29 marzo 2022

L’UNIONE EUROPEA E LA GUERRA AI RUBLI DELLO ZAR Di Antonio Laurenzano

 


L’UNIONE EUROPEA E LA GUERRA AI RUBLI DELLO ZAR

Di Antonio Laurenzano

Kiev chiama, Bruxelles risponde. In un clima di grande compattezza, linea d’azione unitaria tra gli alleati della Nato, nel G7 e tra i Paesi Ue nei tre vertici tenuti nella capitale belga, con l’intervento del Presidente degli Stati Uniti Joe Biden. Tante le implicazioni belliche ed economiche, unico l’obiettivo: dare una svolta all’aggressione russa in Ucraina, potenziando -a oltre un mese dall’invasione- il coordinamento nella politica sanzionatoria contro Mosca per “ripristinare la pace e la stabilità e sostenere il diritto internazionale”. S’inquadra in tale ottica la conferma del forte sostegno militare e umanitario all’Ucraina e il rafforzamento dell’Alleanza a Est, oltre agli interventi sulle forniture energetiche per azzerare gradualmente la dipendenza di gas, petrolio e carbone russi, fino a giungere al totale boicottaggio bloccando ogni importazione dalla Russia e, di conseguenza, il flusso miliardario di dollari. Uscire cioè da ogni forma di ricatto.

Ma il punto cruciale rimane la reale efficacia delle sanzioni finora decise contro il Cremlino quale deterrente dell’azione bellica. Di forte effetto finanziario risulta il congelamento delle riserve valutarie detenute all’estero (oltre 643 mld di dollari) da Bank Rossii, la Banca centrale della Federazione Russa, per rendere impossibile all’istituto monetario di liquidare i suoi asset, venderli per difendere il rublo, crollato del 42% a seguito dell’invasione e delle sanzioni imposte da Ue e USA. Nessuna possibilità per Mosca di finanziarsi sui mercati internazionali. Una misura degli alleati occidentali finalizzata a fare aumentare l’inflazione, paralizzare il potere d’acquisto e ridurre gli investimenti. Quello economico è il secondo fronte che si è aperto nel momento in cui Putin ha dato l’ordine di invadere l’Ucraina. Un fronte insidioso per la tenuta del regime che ha generato in Europa il timore che Mosca potesse aggirare le sanzioni usando il proprio oro. Nei forzieri della banca moscovita ci sono circa 2.300 tonnellate d’oro, volumi raddoppiati dopo l’invasione della Crimea nel 2014: tesoro che vale circa 140 miliardi di dollari, difficile però da monetizzare per le restrizioni che hanno colpito la Russia. I lingotti fusi nel Paese non sono più accettati nelle maggiori piazze finanziarie, a cominciare dalla City londinese, precludendo così ogni canale di rifornimento valutario.

Una situazione finanziaria che si è ulteriormente aggravata per la Russia dopo l’intervento del consorzio internazionale Swift che, su indicazione della Bce, ha inibito alle maggiori banche russe (oltre il 70% del mercato bancario del Paese) l’uso dei codici di sicurezza necessari per gli scambi Internazionali. Difficoltà a eseguire transazioni per le imprese e le istituzioni russe, con rilevanti danni economici. Bloccate le esportazioni e le importazioni per la impossibilità della regolamentazione dei relativi pagamenti. Da qui “la mossa da pokerista” di Vladimir Putin per ridare forza alla moneta nazionale e rintuzzare le sanzioni: pagamenti del gas in rubli. Gli “Stati ostili” colpiti dal provvedimento dello zar di San Pietroburgo (Italia compresa) dovranno comprare rubli prima di ottenere in cambio gas russo. Il rublo, rinfrancato, ha recuperato (parzialmente) terreno rispetto al dollaro, favorendo così maggiori profitti nelle vendite energetiche e, quindi, più mezzi per sostenere lo sforzo bellico. Un “fuoco di paglia”, secondo gli analisti, perchè non supportato da una credibile politica monetaria e da una adeguata sostenibilità economica.

Per i leader europei quello di Putin è un bluff, “una violazione contrattuale” (Draghi), i contratti in euro e dollari si rispettano. Le società russe che vendono gas hanno avuto finora in cambio moneta forte, euro o dollari, rischiano di ricevere in futuro solo rubli e con il tasso galoppante d’inflazione non sarà proprio un affare. Secondo la società di rating Moody’s, il rischio di insolvenza e le potenziali perdite per gli investitori rimangono molto elevati, dato il marcato deterioramento nella capacità e nella volontà del Governo russo di far fronte ai propri obblighi di debito nelle ultime settimane.

Per la Russia non sarebbe scongiurato il default, già rischiato in occasione del pagamento delle cedole da 117 milioni di dollari su bond in dollari in scadenza lo scorso 16 marzo. Ci sono altri importi in scadenza: entro poche settimane circa 2,5 miliardi di dollari di rimborsi sui titoli statali. Morgan Stanley ha indicato nel 15 aprile la data che definirà o meno l’insolvenza di Mosca. Obbligazioni russe diventeranno carta straccia? Banche e investitori in fuga. La strada è segnata: se non cesserà il fuoco delle armi, inasprimento delle sanzioni per accantonare la follia di un despota a capo di un Paese sempre più isolato, non solo finanziariamente, dal resto del mondo, con accanto soltanto Bielorussia, Eritrea, Corea del Nord e Siria. Un’economia condannata al baratro perché priva di normali relazioni commerciali. La Russia oggi è poco più di una “grande stazione di rifornimento”, dovendo dipendere per tecnologia, finanza, capitali e beni di consumo.

La guerra dal terreno militare, inevitabilmente, si è spostata sul terreno economico, e quindi su quello più strettamente politico-istituzionale. Con il destino dell’Ucraina, è in gioco la libertà e la democrazia dell’Europa. Un futuro di pace per l’intero continente. La volontà di potenza e di aggressione non può che infliggere morti e calamità sia ai vinti che ai vincitori.

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