29 novembre 2021

Angelo Brofferio, poeta e politico di Marco Salvario

 Angelo Brofferio, poeta e politico di Marco Salvario


L'interesse per la figura di Angelo Brofferio mi è stato suscitato da un simpatico pomeriggio organizzato in via Moretta dal Centro Studi Cultura e Società di Torino, durante il quale l'Alfatre Gruppo Teatro ha presentato due tempi brevi di Pier Giorgio Longo, “Angelo Brofferio e il Rinascimento italiano”. La voce narrante era quella di Elena Tondolo, Brofferio che recitava in lingua piemontese era interpretato da Giancarlo Biò e alla chitarra e voce si esibiva Massimo Tonti.

Molti bravi tutti gli interpreti.



Su internet, in particolare sul canale YouTube, è possibile ascoltare alcune delle canzoni scritte da Brofferio; in particolare si può apprezzare l'interpretazione di Gipo Farassino, che sceglie una chiave di lettura intensa, intima, drammatica, persino troppo seria, lasciando in secondo piano la vena amara, popolare e ironica, che invece è stata valorizzata nella rappresentazione dall'Alfatre.



Michelangelo Brofferio nasce nel 1802 a Castelnuovo Calcea (Asti), dove ancora oggi si possono seguire sentieri di meditazione noti come “percorsi brofferiani”; in quegli anni il Piemonte era occupato dalle truppe francesi di Napoleone Bonaparte. Figlio di medici, si fa chiamare Angelo dai primi anni di scuola, perché i compagni lo sbeffeggiavano per la sua poca attitudine al disegno.

Spirito ribelle, attratto giovanissimo dal teatro, studia a Torino filosofia e giurisprudenza. Diciottenne vede già rappresentate e applaudite le sue prime opere, ma si fa notare dalla polizia di Vittorio Emanuele I, che dopo la restaurazione controlla e reprime ogni attività sospetta.

Brofferio viene allontanato dall'università, però molto presto ritorna e si laurea in legge. Comincia a esercitare l'attività di avvocato, ma soprattutto segue la sua ispirazione, componendo nuove opere teatrali e poesie. Viaggia mettendosi in contatto con i vivaci salotti culturali di Milano e Parigi. Le sue opere sono applaudite in tutta Italia; quando però la sua produzione letteraria cerca di essere più impegnata, non sempre raccoglie il consenso sperato.

Antimonarchico e anticlericale, Brofferio aspira ad essere la voce del popolo e si lega agli ambienti massonici.

Nel 1831 è coinvolto in un maldestro tentativo insurrezionale, viene incarcerato e rischia la pena di morte. Il destino vuole che il re Carlo Felice muoia e il suo successore Carlo Alberto gli concede la grazia. Peserà su Brofferio per tutta la vita il sospetto che la clemenza sia legata alla sua denuncia degli altri componenti della congiura.

Il periodo in carcere gli ispira alcune canzoni struggenti come “Mè ritorn” (Il mio ritorno), in cui l'autore saluta le mura della prigione, le serrature, il proprio nome scritto a carbone in un angolo del muro, gli uccelli che cinguettano, il sole che splende dietro le sbarre. Risuona dolce e triste il ritornello: “Bondì, bondì, bondì, guardeme torna sì” (Buondì, buondì, buondì, eccomi di nuovo qui).

Liberato, Brofferio tiene per qualche anno un basso profilo, finché l'atmosfera meno cupa che si respira sotto Carlo Alberto, re che il nostro non ama, e il nascente spirito risorgimentale che si respira a Torino, lo fanno tornare alla vita letteraria, anche se più volte la censura interviene bloccando la pubblicazione o rappresentazione delle sue opere più polemiche.

Una fama crescente gli arriva dalle canzoni in lingua piemontese, vivaci e popolari, feroci contro i potenti e contro il potere, a volte irridenti o libertine come “La marmòta” (La marmotta), ballata della povera campagnola Carlotta, che viene a Torino portando una marmotta per chiedere la carità e finisce vittima di tutti, rimanendo alla fine in lacrime e senza più la sua bestiola.

Molte canzoni hanno al contrario atmosfere dolcissime di poesia e amore, come la romantica “La barchetta”, uno dei cavalli di battaglia del già citato Farassino: “Guarda che bianca luna, guarda che ciel seren” e qui la traduzione non serve.

Nel 1848, anno fondamentale per il risorgimento italiano, Brofferio è eletto deputato e lo resterà fino alla morte, tranne due brevi periodi.

Abile e trascinante oratore, si tiene fuori dai gruppi principali in cui non si riconosce e osteggerà la politica di Cavour, che accusa di volere unire l'Italia senza coinvolgere il popolo.

Gli entusiasmi del '48 sfociano nella prima guerra di indipendenza. Il ritiro dal campo di battaglia prima delle truppe pontificie e dopo di quelle borboniche, le esitazioni del re e dei suoi comandanti, portano i piemontesi alla sconfitta di Custoza e successivamente a quella di Novara.

Carlo Alberto abdica a favore del figlio Vittorio Emanuele II.

Il nuovo re si guadagna il favore dei movimenti patriotici mantenendo lo Statuto emesso dal padre e abolendo con le leggi Siccardi alcuni degli ingiusti privilegi ecclesiastici.

Comincia l'ascesa di Cavour che modernizza l'economia con la costruzione di ferrovie e di canali di irrigazione.

Al nostro Brofferio, Cavour proprio non piace e non capisce l'invio in Crimea di un corpo di spedizione per fare entrare il Piemonte nel grande gioco politico europeo. Attacca Cavour più volte in parlamento, dove le sedute si tengono in piemontese.

Quando però l'alleanza con la Francia di Napoleone III fa rinascere il fermento patriotico, Brofferio è in prima linea e esalta il popolo con canzoni che esprimono la fierezza del Piemonte, ostinato e caparbio, perché si metta alla testa del movimento di unificazione.

La seconda guerra d'indipendenza vede a San Martino e Solferino la vittoria dei franco-piemontesi, mentre in tutta Italia numerosi territori insorgono, chiedendo l'annessione al Piemonte.

Preoccupato, Napoleone III stipula un improvviso armistizio con l'Austria e Vittorio Emanuele lo segue, nonostante l'opposizione dello stesso Cavour, che lo esorta a continuare la guerra e che si dimette sdegnato.

Brofferio è sconfortato. L'Italia che vede nascere non è quella da lui sognata: sono escluse molte regioni come il Veneto e il Lazio mentre si cedono alla Francia Nizza e Savoia, soprattutto manca lo spirito di italianità nel popolo e molti, specialmente nel Sud liberato da Garibaldi, vedono i piemontesi non come liberatori quanto come nuovi occupanti sgraditi e stranieri.

I primi governi italiani non sono all'altezza delle sfide che aspettano il nuovo stato; viene richiamato Cavour, ma la malaria presa da ragazzo nelle risaie ne ha indebolito la salute e il grande politico muore nel 1861.

Brofferio gli sopravvive malinconicamente ancora cinque anni. La sua ultima battaglia è contro lo spostamento della capitale da Torino a Firenze, in un simbolico avvicinamento a Roma; la sua ultima battaglia e l'ultima sconfitta.




Torino dedica a Brofferio un monumento realizzato da Gabriele Ambrosio al lato di piazza Albarello e una via elegante ma molto corta, che unisce corso Re Umberto a via Confienza: meno di cento metri. Se chiedete in giro, nessuno la conosce.

Ad Angelo Brofferio sono dedicate vie in altre città: Milano, Novara, Asti, Moncalieri, Pallanza ecc.


Nessun commento:

Posta un commento

I commenti sono moderati e controllati quotidianamente.
Tutte le opinioni sono benvenute. E' gradita la pacatezza.

Miriam Ballerini a Fagnano Olona (VA)