UN AEREO CADUTO SUL MONTE RAPARO A FINE GUERRA

UN AEREO CADUTO SUL MONTE RAPARO A FINE GUERRA
Una tragedia dimenticata che riemerge dalla memoria degli anziani

Al tramonto della Seconda Guerra Mondiale è successo tra le perdute montagne lucane una tragedia di cui non si ritrovano tracce negli annali. La guerra ha toccato poco i nostri paesi, se non quelli che sono partiti al fronte e non sono più tornati. Pure le truppe in ritirata non passavano mai dalle montagne, ma dalla strada principale, la statale 19, la borbonica regia strada delle Calabrie. Da quella sono passati tutti, anche Garibaldi. Il massiccio del Raparo si erge sontuoso ed immenso nel cuore della Lucania tra le convalli del Sinni e dell’Agri. Oggi alle sue falde si raccoglie un fiume di petrolio, che confluisce in Val d’Agri, verso Viggiano. Se avete visto “Petrolio” di Ulderico Pesce potete capire. Siamo nell’inverno del 1945, 24 gennaio. Gli inverni allora erano rigidi, con abbondanti nevi, soprattutto sulle alture. Ancora non era subentrata la variazione climatica. Paesi dell’entroterra come il nostro, Castelsaraceno, San Chirico Raparo, San Martino d’Agri e gli altri, vivevano soprattutto di agricoltura e di pastorizia. Le vallate del monte Raparo erano popolate di pastori. Vi erano migliaia di capi. Erano periodi di grande miseria e bisogno, tanto è vero che secondo le testimonianze degli anziani arrivavano a seminare il grano persino nelle vallate della cima del monte Raparo. C’era la “Piana di Pittella” sopra il costruendo ponte tibetano, che veniva seminata. Il 24 gennaio del 1945 c’era la nebbia - secondo altre testimonianza accade nel 1944. Un aereo B 19 o B 29 della Marina Americana, trasportante materiale ospedaliero e diretto a Bari precipita sulle cime del Monte Raparo. L’impatto violento fa rimbalzare l’aereo, che scivola sulla “Manca di Maluchiovo”, nella Valle dei Pomagresti. Sul posto c’era già una croce che ricordava il fratello di Rocco Viggiano, ucciso da un lampo. L’equipaggio era composto da 22 persone - secondo altre testimonianze 14 o 16 -, tutte morte. È difficile in quelle condizioni sopravvivere, soprattutto ad alta quota ed in pieno inverno. Siamo in un periodo di forte miseria. I pastori del posto si accorgono del fatto ed accorrono. Tutti morti! Non c’è niente da fare! Però presi dalla fame cominciano a portare via tutto e c’era veramente di tutto. Non avvisano subito le autorità dell’accaduto. In breve tempo, come formiche che divorano fameliche un uccello caduto, così costoro smembrano l’aereo. Ancora gli anziani ricordano un detto: Ecco Muzzolone, ha appeso gli zoccoli al fagastone. Portavano gli zoccoli, perché non tutti avevano soldi per le scarpe. Gli zoccoli erano pezzi di legno durissimo attaccati con delle fascette di pelle. Non so proprio come facevano a camminare ed a fare tanta strada ogni giorno. C’era tanta fame. Quando si sa nel paese vengono raccolte le ossa di tutti i caduti e portati a dorso di mulo presso il cimitero nuovo, ai piedi del monte Castelveglio, costruito nel 1939, e deposti nel sacrario della cappella. Gli americani volevano bombardare il paese, ma il medico, Giuseppe De Monte, riesce a discolpare la popolazione, che non ne sapeva niente. Sarebbe opportuno a distanza di tanti anni riporre una lapide in ricordo dei caduti del Monte Raparo. Il luogo, molto bello e spettacolare, rientrerà a far parte di un percorso turistico dei “Cantieri di Castelsaraceno”, curato da Giuseppe Cirigliano, appassionato di arrampicata e di volo. Dall’altro lato del Monte Raparo, sull’irta vallata del Fiume Racanello si ergerà il ponte tibetano più lungo del mondo, sopra l’antico mulino ad acqua del “Mancuso”. Il ponte tibetano, che si sta costruendo sotto l’amministrazione Rosano, era stato ideato dall’amministrazione Muscolino ed un primo progetto di massima era stato effettuato dall’ingegnere M. Bisignano. Collega la parte più alta del paese, la “Portella”, nei pressi dell’antica torre di guardia dei Saraceni, a Pietrapiana, sullo Strettolo del fiume Racanello. Il percorso di Giuseppe Cirigliano parte di là ed attraversa gli antichi “cantieri”, adoprati negli anni 50 al fine di rimboschire alcune zone impervie del monte Raparo con specie di conifere non autoctone. Una di queste meravigliose pinete si trova a ridosso del ponte tibetano, sul dorso del Raparo, detto “Monticello”. Abbiamo voluto ricostruire, seguendo la memoria collettiva sepolta ed interrogando le antiche voci, che ancora ricordano, questa tragedia accaduta sulle nostre montagne dell’Appennino Lucano. Infatti avevamo scritto anche un’ode a proposito di cui riportiamo alcuni passaggi:
Nella valle dei Pomagresti
Se passate voi ancora i resti
Trovate dell’aereo caduto:
qualche frustolo ancora avuto.

Raparo ricordi, beato monte,
gleboso accogli e tu sai,
monte d’oro e d’acqua fonte,
monte di sale e di tanti lai

Ringraziamo tutti gli anziani del paese, in particolare Antonio D. L. e Carmine I., per le preziose notizie forniteci. Spesso le tragedie collettive risiedono nell’inconscio junghiano e vanno scavate con amorevole cura, o vengono mascherate dai miti e dalle fiabe. Il compito della Verità, l’antica Aletheia greca, è di riportare alla luce ciò che era nascosto. Questo è il significato profondo dell’Aletheia. Speriamo che così la storia possa dar merito a queste persone cadute, per il bene che hanno fatto in tempi lontani.

VC-GD Nigro

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