02 agosto 2019

La ragione del male di Angelo Ivan Leone


La ragione del male 
Rileggendo il capolavoro di Primo Levi: I sommersi e i salvati, ho potuto riscontrare quelle dinamiche storiche eterne che tanto possono spiegare anche di questi nostri ultimi sciaguratissimi giorni. L’autore deportato ad Auschwitz è autore dei, forse, più conosciuti libri che documentano la prigionia nel lager: Se questo è un uomo e della sua liberazione dal lager stesso e della tribolata via per giungere dalla Polonia nella sua natale Torino, con la sua altra grande opera: La tregua.
In I sommersi e i salvati Levi affronta, con il suo essere e il suo spirito, quelle domande angosciose che tutti gli uomini si sono posti, almeno una volta nella loro vita: il perché del dolore e, soprattutto, il perché del male.

Il libro è composto di 9 capitoli.

Nel 1: la memoria dell’offesa Levi ci ricorda che
“la memoria umana è uno strumento meraviglioso ma fallace”
e ricorda le parole scritte dal filosofo Jean Amery, filosofo austriaco torturato dalla Gestapo e poi deportato ad Auschwitz perché ebreo
“Chi è stato torturato rimane torturato (…) Chi ha subito tormento non potrà più ambientarsi nel mondo, l’abominio dell’annullamento non si estingue mai. La fiducia nell’umanità, già incrinata dal primo schiaffo sul viso, demolita poi dalla tortura, non si riacquista più”.
Per quanto riguarda quello che si può fare della memoria e sulla memoria, Levi, sempre nello stesso primo capitolo denuncia
“Del resto, l’intera storia del Reich millenario, può essere riletta come guerra contro la memoria, falsificazione orwelliana della memoria, falsificazione della realtà, negazione della realtà, fino alla fuga definitiva dalla realtà medesima”.
Nel 2: la zona grigia, Levi ci parla, appunto, di quella collaborazione su più livelli e a più livelli che interviene tra l’apparato repressivo di uno stato totalitario e i propri sudditi. Nello specifico di quella collaborazione tra il Nazismo e i suoi complici e collaboratori a livello internazionale: dal Fascismo italiano ai vari Quisling europei, da quello vero e proprio in Norvegia al governo di Vichy in Francia ai vari fascismi disseminati in Europa e della complicità tra i comuni esseri umani e la macchina della morte messa in moto dalla svastica in tutto il Vecchio continente. In particolare si sofferma sulla creazione, da parte delle SS, delle Sonderkomando, le SK, squadre speciali costituite in massima parte di ebrei direttamente prelevati all’arrivo dei treni, che avevano il compito di
“essere introdotti nelle camere a gas; estrarre dalle camere i cadaveri, cavare i denti d’oro dalle mascelle, tagliare i capelli femminili; smistare e classificare gli abiti, le scarpe, il contenuto dei bagagli; trasportare i corpi ai crematori e sovraintendere al funzionamento dei forni; estrarre ed eliminare le ceneri”.
Ad Auschwitz si succedettero dodici squadre, ognuna di queste squadre, chiamate “i corvi del crematorio” rimaneva attiva qualche mese e poi veniva interamente soppressa. L’ultima squadra nell’ottobre del 1944, si ribellò alle SS e fece in tempo a far saltare uno dei forni crematori, prima di essere sterminata dalle stesse SS in un impari scontro armato.
Levi indica che
“aver concepito le Squadre è stato il delitto più demoniaco del nazionalsocialismo”
Levi, infine, sempre nel corso di questo secondo capitolo cita un avvenimento “de relato” ossia visto e narrato da un’altra persona. Nello specifico Miklos Nyiszli, medico ungherese, tra pochissimi sopravvissuti dell’ultima squadra speciale di Auschwitz, il dottore narra “di aver assistito, durante una pausa “lavoro” ad un incontro di calcio fra SS e SK (Sonderkommando, le squadre speciali) vale a dire, fra una rappresentanza delle SS di guardia al crematorio e una rappresentanza della squadra speciale; all’incontro assistono agli militi delle SS e il resto della Squadra, parteggiano, scommettono, applaudono, incoraggiano i giocatori come se, invece che davanti alle porte dell’inferno, la partita si svolgesse sul campo di un villaggio. Niente di simile è mai avvenuto, né sarebbe stato concepibile, con altre categorie di prigionieri; ma con loro, con i “corvi del crematorio”, le SS potevano scendere in campo, alla pari o quasi.

Dietro questo armistizio si legge un riso satanico:

è consumato, ci siamo riusciti, non siete più l’altra razza, l’anti-razza, il nemico primo del Reich millenario:
non siete più il popolo che rifiuta gli idoli. Vi abbiamo abbracciati, corrotti, trascinati sul fondo con noi. Siete come noi, voi orgogliosi: sporchi del vostro sangue come noi. Anche voi, come noi e come Caino, avete ucciso il fratello. Venite, possiamo giocare insieme”.
Non scriverò di tutti gli altri capitoli di questo capolavoro di Levi e di tutto quello che in ogni singolo capitolo esso riesce a trasmettere, ad insegnare e ad educare nel lettore. L’invito che faccio al lettore è di leggere questo libro per capire, per comprendere e, soprattutto perché, come ci ricorda proprio Levi nella sua conclusione, tutto questo
“È avvenuto, quindi può accadere di nuovo: questo è il nocciolo di quanto abbiamo da dire”
Ed è proprio perché tutto questo non accada mai più noi abbiamo un dovere sacrosanto: leggere Primo Levi e i Sommersi e i Salvati.

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