28 ottobre 2022

LA CERTEZZA DELLA PENA PRODUCE ALTRA CRIMINALITÀ a cura di Carmelo Musumeci


 LA CERTEZZA DELLA PENA PRODUCE ALTRA CRIMINALITÀ

L’idea più terribile che ho letto e ascoltato in questi giorni è l’affermazione anticostituzionale di “Certezza della pena”. Tale visione implica un’idea di automatismo per il quale ad ogni evento debba, necessariamente, corrispondere una determinata pena anche quando è controproducente per la società o per chi la sconta. E come se un dottore, dopo la guarigione del suo paziente, continuasse a curarlo somministrargli medicine con gravi effetti collaterali perché lo aveva stabilito prima.
Molti non sanno che la nostra Carta Costituzionale, scritta soprattutto da partigiani che sono stati detenuti nelle carceri fasciste, prevede che la pena abbia principalmente lo scopo di tendere alla rieducazione, quindi qualsiasi pena detentiva non può e non deve essere certa, quando ha esaurito la sua funzione rieducativa.
Per fortuna ci ha pensato il nuovo Ministra della Giustizia, Carlo Nordio, a ricordarlo, ma adesso bisogna vedere se avrà il coraggio di mettersi contro la sua maggioranza politica.
In tutti i casi, la certezza della pena non è assolutamente un deterrente e non spaventa proprio nessuno: i terroristi continuerebbero a farsi saltare in aria, alcune persone ad uccidere moglie o figli, i mafiosi ad essere mafiosi e alcuni politici continuerebbero a rubare.
Attualmente chi sconta la pena fino all’ultimo giorno esce arrabbiato e convinto di avere pagato il suo debito con la giustizia.
Credo che i politici che per consenso elettorale invocano a gran voce la “certezza della pena” non facciano gli interessi di chi li ha eletti, ma facciano piuttosto, senza volerlo, gli interessi della criminalità, perché i suoi adepti in carcere non sono stimolati a cambiare.
Mi è capitato pure di ascoltare alcune dichiarazioni di alcuni politici della nuova maggioranza parlamentare e sono rimasto perplesso di fronte all’eventuale programma di costruire nuovi istituti penitenziari, perché nei Paesi in cui ci sono poche carceri ci sono anche meno delinquenti.
Non citerò i dati sulla recidiva, ma per esperienza personale penso che il carcere in Italia non fermi né la piccola né la grande criminalità, piuttosto la produca.
E questo probabilmente perché quando vivi intorno al male non puoi che farne parte.
Penso che spesso non siano solo i reati commessi a far diventare una persona criminale, ma molto contribuiscano poi i luoghi in cui viene detenuta e gli anni di carcere che vengono inflitti.
Si vuole assumere nuovo personale di Polizia, ma siamo il paese nel mondo che, in rapporto al numero di detenuti, ha più agenti penitenziari. Credo che sarebbe meglio se in carcere ci fossero più educatori, psicologhi, psichiatri, insegnanti o altre figure di sostegno.
Si prospetta anche la ridimensione della ‘sorveglianza dinamica’ e del regime penitenziario ‘aperto’, ma come si fa a migliorare stando chiusi in una cella, sdraiati in una branda guardando il soffitto 22 ore su 24?
Credo che si dovrebbe stare molto attenti al trattamento delle persone in carcere, perché quando usciranno, molto probabilmente, saranno diventate più devianti e criminali di quando sono entrate.
E odieranno la società e le istituzioni ancor di più, per averle fatte diventare dei ‘mostri’.
Io penso che il carcere, così com'è oggi, non dia risposte, ma il carcere è una non risposta, il carcere è il male assoluto.
Non si può educare una persona tenendola all'inferno, la si può solo punire, farla soffrire, distruggerla, e dopo di questo anche il peggiore assassino si sentirà innocente.
Solo un carcere aperto e rispettoso della legalità può restituire alla società dei cittadini migliori.
Si propone pure la rivisitazione peggiorativa del carcere duro del “41-bis”.
Sinceramente non credo che più di così si possa peggiorare questo terribile regime detentivo di tortura.
Comunque, per sconfiggere la mafia non ci si dovrebbe accontentare solo di murare vivi i mafiosi ma, piuttosto, si dovrebbe voler migliorare i loro cuori e le loro menti.
E per fare questo si hanno più possibilità di riuscita trattandoli con umanità.
Carmelo Musumeci
Ottobre 2022

27 ottobre 2022

Lettere a Sofia libro di Giovanna Fracassi: la ricerca di senso a cura di Alessia Mocci

 

Lettere a Sofia libro di Giovanna Fracassi: la ricerca di senso





In fondo si scrive da sempre intorno ai grandi temi dell’esistenza umana. Poeti, romanzieri, filosofi hanno in realtà sviscerato ogni aspetto, ogni anfratto dell’umano sentire. Difficile trovare una propria “voce” senza ricadere in note già elaborate, già espresse. Ecco che lo scoramento può indurre a tacere, a lasciarsi avvolgere dal silenzio del nulla, dall’acqua che travolge impetuosa, accerchia e trascina in un nuovo silenzio rappresentato dalla metafora del mare, da dove, forse, possono nascere nuove parole.” – dalla lettera del 13 gennaio

Lettere a Sofia” di Giovanna Fracassi, edito a settembre 2022 da Tomarchio editore, è un libro composito nel quale sono presenti ragionamenti sotto forma di epistola, racconto breve e poesia attorno ai grandi temi dell’essere umano: la vita e la sua antagonista, la morte; il concetto del bene; il bisogno degli affetti; la curiosità insita nel viaggio; l’indole della solitudine; l’astrazione del tempo; la ricerca dell’amicizia; l’amore verso le forme di vita differenti; l’ascesa; il duplice benessere dell’insegnare e dell’imparare.

Le tematiche della grande tradizione filosofica ripensate e scritte con il sentire femminile.

Una lettura adatta sin dalla giovane età (dai 13 anni in su) in cui si potrà rispecchiare qualsiasi lettore curioso della vita e di quel che chiamiamo pensiero.

Dove nasce il pensiero? Dove nasce il bisogno di scrivere?

Ogni domanda che viene posta dona la possibilità di riflessione, rispondere argomentando è motivo di crescita e di soddisfazione. Un cerchio all’interno del quale il lettore agisce come protagonista perché chiamato anch’egli, durante la lettura, alla riflessione della tesi proposta dalla scrittrice e poetessa vicentina Giovanna Fracassi.

L’autrice stessa avverte nella premessa: “è un libro […] diverso da tutti i miei precedenti lavori” ed è effettivamente così, in quanto tutta la produzione precedente di Giovanna Fracassi è un intervallarsi di poesia e racconto (racconto lungo, breve, novella, favola).

La tradizione dello scrivere lettere a Sofia è antica quanto la stessa parola sofia – Σοφία – che in greco significa “saggezza” “sapienza” e genericamente comprende la sfera del “sapere”. Così anche in lingua italiana viene utilizzata in parole composte che si collegano alla conoscenza come filosofia, teosofia, antroposofia. […]

Scrivere una lettera è dialogare e la memoria classica non può che riportare a due libri del passato conosciuti su larga scala ed in tutto il mondo: i “Dialoghi” di Platone che mettono in scena insegnamenti sotto forma di dialoghi del maestro Socrate, e le “Lettere morali a Lucilio” scritte da Lucio Anneo Seneca al suo allievo.

Con “Lettere a Sofia” di Giovanna Fracassi troviamo le tematiche della grande tradizione filosofica ripensate con il sentire femminile. L’autrice è la mittente delle lettere, la firmataria, il suo nome compare in ogni lettera, la sua vita privata, i suoi viaggi, le sue sensazioni, i suoi errori, le sue gioie.” – tratto dalla Prefazione del libro


Giovanna Fracassi è nata a Vicenza da Emilio Fracassi, medico pediatra, e da Gemma Brazzarola. Il nonno, Egidio Fracassi, professore di Lettere è stato un irredentista e ha scritto numerosi saggi storici e politici ad oggi presenti nella sezione storica della Biblioteca civica di Rovereto (TN).

Giovanna, figlia unica, ha così modo, fin da piccola di vivere in un ambiente culturale molto stimolante e, crescendo, ha libero accesso alla biblioteca di famiglia. Si nutre di letture di vario genere, spaziando dai romanzi d'avventura, a quelli storici, alla poesia e ai saggi.

Matura pertanto la passione per lo studio della letteratura, della filosofia, della storia, ma anche della pedagogia e della psicologia che la condurrà dapprima a conseguire il Diploma di Liceo psico-pedagogico e successivamente la Laurea in Lettere e filosofia presso l'Università di Padova con la tesi intitolata "Il tema della corporeità nella filosofia di Jean Paul Sartre".

Si sposa, appena ventenne, e da questa unione, nascono due figli: Giulia e Alessandro.

Successivamente i suoi interessi culturali e umani la conducono a studiare e a conseguire varie abilitazioni all'insegnamento: alla Scuola dell'Infanzia, alla religione cattolica, alla Scuola primaria, alla Scuola secondaria di primo e di secondo grado per la cattedra di Lettere, una specializzazione per l'utilizzo del metodo d'insegnamento Braille, un master in Cinema, teatro e spettacolo, un master in Couseling.

Parallelamente alla professione di docente di Lettere, ha coltivato la passione della scrittura. Autrice poliedrica si interessa di filosofia, di fotografia, filmografia, musica e storia dell'arte. Passioni che nutre viaggiando in Italia, in Europa e in Russia.

Ha esordito con la casa editrice Rupe Mutevole nel 2012 con la raccolta poetica “Arabesques”, segue nel 2013 “Opalescenze”, nel 2014 “La cenere del tempo”, nel 2015 “Emma alle porte della solitudine”, nel 2017 “Nella clessidra del cuore”, nel 2018 “L’albero delle filastrocche”. Nel 2016 ha pubblicato con Kimerik la raccolta “In esilio da me”, nel 2018 con Kubera Edizioni “Il respiro del tempo” e nel 2021 con Rupe Mutevole una raccolta poetica dal titolo “La brace dei ricordi” ed un fortunato libro di favole e filastrocche intitolato “Nel magico mondo di Nonna Amelia”. Nel 2021 è diventata autrice della Tomarchio Editore con una raccolta poetica intitolata Il canto della memoria nell'antologia “Conversazioni poetiche” Autori Vari.


L’autrice è disponibile per eventuali richieste di interviste riguardo la sua produzione letteraria, se interessati scrivere all’indirizzo e-mail giovanna.fracassi@libero.it. Per acquistare una copia del libro con dedica personalizzata si consiglia di scrivere all’autrice in e-mail oppure sull’account Facebook.




Written by Alessia Mocci


Info

Acquista Lettere a Sofia https://www.amazon.it/Lettere-Sofia-Segnalibro-Giovanna-Fracassi/dp/B0BG9B6FVY?&linkCode=sl1&tag=oubly0b-21&linkId=07c227acb521e0bf434c0323315d666c&language=it_IT&ref_=as_li_ss_tl

Info sull’autrice https://oubliettemagazine.com/tag/giovanna-fracassi/

Sito Giovanna Fracassi http://giovannafracassi.altervista.org/

Facebook Giovanna Fracassi https://www.facebook.com/giovanna.fracassi


26 ottobre 2022

Vice versā e versā vice, Alessandra Mangano e Axl a cura di Maria Marchese

 


Vice versā e versā vice, Alessandra Mangano e Axl

a cura di Maria Marchese

Alessandra Mangano nasce nel 1968, a Milano, città in cui vive e lavora, mentre Axl viene alla luce qualche anno dopo, nel periodo adolescenziale.

Alessandra Mangano ha la pelle profumata di saporosi colori e odorosi dettagli della città di Taormina: essi sono penetrati, addentro, al punto tale da incidere il suo profondo; la cara terra, con cui ha condiviso momenti indispensabili, fin da bambina, scorre, liquefatta in mille sfumature, concrete e impalpabili, come acqua, che dilava la roccia e foggia la sua figura.

All’età di 10 anni, Axl sfiora Alessandra Mangano, inconsapevolmente: i polverizzati umori del pastello fascinano la mano e la fantasia, mescidando, così, lo studio, il diletto e la sinestesia di un immaginario reale.

Alessandra Mangano fanciulla inizia a raccontarsi attraverso la poesia: sale e miele quotidiani, ivi, si alternano, e la nera china disegna e i loro profili, che danzano tra “ginocchia sbucciate” e deliri dell’anima, e Axl.

Alessandra Mangano e Axl si incontrano, nuovamente, in maniera inconscia, quindi, in un momento, in cui Ale aveva divorato la vita e, ancora, la sbranava, prima che l’esistenza potesse farlo con lei.

Alessandra Mangano e Axl: asprezza e leggerezza, fare a pugni e all’amore, medesimamente, romanzo e sinossi, segno minimale o horror vacui, fìlo di voce, oppure, lirismo…

Mentre, in lei, la parola e una naturale predisposizione per l’arte si avvicendano, come inconsapevoli presenze, nel frattempo, consegue la maturità artistica e si specializza, poi, in Arredamento di Interni.

Alessandra e Axl, negli anni, si carezzano, consolano, schiaffeggiano, ignorano, percepiscono appena, scarabocchiano, scrivono, dipingono…

Alessandra sperimenta e risolve se stessa, compiendo un profondo cammino riflessivo, in cui la ferita ha portato alla cura: ha riempito l’aspra soglia con creature animali e non, con inespressi volti, con perizia e intuizione, con aria e odori, con rito e preghiera e… Amore.

La mano di Alessandra Mangano elargisce, su un supporto materico, nel 2018, l’opera “Il giardino” , guidata dall’intuito di Axl e, d’emblèe, nel 2020, Alessandra Mangano – Axl pubblica “Il giardino del cuore” .

Quel giorno rappresenta, quindi, una certa consapevolezza: il plesso solare, ossia il cuore, aveva inebriato la tela e, nel contempo, la carta, mettendo Alessandra Mangano di fronte ad Axl, occhi negli occhi.

Nel 2021 Alessandra Mangano – Axl partecipa, come artista, ad una prima, significativa esperienza collettiva, a Milano.

Matura, poi, numerose esperienze espositive, tra Italia e estero, finché, nel Settembre 2022, riedita “Il Giardino del Cuore” e, nel mese di Ottobre, inaugura “Vice versa” , la sua prima performance d’arte personale, a Pavia: questo binomio suggella le nozze tra la tra Alessandra Mangano e Axl , tra “nera china e colore” , presenti, da sempre, in sembianze diverse, nella sua vita, battezzando, infine, ufficialmente e consciamente, Alessandra Mangano – Axl.

Il giardino e Alessandra Mangano – Axl

“Perché agitarsi tanto? Non andrai in cielo prima d’essere tu stesso un cielo vivente.”

Angelus Silesius

Il poeta e mistico tedesco, vissuto tra il 1600 e il 1700, parla dell’azzurrità nubuvaga come uno spazio fisico e interiore, che coincidono, tra loro e con una beatitudine paradisiaca, anelata.

“Il giardino” , come raccontato precedentemente, “esplode” , nel momento in cui Axl guida il palmo di Alessandra Mangano: le dita colgono, allora, l’apice di lavacro esistenziale, scegliendo un candido drappo, per depositare la neo-nata vita. Preservando, quindi, incontaminata e nivea la pagina, l’autrice, ormai individuo apolide, vi celebra, nel centro, una paradisea.

Il termine italiano “paradiso” proviene dal latino ecclesiastico paradīsus, a sua volta, adattamento, dal greco biblico paràdeisos, nell’intenzione di rendere il termine ebraico גן (gan, “giardino”) ovvero “giardino” , ma anche frutteto.

Questa parola “rimbalza” , tra memorie di radici ancestrali, tra confini geografici e idiomi, avviluppando, a sé, molteplici sfumature; assume, altresì, le forme del “luogo recintato” , dalla parola iranica pairidaeza, cioè “luogo cinto” . Che cos’è un giardino se non un parco cinto e separato dal resto? In medio oriente ancora si vedono frutteti recintati stagliarsi nel paesaggio.

Senofonte riporta un aneddoto socratico, in cui si racconta lo stupore di Lisandro, recatosi da Ciro per portare doni, nel vedere “la bellezza degli alberi, piantati a distanza regolare in filari dritti, con angoli ben disegnati, e dei molti e gradevoli profumi che li accompagnavano” ; manifestò, così, ammirazione verso colui che progettò, per l’amico, tutto ciò. Ancor più rimase esterrefatto, quando apprese che Ciro stesso era l’ “archè técton” di quel inusuale scorcio di mondo, avendo provveduto, pure, in prima persona , a piantare molti fusti. Guardando, indi, le pregiate vesti di Ciro, nonché il nobile e curato aspetto, Lisandro stentò a credergli. Ciro rispose: “Lisandro, ti meravigli di questo? Ti giuro su Mitra che, quando sto bene, non mi siedo mai a cena prima di aver sudato per essermi dedicato all’addestramento militare o ai lavori agricoli, o per essermi dato da fare in qualche cosa.»

Alessandra Mangano, come Ciro, ha lavorato intensamente, istante per istante, dall’alba al tramonto, per poter mirare, paga, in ultimo, il proprio rarefatto e, quanto mai, tangibile e pregiato “eden” .



Tutto, ivi, coincide: la bestiola alata e il cuore, legno e arterie, rosso e blu, lapislazzuli e rubini, fiori e gemme… uno sbòccio primievo, laddove una saggezza antica è divinazione conoscitiva lungimirante, espressa in una visione estetica attuale e sognante. L’occhio dell’artista rivisita, in maniera personale, ogni elemento della composizione, incidendolo, in maniera chirurgica, con l’oscuro inchiostro, per poi raddolcirne il senso attraverso frantumate note cromatiche.

La paradisea muta, “spezzandosi” , come il sacro pane, e liquefacendosi, come il purpureo vino, transustanziati, dall’artista, in una votiva eucaristia personale e universale.

La gratitudine, come la sacralità, sono insite, nel temperamento dell’artista: “fonde”, quindi, l’oro del “Graal” e inostra l’opera, in ultimo, con la liquida anima di quel caro bene.


“Il giardino del cuore”

Alessandra Mangano – Axl, poesie

Prefazione di Maria Marchese

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Alessandra Mangano - Axl

https://www.alexmangano.com/

Cit. Senofonte, Economico, IV, 20-24; traduzione di Livia De Martinis, in Senofonte Tutti gli scritti socratici. Milano, Bompiani, 2013


20 ottobre 2022

Il nobile ricco e il povero nobile di Gianfranco Galante a cura di Vincenzo Capodiferro

 


IL NOBILE RICCO E IL POVERO NOBILE

Un romanzo affascinante, giallo-rosa, di Gianfranco Galante…


Conosciamo Gianfranco Galante. L’abbiamo più volte presentato sul nostro sito letterario “Insubria Critica”. Questa volta si cimenta con un romanzo molto intenso e suggestivo: “Il nobile ricco e il povero nobile”, edito da Pietro Macchione, editore di Varese, da poco. Gianfranco è un cartolaio illuminato, come quegli intellettuali che durante la rivoluzione del 1968 si riunivano a Milano nelle librerie e nelle cartolerie. Con una scrittura d’altri tempi, ama riportare alla luce l’intimo dell’animo umano. In particolare il tema della dignità viene affrontato in più opere, tra le quali, il romanzo “La vita pretende dignità”, come sottolinea anche Anna De Pietri, giornalista e scrittrice, nella prefazione: «Gianfranco Galante continua ad esplorare il concetto di dignità umana, già presente in altre sue opere, tracciando un confine preciso tra chi è disposto a valorizzarla e chi invece è perso tra odio e indifferenza». Questo romanzo è veramente particolare, perché da un lato è un vero e proprio giallo, in quanto vi è la descrizione di un omicidio e dall’altro è un rosa, per il finale che vede un felice matrimonio, come quello concluso da Federico Barbarossa tra Enrico e Costanza d’Altavilla, dopo la sconfitta di Legnano. Questo romanzo è completo, racchiude in sé tragedia e commedia in una pregevole sintesi letteraria. Il linguaggio è fiabesco e poetico. D'altronde Gianfranco è poeta, prima di essere narratore. Tragedia e commedia hanno in comune il dramma. Il mimico, il comico e il tragico, il romantico titanismo, l’ironia e la sensutch si intrecciano in una misteriosa e fatale corda. I protagonisti sono il barone Augustus Höllenzer, il “nobile ricco”, e il pianista sovietico Piötr Vladislav, innamorato di Chopin e di Schopenhauer. Il romanzo è ambientato nella Baviera dell’immediato dopoguerra: «Nella Baviera degli anni Cinquanta siamo in piena ripresa economica ed edilizia che durerà fino all’alba degli anni Ottanta; seppure fertile per coraggio e sguardo al futuro, siccome una società ancorata alla terra, mantiene un carattere prettamente agricolo e agreste che probabilmente non vuole abbandonare». Soprattutto in quella Baviera si vive il dramma della Guerra Fredda, della questione orientale, dell’odio verso i sovietici. La Baviera ci deve far riflettere su molte cose: primo sulla questione orientale che è una questione meridionale riflessa e poi sul fatto che in Germania il Sud è ricco e il Nord è povero. È un’Italia capovolta. Höllenzer ci ricorda gli Hohenzollern, gli ultimi Kaiser germanici, con Guglielmo II, tramontati con la Prima Guerra Mondiale. La Grande Guerra ha spazzato via tutte le dinastie: gli Asburgo cattolici, i Romanov ortodossi, i Sultani ottomani musulmani, gli Hohenzollern protestanti. Ai “nobili ricchi” dall’alto, tanto per usare un termine caro a Galante, si sostituiscono i poveri nobili dal basso, i totalitarismi, i Mussolini, gli Hitler, gli Stalin. Lo scontro tra il barone ed il pianista nel romanzo ci ricorda così anche il grande scontro tra l’emisfero orientale e quello occidentale del mondo. E perché no? Del capo, coi suoi due emisferi celebrali, uno logico e l’altro alogico. La Russia dominata dalla musica e dall’arte da un lato si contrappone alla Germania della filosofia: Chopin e Schopenhauer. La dignità è il grande tema toccato da Galante. La dignità è un dato oggettivo, come ci ricorda Parini nel “Dialogo sopra la nobiltà” (1757), simile ad una “Livella” di Totò. Pico della Mirandola nel De Hominis Dignitatis ci dice: Magnum miraculum est Homo. Dio ad Adamo: «Non ti ho fatto né celeste, né terreno, né mortale, né immortale, perché da te stesso quasi sovrano artefice ti plasmassi e ti scolpissi nella forma che avessi prescelto». L’uomo può divenire angelo o demone, ma conserva sempre la sua dignità. Anche il delinquente, il carcerato ha la sua dignità. Soggiunge Hegel: un atto di male è superiore a tutte le opere della Natura. Ciò non per giustificare il male, ma per far capire l’importanza dell’essere un essere spirituale, umano. La nobiltà, da notabilis, ciò che si pone in mostra, può essere esteriore, come quella del barone Augustus, o interiore, come quella di Piötr. Entrambi sono nobili ed entrambi sono ricchi, uno di una ricchezza materiale, l’altro di una ricchezza spirituale. Aristotele: Chi vive fuori della Polis è una beva o un dio. L’uomo può essere entrambi, è copula mundi, come affermava Ficino. Il messaggio allora che Galante ci lascia è: Si può essere poveri, ma possedere la ricchezza di un vero animo nobile.

Vincenzo Capodiferro

19 ottobre 2022

FRONTALIERI, IN ARRIVO L’ASSEGNO FAMILIARE SVIZZERO di Antonio Laurenzano

 


FRONTALIERI, IN ARRIVO L’ASSEGNO FAMILIARE SVIZZERO

di Antonio Laurenzano

Una brutta storia di confine quella che da mesi si sta scrivendo fra l’Italia e la Svizzera a danno di 76 mila lavoratori lombardi che, dalle province di Como, Varese, Lecco e Sondrio, si recano tutti i giorni in Svizzera, prevalentemente nel Canton Ticino. Pomo della discordia l’assegno unico introdotto in Italia dal mese di marzo, un sussidio economico che varia da 175 a 25 euro al mese in base all’Isee e all’età, in favore di chi ha figli dal 7° mese di gravidanza, fino al 21° anno di età. Nato per assicurare uniformità di trattamento, il provvedimento governativo ha dimenticato i frontalieri, causando irrisolte diatribe internazionali e forti diseguaglianze. Fino all’anno in corso, e cioè fino a febbraio, i contributi familiari per questa categoria di lavoratori erano versati in parte dal Paese di residenza e in parte da quello in cui viene esercitata l’attività lavorativa, ma ora il meccanismo si è inceppato, generando proteste sul fronte politico e sindacale.

Sul banco degli imputati la solita burocrazia italiana, in primis l’Inps, del tutto latitante rispetto alle richieste delle Casse di compensazione elvetiche della certificazione dell’importo dell’assegno unico erogato in Italia, così da poter poi versare ai frontalieri la differenza tra l’assegno svizzero (200 franchi al mese) e quanto già percepito. Mesi di silenzio con diffuso malumore fra i lavoratori: nessuna risposta ufficiale dall’Italia. L’Inps ha deciso infatti di non rispondere senza una indicazione chiara da parte del Governo: il nuovo assegno unico viene considerato come una “prestazione assistenziale” e non come un classico “assegno familiare”. Una mancanza di chiarezza che lascia i frontalieri dal marzo scorso senza assegni familiari svizzeri. Un silenzio assordante che potrebbe protrarsi fino all’insediamento a Palazzo Chigi del nuovo Governo. Situazione fortemente critica che proprio in questi giorni sembra aver trovato una via d’uscita. Qualcosa sembra muoversi in riva al Lago di Lugano in attesa che da Roma si scriva la parola fine a questa brutta storia armonizzando finalmente le regole dell’Inps con le Casse di compensazione svizzere.

L’Istituto delle Assicurazioni sociali (Ias), che da solo rappresenta una delle principali casse del Canton Ticino, ha deciso di intervenire per porre fine all’immobilismo italiano. Migliaia di lavoratori sono stati contattati su cellulari e anche attraverso un’informativa diffusa via social per fornire al più presto alle Casse di compensazione svizzere la copia dei pagamenti effettuati in questi mesi dall’Inps, con gli importi dell’assegno unico corrisposto, al fine di rendere più veloce la procedura dei pagamenti a saldo. Problema risolto grazie all’autocertificazione ma che non può certamente rappresentare la soluzione definitiva. Al momento però a Roma sono occupati al varo del nuovo Governo con il totoministri che impazza in tv e sui giornali. E il timore è che la soluzione non si presenti in fretta, o quanto meno prima del prossimo anno. Sul tema dei frontalieri ci sono ancora dossier aperti: dalla tassazione agli spostamenti della categoria, dallo smart working ai rapporti di lavoro, all’indennità di disoccupazione. Un complesso e articolato pianeta lavorativo che per la sua connotazione numerica meriterebbe maggiore attenzione attraverso l’istituzione di un tavolo di lavoro annuale per il monitoraggio della situazione e in particolare delle ricadute socio-economiche sul territorio.

Ai rappresentanti lombardi neo eletti in Parlamento il compito di azzerare lungaggini e pastoie burocratiche per tutelare una importante economia di confine.


11 ottobre 2022

SEDICI ANNI DI WRESTLING ITALIANO a cura di Miriam Ballerini

 SEDICI ANNI DI WRESTLING ITALIANO

Domenica 9 ottobre 2022, presso lo Slaughter Club di Paderno Dugnano, si sono tenuti i festeggiamenti per i sedici anni di attività di TWC – Total Combat Wrestling. Così come si definiscono loro: “La federazione più estrema, peggiore, più odiata, più copiata d'Italia, ma che non muore mai!”                                                                                                                                     Da quando ero ragazzina ho sempre seguito questo sport alla tv, quando ancora c'era Dan Peterson come commentatore e i lottatori erano Antonio Inoky e Tiger Mask! Il nostro wrestling non ha alle spalle la lunga storia di quello americano, ma l'abilità dei lottatori è comunque la stessa: quella di essere degli abili stuntman e cascatori. L'abilità per rendere il tutto veritiero ed esaltante agli occhi del pubblico non cambia.                                                         La festa è iniziata, come ogni compleanno che si rispetti, con una torta; l'unica differenza è che è stata spalmata in faccia a un ragazzino del pubblico! Si è da subito creata una bella atmosfera di simpatia e di leggerezza, quasi non fosse una fatica fisica portare sul ring le varie mosse e il combattimento.



All'inizio c'è stato il momento di raccoglimento per la recente scomparsa di Antonio Inoky.

Poi dei momenti esagerati, con cadute sopra alle puntine, spaccate di oggetti vari e sanguinamenti causati dalla rottura di tubi al neon.



Durante la presentazione si è fatto riferimento al fatto che, alcuni giudicano trash questi loro atteggiamenti, ma che a loro piace così. Pertanto, contenti loro, contento il pubblico, significa che la cosa funziona.



Molti non sanno che c'è anche la scuola di wrestling, per chi volesse avvicinarsi a questo sport che è spettacolo a trecentosessanta gradi.

Per informazioni TCW Wrestling lo trovate sui canali facebook e instagram. Oppure potete telefonare al 340- 4886950

Pensate a cosa debba essere uno sport dove imparare a muoversi, saltare, cadere … e costruirsi un personaggio con una personalità e un trucco tutto vostro.

Perché tutto questo e molto di più, è il wrestling.


© Miriam Ballerini

(c) Foto di Aldo Colnago 



LA GUERRA DEI SUICIDI IN CARCERE a cura di Carmelo Musumeci

 


LA GUERRA DEI SUICIDI IN CARCERE


Nel 2022 già 67 suicidi nelle carceri italiane, probabilmente perché i prigionieri hanno più paura di vivere che di morire.
“La donna di 51 anni, detenuta nel carcere bresciano di Verziano, si è uccisa impiccandosi con un lenzuolo legato al collo.” (Corriere della Sera, 9 ottobre 2022)
In questi giorni pensavo che i detenuti conducono la vita più "sicura" al mondo, forse anche perché è difficile che facciano un incidente stradale.
Eppure i dati dicono che i detenuti si tolgono la vita e muoiono più delle persone libere.
Nessuno però dice nulla del fatto che hanno buoni motivi per farlo perché il carcere in Italia non insegna molte cose, ma una cosa la sa fare molto bene, sa "convincerti" a toglierti la vita.
I detenuti si domandano perché devono continuare a vivere anziché farla finita con una vita che tanto spesso è un inferno.
E ammazzarsi non è affatto una domanda, ma una risposta perché per un detenuto a volte è più importante morire che vivere, per mettere fine allo schifo che ha intorno.
Purtroppo spesso in prigione la vita è un lusso che non ti puoi permettere e per smettere di soffrire non puoi fare altro che arrenderti, perché in molti casi nelle nostre "Patrie Galere" vale più la morte che la vita.
Spero che un giorno qualcuno finalmente si domandi perché molti detenuti in Italia preferiscono morire piuttosto che vivere.
Spesso mi chiedo: ma il suicidio di un detenuto non rientra forse nella legittima difesa?
Credo che sotto certi aspetti sia più “normale” e razionale chi si suicida, rispetto a chi continua a vivere nella sofferenza.
 Uccidersi non è facile, ma vivere nelle patrie galere italiane è ancora più difficile.

Per questo nelle carceri italiane si continua a morire.

I nostri politici dovrebbero sapere che in carcere si muore in tanti modi: di malattia, di solitudine, di sofferenza, di ottusa burocrazia e d’illegalità.

Riuscire a vivere nelle galere italiane è diventato un lusso che alcuni detenuti non si possono permettere.

Per questo a volte ammazzarsi diventa una vera e propria necessità.

E questa non è una libera scelta, come alcuni cinici potrebbero pensare, ma è legittima difesa contro l'emarginazione e la disperazione.



Carmelo Musumeci

Ottobre 2022 

10 ottobre 2022

IL PNRR, BANCO DI PROVA DEL NUOVO GOVERNO di Antonio Laurenzano

 


IL PNRR, BANCO DI PROVA DEL NUOVO GOVERNO

di Antonio Laurenzano

Corsa contro il tempo per il Pnrr, il Piano nazionale di ripresa e resilienza elaborato dall’Italia per superare l’impatto del Covid-19 con i suoi devastanti effetti. Nel 2020 il prodotto interno lordo si è ridotto dell’8,9 per cento, a fronte di un calo nell’Unione europea del 6,2. E’ partito da questi dati macroeconomici il quadro strategico di riforme strutturali da realizzarsi entro giugno 2026 per accedere alle risorse del Next Generation EU. Un volano per stimolare in modo significativo gli investimenti pubblici a sostegno della domanda aggregata, premessa della ripresa economica. Per l’Italia una ricca dotazione: circa 209 miliardi di euro, di cui 81,4 in sussidi.

Il pagamento dei fondi comunitari è legato agli impegni che il governo Draghi ha preso in Europa. Impegni per le “riforme verticali” (nei singoli settori, come la giustizia, la scuola, la pubblica amministrazione) e per le “riforme orizzontali” (che interessano più settori). In particolare, uno degli obiettivi espliciti del Pnrr è quello di ridurre i divari territoriali. Per questo è prevista una specifica “clausola”, per cui almeno il 40% delle risorse allocabili territorialmente è destinato al Mezzogiorno dove, secondo un recente studio della Sda Bocconi, si registrano ritardi nell’utilizzo dei fondi stanziati “a causa della bassa qualità delle istituzioni locali”. Un campanello d’allarme che potrebbe pericolosamente suonare anche in altre zone del Paese a causa delle pastoie burocratiche.

L’Italia, dopo l’incasso del primo esborso di 21 miliardi in aprile, ha ricevuto nei giorni scorsi il via libera dalla Commissione Ue per l’esborso della seconda rata di finanziamenti: 24,1 miliardi collegati ai 45 obiettivi previsti dal Pnrr per il primo semestre 2022, il cui raggiungimento è stato certificato da Bruxelles. Lo sguardo della politica è però già focalizzato sui prossimi 55 obiettivi, in scadenza il 31 dicembre, dal conseguimento dei quali dipende lo sblocco della prossima tranche, che vale 21,8 miliardi. In cantiere riforme strutturali, leggi delega, decreti attuativi. Sarà il primo vero esame europeo per il nuovo governo per la continuazione della politica attuativa del Pnrr, la verifica cioè dell’impatto del cambio di maggioranza sul cronoprogramma concordato a livello comunitario. Ci sarà spazio per rinegoziare il Pnrr come ipotizzato durante la campagna elettorale? Sul tappeto le variabili economiche innescate dal conflitto russo-ucraino: l’aumento dei prezzi dei materiali da costruzione, la crisi energetica e la forte inflazione. Extra costi che rischiano di causare rilevanti ritardi nell’assegnazione dei lavori. Procedura di revisione abbastanza complessa con valutazione da parte della Commissione e successiva approvazione del Consiglio europeo.

Da Palazzo Chigi si precisa che i tempi di attuazione del Pnrr stanno rispettando la tabella di marcia. La prima fase di attuazione del Piano, dedicata soprattutto al disegno e all’approvazione delle riforme, si sta esaurendo. “Nei prossimi mesi e anni, ha commentato Mario Draghi, occorre attuare queste riforme sul campo, monitorando continuamente i progressi verso il raggiungimento degli obiettivi quantitativi indicati nel Pnrr.” Centrati gli obiettivi fissati da Bruxelles, puntare ora senza indugi sugli investimenti. Passare cioè dalla programmazione all’attuazione concreta. Sono i “compiti da fare” che il premier uscente lascia alla nuova maggioranza, e più in generale alla forze politiche a pochi giorni dall’apertura della XIX Legislatura, con un preciso appello alla collaborazione: “la politica italiana sa ottenere grandi risultati quando collabora tra forze politiche di colori diversi ma anche tra Governo centrale ed enti territoriali.” Il banco di prova è il Pnrr che, sottolinea Draghi, “non è il Piano di un governo, ma di tutta l’Italia, e ha bisogno dell’impegno di tutti per garantire la riuscita nei tempi e con gli obiettivi previsti.” E senza riforme e senza Pnrr, ha avvertito l’Agenzia Moody’s, il rating dell’Italia potrebbe essere tagliato. Un rating Baa3 con outlook negativo, ovvero “un debito soggetto a rischio creditizio esistente, seppur moderato”.

Per l’Italia, dunque, una sfida epocale per attivare uno sviluppo sostenibile, superare cioè i rischi derivanti dalla incertezza politica, dalla crisi energetica e dall’aumento dei costi di finanziamento. Occorre una notevole e coesa volontà politica per dare concretezza all’azione di governo, accantonando ogni sterile protagonismo per privilegiare gli interessi superiori di un Paese in forte affanno socio-economico. La crescita non scaturisce solo da variabili economiche. Dipende dalle istituzioni, dalla fiducia dei cittadini verso di esse, dalla condivisione di valori e di speranze. Dipende dalla credibilità del sistema Italia sui mercati finanziari internazionali. Fattori che determinano il progresso di un Paese a patto di una “unità intesa non come una opzione ma come un dovere.”






09 ottobre 2022

BUCARE LO SCHERMO di Roberto Pozzetti a cura di Moreno Mattioli


BUCARE LO SCHERMO di Roberto Pozzetti a cura di Moreno Mattioli
Autore: ROBERTO POZZETTI
Editore: Alpes Roma
Anno: 2022
Pagine:
Costo: €18.05

 Dal digitale alla psicoanalisi, questa è la prima impressione che raccolgo dopo la lettura del libro di Roberto Pozzetti. In fondo dalla contemporaneità del digitale l’autore trova il modo per riportarci al cuore di alcune questioni psicoanalitiche fondamentali. Il digitale pur essendo un'interfaccia artificiale, penetra nelle vite dell’umano rischiando di creare un buco nella vita mentale di ciascuno. Non a caso Roberto Pozzetti parte dall’interpretazione dei sogni di Freud, il sogno è appunto quella funzione che con Bion, possiamo dire che crea una sorta di “barriera di contatto” tra il sogno e il sognatore. Riprendendo il sogno di un papà che veglia il figlio in agonia, l’autore ci permette di accostare il tema del visibile e di ciò che c’è al di là del visibile: 

 

Un sogno di questo tipo rovescia la rappresentazione. Buca lo schermo del sogno. Fa buco nellimmagine onirica. Al cuore del sogno non vi è la rappresentazione dellimmagine, non vi è il vedere. L’accorato dire Non vedi? apre spazio alla voce che la porta, alla voce del figlio come ultimo oggetto pulsionale e allo sguardo di rimprovero che ne è il correlato.  

L’oltrepassare il lato del visibile pone loggetto invisibile, specifico della pulsione, al centro di un sogno che sembra di primo acchito decisamente e drammaticamente edipico 


La pulsione è ciò a cui il digitale punta direttamente, bypassando la mediazione simbolica, incarnandosi nell’umano ne diviene una protesi. Il digitale che punta sul vedere immagini sempre più raffinate, in grado di diventare più Reali della realtà. Ripercorrendo i primi sviluppi della psicoanalisi di Freud, l’autore ci introduce al passaggio del sogno come soddisfazione di un desiderio, al primato dell’oggetto pulsionale. Qui c’è tutto il richiamo di una lettura Lacaniana del padre come rappresentante della legge che struttura il simbolico.  

 

La tesi fondamentale di questo libro è che il declino del padre, del pater familias, della società patriarcale vada a coincidere con lesponenziale diffusione degli oggetti; a proposito della diffusione degli oggetti, ci riferiamo in questo libro specialmente agli oggetti digitali 

 

  L’autore propone un dialogo tra psicoanalisi e sociologia per cercare di inquadrare come la diffusione del digitale diventi un fenomeno di massa ma  allo stesso tempo legato alla nostra intimità. Il digitale che accompagna le nuove configurazioni sociali e famigliari, che entra e determina i rapporti interpersonali, dettandone i ritmi e le forme di esistenza. La psicoanalisi può così dialogare con i fondamenti storici della sociologia come Emile Durkheim, fino ad arrivare alla società liquida di Zygmunt Bauman.  

 Il digitale però lascia una traccia, presuppone l’informazione e il suo padroneggiamento. La corsa alla digitalizzazione è una rincorsa ad avere uno strumento sempre più accessibile, veloce, che è a disposizione ogni volta che si vuole. Questo diventa un punto critico, la volontà di padroneggiare il digitale, va ad interferire con la volontà dell’umano. L’oggetto sembra prendere il sopravvento sul soggetto che pensa, che vuole e che desidera. Qui la psicoanalisi ci interroga sul rapporto soggetto-oggetto, ci chiede di riflettere sulla loro natura.  

  Questi importanti temi vengono sviluppati dall’autore accompagnando il lettore con l’ausilio di un retroterra storico psicoanalitico, il quale permette di inquadrare il discorso all’interno di una propria cornice. La contemporaneità viene descritta dall’autore nelle sue più intime pieghe, mostrando come i temi su cui si è interrogata la psicoanalisi (soprattutto lacaniana) sono i temi che una lettura sociologica della contemporaneità si pone. Questi temi non facili, vengono proposti da Roberto Pozzetti in una chiave accessibile. In fondo per capire la contemporaneità che ci permea è necessario farne un’analisi. E l’autore riprende i fondamenti del fare un’analisi partendo dal tema non semplice del significante.  

  Cos’è un significante si possono chiedere gli psicoanalisti non lacaniani, perché esso è intimamente legato alle condizioni del fare analisi? Qui la psicoanalisi del futuro, si articola in un discorso in cui ciò che è specificamente psicoanalitico diviene una chiave di lettura per i fenomeni sociali. La psicoanalisi lacaniana ha saputo dialogare con le nuove forme del sociale, dei suoi aspetti sintomatici, e con le sue carenze sublimatorie. La pulsione in questo senso non rimane un oggetto di antiquariato psicoanalitico, ma riprende il centro della scena, scandendo quelli che possono essere i rapporti soggetto-oggetto, e diventando una chiave interpretativa della proliferazione, del following, del fare massa avrebbe detto Eugenio Gaburri. 

L’approccio storico ricostruttivo caratterizza la riflessione sull’oggetto in psicoanalisi. Su questo punto si sviluppa un dialogo tra le teorie freudiane e postfreudiane, con il discorso lacaniano. Questo è di particolare interesse perché ritengo che questo tipo di dialogo sia essenziale per la psicoanalisi di oggi che soffre troppo di una frattura teorica. Il libro nel capitolo sull’oggetto riesce a mostrare in modo convincente gli sviluppi storici della nozione di oggetto, da Freud a Melanie Klein, arrivando fino a Fairbairn. Questa ricostruzione storica permette a posteriori di accostare quelle che sono state le innovazioni introdotte da Lacan, tracciando nuove rotte (spesso non conosciute). In questo senso, lo psicoanalista e l’interessato alla psicoanalisi troveranno un modo per fare sintesi e capire le basi sulle quali si è sviluppato il discorso sull’oggetto in Lacan.  

  Il tutto in modo rigoroso ma fruibile, cosa non sempre possibile quando ci si addentra nei meandri del discorso psicoanalitico lacaniano. Questa posizione  trova una sua sintesi di interesse nell’ indagare gli oggetti causa di godimento, distinguendoli dagli oggetti causa del desiderio. Questa distinzione può essere una chiave di volta su cui possono transitare sia gli addetti ai lavori che i lettori curiosi di questioni psicoanalitiche. Le considerazioni sull’oggetto pur avendo uno sfondo teorico, diventano il prerequisito per incontrare il fulcro della riflessione del libro, ovvero il cosa sia l’oggetto digitale. Anche qui la ricostruzione storica diventa cibo succulento per chi vuole cogliere le radici storico scientifiche della nascita del digitale. La contrapposizione analogico e digitale diventa sinonimo di passato e di presente orientato al futuro. Le implicazioni sociali in chiave psicoanalitica permettono di gettare uno sguardo di comprensione in un mondo iperveloce, iperconnesso che non ha più il tempo di riflettere su di sé. Nuove forme di identità vanno costituendosi, e il digitale ne diventa il supporto. I pazienti contemporanei arrivano nello studio dello psicoanalista con delle forme di ibridazione umano digitale mai viste prima. Le distanze si accorciano, e le modalità di connessione si moltiplicano. Anche le patologie sono ibridate dal digitale, e il digitale apre a nuove domande sul come accogliere e trattare queste nuove forme di identità ibrida. Il virtuale è sceso nel campo delle terapie psicologiche, e nel suo porsi come alternativa all’ormai classico incontro in presenza, confronta i clinici con i nuovi setting valutandone la loro possibile efficacia. Il tema del corpo in psicoanalisi assume un rilievo ancor più pregnante se lo collochiamo all’interno di una relazione terapeutica virtuale. Quale dunque gli effetti di questi cambiamenti nelle cure, e in che modo impostare le cure partendo da queste nuove forme di ibridazione? Gli oggetti digitali però non pongono solo problemi, ma intervengono anche come risorse, ad esempio nel trattamento dell’autismo. Questo è uno degli innumerevoli punti toccati dall’autore nell’affrontare il tema del rapporto psicoanalisi e digitale. Alla fine del viaggio nella lettura di questo libro, si arrivano ad incontrare tre grandi temi del discorso lacaniano, l’immagine, la scrittura e il linguaggio.  

  L’articolazione di questi temi restituiscono lo specifico dell’apporto della psicoanalisi lacaniana al come l’evoluzione delle comunicazioni attraverso il digitale diventi una vera e propria trasformazione antropologica dell’uomo. Il libro di Roberto Pozzetti è oggetto che muove a soggettivare il discorso, ponendosi sia come oggetto culturale della società attuale, e sia come riflessione sulla teoria e la pratica psicoanalitica attuale. Un libro con molte ricostruzioni storiche che possono soddisfare il desiderio di sapere, e che però entra nell’attualità dei problemi della tecnica psicoanalitica. Dunque un testo da leggere, che travalica i confini del settorialismo psicoanalitico e che si inserisce a tutto tondo all’interno dei dibattiti delle diverse comunità psicoanalitiche e psicoterapeutiche in generale. 

 

 

Bibliografia 

 

Bion W. (1970) Attenzione e interpretazione. Armando, 2010 

 

Gaburri E,, Ambrosiano L. (2003) Ululare con i lupi. Bollati Boringhieri, 2003. 

 

Lacan J. (1966) Scritti. Einaudi. 1974 


fonte: http://www.psychiatryonline.it/node/9640?fbclid=IwAR1Ec0zlRbmuYljIKan-qXrR1Iu-GRrokhsGd3vqrbfhpukD3UFdFxoA1Fw

Vicenza Jazz XXVIII Edizione 13-19 maggio 2024

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