17 febbraio 2021

GLI UOMINI, LA TERRA E GLI ANTICHI DEI ANG MONTORIO di Maria Marchese

 


GLI UOMINI, LA TERRA E GLI ANTICHI DEI ANG MONTORIO di Maria Marchese

 “C’è qualcosa di nuovo oggi, nel sole, anzi di antico” (Giovanni Pascoli) “Gli uomini, la terra e gli antichi dei” nasce da una foto inviata all’artista melzese: un’immagine che mi ritrae con un dito sollevato verso il cielo. Illuminata da una luce odierna, ha origine, così, questa ennesima dissertazione figurata di Angelo Augusto Montorio. Il microcosmo universale, realizzato a pennello dall'alacre pittore, conserva i momenti di una lunga riflessione, seppur nata da un pensiero fulmineo, scandita dai tempi di asciugatura del pigmento oleoso. L’autore esprime il senso di una landa primieva, abbracciata da un cielo diurno e altresì notturno: essa custodisce l’avvicendarsi delle colonizzazioni compiute dall’uomo, nel corso dei secoli. Il viola la contraddistingue e involve impulso passionale e meditativa ragione, lenezza e calma, che si sposano con le trame ricamate, odorose dell’arte degli antichi tessitori; esse serbano altresì il processo di formazione di queste catene montuose, assurte grazie alle forze marine e ai movimenti tellurici. Il colore nero si scioglie, su questa terra antica, come lacrimoso pianto, che testimonia il sangue versato nei corso dei secoli. La vita sorge, però, rigogliosa e attuale, sulle violacee sommità, nella significanza di un vasto a spontaneo luco: ecco che Angelo Augusto Montorio sottolinea, come è solito fare nelle sue opere, la necessità di questo legame, personale e assoluto, con un percorso evolutivo atemporale. Il turchino orizzonte rivela il significato dell’ulissismo, traslato nel procedere delle nuvole; esse scorrono sulla percorrenza della trasformazione e dell’evoluzione. Tra l’azzurro, l’artista eleva una torre… l’ultima roccaforte umana. Questa nutre una luce che sposa e illumina la sfera superna, in cui dimorano gli dei, nonché il nome di questi ultimi: il Primo, la Madre e la Progenie. Dal fondo della Nuova Creazione, l’esteta esprime due mani, in cui indova il legame di appartenenza al genere umano maschile e femminile e altresì le rende depositarie di una ricerca che si rivela, rispettivamente, tra la sfera soprasensibile e quella che simboleggia la scienza, la filosofia e le arti. Accompagnate dalla luna e dal credo, le palme si ricongiungono, attraverso il fascio luminoso, alla condizione in cui regnano le divinità e tracciano, nel contempo, un’ipotetica rotta per approdare, con questa veste esperienziale, nell’ineffabile concretezza dell’oggi. L’autore chiude così, in maniera sublime, questo viaggio, in cui l’osservatore viene coinvolto in maniera diretta ; grazie alla peculiarità cromatica e alla sceltezza dei tratti e delle immagini, Angelo Augusto Montorio riesce, infatti, a conferire veridicità ad un inafferrabile pensiero, che si risolve nella realtà del quesito e della ricerca.

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