L’ARCHITETTURA
ORGANICISTA DI GIUSEPPE SOMMARUGA
Quando
parliamo di bello cosa intendiamo? A livello estetico il bello esige
un’indipendenza come ideale, per questo affermiamo che il bello non
è il vero, non è il bene, non è l’utile - come sosteneva Socrate
(il “kalagathon”), non è l’onesto - come sostenevano Socrate,
Platone, Kant, Schiller (“anima bella”). Non è il nuovo, non è
l’abitudinario, non è il grande. Ricordate il sublime matematico
di Kant: ciò che è assolutamente grande. Quel sublime in qualche
modo richiama subito alla mente l’Id
quo maius
cogitari nequit
di Anselmo, quell’Id tanto contestato dallo stesso Kant nella
Critica
maggiore. Abbiamo detto ciò che il bello non è, seguendo forse in
parte una specie di Teologia (o meglio Calologia
negativa), ma partiamo da ciò che è. In questo seguiamo sempre la
kantiana Critica
del Giudizio:
il bello è in sintesi ciò che produce un piacere disinteressato e
di conseguenza un giudizio estetico. Kant in pratica sostiene che il
bello è un universale trascendentale. E qui viene il bello? Ciò che
Kant non dice: può essere considerato allora anche il bello un
apriori? Esiste cioè una forma pura del senso, metempirica e quindi
di conseguenza metafisica? Bel problema! Il bello è legato al
finito, il sublime all’infinito, all’apeiron. Platone definisce
il bello come lo splendore del Bene, Plotino, lo splendore del Vero,
Agostino lo splendore dell’Ordine. Agostino: «Tardi ti amai, o
Bellezza sempre antica e sempre nuova, tardi di amai». Cioè il
bello invita alla contemplazione, il Bello assoluto alla visione
insaziabile. Bello e sublime anticipano quello che Nietzsche definirà
come arte apollinea e arte dionisiaca, in pratica Apollo e Dioniso.
Il genio è la facoltà di produrre il bello artificiale, quindi
distinto dal bello naturale ed è diverso dal talento: il genio crea,
inventa, il talento è l’abilità esecutoria. L’arte è appunto
l’opera del genio. In base al senso cui l’opera d’arte si
rivolge abbiamo, alla vista: architettura e scultura (arti
plastiche), o pittura, o all’udito, musica e poesia. Ora
nell’ambito dell’architettura Giuseppe Sommaruga (Milano
1867-1917) rappresenta un genio tutto italiano ed un esegeta del
Liberty.
L’organicismo
è al confine tra bello e sublime: le parti geometriche si accostano
a quelle dinamiche in bugnato, seguendo un’armonia di opposti:
determinato e indeterminato.
Giuseppe
Sommaruga è un sublime interprete dello stile Liberty. È un esegeta
- seguendo l’interpretazione di un’ermeneutica dell’arte - del
nuovo verbo architettonico che si impone stilisticamente nel tardo
Ottocento. Come ogni stile, anche il Liberty ha un alfabeto, una
grammatica ed una sintassi. Partiamo dal presupposto che i Libertyni
si pongono in accesa rottura colla cultura dominante, cioè il
positivismo, ricollegandosi idealmente al romanticismo.
È chiaro,
però, che il rapporto col positivismo è ambivalente: da un lato
utilizzano i nuovi materiali suggeriti dall’industria, come ferro,
ghisa, dall’altro, rifiutando decisamente i prodotti industriali
come scadenti, sostengono la libera iniziativa dell’artigianato.
L’Art Déco riprenderà fortemente questo tema. D'altronde è
indubbio l’influsso dell’architetto inglese socialista William
Morris (1834-1896) sull’Art Nouveau. Anche qui, però, se da un
lato s’intravede un sottofondo rosso, che si connette all’utopismo
del primo Ottocento, dall’altro possiamo dedurre che la borghesia
stessa si appropri dei motivi socialisti: infatti i prodotti
artigianali non sono a portata di tutti, ma solo dei più abbienti.
Il Libertynismo
pertanto si presenta come un movimento problematico, dai contorni non
ben definiti ed in Italia poi non dimentichiamo la radice sempre
neo-rinascimentale, che si ritrova anche nell’utilizzo di forme
rinnovellate.
Questo
variegato movimento si ricollega alla grande rivoluzione artistica
europea, che prende varie nomee: l’Art Nouveau, la Secessione, lo
Jugendstil, il Liberty.
Caratteri
portanti, comunque, di questo nuovo stile architettonico sono
riconosciuti: l’architettura ornamentale, il ripristino del
romanticismo, l’accostamento di elementi decorativi, spesso di
matrice naturalistica (florealismo)
alle strutture portanti, la sintesi tra arte e mondo industriale,
attraverso l’uso di materiali provenienti dall’artigianato, se
non dall’industria, come ferro battuto e vetro. Questa fu l’arte
modernista, o Liberty
Il
Liberty contrapponendosi in parte alla cultura dominante ripropone un
ritorno al romanticismo, che significa ritorno alla Natura.
L’architetto John Ruskin (1819-1900), ad esempio, sosteneva che per
arrivare alla bellezza bisogna partire direttamente dalla Natura,
però in una disposizione d’animo raggiungibile soltanto nella
virtù. La sua fu arte che si fonde con l’etica, così ce la
propone nello scritto Le
sette lampade dell’architettura
(1849). Ogni attimo nasce e muore e l’uomo non può opporvisi. La
concatenazione degli eventi, di ciò che accade, cioè gli
heideggeriani accadimenti, o atomi temporali, sono connessi secondo
un senso che Bacone chiamerebbe latente. C’è uno schematismo
latente nella Natura o Essere, che si manifesta e si asconde agli
animi attenti. Ai dormienti, come dice Eraclito non appartiene il
mondo, ma solo il proprio mondo parallelo. E torna il principio di
Leibniz caro ai positivisti: ogni
attimo è carco di passato e di avvenire,
dipende dallo sguardo sinottico che noi abbiamo. L’artista guarda
al tutto, ed il tutto è più della somma delle parti, secondo il
canone gestaltista
Il
concetto di Liberty ne risulta oltremodo districato alle più
variegate e variabili interpretazioni: «La vicenda italiana del
cosiddetto stile Liberty è una pagina di storia dell’arte, o anche
soltanto di storia del gusto, che sembra sfuggire ad una precisa
indagine critica e scoraggiare ogni volontà di definizione, per la
sua duplice ambiguità. Essa subisce infatti da un lato le
contraddizioni, vistose o sottili, drammatiche o maliziose, di tutta
l’area storica e geografica del movimento “modernista” – e
cioè dell’avanguardia europea tra il 1890 e il 1914 all’incirca
– pur senza condividerne le punte più alte ed inquietanti e perciò
i significati più ardenti. Patisce dall’altro una sua intima
contraddizione, tra l’ansia di aggiornamento in senso europeo e
l’ansia di affermarsi come indipendente voce nazionale, impacciata,
poi, da provincialismi in Italia particolarmente pervicaci, che in sé
non sarebbero stati pericolosi, se non avessero mantenuto una
speciale virulenza in un paese sprovveduto di un adeguato
schieramento teorico» (R. Bossaglia, Il
Liberty in Italia,
Charta, Milano 1997, p. 9).
«Anche
l’Art Nouveau italiano derivò da Vienna, ma nell’architettura
prese dall’Inghilterra, e lo dice il nome di stile Liberty, che
esso assunse in Italia, dal nome della ditta londinese di decorazioni
Liberty. L’Art Nouveau italiano, ad ogni modo, fu più che altro
una merce di importazione. Gli italiani si valsero dei particolari
stilistici dell’Art Nouveau, senza giungere essi stessi ad uno
stile unitario e neppure ad una singola opera d’arte esemplare»
(R. Schmutzler, Art
Nouveau, Il
Saggiatore, Milano 1966, p. 242).
Vorremmo
fermarci solo qui sulla riflessione sul Liberty italiano, d'altronde
una trattazione su questo complesso sistema richiederebbe degli
ambiti più estesi, che qui non possiamo concederci. Veramente questo
giudizio di Schmutzler è sommario, ambiguo, mistificatore e non dà
merito dell’eccezionale ricchezza del Liberty. Non è una novità
che i moti italiani siano fortemente sottovalutati da questi
saccenti: ricordiamo il Kristeller che voleva far passare tutto
l’umanesimo per un esercizio di copiatura. Il Liberty riflette
tutta la spiritualità del Positivismo, che anche in Italia, ebbe il
suo particolare lato: 1) la sintesi tra spirito, cioè Natura, e
materia, cioè progresso; 2) la sintesi di passato, presente e
futuro, secondo il principio leibniziano; 3) il rapporto tra unità
originaria, cioè naturalità, e molteplicità; 3) il riconoscimento
dell’interna divinità d’ogni ente. L’animismo si riconosce
soprattutto in Gaudì, ma anche in Sommaruga: ad esempio l’arco a
collo di cigno. Si procede ad una forma di umanizzazione della
natura, ad esempio la lanterna a forma di libellula. La natura
compare o in forma astratta o in forma diretta; 4) il volontarismo,
ripreso dal Burckhardt, ma anche da quello kantiano-fichtiano che
porta all’attivismo, cioè alla riconsiderazione dell’homo
faber; 5)
l’adempimento del tempo. La storia è sempre progressiva, il
passato è carico d’avvenire, significa che il futuro ha le radici
nel passato
L’immagine
che ci riporta la Bairati su Sommaruga, in Giuseppe
Sommaruga, un protagonista del Liberty italiano,
Mazzotta, Milano 1982, è di un uomo schivo, quasi un leopardiano
passero solitario, innanzi alle «magnifiche sorti e progressive»:
«Egli, intuendo che l’architettura è innanzitutto materiata di
masse bene raggruppate più che di minuzie ornamentali, superò tosto
quanto negli istituti di insegnamento era ancora diffuso come metodo:
ricercarsi la bellezza formale del particolare, innestandolo su
scomparti architettonici dell’arte passata. E tentò accanto ad una
nuova intuizione della disposizione dell’insieme, ricche
decorazioni plastiche non appiccicate alle ossature costruttive, ma
avviluppate in esse e con esse organicamente incorporate».
L’architettura poggia su fondamenti materici ben stabili. Potremmo
dire, in altri termini, che gli architetti, badano alla sostanza,
mentre le decorazioni accidentali servono da rifiniture della
struttura e sono organicamente, cioè hegelianamente disposte in un
tutto ben congeniato. Il Sommaruga esprime così un originale intento
che si pone a cavallo tra il classicismo, che in qualche modo viene
recuperato nella struttura portante e i nuovi sviluppi
dell’architettura che sfoceranno nel razionalismo. Quando fu eretto
il palazzo Castiglioni, sottolinea Ugo Monneret, in L’architettura
di Giuseppe Sommaruga:
«a noi giovani, allora giovanissimi, appariva quell’opera come una
rivelazione». E precisa: «In tempi come i nostri, particolarmente
negli ultimi quattro lustri, di frequenti e capricciose vuote
manifestazioni architettoniche venute purtroppo dall’art nouveau
francese o dal florealismo indigeno di poco lieta memoria, il
ritrovare ora dopo quindici anni nell’esame del bel palazzo
Castiglioni ancora tutte le belle doti che si erano rivelate al primo
suo apparire, è segno visibile della sua vitale organicità».
Potremmo definire allora la prospettiva del Sommaruga organicistica:
si tende ad un insieme unico, da cui si stagliano particolari
conformazioni. In Italia comunque l’Art Nouveau assume un
significato proprio, per cui diventa il Liberty. Un esempio dei
diversi stili lo possiamo trovare, sempre in provincia di Varese, nel
birrificio Poretti, laddove lo Judgendstil della fabbrica si
contrappone alla Villa Magnani, in stile Liberty. Il Liberty diventa
una moda: sorgono ville dappertutto. Vero è che il Sommaruga era
figlio del suo tempo e si faceva prendere dalla tentazione
florealista: «Talvolta la sua fantasia ricercatrice di ricchezze
plastiche lo portò a sovrapporre un’abbondanza di elementi
ricavati dalla flora naturale, menomando la squadrata originalità
delle masse». Le strutture sommarughiane includono intrecci
strepitosi tra toni neoclassicisti e forme plastico-dinamiche. I
tetti trapezoidali, e poligonali, tipicamente Liberty, sono
sormontati da camini che paiono torrioni medievali (perfetta sintonia
tra efficienza pratica ed estetismi), i pluviali sono sormontati da
stili, simili a pagode, o a strutture moresche. In sintesi, allora
riportiamo i caratteri fondamentali dell’architettura
sommarughiana: 1) Funzionalismo degli edifici: ad esempio i Grand
Hotel riecheggiano le strutture termali dell’epoca. Il colonnato
del Palace Hotel ricorda il colonnato di Marienbad; 2) astrattismo e
slancio in alto: come ipotesi assumiamo che vi sia l’influsso della
Teosofia, riscontrabile anche nel capolavoro di Frazer, il
ramo d’oro (1890).
Lo strutturalismo fondale lo riscontriamo anche nella nascente
semiologia barthesiana; 3) pre-futurismo: dinamismo, linea dinamica,
es. balconata del Grand Hotel; 4) neo-barocchismo, evidentissimo, ad
esempio, nel Palazzo Castiglioni. Ciò che viene sperimentato a
Varese è prefuturista.
Ci
deve essere sempre una predisposizione innata. La tecnica è la forma
dell’arte che va scissa dalla poetica e dall’inventiva, come la
scrittura dai prodotti l’istinto alla creazione, lo stato nascente
è innato. L’arte è innata: oseremmo dire! L’arte non può
essere insegnata, s’insegna solo la tecnica e poi l’arte non è
trasmissibile sempre da padre in figlio, anche se gli influssi
certamente ci sono. Potremmo dire che Sommaruga è un pre-futurista
ed è al contempo un post-passatista. Nella dimensione
ultra-temporale, a volte, passatismo e futurismo si fondono e si
confondono. Ciò può avvenire solo nel mondo ideale, pro-gettuale.
Pensando ad Heidegger potremmo dedurre che l’architetto è il
pro-gettante per eccellenza, è colui che si oppone maggiormente alla
gettatezza esistenziale. La gettatezza è la passività dell’esserci:
la progettatezza, invece è il momento attivo, di intuizione mistica
dell’Essere. L’esistenza stessa è un pro-getto, un’opera
architettonica unica. Un esempio d’un concetto teosofico ripreso
dall’architettura è quello di euritmia, adusato anche dallo
Steiner in pedagogia ed in arte da tanti. L’euritmia è uno dei
caratteri fondamentali di tutte le opere sommarughiane. Per capire
questo concetto rileggiamo alcune note, riprese dai Principi
di Architettura Civile
del 1785: «L’Unità consiste che tutte le parti d’un edificio, e
tutti i suoi ornati, si riferiscano all’oggetto principale, e
formino un tutto insieme unico, e solo. Ecco là un altro Palazzo di
un Sovrano col portone in un angolo, dal mezzo della sua facciata
scappa, come un budello, una casa triviale situata obliquamente;
mentre ad un altro lato attacca una lunghissima fabbrica bassa, quasi
Cappuccinesca. Si vede in un colpo d’occhio tanto sterminio,
dell’Euritmia, dell’Ordine, della Unità, e in una situazione più
vantaggiosa. In moltissimi edifici sono impiegati diversi Ordini di
Architettura, in uno stesso piano: addio unità! L’unità richiede
che non si debbano ammettere né più generi, né differenti
espressioni nella decorazione, né collocare alcun membro di
Architettura, e di Scultura, che non sia cavato dalla stessa
sorgente, cioè dal carattere conveniente a quel dato edificio».
Le
mura esalano armonia d’insieme. Il colpo d’occhio unitario, cioè
sinottico, coglie il tutto prima della parte. I principi gestaltici,
provenienti indirettamente dal formalismo kantiano, in architettura
hanno un valore altisonante. Il tutto è più della somma delle
parti. L’organicismo è la nota primale che caratterizza tutte le
costruzioni del Sommaruga, preludio al razionalismo che s’imporrà
alle vette dell’architettura contemporanea. Qui non solo diversi
ordini, o stili architettonici, ma anche arti diverse, come scultura
e architettura si fondono nell’armonia dell’insieme. Nell’insieme
cogliamo la struttura, non nei dettagli, che pur non mancano. Abbiamo
dei riflessi quasi impressionistici in architettura: i palazzi del
Sommaruga vanno ammirati da lontano.
Seguiamo
sempre il pregevole commento del Monneret: «Si sentiva il bisogno di
qualcosa di serio, di dignitoso, di profondo: il momento era
favorevole perché un nuovo architetto portasse al popolo italiano
una nuova parola. È sorta allora l’architettura nuova del
Sommaruga… Come i grandi architetti barocchi egli ha compreso che
lo scopo primo d’ogni architettura è quello di esprimersi con un
poderoso gioco di masse: il significato tutto d’ogni architettura,
il suo animo ed il suo spirito, devono prima che con ogni altro mezzo
esplicarsi in un rapporto di piani e di volumi. È un gioco di luci e
di ombre». E torniamo un attimo alla preoccupazione dell’Angelini,
giovane sconvolto dalle forme sommarughiane: l’opera architettonica
è dapprima pittorica, poi scultorea. L’architettura è la sublime
sintesi dell’arte somma. È l’arte delle arti. Non un caso che le
logge primitive della sana massoneria, prima che fosse deviata, fu
fondata da mastri e da architetti. Gli antichi mastri costruttori
erano dei geni. Il Sommaruga si fa profeta di una novella arte tutta
italiana. Si fa l’interprete del nostro genio, come fecero gli
architetti del Rinascimento, ed in primis l’Alberti: l’uomo
non è nato per marcire giacendo, ma per stare facendo… ecco
la nuova rinascita dell’arte promossa da questo grande uomo. Sulla
sua scia poi sviluppa il Futurismo. L’architettura futurista
s’avvale di questo cromatismo accentuato e della dinamicità.
L’edificio deve dare l’idea del movimento, della velocità. Già
le strutture sommarughiane, plastiche, cominciano a muoversi in
questo senso. Gli anni Dieci sono un crocevia di filoni artistici:
astrattismo, cubismo, espressionismo, futurismo. Il manifesto
marinettiano coinvolge un po’ tutti, letterati, artisti, come
Boccioni, Balla, architetti. Antonio Sant’Elia deve molto, se
vogliamo, al nuovo verbo architettonico annunciato dal Sommaruga. Ed
il Nostro vive appieno quest’epoca rivoluzionaria di inizio secolo.
©
Vincenzo Capodiferro