05 dicembre 2020

MES, CROCE E DELIZIA DELLA POLITICA EUROPEA di Antonio Laurenzano

 


MES, CROCE E DELIZIA DELLA POLITICA EUROPEA

di Antonio Laurenzano

Giorni inquieti nei palazzi romani della politica. Da settimane il Meccanismo europeo di stabilità (MES), il cosiddetto “fondo salva Stati”, monopolizza il dibattito politico e alimenta lo scontro fra i partiti, e nella stessa maggioranza di governo. Il Mes è la “cassaforte” dell’Eurozona, istituito nel 2012 per dare sostegno ai Paesi in caso di crisi finanziaria e di rischio default previa l’attuazione di un piano di riforme strutturali della finanza pubblica “sorvegliato” dalla “Troika” (Commissione europea, Bce e Fondo monetario internazionale). Hanno finora beneficiato del programma di aiuti Grecia, Spagna, Cipro, Portogallo e Irlanda. Con sede in Lussemburgo, il Mes è gestito dal Consiglio dei Governatori costituito dai ministri dell’economia dell’Eurozona e da un Consiglio di Amministrazione. Come osservatori, ne fanno parte anche il Commissario Ue agli Affari economici e il Presidente della Bce. L’Italia è il terzo maggiore socio del Mes (17,8%), dopo Germania e Francia, con 14 mld di capitale versato e 125 mld di capitale sottoscritto su un totale di circa 700 mld.

Dal 2017 si parla di riforma del Mes per rafforzare la coesione dell’Eurozona nell’affrontare le crisi e a tutelarne la stabilità finanziaria. Una ipotesi che in Italia ha dato il via a un profondo dibattito per le “condizioni di accesso” alle linee di credito giudicate particolarmente rigide: non essere in procedura d’infrazione, rapporto deficit/Pil inferiore al 3% da almeno due anni, rapporto debito/Pil inferiore al 60% (o con una sua riduzione di almeno 1/20 negli ultimi due anni). Per i dieci Paesi della zona euro (Italia compresa) fuori dai parametri di Maastricht l’obbligo di sottoscrivere un gravoso “memorandum”, un dettagliato accordo di riforme impopolari, non ultima la “ristrutturazione del debito sovrano”, con i conseguenti rovinosi effetti sui risparmiatori privati che hanno investito nei titoli di Stato. Una “calamità immensa” che generebbe distruzione di risparmio, fallimento di banche (detengono il 70% del debito pubblico) con ripercussione sui correntisti per effetto del “bail in”, crisi economica, disoccupazione di massa e un generale impoverimento sociale.

Le proposte di modifica al Trattato, in discussione in sede europea dal dicembre 2018 sulle quali i Paesi membri prima di accantonarle a seguito della crisi Covid avevano trovato un “accordo politico preliminare” nel giugno 2019, sono state approvate dall’Eurogruppo nella recente seduta del 30 novembre. I ministri dell’economia della zona euro hanno dato l’ok definitivo alla riforma del Trattato che ridisegna gli aiuti tradizionali del Mes, con l’obiettivo di prevenire le crisi invece che intervenire drasticamente una volta scoppiate, con i programmi di salvataggio che sono costati la cattiva fama al Mes. L’intento della riforma è rafforzare e semplificare l’uso degli strumenti a disposizione del Mes prima del ripescaggio di un Paese, cioè le linee di credito precauzionali, utilizzabili nel caso in cui un Paese venga colpito da uno shock economico e voglia evitare di finire sotto stress sui mercati.

Nel testo di riforma modificato è stato eliminato il contestatissimo “memorandum” (le cosiddette “condizionalità”), quello passato alla storia per aver imposto alla Grecia condizioni rigidissime, sostituendolo con una lettera d’intenti che assicura il rispetto delle regole del Patto di stabilità. La riforma votata dall’Eurogruppo attribuisce al Mes una funzione di garanzia, un paracadute finanziario (“backstop”) al fondo salva-banche Srf, il fondo unico di risoluzione bancaria alimentato dalle banche stesse, qualora, in casi estremi, dovessero finire le risorse a disposizione per completare il recupero delle banche in difficoltà. E’ uno dei tasselli mancanti dell’Unione bancaria fortemente voluto dall’Italia. Entrerà in vigore prima del previsto, cioè nel 2022 invece del 2024. Una misura per rendere il settore bancario più resistente alle crisi contro gli attacchi della speculazione e quindi in grado di sostenere l’economia reale.

La riforma del Mes rappresenta un momento importante nel processo d’integrazione istituzionale, economica e finanziaria dell’Eurozona. Una rete finanziaria da usare sia in caso di crisi dei debiti sovrani, sia in caso di crisi del sistema bancario europeo, nell’ottica della mutualizzazione del rischio e di una maggiore trasparenza dell’ordinamento monetario. Non mancano nella riforma forti criticità: la semplificazione delle “clausole di azione collettiva” da parte dei creditori di uno Stato per chiederne la ristrutturazione del debito, nonché il carattere intergovernativo del Mes che non risponde al Parlamento europeo, fuori quindi dalle istituzioni comunitarie. Con l’allargamento delle competenze, la riforma sposta il potere economico dell’Eurozona dalla Commissione al Mes.

L’intesa raggiunta dall’Eurogruppo è la base d’accordo per il Consiglio europeo di Bruxelles del 10 e 11 dicembre, prima della firma del Trattato modificato, prevista in gennaio, e delle successive ratifiche nazionali. Il vertice europeo sarà preceduto in Italia dall’intervento del premier Conte in Parlamento sulla Riforma mercoledi 9 dicembre. Il nuovo testo divide partiti e maggioranza: molti esponenti del M5S, infatti, non sarebbero disposti a votare a favore. Acque agitate anche in Forza Italia dopo l’improvviso cambio di rotta di Berlusconi. Un voto contrario dell’aula farebbe saltare tutto, Governo e sessione di bilancio, rappresentando in Europa un’Italia intrappolata in populistici pregiudizi ideologici (antieuropeismo) duri a morire. Una caduta di credibilità internazionale per evitare la quale Conte chiederà un voto sul nuovo Mes e non sul suo utilizzo da parte dell’Italia. Le solite alchimie del “teatrino della politica”.

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