29 novembre 2023

La storia del nostro viaggio inesplorato: la silloge Assolo per mia madre di Maria Pina Ciancio a cura di Alessia Mocci


La storia del nostro viaggio inesplorato: la silloge Assolo per mia madre di Maria Pina Ciancio


È da queste pagine che mi scorgi adesso/ io che non ero dentro le tue attese/ ma che tremavo se la voce ti tremava/ e che cadevo per intero dentro i tuoi allarmi ciechi// […]” ‒ “Del pianto a mani nude”

Edito da L’Arca felice nel 2014, la silloge “Assolo per mia madre” di Maria Pina Ciancio si presenta al lettore con poesie e frammenti in prosa che raccontano il rapporto dell’autrice con la propria madre, venuta a mancare nel 2011.

La silloge è suddivisa in due parti: nella prima parte Maria Pina Ciancio riporta alla mente la sua infanzia in rapporto alla madre, brevi versi che tramandano “rituali e gesti antichi da lodare/ a priori”.

La seconda parte, invece, è incentrata sull’abbattimento della figlia conscia dell’ormai imminente perdita.

Ho un dolore che smuove radici/ e bellezza e richiude lo sguardo negli occhi/ Ciò che il mio pianto non dice non era la fine, né il dopo/ ma il mentre del tempo in cui scorre ignare la vita// Ti prego, madre, di queste mie mille incertezze/ (ingabbiate tra offese e paure)/ allontanami adesso dal petto le streghe e i confini/ le voci accalcate alla testa// avvicina una mano o lo sguardo e cercami ancora bambina/ solo un istante solo una volta// per l’ultima volta”


“Assolo per mia madre” è un prodotto artigianale di alta qualità lavorato in Italia su carte pregiate su progetto grafico di Ida Borrasi, impreziosito dalle grafiche di Giuseppe Pedota, dalla prefazione di Lucio Zinna e dalla sopracitata nota critica di Mario Fresa.


Maria Pina Ciancio, di origini lucane, è nata a Winterthur in Svizzera nel 1965. Ha lavorato per molti anni come insegnante a Chiaromonte in Basilicata, recentemente si è trasferita a Roma nella zona dei Castelli Romani. Ha pubblicato testi che spaziano dalla poesia alla narrativa e saggistica, vincendo importanti premi letterari. Ha fatto parte di diverse giurie letterarie ed è presente in svariati cataloghi e riviste di settore; dal 2007 è presidente dell’Associazione Culturale LucaniArt. Tra i suoi lavori più recenti ricordiamo “Il gatto e la falena” (Premio Parola di Donna, 2003), “La ragazza con la valigia” (Ed. LietoColle, 2008), “Storie minime e una poesia per Rocco Scotellaro” (Fara Editore 2009), “Assolo per mia madre” (Edizioni L’Arca Felice, 2014), “Tre fili d’attesa” (Associazione Culturale LucaniArt 2022 con stampa dell'artista Stefania Lubatti), “D’Argilla e neve” (Ladolfi, 2023).


Written by Alessia Mocci


Info

Leggi la recensione dettagliata su Oubliette Magazine

https://oubliettemagazine.com/2023/11/05/assolo-per-mia-madre-di-maria-pina-ciancio-gesti-antichi-da-lodare-a-priori/

22 novembre 2023

LA PAGELLA DI MOODY'S di Antonio Laurenzano


LA PAGELLA DI MOODY'S

di Antonio Laurenzano

Gli esami non finiscono mai. Dopo le valutazioni (positive) di S&P, Dbrs e Fitch, per i conti pubblici italiani venerdì 17 è arrivata la pagella di Moody's, l'agenzia statunitense di rating fra le più autorevoli. E, un dispetto della cabala, ironia della sorte, nonostante il giorno "porta sfortuna" prova superata. Azzerati i timori e le paure della vigilia legati al rischio bocciatura. Sotto esame la credibilità della nostra finanza pubblica collegata alla capacità di ripagare il debito. L'Italia si è presentata al test partendo da una valutazione tutt'altro che da prima della classe: Baa3, appena sopra la soglia del cosiddetto "investment grade". Sotto questa classe di rating c'è solo il livello spazzatura, e cioè affidabilità uguale a zero. L'ultima pagella ricevuta da Moody's è dell'agosto 2022, subito dopo la fine del Governo Draghi: l'agenzia declassò il nostro Paese alimentando un clima di incertezza per le conseguenze economiche, politiche e finanziarie. Fu un chiaro avvertimento al nuovo inquilino di Palazzo Chigi: "Senza riforme economiche e fiscali ci sarà il taglio del rating sovrano dell'Italia", e quindi chiusura degli acquisti dei titoli italiani da parte di molti investitori istituzionali.

Sullo sfondo della legge di Bilancio impostata in termini di "prudenza realista", Moody's non solo non ha variato il rating, confermando il Baa3 del debito pubblico italiano, ma ha migliorato da "negativo" a "stabile" l'outlook, la previsione sull'andamento del medio-lungo termine. Fattori del giudizio positivo l'attuazione del Pnrr, il consolidamento del sistema bancario, la diminuzione dei rischi legati alle forniture energetiche.

Nella sua valutazione Moody's ricorda che i livelli di debito dell'Italia resteranno elevazione. E per questo "ridurre il deficit sarà essenziale per la futura traiettoria del debito dato che il differenziale fra la crescita nominale e i tassi d'interesse tornerà negativo nel 2025", richiedendo all'Italia un avanzo primario per stabilizzare il debito. L'agenzia, in relazione al vasto programma di riforme in cantiere, ha definito il Pnrr come "l'opportunità che capita una volta in una generazione per rafforzare la crescita e attuare riforme specifiche". Per l'Italia "i rischi di credito associati con una inefficiente esecuzione delle politiche macroeconomiche sono significativi, perché è lo Stato membro dell'Ue più esposto a una dinamica avversa al debito". Le prospettive di crescita ciclica continueranno a essere sostenute dalla realizzazione di investimenti nell'ambito del Pnrr fino al 2026, anche se, rileva Moody's, "permangono rischi sostanziali nel caso in cui l'Italia non sia in grado di sfruttare al meglio le risorse del Piano comunitario".

Dinamica del debito e strategia di crescita saranno dunque le direttrici di marcia del Governo Meloni per rafforzare sui mercati lo status finanziario e scongiurare pericolosi sbalzi dello spread BTP-Bund. La grande sfida italiana, nella prospettiva anche della riforma del Patto di stabilità e crescita, sarà la sostenibilità del debito. La sua riduzione è una strada obbligata che non può essere rallentata. Se il prossimo anno l'Italia non crescerà dell'1,2%, come messo nero su bianco nella Nadef e contemporaneamente dovessero arrivare nuovi shock nell'economia, saranno dolori, perchè non ci saranno risorse sufficienti per sostenere un deficit al 4,4% del Pil. E se non è rinviabile una discesa del debito, non lo è nemmeno l'attuazione del Pnrr, che dovrebbe garantire proprio quella crescita di cui il Paese ha bisogno. Il Piano nazionale di ripresa e resilienza ha infatti un ruolo centrale per il sostegno dell'economia e la sua attuazione non può ammettere rinvii. Il pieno avanzamento dei progetti del Pnrr fornirebbe uno stimolo all'attività economica che è determinante per lo sviluppo nel prossimo biennio. Lo testimonia il Portogallo premiato da Moody's con un rating salito in un solo colpo di due gradini (A3) grazie alla implementazione di una serie di riforme strutturali legate al Pnrr, ai significativi investimenti, alla riduzione dell'indebitamento, anche privato.

Per l'Italia il debito pubblico è un grosso macigno, tra i più alti in Europa e del mondo, con una previsione di crescita proiettata verso quota 3.000 miliardi di euro, la cui sostenibilità nel lungo periodo impensierisce gli osservatori. Lo temono i mercati, ma anche le organizzazioni internazionali come l'Fmi che ha esortato il Governo a intervenire con fermezza visto che il rapporto debito-Pil potrebbe restare ancora al di sopra della soglia del 140% fino al 2028. Sulla stessa lunghezza d'onda la Commissione europea.

Effetto domino per le casse dello Stato. Il quadro finanziario potrebbe ulteriormente peggiorare nei prossimi anni fino al 2026 con la spesa per interessi verso la soglia dei 100 miliardi di euro già dal 2024. Un'impennata del costo che sarà pari a quasi quattro volte l'importo della legge di Bilancio. Una storia, quella del debito pubblico, che ha radici lontane, con una dinamica di crescita che si è distorta sempre più negli anni con la spesa pubblica in aumento costante ed entrate fiscali in calo. Una dinamica ulteriormente peggiorata negli ultimi tempi a causa della elevata inflazione e degli alti tassi d'interesse all'interno di un contesto internazionale di grande incertezza che influirà negativamente sulla crescita economica. Quale futuro ci attende?


21 novembre 2023

La teoria del ciao di Andrea Faletra a cura di Vincenzo Capodiferro


LA TEORIA DEL CIAO”

Un romanzo che ispira e fa crescere nell’essere, di Andrea Faletra.


La teoria del ciao” è un romanzo di Andrea Faletra, pubblicato da Scatole Parlanti. Andrea Faletra, del 1977, è un personaggio vulcanico, impegnato su vari fronti: politica, volo, scienza, tecnologia. Possiede il brevetto PPL di aeromobili. Fa parapendio e si occupa di progettazione elettronica. Questo particolare romanzo racconta una storia avvenuta negli anni Cinquanta. Un ragazzo di quattordici anni fa un esperimento, ma il laboratorio esplode e spariscono tutti i suoi amici. Dopo settant’anni, Andrea, un anziano del paese, fa una rivelazione su cosa è successo. È un romanzo certamente autobiografico: l’immagine di copertina è un autore proiettato nella vecchiaia. Ogni uomo è un vecchio-bambino. Ogni uomo reca in sé tracce di tutta la storia dell’umanità, dalle origini adamitiche alla fine: è preludio di fine dell’umanità stessa. «Su questa collina ci salgo una volta a settimana, lo faccio da quando avevo quattordici anni e oggi ne ho ottantacinque». È il leopardiano “ermo colle” che apre orizzonti inaspettati verso l’infinito. «Il come avvenga il passaggio da oggetto inanimato a oggetto animato ci è ancora oscuro, ma affinché la vita possa esistere sappiamo che devono sussistere determinate condizioni, contestualmente alla presenza di alcuni materiali. Carbonio. Idrogeno. Azoto. Ossigeno. Gli scienziati la chiamano la “Teoria del Ciao. I mattoni della vita, i materiali». In Andrea l’occhio dello scienziato e l’occhio dell’artista si fondono. Chi poteva infondere la vita ad un mucchio di materia inerte? Noi diciamo: un Dio. Deus nobis haec otia fecit (Virg., Ecl. I,6). Questi ragazzi vivono un sogno, fatto di un’esperienza, ora bella, ora traumatica, che li vede protagonisti in un laboratorio vivente, racchiusi nei loro igloo, creatori di un villaggio ancestrale ma modernissimo nello stesso tempo, il villaggio della vita. Questi ragazzi, dopo settant’anni, possono riscriversi, nei loro figli: «Caro Andrea. Sono Lux, figlio di Unami e Gianfranco… Anche io debbo la mia vita al vostro coraggio». «La Teoria del Ciao è un sogno che si avvera,» ma soprattutto «il succinto approccio a tre argomenti…: l’amore, l’amicizia e la vita». Andrea ci propone una forte riflessione esistenziale che dovrebbe riguardarci tutti: come è possibile il miracolo della vita? Che valore noi diamo a questo miracolo? Siamo riconoscenti alla Natura per questo dono della vita? Siamo figli di Eros. Perché ci rivolgiamo a Thanatos? Ogni essere vivente si riproduce seguendo uno schematismo originario: l’apriori, come sosteneva Spencer, è ciò che geneticamente precede l’avventura di questa Natura, che vivendo impara dai propri errori e continuamente si rigenera, un organismo perfettibile, auto-correggentesi, adattantesi a ogni necessità. Questo è il grande mistero della vita: solo i romantici, come Andrea, potevano cogliere a pieno questo mistero della Natura vivente, non una macchina semovente, una “Natura Morta”, come l’hanno considerata gli scienziati dal Seicento ad oggi: - La Natura è lo Spirito visibile (Schelling).

Vincenzo Capodiferro

17 novembre 2023

Nella sua mente di Rossana Balduzzi a cura di Miriam Ballerini


NELLA SUA MENTE
– La sostituzione d'identità è un qualcosa di molto complicato – di Rossana Balduzzi

© 2022 Diarkos editore

IBSN 978-88-3616-177-5

Pag. 725 € 19,00

Un thriller che parte da un'idea originale e insolita: rapire persone somiglianti ad altre e, tramite un intervento psicologico, cambiarne la personalità tanto da risultare convincenti: “Il metodo messo a punto dallo spregiudicato dottore si basava su un sovraccarico d' informazioni in grado di destabilizzare le vittime”.

Per scrivere questo romanzo la Balduzzi si è informata presso l'Oi-pc-Interpol per “comprendere i nuovi scenari criminali internazionali che avvengono nella quinta dimensione del crimine, vale a dire il cyberspazio”.

Ne è nato un racconto lungo, 725 pagine sono molte, eppure accattivante, che non annoia per niente, anzi, cattura e spinge il lettore a procedere in una sorta di palude della mente.

I personaggi sono molti, tutti a loro modo protagonisti; se proprio vogliamo distinguere quali sono quelli principali, diciamo che sono Emma e Cesare. Il bene e il male, la vittima e il carnefice.

Anche se la loro storia sarà molto più complessa di così, intrecciandosi fino a non comprendere più dove sta il bandolo della matassa.

I capitoli iniziano con una data che è stabilita da dopo il rapimento di Emma, oppure indicata per i paesi toccati; o ancora dopo la morte di Cesare, ecc.

La scrittrice tocca diversi anni, andando avanti e indietro nel tempo per farci comprendere cosa c'è stato prima, per portarci a comprendere l'oggi.



per continuare a leggere: 

 "Nella sua mente" di Rossana Balduzzi: è possibile sostituire l’identità di una persona? - OUBLIETTE MAGAZINE

15 novembre 2023

Sherwood Anderson Bottiglie di latte a cura di Marcello Sgarbi




Sherwood Anderson

Bottiglie di latte – (Editore Elliot)


Collana: Lampi

Formato: Brossura

EAN: 9788869936555

Pagine: 61


Di scrittori "prestati" alla pubblicità il panorama mondiale della letteratura ne annovera parecchi. Si va da Francis Scott Fitzgerald – un classico intramontabile –un Don De Lillo, da Salman Rushdie a Kressmann Taylor, di cui vi consiglio la lettura  di Destinatario sconosciuto, un autentico gioiellino. Sono tutti autori che primadel loro esordio hanno lavorato come copywriter nelle agenzie di pubblicità. 

Se poi vogliamo scomodare un pilastro della prosa e della poesia italiane,c'è da ricordare che il nome dei grandi magazzini La Rinascente è stato creato nientemeno che dal vate Gabriele D'Annunzio.

 Fra i tanti scrittori ex pubblicitari merita un richiamo l'americano Sherwood Anderson, un esponente della corrente del modernismo, forse un po' trascurato rispetto ad altre firme più autorevoli.

Un maestro del racconto breve, che con il suo stile ha influenzato le opere di conterranei della caratura di Hemingway, Faulkner, Steinbeck.

Breve e nello stesso tempo delizioso è Bottiglie di latte , contenuto nell'antologia "L'uomo che diventò donna", pubblicata nel 1923. Ambientato in un torrido agosto un Chicago, la stessa città in cui Anderson lavorò come copywriter, il racconto ha una doppia valenza autobiografica perché Ed, il suo protagonista, è appunto – per dirlo truffare una traduzione in italiano – un redattore di testi pubblicitari diviso fra il lavoro in agenzia e l'ambizione di scrittore. Del resto, non è un caso che l'autore abbia scelto di scriverlo in prima persona.

Angustiato dal caldo opprimente, una sera un uomo esce dal suo appartamento e scende per la strada, in cerca di un po' di frescura. Da quel momento tutto il racconto si colora di bianco latte, lascio a voi lo scoprire il perché.

Il pezzo di Ed che avevo letto raccontava di una bottiglia a metà piena di latte inacidito, appoggiata su un davanzale alla fioca luce della luna. C'era stata la luna al principio di quella serata d'agosto, una luna nuova, un segno d'oro sottile e curvo  nel cielo. Ed ecco quanto era successo al mio amico, il copywriter; me ne resi conto perfettamente, mentre giacevo a letto senza poter dormire, dopo la nostra conversazione.

© Marcello Sgarbi


12 novembre 2023

Una bellissima recensione che riguarda il nuovo romanzo di Miriam Ballerini L'altro io

 Una bellissima recensione che riguarda il nuovo romanzo di Miriam Ballerini L'altro io. Grazie a oubliette magazine: 

“L’altro io. Storia del mostro delle lacrime” di Miriam Ballerini: le problematiche psichiche dei carnefici

“Il vento aveva spirato tutta la notte, giocando strane partite di ping pong con le foglie degli alberi; stanco le aveva infine scaraventate a terra, come una tavolozza rotta, dalla quale erano defluiti i rossi e i gialli.”

L’altro io. Storia del mostro delle lacrime di Miriam Ballerini
L’altro io. Storia del mostro delle lacrime di Miriam Ballerini

Pubblicato nel 2023 dalla casa editrice KimerikL’altro ioStoria dl mostro delle lacrime è l’ultima fatica letteraria della scrittrice Miriam Ballerini.

Sviluppato in un’alternanza fra vicende romanzate e riflessioni e considerazioni proprie dell’autrice, si può definire il testo come un prodotto che sta a metà tra il romanzo e il saggio.

“Prima di entrare, Nicla si nascose sotto l’ombrello, riparandosi dalla pioggia che si era fatta insistente; chiuse gli occhi cercando di fare il vuoto nella propria mente.” 

Ma veniamo brevemente alla trama, ben costruita e di sicuro impatto emotivo per il lettore che, spinto da una narrazione intrigante promessa fin dalle prime pagine, si approccia alla lettura di un libro davvero interessante.

“Nicla parcheggiò nel posteggio del carcere. Si fece forza per prepararsi al terzo incontro con Lucas. Una parte di lei odiava quanto da lui commesso; ma l’altra metà non riusciva proprio a convincersi che Lucas fosse il male”

La protagonista, giornalista e mamma single, è una donna che si presta anche alla scrittura per la stesura di un libro focalizzato su di un personaggio inquietante: un serial Killer che ha commesso una serie di omicidi di giovani donne.

È dunque la questione di genere, di cui oggi molto si dibatte, una delle tematiche su cui si fonda il bel libro della Ballerini. Tematica di grande attualità di questi nostri tempi difficili, in cui ogni giorno, o quasi, la cronaca riporta la notizia di donne uccise dal proprio compagno, o da un ex-compagno che sia.

Ma l’assassino descritto dall’autrice non ha legami parentali con le sue vittime, se non per il fatto che suscitano in lui la memoria della propria madre. Semplicemente, Lucas, l’omicida, è un uomo disturbato, uno psicopatico in piena regola da un punto di vista clinico, la cui infanzia è stata segnata dal totale rifiuto affettivo da parte della donna che gli ha dato la vita.

La negazione della figura materna ha lasciato in Lucas un segno indelebile da cui non è riuscito ad affrancarsi, e che ha fatto di lui un uomo malvagio.

Ed ecco nascere da qui un comportamento disfunzionale che da piccolo lo ha visto infierire su innocui animaletti, e da adulto rivolgere la propria rabbia su giovani donne, abusate nel corpo con inaudita brutalità e perciò vittime del suo odio feroce. Ed è fra incontri in carcere con l’assassino e una quotidianità di non sempre facile gestione, che si snoda l’esistenza di Nicla, la protagonista. Che deve gestire la propria vita da single, con le complicazioni sentimentali conseguenti a questa sua condizione, oltre che governare le giornate del figlioletto nato quando era solo una ragazzina.


per continuare a leggere: https://oubliettemagazine.com/2023/11/12laltro-io-storia-del-mostro-delle-lacrime-di-miriam-ballerini-le-problematiche-psichiche-dei-carnefici/



07 novembre 2023

L’ARCHITETTURA ORGANICISTA DI GIUSEPPE SOMMARUGA

 


L’ARCHITETTURA ORGANICISTA DI GIUSEPPE SOMMARUGA

Quando parliamo di bello cosa intendiamo? A livello estetico il bello esige un’indipendenza come ideale, per questo affermiamo che il bello non è il vero, non è il bene, non è l’utile - come sosteneva Socrate (il “kalagathon”), non è l’onesto - come sostenevano Socrate, Platone, Kant, Schiller (“anima bella”). Non è il nuovo, non è l’abitudinario, non è il grande. Ricordate il sublime matematico di Kant: ciò che è assolutamente grande. Quel sublime in qualche modo richiama subito alla mente l’Id quo maius cogitari nequit di Anselmo, quell’Id tanto contestato dallo stesso Kant nella Critica maggiore. Abbiamo detto ciò che il bello non è, seguendo forse in parte una specie di Teologia (o meglio Calologia negativa), ma partiamo da ciò che è. In questo seguiamo sempre la kantiana Critica del Giudizio: il bello è in sintesi ciò che produce un piacere disinteressato e di conseguenza un giudizio estetico. Kant in pratica sostiene che il bello è un universale trascendentale. E qui viene il bello? Ciò che Kant non dice: può essere considerato allora anche il bello un apriori? Esiste cioè una forma pura del senso, metempirica e quindi di conseguenza metafisica? Bel problema! Il bello è legato al finito, il sublime all’infinito, all’apeiron. Platone definisce il bello come lo splendore del Bene, Plotino, lo splendore del Vero, Agostino lo splendore dell’Ordine. Agostino: «Tardi ti amai, o Bellezza sempre antica e sempre nuova, tardi di amai». Cioè il bello invita alla contemplazione, il Bello assoluto alla visione insaziabile. Bello e sublime anticipano quello che Nietzsche definirà come arte apollinea e arte dionisiaca, in pratica Apollo e Dioniso. Il genio è la facoltà di produrre il bello artificiale, quindi distinto dal bello naturale ed è diverso dal talento: il genio crea, inventa, il talento è l’abilità esecutoria. L’arte è appunto l’opera del genio. In base al senso cui l’opera d’arte si rivolge abbiamo, alla vista: architettura e scultura (arti plastiche), o pittura, o all’udito, musica e poesia. Ora nell’ambito dell’architettura Giuseppe Sommaruga (Milano 1867-1917) rappresenta un genio tutto italiano ed un esegeta del Liberty.

L’organicismo è al confine tra bello e sublime: le parti geometriche si accostano a quelle dinamiche in bugnato, seguendo un’armonia di opposti: determinato e indeterminato.

Giuseppe Sommaruga è un sublime interprete dello stile Liberty. È un esegeta - seguendo l’interpretazione di un’ermeneutica dell’arte - del nuovo verbo architettonico che si impone stilisticamente nel tardo Ottocento. Come ogni stile, anche il Liberty ha un alfabeto, una grammatica ed una sintassi. Partiamo dal presupposto che i Libertyni si pongono in accesa rottura colla cultura dominante, cioè il positivismo, ricollegandosi idealmente al romanticismo. È chiaro, però, che il rapporto col positivismo è ambivalente: da un lato utilizzano i nuovi materiali suggeriti dall’industria, come ferro, ghisa, dall’altro, rifiutando decisamente i prodotti industriali come scadenti, sostengono la libera iniziativa dell’artigianato. L’Art Déco riprenderà fortemente questo tema. D'altronde è indubbio l’influsso dell’architetto inglese socialista William Morris (1834-1896) sull’Art Nouveau. Anche qui, però, se da un lato s’intravede un sottofondo rosso, che si connette all’utopismo del primo Ottocento, dall’altro possiamo dedurre che la borghesia stessa si appropri dei motivi socialisti: infatti i prodotti artigianali non sono a portata di tutti, ma solo dei più abbienti. Il Libertynismo pertanto si presenta come un movimento problematico, dai contorni non ben definiti ed in Italia poi non dimentichiamo la radice sempre neo-rinascimentale, che si ritrova anche nell’utilizzo di forme rinnovellate.

Questo variegato movimento si ricollega alla grande rivoluzione artistica europea, che prende varie nomee: l’Art Nouveau, la Secessione, lo Jugendstil, il Liberty.

Caratteri portanti, comunque, di questo nuovo stile architettonico sono riconosciuti: l’architettura ornamentale, il ripristino del romanticismo, l’accostamento di elementi decorativi, spesso di matrice naturalistica (florealismo) alle strutture portanti, la sintesi tra arte e mondo industriale, attraverso l’uso di materiali provenienti dall’artigianato, se non dall’industria, come ferro battuto e vetro. Questa fu l’arte modernista, o Liberty

Il Liberty contrapponendosi in parte alla cultura dominante ripropone un ritorno al romanticismo, che significa ritorno alla Natura. L’architetto John Ruskin (1819-1900), ad esempio, sosteneva che per arrivare alla bellezza bisogna partire direttamente dalla Natura, però in una disposizione d’animo raggiungibile soltanto nella virtù. La sua fu arte che si fonde con l’etica, così ce la propone nello scritto Le sette lampade dell’architettura (1849). Ogni attimo nasce e muore e l’uomo non può opporvisi. La concatenazione degli eventi, di ciò che accade, cioè gli heideggeriani accadimenti, o atomi temporali, sono connessi secondo un senso che Bacone chiamerebbe latente. C’è uno schematismo latente nella Natura o Essere, che si manifesta e si asconde agli animi attenti. Ai dormienti, come dice Eraclito non appartiene il mondo, ma solo il proprio mondo parallelo. E torna il principio di Leibniz caro ai positivisti: ogni attimo è carco di passato e di avvenire, dipende dallo sguardo sinottico che noi abbiamo. L’artista guarda al tutto, ed il tutto è più della somma delle parti, secondo il canone gestaltista

Il concetto di Liberty ne risulta oltremodo districato alle più variegate e variabili interpretazioni: «La vicenda italiana del cosiddetto stile Liberty è una pagina di storia dell’arte, o anche soltanto di storia del gusto, che sembra sfuggire ad una precisa indagine critica e scoraggiare ogni volontà di definizione, per la sua duplice ambiguità. Essa subisce infatti da un lato le contraddizioni, vistose o sottili, drammatiche o maliziose, di tutta l’area storica e geografica del movimento “modernista” – e cioè dell’avanguardia europea tra il 1890 e il 1914 all’incirca – pur senza condividerne le punte più alte ed inquietanti e perciò i significati più ardenti. Patisce dall’altro una sua intima contraddizione, tra l’ansia di aggiornamento in senso europeo e l’ansia di affermarsi come indipendente voce nazionale, impacciata, poi, da provincialismi in Italia particolarmente pervicaci, che in sé non sarebbero stati pericolosi, se non avessero mantenuto una speciale virulenza in un paese sprovveduto di un adeguato schieramento teorico» (R. Bossaglia, Il Liberty in Italia, Charta, Milano 1997, p. 9).

«Anche l’Art Nouveau italiano derivò da Vienna, ma nell’architettura prese dall’Inghilterra, e lo dice il nome di stile Liberty, che esso assunse in Italia, dal nome della ditta londinese di decorazioni Liberty. L’Art Nouveau italiano, ad ogni modo, fu più che altro una merce di importazione. Gli italiani si valsero dei particolari stilistici dell’Art Nouveau, senza giungere essi stessi ad uno stile unitario e neppure ad una singola opera d’arte esemplare» (R. Schmutzler, Art Nouveau, Il Saggiatore, Milano 1966, p. 242).

Vorremmo fermarci solo qui sulla riflessione sul Liberty italiano, d'altronde una trattazione su questo complesso sistema richiederebbe degli ambiti più estesi, che qui non possiamo concederci. Veramente questo giudizio di Schmutzler è sommario, ambiguo, mistificatore e non dà merito dell’eccezionale ricchezza del Liberty. Non è una novità che i moti italiani siano fortemente sottovalutati da questi saccenti: ricordiamo il Kristeller che voleva far passare tutto l’umanesimo per un esercizio di copiatura. Il Liberty riflette tutta la spiritualità del Positivismo, che anche in Italia, ebbe il suo particolare lato: 1) la sintesi tra spirito, cioè Natura, e materia, cioè progresso; 2) la sintesi di passato, presente e futuro, secondo il principio leibniziano; 3) il rapporto tra unità originaria, cioè naturalità, e molteplicità; 3) il riconoscimento dell’interna divinità d’ogni ente. L’animismo si riconosce soprattutto in Gaudì, ma anche in Sommaruga: ad esempio l’arco a collo di cigno. Si procede ad una forma di umanizzazione della natura, ad esempio la lanterna a forma di libellula. La natura compare o in forma astratta o in forma diretta; 4) il volontarismo, ripreso dal Burckhardt, ma anche da quello kantiano-fichtiano che porta all’attivismo, cioè alla riconsiderazione dell’homo faber; 5) l’adempimento del tempo. La storia è sempre progressiva, il passato è carico d’avvenire, significa che il futuro ha le radici nel passato

L’immagine che ci riporta la Bairati su Sommaruga, in Giuseppe Sommaruga, un protagonista del Liberty italiano, Mazzotta, Milano 1982, è di un uomo schivo, quasi un leopardiano passero solitario, innanzi alle «magnifiche sorti e progressive»: «Egli, intuendo che l’architettura è innanzitutto materiata di masse bene raggruppate più che di minuzie ornamentali, superò tosto quanto negli istituti di insegnamento era ancora diffuso come metodo: ricercarsi la bellezza formale del particolare, innestandolo su scomparti architettonici dell’arte passata. E tentò accanto ad una nuova intuizione della disposizione dell’insieme, ricche decorazioni plastiche non appiccicate alle ossature costruttive, ma avviluppate in esse e con esse organicamente incorporate». L’architettura poggia su fondamenti materici ben stabili. Potremmo dire, in altri termini, che gli architetti, badano alla sostanza, mentre le decorazioni accidentali servono da rifiniture della struttura e sono organicamente, cioè hegelianamente disposte in un tutto ben congeniato. Il Sommaruga esprime così un originale intento che si pone a cavallo tra il classicismo, che in qualche modo viene recuperato nella struttura portante e i nuovi sviluppi dell’architettura che sfoceranno nel razionalismo. Quando fu eretto il palazzo Castiglioni, sottolinea Ugo Monneret, in L’architettura di Giuseppe Sommaruga: «a noi giovani, allora giovanissimi, appariva quell’opera come una rivelazione». E precisa: «In tempi come i nostri, particolarmente negli ultimi quattro lustri, di frequenti e capricciose vuote manifestazioni architettoniche venute purtroppo dall’art nouveau francese o dal florealismo indigeno di poco lieta memoria, il ritrovare ora dopo quindici anni nell’esame del bel palazzo Castiglioni ancora tutte le belle doti che si erano rivelate al primo suo apparire, è segno visibile della sua vitale organicità». Potremmo definire allora la prospettiva del Sommaruga organicistica: si tende ad un insieme unico, da cui si stagliano particolari conformazioni. In Italia comunque l’Art Nouveau assume un significato proprio, per cui diventa il Liberty. Un esempio dei diversi stili lo possiamo trovare, sempre in provincia di Varese, nel birrificio Poretti, laddove lo Judgendstil della fabbrica si contrappone alla Villa Magnani, in stile Liberty. Il Liberty diventa una moda: sorgono ville dappertutto. Vero è che il Sommaruga era figlio del suo tempo e si faceva prendere dalla tentazione florealista: «Talvolta la sua fantasia ricercatrice di ricchezze plastiche lo portò a sovrapporre un’abbondanza di elementi ricavati dalla flora naturale, menomando la squadrata originalità delle masse». Le strutture sommarughiane includono intrecci strepitosi tra toni neoclassicisti e forme plastico-dinamiche. I tetti trapezoidali, e poligonali, tipicamente Liberty, sono sormontati da camini che paiono torrioni medievali (perfetta sintonia tra efficienza pratica ed estetismi), i pluviali sono sormontati da stili, simili a pagode, o a strutture moresche. In sintesi, allora riportiamo i caratteri fondamentali dell’architettura sommarughiana: 1) Funzionalismo degli edifici: ad esempio i Grand Hotel riecheggiano le strutture termali dell’epoca. Il colonnato del Palace Hotel ricorda il colonnato di Marienbad; 2) astrattismo e slancio in alto: come ipotesi assumiamo che vi sia l’influsso della Teosofia, riscontrabile anche nel capolavoro di Frazer, il ramo d’oro (1890). Lo strutturalismo fondale lo riscontriamo anche nella nascente semiologia barthesiana; 3) pre-futurismo: dinamismo, linea dinamica, es. balconata del Grand Hotel; 4) neo-barocchismo, evidentissimo, ad esempio, nel Palazzo Castiglioni. Ciò che viene sperimentato a Varese è prefuturista.

Ci deve essere sempre una predisposizione innata. La tecnica è la forma dell’arte che va scissa dalla poetica e dall’inventiva, come la scrittura dai prodotti l’istinto alla creazione, lo stato nascente è innato. L’arte è innata: oseremmo dire! L’arte non può essere insegnata, s’insegna solo la tecnica e poi l’arte non è trasmissibile sempre da padre in figlio, anche se gli influssi certamente ci sono. Potremmo dire che Sommaruga è un pre-futurista ed è al contempo un post-passatista. Nella dimensione ultra-temporale, a volte, passatismo e futurismo si fondono e si confondono. Ciò può avvenire solo nel mondo ideale, pro-gettuale. Pensando ad Heidegger potremmo dedurre che l’architetto è il pro-gettante per eccellenza, è colui che si oppone maggiormente alla gettatezza esistenziale. La gettatezza è la passività dell’esserci: la progettatezza, invece è il momento attivo, di intuizione mistica dell’Essere. L’esistenza stessa è un pro-getto, un’opera architettonica unica. Un esempio d’un concetto teosofico ripreso dall’architettura è quello di euritmia, adusato anche dallo Steiner in pedagogia ed in arte da tanti. L’euritmia è uno dei caratteri fondamentali di tutte le opere sommarughiane. Per capire questo concetto rileggiamo alcune note, riprese dai Principi di Architettura Civile del 1785: «L’Unità consiste che tutte le parti d’un edificio, e tutti i suoi ornati, si riferiscano all’oggetto principale, e formino un tutto insieme unico, e solo. Ecco là un altro Palazzo di un Sovrano col portone in un angolo, dal mezzo della sua facciata scappa, come un budello, una casa triviale situata obliquamente; mentre ad un altro lato attacca una lunghissima fabbrica bassa, quasi Cappuccinesca. Si vede in un colpo d’occhio tanto sterminio, dell’Euritmia, dell’Ordine, della Unità, e in una situazione più vantaggiosa. In moltissimi edifici sono impiegati diversi Ordini di Architettura, in uno stesso piano: addio unità! L’unità richiede che non si debbano ammettere né più generi, né differenti espressioni nella decorazione, né collocare alcun membro di Architettura, e di Scultura, che non sia cavato dalla stessa sorgente, cioè dal carattere conveniente a quel dato edificio».

Le mura esalano armonia d’insieme. Il colpo d’occhio unitario, cioè sinottico, coglie il tutto prima della parte. I principi gestaltici, provenienti indirettamente dal formalismo kantiano, in architettura hanno un valore altisonante. Il tutto è più della somma delle parti. L’organicismo è la nota primale che caratterizza tutte le costruzioni del Sommaruga, preludio al razionalismo che s’imporrà alle vette dell’architettura contemporanea. Qui non solo diversi ordini, o stili architettonici, ma anche arti diverse, come scultura e architettura si fondono nell’armonia dell’insieme. Nell’insieme cogliamo la struttura, non nei dettagli, che pur non mancano. Abbiamo dei riflessi quasi impressionistici in architettura: i palazzi del Sommaruga vanno ammirati da lontano.

Seguiamo sempre il pregevole commento del Monneret: «Si sentiva il bisogno di qualcosa di serio, di dignitoso, di profondo: il momento era favorevole perché un nuovo architetto portasse al popolo italiano una nuova parola. È sorta allora l’architettura nuova del Sommaruga… Come i grandi architetti barocchi egli ha compreso che lo scopo primo d’ogni architettura è quello di esprimersi con un poderoso gioco di masse: il significato tutto d’ogni architettura, il suo animo ed il suo spirito, devono prima che con ogni altro mezzo esplicarsi in un rapporto di piani e di volumi. È un gioco di luci e di ombre». E torniamo un attimo alla preoccupazione dell’Angelini, giovane sconvolto dalle forme sommarughiane: l’opera architettonica è dapprima pittorica, poi scultorea. L’architettura è la sublime sintesi dell’arte somma. È l’arte delle arti. Non un caso che le logge primitive della sana massoneria, prima che fosse deviata, fu fondata da mastri e da architetti. Gli antichi mastri costruttori erano dei geni. Il Sommaruga si fa profeta di una novella arte tutta italiana. Si fa l’interprete del nostro genio, come fecero gli architetti del Rinascimento, ed in primis l’Alberti: l’uomo non è nato per marcire giacendo, ma per stare facendo… ecco la nuova rinascita dell’arte promossa da questo grande uomo. Sulla sua scia poi sviluppa il Futurismo. L’architettura futurista s’avvale di questo cromatismo accentuato e della dinamicità. L’edificio deve dare l’idea del movimento, della velocità. Già le strutture sommarughiane, plastiche, cominciano a muoversi in questo senso. Gli anni Dieci sono un crocevia di filoni artistici: astrattismo, cubismo, espressionismo, futurismo. Il manifesto marinettiano coinvolge un po’ tutti, letterati, artisti, come Boccioni, Balla, architetti. Antonio Sant’Elia deve molto, se vogliamo, al nuovo verbo architettonico annunciato dal Sommaruga. Ed il Nostro vive appieno quest’epoca rivoluzionaria di inizio secolo.


© Vincenzo Capodiferro

06 novembre 2023

I MALI DELLA SANITA’ PUBBLICA di Antonio Laurenzano


I MALI DELLA SANITA’ PUBBLICA

di Antonio Laurenzano

Emergenza Sanità pubblica. Di forte impatto la recente inchiesta del Sole 24 Ore sui mali del Servizio sanitario nazionale. Pronto soccorso al collasso, lunghe liste d’attesa, medici e infermieri in fuga: sintomi di una grave malattia sociale, con tanti malati a rischio. Terapia difficile. La manovra economica per il 2024 approdata nei giorni scorsi in Parlamento prevede un rifinanziamento del Servizio sanitario nazionale di 3 miliardi, in parte destinati a finanziare “l’indennità per medici e altro personale sanitario impegnati nella riduzione dei tempi delle liste di attesa”. Una … “terapia d’urto” che non regge e che, al di là di illusori obiettivi governativi, rischia di fare flop non intervenendo sulla causa reale dei mali (ormai cronici) del Servizio sanitario: mancanza di personale. Una missione impossibile per chi è in servizio.

Secondo le stime del Sole 24 Ore mancano all’appello 20mila medici e oltre 70mila infermieri. Numeri allarmanti che spiegano chiaramente le tante lacune del Servizio sanitario e quindi le quotidiane proteste legate all’ “accesso universale all’erogazione equa delle prestazioni sanitarie, in attuazione dell’art.32 della Costituzione”. Una situazione fortemente critica, drammatica in alcune Regioni del Paese, generata dal blocco delle assunzioni introdotto nella stagione della spending review: una misura che fissa la spesa sul personale medico e paramedico a quella del 2004. Organici sottodimensionati rispetto alle obiettive esigenze di servizio, peggiorati ulteriormente negli ultimi anni difronte alla grande fuga dalle corsie degli ospedali a causa di turni massacranti e stipendi troppo bassi. Una fuga cominciata da oltre un decennio, cresciuta a dismisura con il Covid. L’allarme carenza riguarda in generale gli ospedali dove ci sono 10mila posti vacanti, in primis quelli di anestesisti e pneumologi.

Sono 2mila i medici, tra dimissioni e pensionamenti, che annualmente lasciano gli Ospedali per nuove vie: lavorare nel privato o all’estero. Lo rivela l’Ocse (Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico) secondo il quale in tre anni hanno superato il confine 15.109 infermieri e 21.397 medici. Ma c’è anche chi sceglie la strada del “gettonista” che, grazie a compensi di mille euro per turno, consente di guadagnare come un medico dipendente, con meno di 100 giorni di lavoro effettivo. E le previsioni nel breve termine non sono incoraggianti: entro il 2025 è prevista l’uscita per pensionamenti di ben 40mila medici, non bilanciata da nuovi ingressi per lo scarso appeal di alcune specializzazioni mediche (chirurgia, medicina d’urgenza) da parte dei giovani laureati in Medicina. A rischio la figura ospedaliera dei camici bianchi.

Sono i pronto soccorso a pagare maggiormente le conseguenze di questa emorragia medica, sono al collasso e, in quanto presidi sanitari di prima linea, sono costretti a rispondere ai tanti problemi ricorrendo appunto ai “gettonisti” nelle cooperative, pagati oltremisura, a danno delle scarse risorse economiche. La musica non cambia per la medicina di base, gli studi dei medici di famiglia: in 5 anni se ne contano oltre 5mila in meno, una insostenibile desertificazione per milioni di cittadini che, senza adeguata assistenza medica, sono costretti a rivolgersi ai Pronto soccorso, intasandoli ulteriormente e prolungandone i tempi di attesa. Una storia infinita.

“Cambiare rotta”, ha dichiarato il presidente dell’Ordine dei medici Filippo Anelli, “è ora che il tetto di spesa fermo al 2004 sulle assunzioni venga eliminato o quanto meno innalzato”. Turn over limitato ma anche una programmazione sbagliata dei posti a Medicina e nelle specializzazioni. Un percorso formativo da ridisegnare completamente, rivedendo l’impostazione del servizio reso alla comunità. Significativo il j’accuse lanciato dall’Anaao Assomed, la sigla sindacale dei medici ospedalieri: “il rapporto medico-paziente è ormai un rapporto economicistico di venditore-acquirente e la salute è diventata un prodotto, occorre restituire all’operatore sanitario la centralità del rapporto, con il giusto riconoscimento professionale ed economico”, garantendone la sicurezza personale in corsia.

In attesa di interventi strutturali sull’intero sistema sanitario nazionale, le Regioni corrono ai ripari, puntando su misure tampone. La Lombardia, complice la vicinanza territoriale, è tra le regioni che vede il maggior esodo di medici e infermieri verso la Svizzera. L’assessore regionale lombardo al welfare Guido Bertolaso ha annunciato l’intenzione di introdurre “un’indennità di confine contro la fuga” per frenare il personale sanitario attratto dal Ticino. Una misura che dovrebbe integrare la delibera regionale del 2022 che prevede la messa a disposizione per il personale sanitario di alloggi a prezzi calmierati, un incentivo per un professionista della sanità per trasferirsi a lavorare in Lombardia. Una sfida da vincere per garantire il rispetto dei principi fondamentali su cui si basa il SSN dalla sua istituzione nel 1978: universalità, uguaglianza, equità. Investire cioè in sanità, tornando a considerarla un bene e non un prodotto.

04 novembre 2023

DAHMER CONTRO DAHMER di Lionel Dahmer a cura di Miriam Ballerini


DAHMER CONTRO DAHMER
- A me dissero che mio figlio era quello che aveva ucciso i loro figli – di Lionel Dahmer

© 2023 Mondadori

ISBN 978-88-200-7827-0

Pag. 209 € 20,00


Questo saggio fu scritto per la prima volta nel 1994 a ridosso dei fatti appena accaduti. Credo che pochi non siano a conoscenza di chi sia Jeffrey Dahmer, per loro dirò che è stato il mostro di Milwaukee.

Per la prima volta non ci troviamo di fronte a un saggio che ripercorre i crimini e le vicende processuali, bensì a un testo sofferto, scritto da un padre che si trova a dover fare i conti con una verità devastante: suo figlio è un pluriomicida.

Che cosa si prova a essere il padre di un uomo il cui nome è diventato sinonimo di depravato assassino?”

Lionel ci parla del suo bambino, di come è nato, dopo una gravidanza difficile, con una madre depressa che si imbottiva di medicine.

Troviamo le foto di quando Jeff era piccolo, poi, da ragazzino ad adolescente e si nota come qualcosa nella sua espressione sia cambiata.

Il peccato di questo padre è stato non accorgersi dei problemi del figlio, ma oltre alle vicissitudini della vita che parevano quasi fare apposta per distrarlo, c'è anche il fatto che, caratterialmente, lui e Jeff si sono sempre assomigliati. Entrambi chiusi, entrambi con fantasie strane.

Lionel si rimprovera spesso di questo: se fosse stato più attento, se fosse intervenuto in qualche modo... forse quei ragazzi che il suo Jeff ha ucciso, sarebbero ancora vivi.

Jeff, forse consapevole di quanto stava accadendo dentro di sé, comincia giovanissimo a bere, di fatto da adolescente è già un alcolizzato.

Il padre e la seconda moglie, una donna dolcissima che è sempre stata loro accanto, fanno di tutto per proporgli delle alternative. Gli studi, la carriera militare, il lavoro...

A un certo punto lo mandano a vivere con la nonna, la madre di Lionel.

Ogni qualvolta lei li chiama per aver trovato cose strane in camera di Jeff, oppure per alcune sue sensazioni, loro intervengono.

E io posso solo immaginare come, invaso dalle indescrivibili visioni e voglie che stavano prendendo il sopravvento su di lui, si sentisse completamente estraneo al prossimo, distante da tutto quanto è normale e accettabile, da ciò che è possibile rivelare a un altro essere umano. Dentro di sé era già un prigioniero, nel novero dei condannati”.


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© Miriam Ballerini


fonte: https://oubliettemagazine.com/2023/08/10/dahmer-contro-dahmer-di-lionel-dahmer-la-vera-storia-del-cannibale-di-milwaukee/

02 novembre 2023

Alfred Hitchcock Io confesso a cura di Marcello Sgarbi


Alfred Hitchcock

Io confesso – (Minimo fax)


Formato: Brossura

CODICE ISBN: 9788875217235

Pagine: 320


Dopo la celeberrima intervista al re della suspense, condotta da un altro impareggiabile regista quale Francois Truffaut, in questo libro Alfred Hitchcock viene messo a nudo dalle domande di critici cinematografici e giornalisti, nonché nel conclusione – dalla curiosità del genio del "quarto d'ora di celebrità": la star della Pop Art Andy Warhol.

Scopriamo così nei loro particolari interessanti aspetti tecnici del lavoro di Hitch sul set dei suoi film, e insieme inconsueti e intriganti della sua vita lontano dalla macchina da presa. Nelle pagine di Io confesso sono racchiusi aneddoti singolari, fra cui alcuni legati agli sfiziosi "cameo" in cui il cineasta amava comparire sullo schermo, anche se solo per pochi istanti.

Ale esempio, veniamo a sapere che in Notorious – una delle più famose pellicole di una sfolgorante carriera – nella sua "comparsata" Hitchcock avrebbe dovuto interpretare un sordomuto che camminava per strada, comunicandoONU gesti con una donna. E nell'intenzione del regista, lei avrebbe dovuto dargli ONU schiaffo. Senonché, Hitch era stato bersagliato dalle proteste dei sordomuti, che si ritenevano esposti al ridicolo.

Morale: per la sua solita, breve apparizione – una costante di quasi tutti i suoi film – il re del brivido e della suspense si era dovuto accontentare di bere un bicchiere di accontentare champagne alla festa di Ingrid Bergman, che in Notorious vestiva i panni di Alicia. E fra le tante confessioni rilasciate nelle interviste raccolte in questo volume, c'è quella – inaspettata, si potrebbe dire – in cui Alfred Hitchcock racconta che a cinque anni, per essersi comportato male, era stato spedito da suo padre al capo della polizia truffare un biglietto. E l'ispettore, anche se non per molto tempo, l'aveva sbattuto in cella.

Un'autentica miniera di rivelazioni, Io confesso: un saggio-intervista che merita senz'altro le luci dei riflettori.


© Marcello Sgarbi


ADDIO AL PATTO DI STABILITA’ STUPIDO di Antonio Laurenzano

ADDIO AL PATTO DI STABILITA’ STUPIDO di Antonio Laurenzano Addio al “Patto di stu...