29 marzo 2022

Ingiustizia! di Umberto Lucarelli a cura di Vincenzo Capodiferro

 


INGIUSTIZIA!”

Un accorato testo/denuncia sociale di Umberto Lucarelli


«Un percorso, nei boschi fisici e interiori, lungo il crinale della solitudine, dell’amarezza e della disperazione di un professore ingiustamente accusato di “molestie sessuali” nei confronti dei suoi alunni, un dialogo, con un interlocutore attento e paziente, il narratore, che, nel tentativo di lenire la sofferenza del professore, scopre la sua stessa solitudine, il senso di appartenere a un mondo che ormai ha bandito un modo di essere con l’altro fondato sull’espressione anche fisica dell’essere assieme, sull’espressione anche fisica del comprendere»: scrive Marco Passeri nell’Introduzione al testo “Ingiustizia!” di Umberto Lucarelli, edito da Bietti, Milano 2021.

Umberto Lucarelli ha pubblicato, tra l’altro: Non vendere i tuoi sogni, mai (1987); Ser Akel va alla guerra (1991); Il quaderno di Manuel (1994); Fossimo fatti d’aria (1995); Nulla (1999); Pavimento a mattonella (2001); Rivotrill (2011); L’invettiva (2020).

Umberto è uno scrittore di confine, come quei medici senza frontiere, diremmo autori senza limiti, è un denunciatore, un fustigator morum, fustigatore dei costumi, un satirico dei giorni nostri.

«Così tutto a un tratto l’avevano incolpato di una cosa tremenda e si era sentito precipitare nel vuoto senza poter afferrarsi a nulla, era venuto subito e immediatamente da me e mi aveva raccontato l’accadimento e più precisamente l’ingiustizia a cui era stato sottoposto, l’ingiustizia è un sopruso dissi subito ricordo e mano a mano che lui parlava e mi raccontava e mi rendeva per dir così edotto della sua sofferenza io pensavo l’ingiustizia è prevaricazione, lui parlava e io pensavo l’ingiustizia è sopraffazione, lui continuava a informarmi sulla sua situazione, a piangere, a lamentarsi mentre io continuavo a pensare l’ingiustizia è una violazione del diritto, una violazione …».

Così comincia questo serrato dialogo diretto, ma indiretto nello stesso tempo. Il testo fila tutto d’un pezzo, secondo uno stile consueto di Umberto, ma anche di altri autori della Bietti, come Marco Passeri, di cui ricordiamo “Il nonno”.

Ciò che emerge è, secondo un canone quasi neoverista, o neonaturalista, il fatto. L’autore/osservatore riporta quasi nelle stesse modalità espressive, anche se indirettamente, tutto ciò che freudianamente esce dalla psiche della vittima, questa volta un povero docente, accusato ingiustamente di pedofilia.

Quello che Umberto ci propone è un tema forte, provocatorio, l’apologetica di una società allo sbaraglio, che si scandalizza di affetti, erigendo muraglie fondate spesso su tabu illusori, a volte inventati. Ci sono i tabu reali, i nuovi tabu della miseria, della malattia e della morte e ci sono quelli fenomenici. Non si scandalizza invece della totale corruzione in cui è incorsa con la totale distruzione di tutti i valor, una società di farisei laici, di adulti adulteri, che erge muri in base all’apparire e non all’essere. Questo è il frutto del supercapitalismo anonimo ed impersonale esagerato che domina il mondo, ultima apoteosi del post-capitalismo classico, personale, statale, e nazionale. Una tal società liquida, ma diremmo di più liquidata e liquidatrice, si proietta in un mondo totalmente virtuale. Sui social tutto viene ingigantito, tutto acquista autonomia e forma. Tutto viene animato e così si può creare un mondo reale, sebbene puramente reality: la differenza è minima. Abbattuti i confini tra fantasia e realtà, riducendo, infine, la vita a sogno, come già la letteratura si auspicava da secoli, l’uomo si è imbottigliato in meta-versi paralleli creati, in ognuno dei quali vige una morale diversa, un parametro diverso. Anzi l’unica morale che si è affermata è quella dell’”Unico e la sua proprietà”, quella di un oltre-omismo inumano, per non dire disumano. Dall’Umanesimo si arriva al disumanesimo.

La società occidentale ha raggiunto il limite della follia collettiva. Si pensa solo a cani, gatti e biciclette. Ci si scandalizza per una pacca sulla spalla che un docente dà ad un allievo per incoraggiarlo e non ci si scandalizza per divorzi, aborti, eutanasia e compagnia bella. Si ha paura della guerra, quando la guerra è sempre alle porte, ovunque. Basta che non la facciamo in questo fetido Occidente, che dal 1945 vive una novella finta Belle Epoque. Torna la miseria. I diritti dei lavoratori sono calpestati, aboliti. Cresce una generazione cerebrolesa, flemmatica e fragile. Mentre la generazione degli anni Sessanta era sanguigna, rivoluzionaria, in questa prevale l’umore ippocratico del flemma. Le generazioni si alternano: biliosi, flemmatici e sanguigni. I giovani non sanno più fare nulla, neppure friggere un uovo. Ma che razza di società abbiamo creato noi? Con le guerre e le armi quante risorse si sprecano? Risorse non rinnovabili! Invece di produrre armi perché non si fa altro. L’industria bellica da sempre è quella trainante. L’argent fait la guerre. Ma quando


Forgeranno le loro spade in vomeri,

le loro lance in falci;

un popolo non alzerà più la spada

contro un altro popolo,

non si eserciteranno più nell'arte della guerra.


Quando arriverà il tempo del profeta?

Il libro di Umberto Lucarelli ci fa ricordare il film “Il sospetto” (2012). Ecco il succo del messaggio che Umberto vuole lanciarci:

«Se infatti allontaniamo l’altro, obbedendo a un’eterofobia senza pari, ogni gesto diviene equivoco, untuosa fonte di sospetto («nessuna indagine solo voci, diceva lui»). Ecco il gran miracolo: la stessa realtà che addomestica l’altro, rendendolo “accettabile”, lo tramuta in mostruosità. Ma non temete: finalmente al riparo dagli altri, al sicuro da tutti gli altri, saremo noi i prossimi fortunati destinatari di questo trattamento. E non ci sarà questurino del pensiero a salvarci, quando toccherà alle nostre migliori intenzioni salire sul patibolo. In una realtà del genere, la penna del cavaliere Ser Akel si fa bisturi che affonda nella carne viva di un mondo morto, preda di una crescente astrazione che condanna il corpo e tutto quanto attiene al corpo, promuovendo un individuo disincarnato in obbedienza a un odio neo-puritano verso la carne».

Il grande esperimento sociale comminato dai poteri occulti è l’eterofobia, fomentata con le canzoni mediatiche giornaliere: covid e guerra. Le risorse sono rimaste poche e la popolazione, come diceva la buonanima di Malthus, cresce sempre, cresce troppo. Non bisogna avere figli. Non bisogna fare figli. E grazie! Con lo stile consumistico fondato sul supercapitalismo senza frontiere Malthus ha ragionissima! Ma perché non far emergere sistemi alternativi? Senza spreco di risorse non rinnovabili? No! Non conviene ai supercapitalisti. E allora?

Questa denuncia sociale di Umberto ha per noi un valore importante: farci capire che c’è un velo di Maya, di ipocrisia nella società attuale, che altro non è che un sepolcro imbiancato. Vuole apparire morale, ma è totalmente amorale, vuole apparire puritana, ma è completamente impura, dove ci sono donne e uomini senza numeri di casa, né famiglie.


Vincenzo Capodiferro

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