22 novembre 2023

LA PAGELLA DI MOODY'S di Antonio Laurenzano


LA PAGELLA DI MOODY'S

di Antonio Laurenzano

Gli esami non finiscono mai. Dopo le valutazioni (positive) di S&P, Dbrs e Fitch, per i conti pubblici italiani venerdì 17 è arrivata la pagella di Moody's, l'agenzia statunitense di rating fra le più autorevoli. E, un dispetto della cabala, ironia della sorte, nonostante il giorno "porta sfortuna" prova superata. Azzerati i timori e le paure della vigilia legati al rischio bocciatura. Sotto esame la credibilità della nostra finanza pubblica collegata alla capacità di ripagare il debito. L'Italia si è presentata al test partendo da una valutazione tutt'altro che da prima della classe: Baa3, appena sopra la soglia del cosiddetto "investment grade". Sotto questa classe di rating c'è solo il livello spazzatura, e cioè affidabilità uguale a zero. L'ultima pagella ricevuta da Moody's è dell'agosto 2022, subito dopo la fine del Governo Draghi: l'agenzia declassò il nostro Paese alimentando un clima di incertezza per le conseguenze economiche, politiche e finanziarie. Fu un chiaro avvertimento al nuovo inquilino di Palazzo Chigi: "Senza riforme economiche e fiscali ci sarà il taglio del rating sovrano dell'Italia", e quindi chiusura degli acquisti dei titoli italiani da parte di molti investitori istituzionali.

Sullo sfondo della legge di Bilancio impostata in termini di "prudenza realista", Moody's non solo non ha variato il rating, confermando il Baa3 del debito pubblico italiano, ma ha migliorato da "negativo" a "stabile" l'outlook, la previsione sull'andamento del medio-lungo termine. Fattori del giudizio positivo l'attuazione del Pnrr, il consolidamento del sistema bancario, la diminuzione dei rischi legati alle forniture energetiche.

Nella sua valutazione Moody's ricorda che i livelli di debito dell'Italia resteranno elevazione. E per questo "ridurre il deficit sarà essenziale per la futura traiettoria del debito dato che il differenziale fra la crescita nominale e i tassi d'interesse tornerà negativo nel 2025", richiedendo all'Italia un avanzo primario per stabilizzare il debito. L'agenzia, in relazione al vasto programma di riforme in cantiere, ha definito il Pnrr come "l'opportunità che capita una volta in una generazione per rafforzare la crescita e attuare riforme specifiche". Per l'Italia "i rischi di credito associati con una inefficiente esecuzione delle politiche macroeconomiche sono significativi, perché è lo Stato membro dell'Ue più esposto a una dinamica avversa al debito". Le prospettive di crescita ciclica continueranno a essere sostenute dalla realizzazione di investimenti nell'ambito del Pnrr fino al 2026, anche se, rileva Moody's, "permangono rischi sostanziali nel caso in cui l'Italia non sia in grado di sfruttare al meglio le risorse del Piano comunitario".

Dinamica del debito e strategia di crescita saranno dunque le direttrici di marcia del Governo Meloni per rafforzare sui mercati lo status finanziario e scongiurare pericolosi sbalzi dello spread BTP-Bund. La grande sfida italiana, nella prospettiva anche della riforma del Patto di stabilità e crescita, sarà la sostenibilità del debito. La sua riduzione è una strada obbligata che non può essere rallentata. Se il prossimo anno l'Italia non crescerà dell'1,2%, come messo nero su bianco nella Nadef e contemporaneamente dovessero arrivare nuovi shock nell'economia, saranno dolori, perchè non ci saranno risorse sufficienti per sostenere un deficit al 4,4% del Pil. E se non è rinviabile una discesa del debito, non lo è nemmeno l'attuazione del Pnrr, che dovrebbe garantire proprio quella crescita di cui il Paese ha bisogno. Il Piano nazionale di ripresa e resilienza ha infatti un ruolo centrale per il sostegno dell'economia e la sua attuazione non può ammettere rinvii. Il pieno avanzamento dei progetti del Pnrr fornirebbe uno stimolo all'attività economica che è determinante per lo sviluppo nel prossimo biennio. Lo testimonia il Portogallo premiato da Moody's con un rating salito in un solo colpo di due gradini (A3) grazie alla implementazione di una serie di riforme strutturali legate al Pnrr, ai significativi investimenti, alla riduzione dell'indebitamento, anche privato.

Per l'Italia il debito pubblico è un grosso macigno, tra i più alti in Europa e del mondo, con una previsione di crescita proiettata verso quota 3.000 miliardi di euro, la cui sostenibilità nel lungo periodo impensierisce gli osservatori. Lo temono i mercati, ma anche le organizzazioni internazionali come l'Fmi che ha esortato il Governo a intervenire con fermezza visto che il rapporto debito-Pil potrebbe restare ancora al di sopra della soglia del 140% fino al 2028. Sulla stessa lunghezza d'onda la Commissione europea.

Effetto domino per le casse dello Stato. Il quadro finanziario potrebbe ulteriormente peggiorare nei prossimi anni fino al 2026 con la spesa per interessi verso la soglia dei 100 miliardi di euro già dal 2024. Un'impennata del costo che sarà pari a quasi quattro volte l'importo della legge di Bilancio. Una storia, quella del debito pubblico, che ha radici lontane, con una dinamica di crescita che si è distorta sempre più negli anni con la spesa pubblica in aumento costante ed entrate fiscali in calo. Una dinamica ulteriormente peggiorata negli ultimi tempi a causa della elevata inflazione e degli alti tassi d'interesse all'interno di un contesto internazionale di grande incertezza che influirà negativamente sulla crescita economica. Quale futuro ci attende?


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