05 novembre 2020

MARIA MAURI IN “PONTI INTRECCIATI” a cura di Vincenzo Capodiferro

 


MARIA MAURI IN “PONTI INTRECCIATI”

Una raccolta poetica suggestiva che ricorda le esperienze del dopoguerra


Ponti intrecciati” è un libro di poesie di Maria Mauri, edito da Cavinato Editore, Brescia 2020. Maria Mauri nasce a Barzio, comune e principale centro della Valsassina - allora in Provincia di Como - il 16 agosto del 1935. Franco Malinverno è stato l’amore della sua vita. Lo sposa nel 1970 a Piona dei Frati. Dal 1974 vive ad Olgiate Comasco. Mariuccia abitava a Barzio, in via Sant’Eustachio, vicino al cimitero: «Quando faceva caldo venivano fuori i fuochi fatui e avevamo paura. Passavamo dalla strada di sotto per non vedere». Mariuccia è stata testimone dell’uccisione di 11 partigiani sotto casa sua. Ancora c’è una lapide: «Abbiamo sentito le raffiche. Siamo andati subito a dormire nel lettone, perché avevamo paura. Uno dei partigiani non è morto, si è salvato, però dopo 5 anni è annegato. Destino crudele! È venuto il prete per dare la benedizione, ma non gliel’hanno permesso. Era il 31 dicembre del 1944». Il padre, Carlo, infatti, era brianzolo, era infatti nato ad Arcore, ed era giunto a Barzio per fare il fattore in questa tenuta, dove Mariuccia era cresciuta. La villa era prima appartenuta ad Ugo Marchi, poi è stata venduta ed è passata ad Alessandro Castelli. Carlo, durante la guerra, aiutava i partigiani, li proteggeva e spesso portava loro cibarie. I partigiani, infatti, erano gente di Barzio e li conoscevano, anche se gli 11 fucilati erano provenuti da posti lontani, tutti per combattere per la libertà. Dopo l’eccidio degli undici vennero i parenti a ritirare le salme: solo una rimase là. Era di un siciliano e non avevano i soldi per venire a ritirarla. Allora i barzesi presero quella salma e vi fecero un monumento al milite ignoto, per sommo riconoscimento. Poi volevano mettere in giardino un cannone per colpire i partigiani, ma in quella villa vi erano 11 bambini e le famiglie si ribellarono. Allora misero una mitraglia e un cannone al cimitero per colpire i partigiani. Sono anni difficili. Mariuccia ricorda nelle sue intense poesie i luoghi dell’anima. A tal proposito, sui luoghi del cuore, Mariuccia ci racconta un fatto simpatico, avvenuto proprio in piazza Garibaldi a Barzio, ove sorge il monumento ai caduti: un leone di bronzo, molto pesante. Sotto il leone di Barzio v'è scolpita una terzina: - Ruggi non domo ed eco fa il Pioverna, forte nell'ugne il Tricolore serri, simbol che nostra fè nel bronzo eterna. Durante la guerra i soldati tedeschi ed i repubblichini fascisti volevano prendere le campane della chiesa ed il leone di bronzo per farne dei cannoni. Hanno tolto il leone dal piedistallo e l'hanno poggiato a terra nell'intento poi di venirlo a prendere. Poi non vennero più. I concittadini han detto: - Cosa l'è che fa il leon lì in terra? L'hanno preso sette o otto persone, perché era pesante, e l'hanno rimesso sul piedistallo, però l'hanno messo al contrario, cioè di coda verso la frontiera della Svizzera. Allora i barziesi reclamavano: - Ma nui non scapon miha de front ai Todesch! Ma noi non scappiamo di fronte ai tedeschi! Allora a guerra finita l'hanno ripreso e l'hanno messo al posto giusto, con le fauci rivolte verso la frontiera svizzera. I barzesi toccano per scaramanzia quel possente bronzeo leone: il mì leoo! “Ponti intrecciati” sono preghiere che accomunano persone, anche distanti tra di loro. Ognuno prega per l’altro: così uno prega per uno e si fa un ponte, poi questo prega per un altro e si fa un altro ponte, poi codesto prega per un altro ancora e si fa un altro ponte ancora, poi quello… e così via. Alla fine capitava che alcuni ponti si intrecciavano, per cui ti trovavi che una persona lontana da te pregava per te, riallacciandosi allo stesso ponte che avevi lanciato tu. È un’esperienza di fede e di solidarietà bellissima. Mariuccia ci lascia un quaderno di poesie che abbiamo riportato: è una testimonianza autentica di una poetica del “vissuto”, che con genuinità e spontaneità riporta tratti di vita quotidiana. La maggior parte dei componimenti appartengono proprio a quel tempo bellissimo (1954-1958) in cui ella vive gli anni della formazione tra le suore di Maria Ausiliatrice. E ricorda le sue maestre, come Suor Radegonda Alberti e la dedicataria del testo, Suor Claudia Vigo, insegnante di lettere, sepolta a Varese. Ricorda le compagne, morte giovani, come Giuliana Ramponi e Silvana Ongania. La protagonista spesso è la natura, una natura incontaminata ed innocente che fa da spettatrice alle vicende umane di gente semplice, pia. Riemergono a tratti i segni dell’ancestrale civiltà montana. Nei suoi versi ricompaiono riflessi di simbolismo, decadentismo, tematiche che l’avvicinano al nido pascoliano ed ai temi cari del “fanciullino”. La sua è una poesia spontanea, è la pura voce del cuore.


Vincenzo Capodiferro

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