30 giugno 2021

RIFORMA FISCALE, LAVORI IN CORSO di Antonio Laurenzano

  


RIFORMA FISCALE, LAVORI IN CORSO

di Antonio Laurenzano

Lavori in corso nel cantiere della Riforma fiscale. In arrivo il via libero da parte delle Commissioni Finanze di Camera e Senato a una proposta unitaria che fissa le linee della riforma. Un atto di indirizzo sul quale, secondo il percorso a tappe del Recovery Fund concordato con la Commissione europea, il Governo Draghi dovrà “impiantare” entro il 31 luglio una legge delega che ridisegnerà il sistema tributario italiano.

Pochi sono, per ora, i punti fermi. Uno riguarda la cancellazione dell‘IRAP, l’imposta regionale sulle attività produttive introdotta negli Anni ’90, che sarà inglobata nell’IRES, imposta sul reddito delle società. L’IRAP si trasformerebbe in un incremento dell’aliquota IRES, con benefici in termini di semplificazione nella determinazione di un solo imponibile. Verrebbe così abrogata un’imposta tanto contestata che colpisce inopinatamente i fattori della produzione (costo del lavoro), tassando le imprese in perdita. In materia di reddito d’impresa, si ipotizza il ritorno (semplificato) dell’IRI, l’imposta introdotta dal governo Renzi a fine 2016 e mai entrata in vigore, perché congelata da Gentiloni l’anno dopo e abrogata dal Conte-1 in quello successivo. Un altro punto della riforma su cui sembrano convergere le posizioni politiche riguarda la possibilità di rateizzare anche il versamento della seconda rata dell’acconto delle imposte sui redditi, con differimento rateale fino a metà del mese di giugno dell’anno successivo. Ancora da definire il riordino della tassazione patrimoniale con intervento sul catasto e sulla tassa di successione, il regime forfettario con la flat tax per le partite Iva: un grosso nodo politico da sciogliere. Il fisco è terreno politicamente minato… Ogni partito ha il suo orticello elettorale da curare con bandierine da posizionare.

Un’ampia convergenza invece si registra sulla riforma dell’Irpef, nata con la riforma tributaria del 1973 come imposta generale sui redditi ma progressivamente svuotata con la eliminazione dalla sua base imponibile di cespiti e redditi vari tassati con imposte sostitutive (proporzionali), con aliquote diverse tra loro. Oggi l’Irpef è ormai quasi esclusivamente un’imposta sui redditi da lavoro dipendente e assimilati che costituiscono l’84% dell’imponibile, generando oltre l’80% dell’intero gettito tributario. Tutti d’accordo per una profonda revisione del meccanismo delle aliquote che gravano in particolare sui redditi del ceto medio dipendente. Una necessità per ridare potere d’acquisto e competitività alla classe media italiana che negli ultimi anni è stata quella più colpita dalla pressione fiscale. Le forze politiche concordano sulla necessità di alleggerire la pressione fiscale tagliando il prelievo per circa 7 milioni di contribuenti che popolano la terza fascia di reddito, quelli con reddito compreso tra i 28mila e i 55mila euro lordi attraverso la riduzione della terza aliquota Irpef del 38%. La struttura della futura Irpef dovrebbe prevedere tre sole aliquote rispetto alle cinque attuali con la modifica della dinamica delle aliquote marginali al fine di ridurre il prelievo medio effettivo. In discussione inoltre il minimo esente, una sorta di “no tax area” corrispondente a una soglia di reddito esclusa da tassazione, il minimo per la sopravvivenza.

Nel capitolo complesso degli interventi per la riforma dell’Irpef entra anche la razionalizzazione delle “tax expenditure” (detrazioni, deduzioni e crediti d’imposta, aliquote ridotte) per raggiungere tre obiettivi: ridurre la numerosità delle spese fiscali, semplificazione del sistema, reperire risorse per la riduzione del terzo scaglione Irpef. Significativo il dato che emerge dalla giungla degli “sconti fiscali”: quelli legati alle deduzioni (abitazione principale e oneri deducibili) valgono circa 35,5 miliardi di euro, quelli legati alle detrazioni ammontano a 70 miliardi di euro (in crescita le spese per recupero edilizio e mobili). Un totale di 105,5 miliardi di euro. Un fisco più semplice dovrebbe fare piazza pulita di questi bonus che contribuiscono però a contenere il carico fiscale. Ma mettere ordine nelle tax expenditure senza ridurre le aliquote significa aumentare la pressione fiscale. Una strada inaccettabile nel post-pandemia.

Le indicazioni contenute nel programma di governo indicano con chiarezza i punti su cui Draghi mira a far poggiare la “sua” riforma: il metodo della competenza, la semplificazione e la progressività del sistema fiscale, la necessità di una riforma complessiva che analizzi l’impatto di tutte le variabili e che risponda a interessi generali del Paese e non lobbistici. Conciliare cioè il taglio delle imposte con la semplificazione ma soprattutto con il taglio della spesa pubblica improduttiva e con un forte rilancio dell’economia. Il futuro, con un debito pubblico che supera il 160% del Pil, non può che riservarci nuove imposte. Sul tappeto il problema dell’evasione, senza dimenticare i mali storici della nostra legislazione tributaria: casualità, incertezza, frantumazione normativa. Un proliferare di leggi e leggine che è causa non solo di uno scadimento qualitativo della legislazione ma anche della potenziale ignoranza della legge, con grave pregiudizio della certezza del diritto, divenuta una chimera! Una violazione dell’insegnamento di Ezio Vanoni, il padre della omonima riforma tributaria degli Anni Cinquanta, che auspicava “un ordinamento tributario conoscibile nelle forme e comprensibile nei contenuti”.

Ben venga dunque una riforma organica per un sistema tributario delegittimato con al centro l’etica del tributo e il rispetto dei diritti del contribuente.


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Miriam Ballerini a Fagnano Olona (VA)