31 dicembre 2021

Solgenitsin – Una giornata di Ivan Denissovic a cura di Marco Salvario

 Solgenitsin – Una giornata di Ivan Denissovic

Marco Salvario

Vita travagliata e controversa quella di Aleksandr Isaevic Solgenitsin, uno scrittore che si è trovato a vivere sballottato tra le vicende turbolente della Russia del secolo scorso, usato spesso sia dal suo paese sia dal mondo occidentale come un'arma politica, lodato per meriti che non sempre aveva e condannato per accuse non vere. Di questi ultimi giorni è la notizia della chiusura in Russia di Memorial, organizzazione da lui fondata nel 1989 per la difesa dei diritti umani.

Solgenitsin nasce nel 1918 a Kislovodsk, una cittadina sulle pendici settentrionali del Caucaso; suo padre, che era diventato proprietario di vasti terreni e di molto bestiame, muore in un incidente pochi giorni prima della sua nascita. La sua infanzia è povera, la sua famiglia perseguitata, le proprietà del padre espropriate, uno dei nonni è arrestato e fatto sparire dalla polizia politica; eppure con grande determinazione si laurea in matematica con lode a Rostov e studia per corrispondenza Filosofia e Letteratura. L'invasione tedesca lo spinge a partire volontario; è promosso capitano per il valore dimostrato e per due volte viene decorato, finché, il 9 febbraio del 1945, per una lettera inviata ad un amico in cui critica Stalin, accusandolo di avere tradito la dottrina leninista, è degradato, arrestato, condannato a otto anni di lavori forzati e alla successiva espulsione dalla nascente Unione Sovietica. Dopo un periodo in carcere è trasferito ai campi di lavoro; da quel momento sarà il prigioniero SC-232 e lavorerà come muratore. Preparerà molti racconti che dovrà però tenere tutti a mente, essendo vietato ai prigionieri lo scrivere.

È liberato nel 1953, negli stessi giorni della morte di Stalin, ed è inviato al confino di polizia nel villaggio tartaro di Kol-Teren, dove, benché malato di cancro, può finalmente cominciare a mettere su carta le sue opere. Per sua fortuna, la situazione politica, dopo le sanguinose purghe staliniane, si apre a un progressivo disgelo.

Solgenitsin viene liberato nel 1956 e l'anno successivo è completamente riabilitato.

Nel 1962, una delle principali riviste letterarie russe pubblica il suo racconto “Una giornata di Ivan Denissovic”. In quegli anni di grande speranze il presidente dell'URSS è Nikita Krusciov, che chiude il periodo staliniano e ne prende le distanze, presidente degli Stati Uniti è John Kennedy, mentre il papa è Giovanni XXIII. Il mondo vive un periodo di entusiasmo e fiducia, che si chiude in pochi mesi per la morte di tutti e tre i grandi uomini.

Solgenitsin continua il suo impegno, ma le sue opere non possono più essere pubblicate in URSS e i manoscritti sono trasferiti clandestinamente all'estero.

Nel 1970 gli è conferito il premio Nobel per la letteratura, ma non si reca ad Oslo per la premiazione, temendo di non potere ritornare in patria. Il suo destino è comunque segnato: nel 1974 è privato della cittadinanza ed espulso; dopo un periodo trascorso in Svizzera, si trasferisce negli Stati Uniti. Per Solgenitsin sono anni ricchi di pubblicazioni e di interventi pubblici, nonostante la precarietà del suo inglese, con dure critiche e polemiche rivolte sia alle minacce sovietiche sia alla debolezza della cultura occidentale; ha posizioni dure che lo avvicinano alla parte conservatrice della politica americana e lo mettono in urto con gli esponenti della cultura democratica. Molto veementi i suoi interventi a favore della guerra in Vietnam e contro il movimento pacifista.

Con Gorbaciov, nel 1990 riottiene la cittadinanza sovietica e nel 1994 torna in Russia.

Continua a scrivere e ad essere una presenza molto attiva nei dibattiti.

Muore di infarto nel 2008; è sepolto a Mosca con solenni funerali di Stato.



Il lettore che dopo questa veloce biografia dell'autore, si trovasse tra le mani il libro “Una giornata di Ivan Denissovic”, potrebbe avere un momento di imbarazzo, temendo di dover affrontare un polemico e avvelenato pamphlet contro lo stalinismo. Così non è.

Quella che ci viene narrata, è una giornata tipica nella vita di un uomo prigioniero in un gulag siberiano. Il gulag è un campo di lavori forzati, un ingranaggio spietato creato per cancellare la personalità delle persone, sfruttandone al tempo stesso il lavoro. A differenza dei lager tedeschi, dove l'obiettivo era lo sterminio, qui ogni persona ha importanza come lavoratore e ottiene il minimo di viveri e di riposo per potere sopravvivere e produrre, ma nulla di più.

Il racconto è ambientato nel 1951 e il potere di Stalin in URSS è in quegli anni assoluto.

Il protagonista, il contadino Ivan Denissovic Sciuchov, è Solgenitsin stesso ed è le centinaia di altri prigionieri con cui ha scambiato ricordi e testimonianze, rendendo così la descrizione vera, convincente e umana. Il vero dominatore della scena è però il gulag stesso, la sua atmosfera opprimente stringe in un gelido e spietato abbraccio prigionieri e guardie subito dalle prime righe:

Come al solito, all'alba, alle cinque, ci fu la sveglia. Picchiavano col martello su un binario, accanto alla baracca del comando. Il suono intermittente attraversò, smorzato, i vetri coperti dal ghiaccio e subito si spense: faceva freddo e il guardiano non aveva voglia di stare lì a picchiare.”

Comincia così la giornata di Sciuchov, in un campo il cui intento è trasformarlo un animale da fatica obbediente e stupido. Riposo, lavoro, mangiare. Fatica e ubbidienza.

Alcuni prigionieri cedono, si degradano, diventano spie, si abbassano a raschiare il fondo delle scodelle dove altri hanno mangiato e cercano di sottrarsi alla fatica, gli altri restano uomini, svolgono il loro lavoro con fierezza, con l'orgoglio di farlo bene, aiutano la propria squadra, i propri compagni. Ubbidiscono alle regole perché sono costretti, ma mantengono la loro dignità.

Colpisce il messaggio che persino in quell'inferno l'uomo può e deve restare vero uomo, anche se ha perso la fiducia nel futuro, al qual sembra preferire il presente in cui sta vivendo.

Primo Levi, prigioniero in un lager nazista, si chiedeva sconsolato se in tali condizioni l'uomo era ancora un uomo, Solgenitsin risponde che può adattarsi a ogni prigione e conservare la propria dignità.

Nella lotta per la sopravvivenza nel gulag, la salute fisica e mentale sono un unico bene e due sono i grandi nemici da combattere: la fame e il freddo. Non mangiare vuol dire perdere le forze e non riuscire più a eseguire gli ordine assegnati, venire puniti e ricevere meno cibo, diventando ancora più deboli. Il freddo è come una malattia e anch'esso logora e consuma.

La pezza che Sciuchov si era messo come una museruola, imbevutasi di fiato durante la marcia, è gelata in più punti come una crosta gelata. Sciuchov l'abbassa sul collo mentre volta le spalle al vento. Non era stato troppo tormentato dalle raffiche, ma le mani, nei guanti rovinati, erano intirizzite e non sentiva più le dita del piede sinistro.”

Sciuchov lavora e lotta per dimostrare a se stesso, prima ancora che agli altri o per ubbidire agli ordini, di avere conservato il proprio orgoglio, e ci riesce. Ovviamente non è un eroe, ha le sue paure e debolezze. Nella situazione in cui si trova a rischiare una severa punizione, prega con tutta l'intensità di cui la sua anima è capace, e quando un piccolo miracolo lo salva, deve subito rituffarsi nella lotta per la propria sopravvivenza, senza avere neppure un attimo per ringraziare il suo dio.

Il racconto avanza attraverso tanti piccoli episodi costruiti e montati in modo magistrale, con un'arte talmente perfetta da non permettere al lettore di sentire discontinuità.

Solgenitsin ha dovuto lavorare come muratore nel gulag, il suo personaggio è un muratore, e la narrazione è una splendida costruzione, realizzata accostando e cementando mattone a mattone fino a realizzare una opera unica.

Il lavoro affrettato ha fatto esalare dal corpo il primo calore, quello che ti bagna di sudore. Nessuno si ferma, il muro si alza, un blocco dopo l'altro. Dopo un'ora, arriva il secondo calore, quello che asciuga il sudore. Il gelo non ti ha preso i piedi e il resto non ha importanza; né il vento sottile né altro potevano distrarli dal lavoro.”

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