21 giugno 2010


Auditorium. Allevi, la “classic star” che ama “You tube” .

di Bruna Alasia


Roma. Luglio Suona Bene 2010 all’Auditorium di Roma – sabato 31 luglio e domenica 1 agosto - avrà un gran finale con il compositore, direttore d’orchestra e pianista Giovanni Allevi. Il pubblico popolare ha sempre saputo poco dei musicisti classici e soprattutto i giovani: Allevi ha sfatato questa tradizione. Giovanni ha 41 anni e ne dimostra dieci, se non quindici, di meno. Ha un’aria “naturalmente” fresca, non tanto e solo per la capigliatura casual, tra l’altro abbastanza “conforme” fra gli artisti, né per il modo di vestire – jeans e scarpe da tennis anche sul palco – quanto perché osservandolo si “percepisce” che non sta recitando. Lui conferma: “ Attraverso la musica vedo il mondo con gli occhi di un bambino".

Questo compositore, che ha saputo sintetizzare la fluidità di note orecchiabili con la profondità di più complesse, ha affascinato non solo il mondo accademico ma – caso “strano” - le nuove generazioni, con cui ha stabilito un rapporto che definisce “misterioso”. Il primo settembre 2009 all’Arena di Verona ha diretto la sua musica di fronte a dodicimila persone attraverso la "All Stars Orchestra", 90 elementi scelti tra i migliori ensemble del mondo: evento definito la "Woodstock della musica classica contemporanea".
Nonostante il grande successo televisivo e commerciale - o proprio grazie all’ invidiabile popolarità che ha portato il “genere colto” tra il grande pubblico? - Allevi ha ricevuto giudizi negativi da nomi famosi della musica classica. Addetti ai lavori sostengono che Giovanni sia il prodotto di un'abile operazione di marketing e non di una reale capacità di innovazione.
Il 24 dicembre 2008, in un'intervista al quotidiano La Stampa, il violinista Uto Ughi ha definito Allevi "un nano", le sue composizioni "musicalmente risibili" e si è detto offeso dai riconoscimenti attribuiti a lui dalle istituzioni italiane. Secondo Ughi, Allevi «non ha alcun grado di parentela con la musica che chiamiamo classica, né con la vecchia né con la nuova. Questo è un equivoco intollerabile. E perfino nel suo campo, ci sono pianisti, cantanti, strumentisti, compositori assai più rilevanti di lui».
Prima di Ughi, il giornalista Filippo Facci aveva scritto sul concerto di Natale 2008 che Allevi ha tenuto al Senato: «Credo che a questo punto smetterò di aspettarmi ancora qualcosa dal mio Paese e dalle mie istituzioni [...] dovrebbe andare a Sanremo, non dissacrare un luogo dove hanno diretto Lorin Maazel e Riccardo Muti. A proposito: Allevi in Senato dirigerà un'orchestra. Dettaglio: ha imparato quest'anno, ma ha detto che ha studiato i grandi maestri su Youtube. Non è una battuta. Buon ascolto».
Una stroncatura è arrivata anche dall'Osservatore Romano, da Marcello Filotei: «Giovanni Allevi è costruito con una cura assoluta ed è la rappresentazione oleografica del compositore, così come se lo aspetta chi non ha molta consuetudine con le sale da concerto (…) la forza culturalmente pericolosa dell'operazione Allevi: convincerci che tutto quello che non capiamo non vale la pena di essere compreso (…) Rassicuràti sul fatto che non siamo noi ignoranti, sono loro che non sanno più scrivere una bella melodia, potremo finalmente andare fieri di non avere mai ascoltato Stravinskij”.
Uno dei pochissimi a difenderlo è stato il pianista classico Nazzareno Carusi, che in un'intervista al settimanale Panorama ha detto: «Un fatto è certo, la fama di Allevi ha ridato vita al pianoforte e spinto molti ragazzi a studiare lo strumento. Nei suoi confronti c’è solo molta invidia. Lo attaccano quelli della vecchia scuola, alla ricerca disperata di un motivo per sopravvivere al cambiamento. Giovanni non chiede nulla a nessuno, suona la sua musica e lo fa bene».
Per musica classica, in genere si intende musica “colta”. Ma una cosa importante non va dimenticata: classici non si nasce, si diventa se a furor di popolo la gente ti chiama, magari dopo morto. E’ accaduto a Shakespeare, uno dei rari drammaturghi dell’epoca capace di combinare il gusto popolare con la profondità dei temi. La divisione tra musica colta e volgare è artificio, lasciamo il giudizio al tempo.

DA OGGI IN VENDITA I BIGLIETTI

Luglio suona bene 2010
GIOVANNI ALLEVI


"Solo Piano 2010"

SABATO 31 LUGLIO
DOMENICA 1 AGOSTO
CAVEA ORE 21
AUDITORIUM PARCO DELLA MUSICA

BIGLIETTI DA 20 A 40 EURO
Info: 06 80241281
www.auditorium.com



17 giugno 2010

Bloody Sunday, per non dimenticare

di Lorenza Mondina

Amare l’Irlanda vuol dire camminare per le sue strade apprezzandone ogni piccolo dettaglio, ascoltando la musica che esce dai pub vellutati e cupi, che contrastano con la gioia che li riempie quando gli irlandesi li popolano per una solenne pinta di birra, ma soprattutto amare l’Irlanda vuol dire sentire scorrere sulla pelle tutto ciò che quelle città e quelle strade hanno visto nel corso degli anni.
Oggi però non voglio tracciare uno dei frequenti inni che raccontano quanto è bella l’Irlanda, con le sue distese verdi, con le scogliere che ti tolgono il fiato: oggi voglio ricordare un giorno della storia irlandese, (anche se forse non ha bisogno del mio umile ricordo, perché lo troviamo già nelle canzoni, nei libri e nei film), un giorno che ha lasciato ferite che non potranno mai essere cancellate, e che forse, proprio oggi, potrebbe trovare risposte, dopo tanti anni e tanto dolore.
Leggendo uno dei tanti tanti libri sulla storia irlandese che abitano gli scaffali della mia libreria, una frase mi è rimasta impressa in testa come se vi fosse stata scritta con un pennarello indelebile: ogni persona che vive in Irlanda ha pianto almeno un parente, un familiare o un amico, morto nei conflitti tra unionisti e repubblicani.
Così è successo il 30 gennaio 1972, in quella che doveva essere una qualsiasi domenica d’inverno e che, invece, si è trasformata nella tristemente famosa Bloody Sunday; in tanti hanno pianto i morti che questa giornata ha disseminato sull’asfalto di Derry, nell’Irlanda del Nord ed in tanti aspettano ancora risposte su quello che realmente è accaduto… quelle risposte potrebbero e dovrebbero arrivare oggi, 15 giugno 2010, con la pubblicazione dell’esito dell’inchiesta, un’inchiesta durata 12 anni e costata migliaia di sterline.
In quei tempi, all’inizio degli anni ’70, le leggi sulla prevenzione del terrorismo vigenti prevedevano, tra i numerosi provvedimenti, la detenzione e l’internamento di persone sospettate, per una settimana anche senza la formalizzazione di accuse precise. In queste occasioni, diventate quotidiane, venivano inflitti ai fermati i più umilianti maltrattamenti e torture sia dal punto di vista fisico che psicologico.
Inoltre le disparità di trattamento che per anni erano state perpetrate tra cattolici e protestanti (dove i cattolici sono storicamente stati quelli che vivevano nelle zone più povere, quelli che non trovavano lavoro o che facevano i lavori più duri, che i protestanti non volevano, come ben rappresentato nel “Cal” di Bernard McLaverty) aggiunte ai riferiti soprusi delle forze dell’ordine, avevano contribuito a creare un tessuto sociale invivibile per coloro che abitavano nella zona “sbagliata” della propria città.
Nacque da queste premesse il NICRA (Northern Ireland Civil Right Association), associazione che si batteva per il rispetto dell’uguaglianza e della dignità umana, che trascinò in questa onda migliaia di persone, quelle persone che il 30 gennaio 1972 decisero di marciare per esprimere il loro dissenso, di urlare pacificamente il disappunto su quanto accadeva nei giorni moderni di un paese che continuava comunque ad essere considerato civilizzato.
Dall’altra parte, le forze armate (nuclei antisommossa, paracadutisti, ecc) che avevano già invaso le strade dell’Ulster, per mostrare al mondo come poteva essere facile mantenere l’ordine sociale…
Il resto è storia: 13 morti, diversi feriti, rabbia, disperazione, risentimento, frustrazione.
Questo è quello che accadde: la cronaca di una maledetta domenica, che forse da oggi, con la fine dell’inchiesta, potremo vedere da una nuova prospettiva.
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Breve bibliografia
“Cal” Bernard McLaverty – Feltrinelli
“Storia dell’Irlanda” Robert Kee – Bompiani
“Irlanda del Nord. Una colonia in Europa” S. Calamati, Funnemark Harvey – Ed. Associate
“Un giorno della mia vita” Bobby Sands – Feltrinelli
“I muri di Belfast” Marina Petrillo – Costa & Nolan
Films correlati
“Bloody Sunday”
“Some mother’s son”
“Nel nome del padre”

Libri: "Bertoldo" di Ilenia Malaguti

“Bertoldo era un giovane vichingo, abitante della fredda e allora sconosciuta Finlandia. Era un ragazzo forte e tranquillo, dai lineamenti delicati e gentili che proprio non si addicevano al suo destino di guerriero...”. Comincia così il racconto del viaggio verso Roma di Bertoldo il vichingo. Una storia destinata, inizialmente ad un pubblico di ragazzi, ma sorprendentemente succede che, a volte un viaggio, non è solo geografico e fatto soltanto di chilometri, ma strada facendo si arricchisce di sensazioni, sentimenti, tradizioni e di vita che, sembrano appartenere a popoli e a civiltà lontane da noi, ma …
E oltre il racconto, tante note, tante notizie storiche: pagina dopo pagina un mondo da scoprire leggendo.
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Fonte: Albus Edizioni

14 giugno 2010

Libri: "Maschere" di Concetta Ramondino

di Tony Kospan
In questo libro "Maschere" la scorrevolezza, l'eleganza dello stile e la capacità di coinvolgimento da parte dell'autrice con le sue introspezioni prendono subito il lettore... Le maschere... in senso reale o figurato hanno sempre affascinato l'Umanità... ed in questo caso il libro affronta il tema di quelle che ciascuno di noi indossa ogni giorno e nelle quali in molti non avranno difficoltà a riconoscersi... Riporto per meglio illustrare il contenuto questo breve passo iniziale in cui l'autrice ci descrive le "sue"Maschere.

"Quando le maschere si arruffano in un turbinio infinito... La Prima: timida, riservata, imbranata, paurosa, sofferente per l'incapacità a cogliere l'attimo d'amore fuggente. La Seconda: sorella della prima, ma sensualissima rivale in amore, eternamente nutrita dal fuoco della passione. La Terza: imparziale sorella, tutta raziocinio e compresnione; nata per equilibrare le tensioni costanti tra la Prima e la Seconda; incorruttibile e scevra da passioni particolari. La Quarta: sorella nata per soddisfare le esigenze della Terza a volte stanca di peso e misura fra le beghe delle prime due; deve intervenire quando la terza perde la testa e scappa. La Quinta: povera ultima sorella, deve tapparsi le orecchie spesso per non sentire il pianto della Prima, il grido di passione della Seconda, l'impotenza d'equilibriodella Terza e l'incostanza della Quarta che quasi indifferente a tutto la chiamera spesso a sostituirla nel suo operato perché lei vuole dormire tranquilla."
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Fonte immagine: Google -> www.rossovenexiano.com

09 giugno 2010

Libri: "La vittoria del 1934" di Alessandro D'Ascanio

Il 10 giugno 1934, nella coreografica cornice dello stadio del Partito Nazionale Fascista, la selezione italiana di football sconfigge sul terreno di gioco la rappresentativa cecoslovacca, laureandosi per la prima volta campione del mondo nello sport fin da allora più seguito dagli italiani. Sul pennone dello stadio romano, campeggia la bandiera nera del Partito Unico, mentre gli altoparlanti diffondono le note di "Giovinezza", amplificate dal coro unanime dei cinquantamila spettatori presenti. In tale atmosfera di entusiasmo collettivo, Benito Mussolini si affaccia dalla tribuna nell'atto di raccogliere platealmente, davanti a una nutrita schiera di fotografi giunti da ogni parte del mondo, l'esplicito saluto romano degli azzurri schierati al centro del campo. Si tratta dell'epilogo trionfale di una manifestazione sportiva fortemente voluta dal regime, realizzata grazie all'impiego di ingenti risorse finanziarie, logistiche e umane, amplificata in maniera notevole dalla stampa e disputata con strenua determinazione da parte dei calciatori italiani. Il Mondiale di calcio diventa una prospettiva da cui analizzare le dinamiche della stabilizzazione totalitaria e le ricadute interne al regime. Il calcio è, a un tempo, uno strumento di propaganda, un veicolo di consenso, una risorsa di politica estera da utilizzare nel confronto e nella dialettica con gli altri Paesi, di volta in volta potenziali alleati o nemici, in una sorta di simbolica anticipazione delle contese politiche.
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Alessandro D'Ascanio è cultore della materia presso la cattedra di sociologia dei fenomeni politici dell’Università “G. D’Annunzio” di Chieti, collabora all’attività della cattedra di Storia del Novecento della Facoltà di Scienze politiche dell’università di Teramo.
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Fonte: Edizioni Solfanelli

08 giugno 2010

"Perché una madre viene separata dai suoi figli" di Lorenza Mondina

PERCHE' UNA MAMMA VIENE SEPARATA DAI SUOI FIGLI

Qualche tempo fa avevo acceso la televisione e distrattamente prestavo un orecchio a quanto scorreva sul video: era l’ennesima mamma che invocava ad alta voce la restituzione dei suoi figli, che le erano stati ingiustamente tolti, senza alcun motivo dichiarato; e per l’ennesima volta ho sentito dentro di me la necessità ed il desiderio che un’altra storia non prendesse la stessa standardizzata immagine.

Come è consuetudine della Tv dei nostri giorni, i programmi maggiormente in onda hanno come tema dominante le storie della gente, quella “gente comune” nella quale ognuno di noi dovrebbe riconoscersi e con la quale solidarizzare. Così la storia di questa mamma si è sviluppata a partire dalla descrizione del tragico allontanamento dei/l figli/io e di quanta inumanità c’è in un gesto di questo genere, perpetrato da chi ne ha potere. Di fronte a tale straziante descrizione mi ritrovo a parlare da sola nella stanza, a chiedere se nessuno ha mai la curiosità di capire il perché accadono queste cose. Perché? Perché una madre viene separata dai suoi figli? Chi si permette di intraprendere un’azione giudicata ancora così crudele dalla società in cui viviamo?
Mi piacerebbe portare un nuovo punto di vista su questa tematica, che poi, a mio avviso, tanto nuovo non è, ovvero su cosa ha portato a percorrere questa strada, e come si è giunti ad una decisione di tale portata. Ad occuparsi dei diritti dei minori, sia per quanto riguarda aspetti giuridici sia per quanto riguarda aspetti più tecnici legati al sostegno sociale, educativo e psicologico, sono professionisti (giudici, psicologi, assistenti sociali, educatori, neuropsichiatri infantili) con una preparazione professionale specifica; tenendo a mente questo primo assunto, dovremmo già essere in grado di partire dal presupposto che la scelta compiuta dovrebbe avere delle radici di riflessione profonde, come approfondito e dettagliato deve essere il lavoro che l’ha accompagnata.
Da qui, dalla fiducia nella professionalità delle persone che, talvolta loro malgrado, si trovano a dover disporre un allontanamento di un minore dalla sua famiglia di origine, possiamo prenderci poi la libertà di riflettere su quali possono potenzialmente essere le motivazioni, i contesti ambientali che possono non essere adeguati allo sviluppo emotivo e psico-fisico di un bambino.
Perché ci sono, questo non lo si può negare, esistono contesti in cui un bambino può non crescere sereno, non avere gli stimoli adeguati a farlo crescere in maniera equilibrata, ed è proprio qui che l’opinione del mondo si divide prevalentemente tra l’emisfero di coloro che pensano che la genitorialità vada salvaguardata ad ogni costo, e l’emisfero di coloro che credono invece che la presenza di un genitore inadeguato possa essere più dannoso della sua assenza.
Non è mia intenzione illustrare perché ritengo che un emisfero sia più giusto dell’altro, ma vorrei soltanto porre l’accento sul fatto che un minore allontanato è un minore a rischio di incolumità, fisica e/o psicologica, è un minore al quale si prova a fornire una possibilità in più, allontanare un bambino non è cosa facile, non si fa a cuor leggero e la speranza di regalargli una carezza che non ha ricevuto all’interno di quel contesto favorevole che dovrebbe essere la famiglia, talvolta rende un po’ meno duro il tragitto per andarlo a prendere e portarlo in un nuovo posto.
Questi risvolti restano sempre nell’ombra, le motivazioni non finiscono al telegiornale o nei programmi di storie quotidiane di gente comune, i professionisti non parlano, perché, talvolta, “fare” è l’unica cosa che resta, quando le strade da percorrere sono terminate, senza successi.
E a quel punto, a nulla possono e devono valere gli appelli accorati di conduttori televisivi che ci vogliono ancora far credere nelle favole.

(c) Lorenza Mondina
Foto di Miriam Ballerini

ADDIO AL PATTO DI STABILITA’ STUPIDO di Antonio Laurenzano

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