tema difficile, interessante, nonché moderno, dal momento che questo “vento” soffia sull’intero globo, in forme differenti, con vari linguaggi, ancora oggi.
Soggetto dostoevskijano che ci riporta alle “Memorie dal sottosuolo” e ai “Demoni”.
Abbandonare una certezza è difficile, significa uscire da una chiesa, ci vuole un coraggio e un adattamento vitale che non tutti possiedono: più spesso la ribellione sfocia in una protesta adolescenziale che, in rari casi, raggiunge il nichilismo. Appartiene a questo “tipo psicologico”, per dirla con Jung, Cristiano Costantini, il personaggio creato da Roberto Cotroneo con abile scandaglio, terrorista latitante da decenni, che non sa di avere lasciato nella casa dove abitava delle carte sconvolgenti, in seguito ritrovate dalla persona alla quale ha venduto l’appartamento, Giulia Moresco.
Cristiano e Giulia: lui terrorista, lei fiancheggiatrice affettivamente coinvolta. Canone a due voci di raffinata musicalità letteraria: figlia di un uomo del PCI lei, uomo di destra il padre di Cristiano. Entrambi forgiati secondo un’educazione integralista. Seguendo le loro riflessioni, i loro pensieri, siamo avventurosamente trasportati in quel “cono d’ombra” che rappresenta la vita appena trascorsa della nazione. Libro che è fotografia del recente passato e ci aiuta meglio a comprendere il presente.
Col piglio del grande narratore Cotroneo ricompone la storia attraverso il particolare e il quotidiano: biografia e pensieri di lui, biografia e pensieri di lei. Viene rappresentato lo spirito di un paese, di un costume - quello che i tedeschi chiamano lo Zeitgeist del tempo – illuminando la nostra storia meglio di tanti saggi e inchieste. Senza, tuttavia, pretendere di esaurire quegli interrogativi insoluti la cui risposta è insita nella portata dell’enigma.

Autore: Cotroneo Roberto
Editore: Mondatori
Anno 2008
Pagine 283
€ 18.00
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ADDIO AL PATTO DI STABILITA’ STUPIDO di Antonio Laurenzano

ADDIO AL PATTO DI STABILITA’ STUPIDO di Antonio Laurenzano Addio al “Patto di stu...