18 dicembre 2023

IL REBUS DEL PATTO DI STABILITA’ UE di Antonio Laurenzano


IL REBUS DEL PATTO DI STABILITA’ UE

di Antonio Laurenzano

Alle battute finali il difficile accordo sulla riforma del Patto di stabilità. Si decidono in settimana con un Ecofin straordinario (in videoconferenza) le future regole di bilancio dei Paesi Ue. Una vicenda tormentata che sta segnando fortemente i rapporti fra i 27 Stati membri dell’Unione europea. Ai ministri finanziari, il compito gravoso di trovare una intesa sulla bozza di riforma proposta il 26 aprile scorso dalla Commissione europea con l’obiettivo di evitare che la riduzione del debito pubblico nei Paesi porti a una contrazione degli investimenti e della crescita. E’ un negoziato molto importante: dalla definizione delle nuove regole dipenderà infatti quanto e come i vari Stati potranno spendere in funzione di debito e deficit di bilancio.

Obiettivo del Patto di stabilità e crescita (Stability and Growth Pact), secondo i principi fissati con il Trattato di Maastricht del 1992, era quello di garantire la disciplina di bilancio degli Stati dell’Ue per evitare disavanzi di bilancio o livelli del debito pubblico eccessivi e contribuire così alla stabilità monetaria. Il Patto divenne …di ferro nel 2012 con la firma del “Fiscal compact”, che prevede il pareggio di bilancio di ciascuno Stato, con l’obbligo per i Paesi con debito superiore al 60% del Pil di ridurre il rapporto di almeno un ventesimo all’anno.

A distanza di oltre vent’anni da quando nel 2002 Romano Prodi, allora Presidente della Commissione europea, definì “stupido” il Patto di stabilità varato nel 1997, la Commissione della Presidente Ursula von der Leyen, dopo la sospensione nel marzo 2020 a causa della crisi economica scatenata dalla pandemia con l’attivazione della clausola di salvaguardia, propone per il ripristino del Patto dal primo gennaio 2024 una riforma delle regole di bilancio dell’Ue. Di fronte a sfide e priorità economiche diverse rispetto al passato, regole più credibili e più efficaci, associando al necessario risanamento delle finanze pubbliche un altrettanto necessario sostegno agli investimenti. Un mix di flessibilità e rigore per poter puntare su una crescita economica sostenibile e duratura dell’economia fondata sulla stabilità finanziaria. Per scongiurare il rischio autolesionistico di un ritorno al passato con i vincoli e le ferree misure dell’ortodossia rigorista, con un Patto realisticamente inapplicabile, la proposta di riforma della Commissione europea prevede una riduzione concordata del debito per i Paesi più indebitati e la possibilità di percorsi di recupero più graduali in caso di riforme. Attraverso nuove regole, adattabili alle esigenze dei singoli Paesi, si vuole quindi evitare che la riduzione forzata del debito, priva di flessibilità, porti a una contrazione degli investimenti e della crescita.

La riforma del Patto (da negoziare con il Parlamento europeo) punta ad attribuire una forte titolarità nazionale nell’impegno alla riduzione del debito pubblico. Ogni Stato membro sarà chiamato a preparare piani di aggiustamento credibili e conformi a un nuovo quadro comune europeo basati sulla spesa pubblica netta, nei quali dovranno definirsi gli obiettivi di bilancio, le misure per affrontare gli squilibri macroeconomici, le riforme e gli investimenti prioritari. Questi Piani, concordati con la Commissione Ue, della durata di quattro anni estendibile a sette anni, dovranno garantire un aggiustamento annuo di bilancio dello 0,5% del Pil, fino a che il deficit non andrà sotto il 3%, oltre ad assicurare la sostenibilità del debito attraverso un percorso in discesa in modo stabile per almeno dieci anni.

La novità sostanziale del nuovo Patto disegnato a Bruxelles sta dunque nel fatto che non saranno più previste regole fisse valide per tutti gli Stati membri. Sul debito la proposta di riforma prevede la cancellazione della contestatissima regola precedente relativa al taglio del debito di un ventesimo all’anno per i Paesi fuori dai parametri nel rapporto debito/Pil. Dovrebbe invece restare il vincolo del rapporto deficit/Pil al 3%. Una proposta di riforma che, nel promuovere un approccio più politico e di mediazione e meno vessatorio, è considerata un compromesso abbastanza favorevole per i Paesi “cicala”, quelli più indebitati (Italia, Francia, Spagna). I paesi “rigoristi” (Austria, Germania e Olanda) invocano regole più rigide contro la spesa e il debito pubblico per tenere il bilancio europeo al livello più basso possibile e per una stretta disciplina di bilancio. Una trattativa complessa per una difficile intesa, fra spiragli evocati e scetticismi sbandierati. Un rebus.



Al tavolo del negoziato particolarmente articolata la posizione dell’Italia. La Presidente Meloni, nel ribadire la “logica del pacchetto”, ovvero il legame tra la ratifica del Mes (l’Italia è l’unico Paese dei 27 a non averlo ancora fatto) e le nuove regole di bilancio che governeranno l’Unione, ha chiesto che “gli investimenti incentivati dall’Ue, legati a transizione verde, digitale e difesa, vengano riconosciuti nelle regole della governance”, fuori da ogni valutazione di bilancio. Scorporo degli investimenti relativi al Pnrr da associare allo scorporo degli interessi nel triennio 2025-2027 dal computo del rapporto deficit/Pil. Un macigno quello degli interessi che impatta sul debito (oltre 2800 miliardi di euro) a causa del Superbonus e dello scostamento di bilancio per finanziare le misure antiinflazione sui redditi medio-bassi. “Sul Patto, ha dichiarato la Premier, dobbiamo trovare un equilibrio, dobbiamo tenere aperte tutte le strade finchè non sappiamo qual è il punto di caduta, non possiamo dare l’ok a un Patto che nessun governo potrebbe rispettare”.

La partita è aperta. Auspicabile che falchi e cicale mettano da parte contrasti e pregiudizi per un consenso generale sulla riforma del Patto di stabilità in grado di rafforzare la politica di bilancio e legittimare, attraverso una politica fiscale comune, la governance economica dell’Ue, il suo ruolo nell’economia globale per uno sviluppo sostenibile. “Un Patto, secondo il pensiero di Mario Monti, che sia all’altezza delle grandi sfide che l’Ue deve affrontare: investire nel proprio futuro economico e istituzionale, allestire una politica estera comune e una difesa comune con un adeguato bilancio comunitario”.


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